"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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sabato 31 ottobre 2009

LAYA - Gioia Industriale

L’altalena


Luigi cercava sempre di scansare viaggi in aeroplano. In volo, stava molto a disagio e non poteva manco attenuare il nirbùso col fumo perché sulle rotte nazionali la sigaretta era proibita. Per tornare da Torino a Roma, quel giorno, dovette assoggettarsi alla situazione: i ferrovieri avevano proclamato uno sciopero. Luigi si riempì le sacchette di caramelle, s’accattò un romanzo giallo e acchianò a bordo. L’aereo partì preciso, la giornata era chiara, atterrò con cinque minuti d’anticipo. Luigi non aveva bagagli, solo un borsone a mano. S’avviò speditamente all’uscita addrumandosi una sigaretta, trovò subito un tassì, ezz’ora dopo era a casa. Sua mogliere gli fece trovare il mangiare già pronto. Prima di andarsi a corcàre, telefonò ai nipotini, disse che li aspettava nel dopopranzo, aveva dei regali per loro. Sua mogliere gli spiò a che ora voleva essere arrisbigliato col caffè. Luigi le rispose che aveva intenzione di riposare per un’oretta. Si spogliò, si curcò, s’addormentò di colpo. Sognò di trovarsi nuovamente sull’aereo, ma stava capitando qualcosa di spaventoso, i passeggeri facevano voci, pregavano, piangevano. Una hostess, giarna come una morte, tenendosi aggrappata allo schienale d’una poltrona, supplicava alla calma. Dall’altoparlante non arrivavano voci, solo una murmuriata lacerante come di sega elettrica. Capì, con orrore, s’esserci addrumisciùto in volo. Il suo ritorno a casa non era stato che un sogno. Tentò di slacciare la cintura di sicurezza che lo teneva attaccato alla poltrona, ma lo scanto gli faceva le dita di ricotta. A un tratto le grida e il rumore scomparsero di colpo, subentrò un silenzio assoluto. “Luigi, svegliati, ti ho portato il caffè”. Era la voce della mogliere. Dio, che brutto incubo! Ora si sarebbe svegliato. Provò a raprìre gli occhi, ma non ci arriniscì. In quell’attimo si ritrovò a bordo, il rumore della sega elettrica s’era fatto assordante, copriva le voci, le preghiere, le bestemmie. “Luigi! Svegliati!” La voce della mogliere si era fatta preoccupata. Un peso immenso però gli gravava sulle palpebre. Doveva tirarsi fora dall’incubo, assolutamente. Sudando, si sforzò alla disperata. E finalmente ci arriniscì, appena in tempo per vedere l’orrenda fiammata dalla quale l’aereo, lui, i passeggeri, l’equipaggio, sarebbero stati arsi.

Andrea Camilleri (Favole del tramonto - 2000 - Edizioni dell’Altana)

DOPO BERLUSCONI ASPETTA E SPERA

Che l’Italia non sia più berlusconiana lo scriviamo da due anni, spesso rimproverati dalla sinistra istituzionale. Ora, con l’eccezione di Giovanardi e di alcuni pastori della Sila, lo sanno tutti. L’ecumenico sorriso di Monna Lisa Prodi è giustificato, ma non deve diventare fisso, come il ghigno da piazzista del cavaliere. Perché la strada è in salita e i sondaggi mutevoli. L’Italia non è berlusconiana, ma il potere sì. E dato che questo potere non è più temperato dalle regole della democrazia, non sarà semplice scalzarlo. In ogni paese flebilmente civile chi perde quattro elezioni di fila, l’ultima con otto punti di scarto si dimette, o quanto meno presenta le dimissioni. Ma questo è un paese dove il neuropremier vittimista è stato inquisito, stralciato, prescritto, i suoi più stretti collaboratori sono stati condannati per corruzione e appoggio alla mafia, e si è fatto finta di nulla. Perciò il nanetto di minoranza vuole dimenticare in fretta la macchinazione comunista di questo voto, e si dice pronto a cambiare la Costituzione e le leggi elettorali. Lo spalleggiano Fini e Follini, giganti che in due hanno il coraggio e l’indipendenza di pensiero di mezzo doroteo anni Sessanta. E soprattutto, il cavaliere gode dell’appoggio politico e culturale di un gruppo di picciotti padani col cinque per cento dei voti e del clan dei riformisti siciliani col cento per cento dei pizzi. Aspettiamo fiduciosi il 2006, dice una sinistra generosamente premiata dai suoi elettori. Fiduciosi in cosa? Perché il premier tricointermittente, ora che sta davvero per perdere il potere, dovrebbe cominciare a rispettare regole che ha sempre disprezzato? E soprattutto, la sinistra istituzionale ha il coraggio e la voglia di rispettare la volontà degli elettori? Che hanno detto basta a Berlusconi non dal 2006 ma da subito. Ci dicono che esiste la correttezza istituzionale (termine nobile che suona strano nel contesto di questi anni ignobili). Questa correttezza impone di mantenere il premier fallito al suo posto fino a nuove elezioni. Ma le sue menzogne, l’accaparramento di privilegi e capitali, e il suo abuso di potere maggioritario dovrebbero smettere da subito. Passeremo perciò un normale anno di confronto democratico, o un altro anno di calci in faccia alla democrazia e vittimismo da una parte e dall’altra? La sinistra, da ora in avanti, ha una responsabilità che il voto ha accresciuto. Gli scenari fino al 2006 possono essere questi.
Soluzione Ciampi - Nonno Azeglio, in un impeto di coraggio, fa il suo dovere. Depone Berlusconi per manifesta incapacità di gestire questo momento politico, abuso di potere, catastrofe economica, scempio dell’informazione, tintura prolungata. Effettua, diciamo così, un’operazione preventiva di salvataggio della democrazia. Manda Silvio in pensione prima che Silvio ci mandi lui. Augurabile ma assai improbabile, come uno scudetto al Livorno.
Soluzione rivolta alleati - Follini, Fini, Storace, persino Vito e Schifani, si ribellano. Chiedono un rimpasto. La Lega minaccia le dimissioni di tutti i suoi ministri e lo sciopero della fame di Borghezio. Volano insulti, accuse, cachinni e grida di libertà. Alla fine si trova una soluzione nuova e riformista per tutti. Castelli e Lunardi si scambiano il Ministero, e si fanno centosedici nuovi sottosegretari. Come segno di ritrovata autonomia, sarà permesso d’ora in avanti agli onorevoli di portare scarpe coi tacchi anche in presenza del leader.
Soluzione Bush - Bush non è certo venuto in Italia per il Papa. Lo ha sempre trattato come un vecchio importuno e inutile, e ha sempre sostenuto che Dio non abita tra le guardie svizzere ma tra i marines. Se fosse sincero, cederebbe il suo posto al funerale a un pellegrino, tra i milioni che non riusciranno neanche a avvicinarsi a San Pietro. Non siamo fan di miracoli, lacrimazioni, ulcere e poltergeist. Ma mentre George è in ginocchio a fingere contrizione, non ci dispiacerebbe che il bastone papale si librasse in aria e gli calasse sulla groppa. Qual è allora il vero motivo della venuta di Bush? Dato che gli Usa non trascurano mai nessuna opzione, perché non prevenire una nuova sconfitta elettorale con relativo insediamento di regime comunista? Non occorre neanche inviare le truppe, gli aerei e i sottomarini sono già qui. Basta qualche miccia della Cia e far uscire Bin Laden dalle grotte del Vesuvio, ove notoriamente vive insieme alla maga Amalia. Tutti sanno che Prodi possiede armi di sterminio, quasi cento chili di ciccioli in cantina, e la Pidue ha già i piani preparati da anni. Non c’è niente da ridere.
Soluzione vacanza - Il premier prende l’aereo e nottetempo trasloca nelle isole esotiche dove tiene gran parte dei suoi capitali, fa rasare i capelli all’intera popolazione, incarcera tutti quelli sopra il metro e settanta e diventa imperatore col titolo di Granpeloùd, Gigante dalla lunga chioma.
Soluzione secessione - Nasce il regno lombardo-siculo, indipendente dall’Italia. Presidente Berlusconi, imperatore Bossi. Una modernissima devolution divide il territorio in numerosi sottoregni feudali affidati a Cuffaro, Caldaroli, Formigoni, Castelli, La Loggia, Dell’Utri, Buttiglione, Dolce e Gabbana. Per l’ultimo litigano l’Opus Dei, gli Hobbit e gli elfi. Lunardi costruisce un ponte che collega Arcore a Siracusa, e dall’alto i padanosiculi dominano e bombardano di pietroni la misera Italia comunista.
Soluzione nuova legge elettorale - Vengono introdotte nuove modifiche, alcune già da me descritte due anni fa, ma ancora valide: ad esempio. Lodo firme: per presentare una nuova lista la procedura sarà snellita e occorreranno meno firme. Per l’esattezza due: Silvio e Pierslivio. Lodo Bossi: per evitare brogli, ritardi e sperperi, il governo verrà scelto votando solo a Treviso. Questa è vera deregulation. Inoltre ci sarà un fotografo in ogni cabina, perché il voto è un bel ricordo da conservare, e gli scrutatori verranno sostituiti da mucche. Lodo Pera: le schede saranno di due tipi. Quella per votare la Casa delle Libertà sarà normale. Quella per votare l’Ulivo sarà di centosei pagine, bisognerà compilare tutti i moduli, risolvere un puzzle di centosei pezzi e un gioco di parole crociate. Le sinistre sospettose e disfattiste obietteranno che questa scheda è troppo grossa per entrare nell’urna. E’ un problema secondario. Lodo Previti: la Casa delle Libertà si riserva di cancellare i risultati sfavorevoli in quanto potrebbero far parte di un atteggiamento preconcetto nei confronti del suo leader. L’Emilia fa testo.
Soluzione inciucio - Accordo preventivo. Se la sinistra vince le elezioni, consegna tutte le regioni al Polo, con relativa autonomia politica e amministrativa. Se invece vince la destra, Vespa viene sostituito da Curzi o da un questionario scritto. Ipotesi ancora più audace: le elezioni vengono rinviate di cinque anni, e intanto prende vita un governo Casini con l’appoggio esterno dell’Unione. Berlusconi prende il posto di Ciampi. Unico ostacolo, il papato a Rutelli. Ma la Chiesa esaminerà la possibilità.

Stefano Benni (Il Manifesto - Venerdì 8 aprile 2005)

...l'odio è un legame tra un individuo ed un altro. E’ quindi simile all'amore e, in quanto tale, altrettanto intenso...

L'odio

(Liceo Scientifico Isacco Newton di Roma)

ANDREOLI: Oggi parleremo dell'odio, un sentimento che sia nell'individuo,sia nelle società modifica il comportamento e porta ad azioni estreme. Guardiamo la scheda.
PRIMO LEVI: Non sono facile all'odio: lo ritengo un sentimento animalesco e rozzo e preferisco che le mie azioni e i miei pensieri, nel limite del possibile, nascano dalla ragione. Per questo motivo non ho mai coltivato l'odio come desiderio primitivo di rivalsa, di sofferenza inflitta al mio nemico vero o presunto, di vendetta privata. Devo aggiungere che, per quanto posso vedere, l'odio è un sentimento personale: è rivolto contro una persona, un nome o un viso. I nostri persecutori nazisti non avevano viso, né nome: erano lontani, invisibili, inaccessibili; prudentemente, il sistema nazista faceva sì che i contatti diretti fra gli schiavi e i signori fossero ridotti al minimo. Dopo la guerra, inoltre, il nazismo e il fascismo sembravano giustamente e meritatamente tornati nel nulla, svaniti come un sogno mostruoso, così come spariscono i fantasmi al canto del gallo. Come avrei potuto coltivare rancore o volere vendetta contro una schiera di fantasmi? Non molti anni dopo, l'Europa e l'Italia si sono accorte che questa era un'ingenua illusione: il fascismo era ben lontano dall'essere morto, era soltanto nascosto, stava facendo la sua muta per ricomparire in una veste nuova, un po' meno riconoscibile e un po' più rispettabile, più adatta al nuovo mondo che era uscito dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, che esso stesso aveva provocata. Devo confessare che davanti a certi visi non nuovi, a certe vecchie bugie, a certe figure in cerca di rispettabilità, a certe indulgenze e connivenze, provo la tentazione dell'odio con una certa violenza. Ma io non sono un fascista: io credo nella ragione e nella discussione come supremi strumenti di progresso, e perciò all'odio antepongo la giustizia.
STUDENTE: Buongiorno. Tutti abbiamo visto, direttamente o indirettamente, come l’odio possa intrecciarsi con rapporti personali ed essere quindi, in qualche modo, legato all'amore. Lei non pensa che, in questi casi, l'odio possa rappresentare l'incapacità di accettare un'altra persona?
ANDREOLI: Innanzi tutto l'odio è un legame tra un individuo ed un altro. E’ quindi simile all'amore e, in quanto tale, altrettanto intenso. Se nell'amore una persona sente di aver bisogno dell’altra fino a pensare di non esistere senza di essa, quest’ultima diventa quasi un'ombra che lo segue. Così accade nell'odio: la persona odiata occupa lo spazio mentale, colui che odia non sa più considerare tutto ciò che rimane e si fissa sul suo oggetto di odio. Amore e odio sono quindi dei legami tra due persone che spesso risultano interscambiabili: sovente si finisce per odiare intensamente una persona che in passato abbiamo molto amato. Ma può succedere anche l'opposto: si può amare una persona che prima si odiava. Sicuramente avrete sentito parlare della sindrome di Stoccolma: a volte un individuo che viene sequestrato da un gruppo di rapitori può innamorarsi o del gruppo o di qualcuno del gruppo e, in tal modo, finire per amare il nemico. L’odio è in primo luogo un legame fortissimo paragonabile all'amore. E’ chiaro che gli effetti dell'odio sono ben diversi da quelli dell'amore, esiste tuttavia una figura intermedia tra i due: il geloso. La gelosia è data dall’odio verso qualcuno che si pensa possa espropriarci del nostro oggetto d'amore: anche l'odio, quindi, può avere a che fare con la difesa dell'amore. Esso ha certamente degli effetti sconvolgenti sul singolo o sulle società – ad esempio su di un popolo o su una razza - però mantiene un volto umano: è un qualcosa con cui tutti abbiamo a che fare e dobbiamo quindi imparare a conoscerlo bene per poterlo dominare. Non bisogna mai operare una distinzione tra un "cattivo" – ossia chi odia - ed un "buono" - chi ama - perché la storia dell'umanità è formata da individui che prima amano e poi odiano e viceversa.
STUDENTESSA: Innanzitutto volevo dire che, secondo me, a volte l'odio è determinato da un amore troppo esclusivo e possessivo: come esempio si potrebbe citare la rivalità fra Caino e Abele, oppure l'odio-amore di Catullo per Lesbia. Le vorrei chiedere: in che misura, secondo Lei, le relazioni che intrecciamo durante la nostra infanzia con la gente che ci circonda - principalmente con i nostri genitori - determineranno il modo di relazionarci con gli altri?
ANDREOLI: I sentimenti sono qualcosa di molto deciso. Se andiamo ad analizzare le persone che dicono: "Quella persona mi ha fatto del male, ma io cerco di capirla e di perdonarla" osserviamo che, nonostante esse abbiano la volontà di perdonare, dal punto di vista psicologico possiedono una carica negativa - di odio, appunto - nei confronti di chi ha procurato loro del dolore: si tratta di un sentimento molto deciso, che però viene attutito dalla ragione. Nella scheda Primo Levi diceva: "La ragione deve controllare l'odio". Io penso che la razionalità sia sicuramente uno strumento di controllo, ma non di eliminazione dell’odio, perché i sentimenti sono spesso diversi dal ragionamento: sono forti ed esclusivi. Quando affermiamo: "Io amo molto quella persona, ma se quella persona volesse anche amare un altro sarebbero problemi suoi" non stiamo dicendo la verità: se veramente siamo innamorati di qualcuno, tenderemo a considerarlo un oggetto essenziale per la nostra vita e difficilmente potremo condividerlo con altri. Allo stesso modo è difficile affermare: "Mi è odioso e mi ha fatto del male, però gli voglio anche un po' di bene". Ciò che chiamiamo "razionalizzazione" è solo una maniera per mascherare e per farci accettare di più un sentimento molto duro. Come nasce l'odio? Tu hai fatto riferimento alla vita infantile, ed in effetti il periodo che va dai zero ai tre anni si rivela straordinariamente importante per lo sviluppo del soggetto e per il comportamento che avrà negli anni successivi. In questo periodo, infatti, si sviluppa un importantissimo processo di individuazione e separazione: a tre anni deve essersi completata quell’evoluzione grazie alla quale il bambino finisce per sentirsi un individuo, ovvero un qualcosa di distinto dagli altri e sicuro di sé. Tanto più un individuo sarà sicuro di sé, tanto meno tenderà ad aver paura e a pensare che gli altri gli possano far del male.
STUDENTE: Buongiorno professore. Primo Levi ha avuto un’esperienza altamente drammatica durante la prigionia nei campi di concentramento e ha sempre dovuto vivere con il ricordo di questa prova. Sappiamo, però, che si è suicidato proprio perché non ha potuto reggere il ricordo di un'esperienza così traumatica. Secondo Lei si è ucciso perché la ragione non è comunque riuscita a lasciar vivere l'uomo, oppure per paura di un ritorno del fascismo e del nazismo, magari sotto una forma diversa e più pericolosa?
ANDREOLI: Non è facile trovare le motivazioni per un suicidio, credo però che l'esperienza vissuta da un uomo della sensibilità di Levi – un’esperienza condivisa da milioni di persone - abbia a che fare con la fine in maniera drammatica perché in essa l’odio si è fuso con la morte: ha dapprima segregato e poi distrutto. Ritengo che anche un razionalista come Levi, un uomo che continuava a dire: "La ragione riuscirà a dominare l'odio" abbia sentito questo limite: sicuramente egli non ha più avuto la sfortuna di rivedere i campi di concentramento, ma quanto odio ha potuto osservare nella nostra società, sebbene non così estremo? Guardiamola anche noi. In questa società l'odio, anche se mascherato, è molto forte: detestiamo la persona che ci vive vicino, detestiamo chi ci è antipatico o ciò che non conosciamo, non sopportiamo una pelle di colore diverso... In fondo credo che, dopo averne parlato per tanti anni, Levi si sia ritrovato di fronte ad una società non più così estrema, ma neanche così mutata. Certo, non ci sono più i forni crematori – ovvero l’eliminazione fisica – ma rimane la violenza psicologica, che uccide la nostra personalità anche se il nostro corpo resta vegeto. In questo momento storico ritengo che la solitudine sia proprio il racconto di soggetti ben vestiti e con un corpo funzionante, ma psicologicamente morti: la loro personalità non trova contatti, non dialoga. Credo che la morte di Primo Levi ci lasci il senso del dolore e la consapevolezza dell’esistenza di una società intrisa di odio; in questa società Levi ha passato molti anni della sua vita e ha potuto constatare che il dolore e l'odio, nonostante la shoah e i campi di concentramento, non erano scomparsi.
STUDENTE: Tutti parlano dell'odio come di un sentimento che distrugge qualsiasi tipo di rapporto. Ma l'odio nei confronti delle ingiustizie non potrebbe dare un contributo al miglioramento della società?
ANDREOLI: Esiste un imperativo che non è mai stato ampliamente applicato: la capacità di amare il proprio nemico. Credo che il messaggio più strabiliante - incluso nel discorso cristiano - non consista tanto ne "l’amare il prossimo tuo come se stesso" – quanto nel dire: "Ama il tuo nemico". Sarebbe una spinta verso l’amore invece che verso l’odio: "Se hai intravisto il tuo nemico da odiare, comincia ad amarlo". Se riuscissimo a perdonare e ad amare chi ci ha fatto del male, vivremmo in una società migliore: sarebbe forse l'espressione più ampia possibile dell'amore e andrebbe addirittura oltre la giustizia, perché per quest’ultima il colpevole va condannato.
STUDENTE: Non crede che bisognerebbe operare delle differenze tra le varie forme ed intensità con cui l'odio si manifesta? Quest’ultimo potrebbe essere uno stato d'animo passeggero oppure un’ossessione da cui non ci possiamo liberare…
ANDREOLI: Hai perfettamente ragione. Penso comunque che bisognerebbe sottolineare che, quando si odia, non è possibile dire: "Odio al 50% o al 20%": se si odia, si odia. Ovviamente si cercherà di attutire questo sentimento per renderlo più accettabile a noi stessi, anche se c’è un tipo di odio che potremmo definire "esistenziale" – ovvero che tutti possiamo provare in qualche momento della nostra vita - che consiste nella reazione immediata verso chi ci ha fatto del male. L’odio non più esistenziale è quello che sfocia nella patologia e che si trasforma in un'idea ossessiva: non si abbandona mai il tentativo di eliminare l’oggetto che si odia, quasi fosse una liberazione. In questo caso il sentimento negativo diventa sistematico e muta in delirio. Facciamo un esempio: il delirio di persecuzione è quella condizione mentale a causa della quale una persona crede che tutti vivano per fargli del male; si può arrivare persino a rifiutare un bicchiere d’acqua offerto dalla propria madre pensando che quest’ultima ci voglia avvelenare. Il delirio ci fa vedere tutto il mondo contro di noi e per questo non solo dobbiamo odiare il mondo, ma dobbiamo anche difendercene, perché altrimenti ci potrebbe eliminare. Non giudicate male nessuno di coloro che, dopo aver subito una forte ingiustizia, tiene un atteggiamento di odio verso chi gli ha provocato quella situazione. Il problema è che riesca ben presto a razionalizzare e a modificare questo forte sentimento per dargli una soluzione diversa da quella che porta ad uccidere.
STUDENTE: Abbiamo parlato di odio anche in termini di violenza nei confronti di qualche altro individuo, ma qual è la causa che spinge una persona ad odiare se stesso?
ANDREOLI: Se analizziamo ciascuno di noi, troviamo al nostro interno due dimensioni che la vecchia impostazione freudiana – "vecchia" non solo perché le opere di Freud hanno ormai cento anni, ma anche perché certe sue teorie sono state superate - distingueva in "io attuale" e "io ideale". In altre parole Freud affermava: "C'è un "Marco" di oggi e un "Marco" ideale". Ciò vuol dire che una persona potrebbe avere una percezione del proprio io che non corrisponde ai suoi desideri: "Non mi piaccio, mi sento timido, se mi confronto con un altro mi pare di non avere le sue stesse caratteristiche". Naturalmente l'io ideale non è utopico, non desidera essere un cavallo. L'io ideale è "l'io possibile", consiste nella possibilità di immaginarsi nel futuro diversi da come si è oggi. Da ciò può nascere un conflitto tra l'io attuale - la condizione in cui si è adesso - e l’io ideale. Se una persona trova che il suo io attuale sia così lontano da pensarlo irraggiungibile, può persino arrivare ad odiare se stessa e a scaricare contro di sé una forza distruttrice. Possiamo dire che ci si può odiare proprio perché non ci si piace oggi e si pensa che non sia possibile cambiare. Recentemente è stata portata avanti un'indagine in cui abbiamo cercato di scoprire quale fosse la paura più frequente nei ragazzi della vostra età. La ricerca è stata fatta nelle scuole della mia città, Udine, ed è risultato che la paura più forte della vostra età è quella di non piacersi e di non piacere. C’è timore di non essere accettati dal gruppo dei pari, ad esempio, e di esserne esclusi. Ciò costituisce un "piccolo odio" verso il proprio io attuale che può portare anche a condannarsi.
STUDENTESSA: Buongiorno. Tutti sappiamo che l'odio può nascere dai pregiudizi: mi chiedo se sia però possibile che quest'odio, dovendo la gente di continuo interagire con persone diverse da essa, possa affievolirsi o anche scomparire.
ANDREOLI: Io sono del parere che l'odio sia essenzialmente un sentimento attraverso il quale il soggetto si accorge di avvertire una repulsione per l'uno o per l'altro individuo. Sono convinto che quest'odio possa sempre essere mitigato attraverso la conoscenza e la ragione, o anche attraverso la mera considerazione delle pene che verranno inflitte a chi non rispetta le persone - anche quelle che risultano odiose. Oltre a questo sussiste un elemento di immediatezza come per la simpatia o l'antipatia. Pensiamo agli insegnanti – o anche a voi alunni – che, arrivati in classe, si dicono: "Quello mi è simpatico". In qualche modo essi avvertono che nei confronti dello studente al primo banco – ad esempio - nutrono una sorta di fiducia, mentre verso lo studente dell'ultimo sentono un po’ di sfiducia. Certo l’insegnante in questione dovrà cercare di mitigare le sue sensazioni per far sì che la simpatia non lo porti a commettere qualche ingiustizia, ma questo sentimento rimarrà. La stessa cosa può succedere allo studente nei confronti dell’insegnante. Oggi a questi fatti diamo delle spiegazioni. Gli esseri umani hanno una memoria visiva dei volti, benché parte della stessa memoria sia di tipo genetico come per tanti altri animali: se un’antilope non avesse nella memoria l'immagine del muso di un leone, non potrebbe imparare per esperienza che il leone è cattivo, perché verrebbe soppressa prima. Geneticamente abbiamo acquisito una serie di immagini di fronte alle quali, per difenderci, reagiamo con la fuga. Nell'uomo questa memoria viene arricchita attraverso l'esperienza: nei primi anni di vita, per esempio, si percepisce la figura della madre, ed il suo volto viene legato ad esperienze positive, mentre altri volti potrebbero essere connessi a sensazioni negative. Quando cerchiamo di capire perché quell'insegnante abbia in simpatia un certo ragazzo o viceversa, spesso scopriamo il sentimento positivo è dato dalla somiglianza dell’individuo in questione con il volto di una persona cara: anche la simpatia e l'antipatia vengono in qualche modo collegate ad esperienze di sicurezza o di paura. Possiamo quindi dire che alla base dell'odio c’è anche la paura di essere trattati male, o addirittura di essere uccisi.
STUDENTE: Volevo chiederLe: è possibile e, soprattutto, è giusto non odiare? Il non odiare non potrebbe essere una mancanza nei nostri confronti? Non ci potrebbe rendere indifesi verso agli altri?
ANDREOLI: Se tu mi chiedessi se è possibile non odiare, ti risponderei di no, perché il sentimento dell’odio non dipende da noi. Una volta che si prova l'odio lo si può dominare e razionalizzare, si può anche pensare che non sia giusto odiare. Il problema è di riuscire a far sì che l'odio – ovvero un sentimento - non si trasformi in azione, perché potrebbe sfociare nell’omicidio, nell’eliminazione. E’ una sensazione che tutti siamo destinati a provare: la diversità sta nell’intensità con cui la si percepisce e nella sua trasformazione dal sentire all’agire. Sicuramente l’odio ha anche un carattere difensivo: se l’antilope non provasse una sensazione di "odio" nei confronti del leone, ne diventerebbe la preda. Ma la nostra grandezza sta proprio nello scegliere di non provare odio; non si può dire: " C'è una generazione di uomini che ha odiato e c’è una generazione di uomini che non ha odiato", si può semmai affermare che c'è stata una generazione di uomini che ha odiato e che ha creato i campi di concentramento e c’è stata - e c’è tuttora - una generazione di uomini che ha odiato, sì, ma non solo non ha creato i campi di concentramento: ha anche cercato di stabilire amicizia, solidarietà e cooperazione. Noi siamo in grado di trasformare l’odio e di non applicarlo alla brutalità.
STUDENTESSA: Ma allora Lei cosa intende per odio? Ha affermato che tutti amiamo e odiamo, però io non credo di odiare niente e nessuno…
ANDREOLI: Innanzi tutto sono molto felice che tu non odi, ma cosa intendo dire quando affermo che tutti odiamo? Voglio dire che in qualche momento della nostra esistenza possiamo essere vittime di una tale situazione di ingiustizia o di frustrazione da provare ciò che viene chiamato "odio esistenziale". Pure se non ti conosco, penso che anche tu di fronte a certe condizioni - che non ti auguro di vivere – potresti provare dell’odio. Pensiamo ad una madre a cui abbiano violentato il figlio di tre anni: credo sia del tutto umano, da parte sua, avvertire un sentimento di odio, che, ripeto, non coincide con l’omicidio, bensì con un sentimento di forte antagonismo che possiamo anche controllare.
STUDENTE: Lei ha detto che l'odio e l'amore sono due sentimenti estremi, ma se risulta in parte possibile controllare l’odio e se non sempre esso si manifesta al massimo della sua forza, allora non si può classificarlo come un sentimento estremo, assoluto. Io penso che, come diceva prima la mia compagna, si può amare senza ricercare un amore ossessivo. L'amore può anche non essere maniacale, così come l’odio può non portare all’omicidio.
ANDREOLI: E' vero: c'è chi perdona immediatamente, chi ama coloro che gli hanno fatto del male. Le risposte possono essere molto differenti da individuo a individuo, ma io non sono così convinto che ci possano essere diversi "gradi dell’amore". Sicuramente ci può essere "affetto", "amicizia" o quant’altro, ma l'amore è quel legame che ti appare essenziale, senza il quale si ha la sensazione di non essere più in grado di vivere. L'amore ha a che fare con la morte: una delle interpretazioni del significato della parola "amore" – benché sia una versione discussa - è che quest’ultima derivi dall’alfa privativo di "morte": a-morte, l'amore come difesa, come privazione della morte. Ammettendo che questa sia una delle interpretazioni etimologiche della parola, mi sembra che esprima bene che quest’ultimo è un legame essenziale: se non si avverte questa "essenzialità", penso si stia provando un altro sentimento. Ed è per questo che prima ho detto: "Sul piano del sentimento siamo molto decisi: all'origine o sentiamo, o non sentiamo. Non c'è mediazione." La mediazione avviene dopo, quando agiamo su questo sentire: ci può persino essere una persona molto innamorata che non si dichiara e fa finta di non esserlo.
STUDENTE: Ma io non mi riferivo ad un amore scolastico, ad un amore estivo o cose del genere. Penso che anche un amore essenziale vada oltre la necessità del possesso e contro il bisogno di possedere la persona che si ama, perché in esso si antepone la libertà dell’oggetto d’amore. Lei ha fatto una distinzione tra amore e amicizia: ritengo però che il mio discorso sia valido anche per l’amicizia.
ANDREOLI: Ti auguro di prenderti una cotta folle, domani mattina, e poi ne riparliamo. Tramite essa vedresti che ciò che distingue l’amicizia dall’amore è proprio l’esclusività. Tu introduci nel discorso molti elementi di razionalità: la libertà, la giustizia e così via. Ritengo che tutto ciò sia giusto e ti prego di continuare a fare così. Ma io parlo di sentimenti: il sentire che una persona ti è indispensabile non ti lascia tanto spazio per altre considerazioni. L'amicizia è solidarietà, è un rapporto fondamentale che al giorno d’oggi sta tornando ad essere molto importante, ma manca dell’essenzialità, tant'è vero che si può avere un amico contemporaneamente ad un grande amore: sono due cose diverse. Le sfumature a cui ti riferivi appartengono più alla sfera della razionalità che a quella del sentimento, di un qualcosa che viene prima della razionalità.
STUDENTE. Io Le auguro, invece, che domani riesca trovare un amico, perché non penso che Lei conosca l'amicizia.
ANDREOLI: Spero, però, che non mi auguri di innamorarmi di un amico ....perché altrimenti non sarebbe un sentimento chiaro. Comunque io accetto la tua sfida: domani mattina spero di trovare un amico.
STUDENTESSA: Le volevo chiedere: quali sono i motivi, oltre all'invidia o all'ignoranza, che possono far nascere l'odio?
ANDREOLI: Bisogna operare una distinzione tra l’odio individuale – quello provato da una persona che detesta un'altra persona - e l'odio sociale – presente tra i gruppi di una società. Per quanto riguarda il primo tipo, ci sono molte ragioni che possono far insorgere questo sentimento e sono legate, essenzialmente, alla propria esperienza e ai propri pregiudizi: la radice dell'odio individuale va ricercata nella storia delle singole persone. Quando, invece, andiamo ad analizzare gli odi sociali, razziali o, genericamente, tra i gruppi, abbiamo bisogno di confrontarci con la storia, ossia con una cultura che è stata imposta storicamente e che ha lasciato delle grosse ferite portatrici di odio. Credo abbiano ragione quanti dicono che la lotta tra due popolazioni o tra due classi di una stessa popolazione, non potrà mai risolversi con la guerra, perché quest’ultima creerebbe ulteriori ferite e porterebbe altro odio. L'odio tra nazioni – che le generazioni non più giovani hanno sentito e che spero voi sentiate molto di meno - ha una motivazione storica: chi ha vissuto l'esperienza della guerra – ho passato la mia infanzia durante la guerra - non c'è dubbio che si porti dietro dei ricordi che fomentano i pregiudizi. Per questo si parla di "cultura" del nemico: se in una società domina l'idea che chiunque non faccia parte del nostro clan è un potenziale nemico, ciò porterà ad un atteggiamento non solo di sfiducia, ma addirittura di odio. L'odio sociale si vince cambiando la cultura di una società.
STUDENTE: Dalla scheda filmata abbiamo notato che, secondo Levi, la ragione può prevalere rispetto all'odio. Secondo altri, invece, l'odio offusca la ragione. Se parliamo di odio, quindi, parliamo di uomo, mentre se parliamo di animali ci riferiamo all'istinto di sopravvivenza e alla spinta a prevalere rispetto agli altri animali. Ma a me non sembra così: penso che l'odio umano sia comunque e sempre la volontà di prevaricare gli altri.
ANDREOLI: Tentiamo di fare una distinzione schematica tra ciò che avviene nelle specie non umane e ciò che avviene nell'uomo. Nel primo caso si tende a parlare di "aggressività" di una specie nei confronti dell'altra specie – negli animali non umani è raro trovare aggressività all'interno della propria specie. Parlando dell’uomo, invece, ci riferiamo alla "violenza", intendendo dire che l’uomo ha la possibilità di andare contro elementi della propria specie: la sua violenza è intra-specifica. Non c'è dubbio che l'uomo sia l'animale che ha maggiormente sviluppato l'odio nei confronti dei propri simili. Ma hai ragione tu, perché lo scopo è sempre lo stesso: l’eliminazione del soggetto che si odia. Pensiamo alle guerre che ci sono in questo momento, ad esempio ai Balcani: nei Balcani è possibile trovare della gente che odia il proprio fratello perché quest’ultimo è di una diversa confessione religiosa. La capacità di odiare il proprio simile è uno degli elementi che deve essere controllato, e Levi è nel giusto quando dice che la ragione può aiutarci a controllarlo, ma solo a controllarlo. Uno psichiatra, ovvero una persona che si occupa di sentimenti - direbbe: "Non pensiate di poter eliminare questo sentimento, perché esso fa parte della nostra espressività. " Credo che la grande delusione di Primo Levi sia stata proprio nell'aver constatato che la ragione ha fallito questo scopo.
STUDENTESSA: Vorrei sapere che relazione c'è tra un odio di tipo "istituzionale" e l'odio privato delle singole persone, e se il primo possa in qualche modo sfruttare il secondo.
ANDREOLI: L'odio dell'individuo e l'odio della società. Hai ragione: il singolo risente della cultura del gruppo. Pensa ad uno stadio di domenica ed agli ultrà che lo popolano. Se ci mettessimo a parlare col singolo individuo che fa parte della Curva Sud - non so se dappertutto ci sia una Curva Sud, nella mia città è così –, egli affermerebbe di non odiare nessuno, ma se lo stesso individuo si ritrovasse nel bel mezzo di un forte scontro che coinvolge il suo gruppo, per lui tutto diventerebbe accettabile o giustificabile. Il singolo, all'interno di un gruppo è in possesso di un odio che risente di quello degli altri, come se questo sentimento fosse endemico. Ecco perché è necessario che ciascuno di voi stia molto attento a far sì che il proprio modo di sentire non venga scambiato con quello che è il modo di sentire del gruppo.
STUDENTESSA: Quindi si può anche rischiare di perdere la propria personalità all'interno di un gruppo?
ANDREOLI: Certo. Addirittura si può arrivare a comportarsi con odio in quanto membri di un gruppo mentre, presi singolarmente, non trovare nessuna giustificazione personale per quell’odio. Ho portato un oggetto da mostrarvi: un pallone. Alcuni psicologi sostengono che il fascino del pallone sta nella sua somiglianza col seno materno, ovvero con un elemento di sicurezza e di identificazione vitale. Eppure quest’oggetto anima tutti i sentimenti negativi delle varie Curve Sud, oltre a quelli che sussistono tra i giocatori in campo. Il pallone, che dovrebbe semplicemente essere una modalità di gioco, diventa quindi una vera e propria arena in cui esprimere odi e fare guerra.
STUDENTE: Le volevo chiedere il significato dei restanti oggetti che Lei ha portato oggi.
ANDREOLI: Ho portato un cappio perché esso mi forniva l’occasione per sottolineare come l’odio possa persino essere legiferato: il potere si ritrova ad eliminare qualcuno pensando addirittura di agire secondo giustizia. Tramite esso vi volevo ricordare che non si può mai giungere a giustificare l'odio fino a provocare la morte di un individuo, neanche attraverso la giustizia, ovvero con la pena di morte. Nessun uomo ha diritto di uccidere un altro uomo: è semplicemente odio mascherato da giustizia.
STUDENTE: Fino a che punto l'odio può impedire la formazione di una società non più competitiva bensì cooperativa?
ANDREOLI: Io credo che le società possano svilupparsi e progredire seguendo, invece che la cultura del nemico, della competizione e dell'odio, una cultura della cooperazione. Attraverso la competizione si pensa che per affermarsi si debba eliminare l'altro. Nella cooperazione, invece, non si afferma mai il singolo, bensì il gruppo. Per la prima esiste solo l'individuo vincente, e manca totalmente la consapevolezza della sofferenza dei perdenti: l’essere perdenti crea delle frustrazioni a causa delle quali spesso si reagisce in maniera violenta. Nella cooperazione, invece, il singolo è un elemento dell’unità-gruppo. Facciamo l’esempio della classe: essa potrebbe essere vista come una unità con dei risultati di gruppo, o potrebbe venire considerata come una collezione di 20 io in lotta tra di loro, con esclusi e non esclusi, bravi e meno bravi. Il secondo modello porta necessariamente ad un eccessivo agonismo.
STUDENTE: Stavo cercando su Internet dei siti inerenti alla nostra discussione. Non ne ho trovato nessuno sull'odio in particolare, ma ho scovato qualche pagina dedicata all’odio razziale: quasi tutti i comuni d'Italia, infatti, organizzano delle campagne di informazione contro il razzismo. A parte queste iniziative, ho trovato diverse raccolte di articoli, interviste e interventi di tutto il mondo, in cui il tema viene trattato anche da personaggi noti. C’è pure un sito italiano: un Osservatorio sul razzismo con l'obiettivo di informare e di organizzare per tutta l’Italia dei convegni e delle mostre sul tema. Penso sia molto interessante vedere come su Internet ci siano parecchi siti di questo tipo…
ANDREOLI: Certo. Gli esempi che tu hai scovato costituiscono dei tentativi per mutare la cultura dominante - ossia una cultura dell'odio – in una cultura della cooperazione. Ben venga Internet, ma soprattutto ben vengano le discussioni tra di voi, i vostri tentativi di capire gli altri, invece che di odiarli o di eliminarli.
Vi ringrazio molto.

Vittorino Andreoli - Il Grillo (26/11/1998)


Dove

Dove

Immobile

giaci

disteso tra la morbida seta

che si frappone tra te e le quattro pareti di legno

tua ultima ed eterna dimora.

Sembri riposare

dolcemente rapito

tra le braccia di Morfeo.

Attorno a te

tutto è tristezza

ed il freddo che avvolge il tuo corpo

ormai inerte

per sempre

rivela la tua assenza

definitiva.

Delicatamente mi avvicino

e da ingenuo

mi domando

dove mai sarai

adesso.


Rino Porrovecchio (Fuoco di paglia)


giovedì 29 ottobre 2009

Sic Trans Gloria Marrazzo

Testo:
"Buongiorno a tutti. Vorrei partire da una cosa che accadde 15 anni fa, esattamente 15 anni fa, nel novembre del 1994: Berlusconi aveva appena ricevuto il suo primo invito a comparire, quello famoso del 21 novembre, quando lui stava a Napoli a inaugurare un convegno internazionale sulla criminalità e il pool di Milano, credendolo già a Roma, gli mandò i Carabinieri a Palazzo Chigi per notificargli quest’invito a comparire, in cui gli si contestavano tre tangenti della Fininvest alla Guardia di Finanza. L’invito a comparire era una convocazione dell’allora e anche oggi Presidente del Consiglio per un interrogatorio e conseguentemente il pool di Milano - Borrelli, D’Ambrosio, Di Pietro, Davigo, Colombo, Greco - stava organizzando l’interrogatorio, che era piuttosto complesso in quanto avrebbe dovuto avvenire contestualmente in due stanze, con due personaggi diversi; da una parte avrebbero dovuto interrogare Berlusconi e, contemporaneamente, in un’altra stanza del Palazzo di Giustizia dovevano sentire l’Avvocato Berruti, consulente della Fininvest, che era stato sorpreso a inquinare le prove dell’indagine sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza e, soprattutto, a aver ordinato questo depistaggio dell’indagine subito dopo un incontro a Palazzo Chigi proprio con Berlusconi: da qui l’incriminazione anche di Berlusconi e quindi dovevano sentire i due protagonisti di quell’incontro, per vedere se si sarebbero o meno contraddetti sull’oggetto di quel vertice a Palazzo Chigi, che precedette l’inquinamento delle prove sulle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza. Il pool stava lavorando alla preparazione di quest’interrogatorio, sono quelle le riunioni durante le quali Di Pietro si disse sicuro di poter dimostrare al processo, prima nell’interrogatorio e poi al processo, la colpevolezza di Berlusconi con la famosa frase “ io quello lo sfascio”, che voleva dire appunto quello, ossia abbiamo gli elementi sufficienti per farlo condannare.

Di Pietro, Previti e il dossier Gorrini - In quei giorni Di Pietro riceve una telefonata: la telefonata gli arriva dall’allora Ministro della Difesa, Cesare Previti. Cesare Previti era il Ministro della Difesa ma avrebbe dovuto, secondo i desideri di Berlusconi e di Previti, essere il Ministro della Giustizia, Scalfaro aveva imposto che fosse spostato alla difesa, mentre alla giustizia era andato Alfredo Biondi. Ma tutti sanno che Previti tirava i fili da dietro le quinte e si occupava molto di giustizia, infatti Previti telefonò a Di Pietro per dirgli qualcosa che riguardava il Ministero della Giustizia, ovvero che il Ministero della Giustizia aveva avviato un’ispezione disciplinare contro Di Pietro a partire da un dossier: un dossier che poi fu chiamato dai giornali il dossier Gorrini, chi era Gorrini? Un assicuratore che conosceva Di Pietro, proprietario della Maa Assicurazioni, navigava in cattive acque, era sotto processo per bancarotta e reati societari, era con l’acqua alla gola e conseguentemente aveva passata quell’estate del 94 alla ricerca di aiuto e, naturalmente, si era rivolto anche all’entourage di Berlusconi; in particolare, era andato a trovare Paolo Berlusconi e gli aveva raccontato di quando un suo collaboratore della Maa Assicurazioni, un certo Rocca, che era molto amico di Di Pietro e che andava a caccia insieme a Di Pietro, aveva aiuto quest’ultimo anni prima in un momento di difficoltà, prestandogli 100 milioni di lire, quando Di Pietro doveva mettere su una casetta per suo figlio di primo letto, che non andava d’accordo con la seconda moglie di Di Pietro e conseguentemente doveva andare a vivere da solo e Rocca gli aveva prestato 100 milioni, che poi Di Pietro aveva restituito dopo l’inizio di mani pulite, in quanto aveva scritto un libro sulla Costituzione, lui era molto famoso e quindi aveva incassato molti diritti d’autore, allora aveva restituito quei soldi. E poi Gorrini racconta che sempre Rocca, quando Di Pietro, anni prima di mani pulite, aveva fuso la sua automobile, una Ritmo, gli aveva dato una Mercedes usata di quelle che stavano lì nei magazzini, nei parcheggi dell’assicurazione e che poi Di Pietro aveva utilizzato per un certo periodo e poi l’aveva venduta al suo Avvocato. Gorrini che cosa fa? Da questi due fatti veri, diciamo pure inopportuni per un magistrato, in quanto un magistrato non deve farsi prestare i soldi neanche dal suo migliore amico proprio per non dover, in qualche modo, dei favori a qualcuno, i soldi se li vuole se li fa prestare dalla banca facendo un mutuo, da questa leggerezza, a questo comportamento inopportuno di Di Pietro Gorrini ci mette un carico da cento, cioè aggiunge che in realtà quelli non erano stati dei prestiti fatti da Rocca a Di Pietro per amicizia, ma erano vere e proprie estorsioni fatte da Di Pietro, quindi da un magistrato, da un pubblico ufficiale, conseguentemente concussioni, nei confronti di Gorrini, per cui Di Pietro avrebbe ottenuto quei soldi e quella Mercedes in cambio di un trattamento di favore nei processi che Gorrini stava avendo a Milano per le disavventure finanziarie della sua Maa Assicurazioni. Questo è quello che va a dire Gorrini a Paolo Berlusconi, nei giorni precedenti il primo invito a comparire a Berlusconi, mentre già Paolo Berlusconi era sotto inchiesta, era stato addirittura arrestato il 24 luglio per le tangenti alla Guardia di Finanza e si stava arrivando a suo fratello, Presidente del Consiglio. Paolo Berlusconi manda Gorrini, il suo dossier a Previti, considerandolo evidentemente il vero dominus del Ministero della Giustizia, Previti lo gira a chi di dovere al Ministero della Giustizia, di cui lui disponeva con una certa dimestichezza e chi di dovere, ossia l’ispettorato del Ministero della Giustizia retto da Biondi, apre questa famosa ispezione ministeriale per indagare a livello disciplinare su quello che emerge dal dossier Gorrini. L’ispezione è riservata, nel senso che almeno all’inizio gli accertamenti devono essere fatti senza che Di Pietro li sappia, ma a questo punto Previti telefona a Di Pietro, magistrato che si sta preparando a interrogare Berlusconi. Cito da quello che ci ha raccontato Di Pietro per il libro “ Mani Pulite”, lo dico perché molti dei blogs ce lo chiedono, è molto probabile che ripubblicheremo in qualche volume “ Mani Pulite” aggiornato, con Chiarelettere che probabilmente lo metteremo a disposizione dei lettori de Il Fatto, distribuendolo insieme a Il Fatto, ci stiamo pensando in questi giorni, vi terrò informati perché purtroppo è introvabile, “ Mani Pulite”. Di Pietro - e questo risulta anche dai processi che si sono celebrati a Brescia, perché poi per tutto quello che c’è scritto nel dossier Gorrini Di Pietro verrà processato a Brescia e a Brescia si stabilirà che quei soldi erano semplicemente i prestiti del suo amico Rocca, neanche di Gorrini, ma di Rocca e che non c’era nessuna estorsione, nessuna concussione dietro e quindi non c’erano reati, c’era semplicemente quella leggerezza, grave finché si vuole, viste poi le conseguenze a cui porterà e di cui diremo tra un attimo - dice “ Previti mi telefonò e mi disse che c’erano queste accuse di Gorrini, che si era dovuta aprire un’ispezione riservata per verificarle, ma che lui lo sapeva benissimo che si trattava di una polpetta avvelenata. Gli risposi che sapevo quanto Gorrini fosse poco credibile”, Gorrini era alla canna del gas e quindi andava in giro a cercare di vendere questa storia per sputtanare Di Pietro, che all’epoca era una specie di Padre Eterno, era popolarissimo e era considerato dai politici una minaccia, nel caso in cui avesse smesso di fare il magistrato e fosse entrato in politica. In più stava anche per interrogare Berlusconi, l’aveva appena incriminato e conseguentemente capite che Gorrini pensava di avere in mano la gallina dalle uova d’oro e di potersela vendere al migliore offerente. “ Io gli risposi”, dice Di Pietro a Previti, “ che sapevo che Gorrini era poco credibile”. Tenete presente che in quel momento non si sa niente di Previti, Previti è il Ministro della Difesa, è un Avvocato di Berlusconi ma nessuno sa che Previti si comprava i giudici, qui siamo prima dello scandalo rivelato dall’Ariosto sulle toghe sporche, l’Ariosto parlerà soltanto un anno dopo, stiamo parlando di uno che, a parte la faccia e a parte essere l’Avvocato di Berlusconi, non era sospettato di nulla: ecco perché telefonava e Di Pietro gli rispondeva, perché era il Ministro della Difesa, ma non si sapeva nulla dei reati che aveva commesso. “Risposi dunque - dice Di Pietro - che sapevo quanto Gorrini fosse poco credibile, le sue confidenze, debitamente gonfiate e ritoccate a suo uso e consumo- sta parlando sempre di Gorrini - circolavano da tempo in forma anonima negli ambienti giudiziari, forensi e giornalistici, addirittura in veste di cruciverba ricattatori”, giravano lettere anonime, cruciverba con i nomi e le parole allusive, evidentemente Gorrini faceva girare queste cose nella speranza che, a questi ami, qualcuno abboccasse, oppure Gorrini ne parlava con qualcuno che poi metteva in giro questi dossier. “ In quei giorni io stesso, tramite qualche giornalista, ero venuto in possesso dello spezzone di un dossier anonimo: dissi a Previti che bastava ascoltare il collaboratore di Gorrini, Osvaldo Rocca - il suo amico - per sapere la verità e cioè che il prestito me l’aveva fatto lui, Rocca, non Gorrini. Previti promette che Rocca verrà sentito al più presto”. Alla fine Di Pietro si lascia andare a uno sfogo e rivela al Ministro che si dimetterà prestissimo, alla fine del processo Enimont e infatti Di Pietro in quei giorni, sapendo che girano questi dossier, pensa di accelerare un suo proposito che aveva già in animo da tempo: da tempo lui si era accorto che l’inchiesta mani pulite era finita, che non arrivava più l’acqua al mulino, cioè che non c’erano più imprenditori che collaboravano e rivelavano le tangenti e i politici si stavano chiudendo a riccio, con l’arrivo di Berlusconi e l’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica e conseguentemente si rendeva conto che, da dentro la magistratura, non era più utile lavorare. Fece un po’ lo stesso ragionamento che fece Falcone quando tentò di andare a combattere la mafia dall’interno del sistema, andando al Ministero, o il ragionamento che, per contrario, ha fatto Gherardo Colombo due anni fa, quando ha lasciato la magistratura per dedicarsi a fare opera di formazione culturale in convegni etc., perché c’è un momento in cui il magistrato si rende conto che la sua opera è più utile da un’altra parte e allora decide di cambiare mestiere: qui Di Pietro aveva deciso di mettere in piedi una specie di - se ne parlava all’epoca - autorità anticorruzione, in collegamento con altri governi, in modo da riuscire a combattere la corruzione alla radice, addirittura potremmo dire dall’interno. Di Pietro infatti se ne andrà di lì a poco, intanto Berlusconi continua a rinviare il suo interrogatorio proprio perché spera che Di Pietro se ne vada prima e che quindi non sia lui a interrogarlo e, eventualmente, a sfasciarlo. Il 27 novembre è una domenica, il Palazzo di Giustizia è semideserto, Di Pietro si è confidato con Davigo su questo tentativo di ricatto ai suoi danni e Di Pietro e Davigo vanno a parlarne con Borrelli, Di Pietro annuncia a Borrelli che lascia il pool di Milano. Borrelli tenta di trattenerlo, D’Ambrosio anche, intanto ci sono minacce continue della falange armata contro Di Pietro, minacce di morte, il primo dicembre Di Pietro annuncia che se ne andrà a tutto il pool di mani pulite, Borrelli tenta un’ultima volta di trattenerlo, ma invano. Il 2 dicembre D’Ambrosio tenta ancora di trattenere Di Pietro, Emilio Fede nello stesso giorno annuncia che Di Pietro si dimetterà e cita un biglietto manoscritto senza firma, il 5 dicembre il TG1 conferma che Di Pietro se ne va e il 6 dicembre Di Pietro conclude la requisitoria del processo Enimont e poi si leva la toga e se ne va davvero. Dopodiché viene invitato a Arcore da Berlusconi, che gli propone di entrare in Forza Italia e di diventare il numero due di Forza Italia e poi gli dice di scegliersi un incarico istituzionale: o capo dei servizi segreti, o capo di questa autorità anticorruzione, insomma quello che vuole glielo danno, perché? Perché è l’uomo più popolare d’Italia. Di Pietro dice no, dice che non intende fare politica subito, perché ha appena smesso di fare il magistrato e comunque, se la facesse, non la farebbe in un partito già esistente, né tantomeno nel partito di colui che lui stesso ha appena incriminato per corruzione della Guardia di Finanza e quindi da questo momento Berlusconi smette di difendere pubblicamente Di Pietro e i suoi giornali e le sue televisioni cominciano a massacrarlo, fino a quando, con opportune denunce portate o fatte portare, si riesce a attivare una serie innumerevole di processi contro Di Pietro a Brescia che dureranno due anni e terranno Di Pietro per due anni fuori dalla politica: perché? Perché è evidente che uno che ha detto che non bisogna fare politica da indagati, essendo indagato lui, non può certamente contraddirsi e conseguentemente aspetterà di essere prosciolto da tutto per poter entrare in politica dopo le elezioni del 96, quelle vinte da Prodi, alle quali lui non partecipa, perché in campagna elettorale era ancora sotto processo, non era stato ancora prosciolto e invece verrà prosciolto durante la campagna elettorale e allora accetterà poi il Ministero dei Lavori Pubblici nel primo governo Prodi, salvo poi ridimettersi nuovamente nel momento in cui verrà di nuovo indagato a Brescia per un’altra storia, un altro dossier: il dossier D’Adamo /Pacini Battaglia.

Berlusconi, padrone d'Italia, e il caso Marrazzo - Ma chiudiamo con questo flashback che mi interessava raccontarvi perché? Perché oggi sui giornali c’è un’altra storia che ricorda molto da vicino questa storia qua: c’è un signore che ha le mani molto lunghe, è una specie di polipo e che qualunque dossier circoli, qualunque video, qualunque polpetta più o meno avvelenata circoli per l’Italia riesce, con i suoi mille tentacoli, a intercettarla. Perché la intercetta? Intanto perché è il Presidente del Consiglio, poi perché è il capo dei servizi segreti, poi perché il Presidente del Consiglio è il capo di un governo che ha sotto di sé tutte le forze dell’ordine: i Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza e poi perché è un editore di giornali il cui pane quotidiano è quello di visionare foto più o meno rubate, filmati più o meno rubati, filmati che molto spesso vengono addirittura realizzati dalle sue televisioni, perché lui è anche proprietario di televisioni e quindi, quando i filmati non arrivano, vengono fabbricati in casa: per esempio, quello per screditare il giudice Mesiano. Questa volta il filmato di cui stiamo parlando non è di produzione propria della famiglia di Berlusconi, di casa Silvio, è un filmato realizzato a scopi ricattatori da quattro Carabinieri mascalzoni che, avendo saputo che il governatore del Lazio, Marrazzo, frequenta un giro di trans e li incontra ovviamente per scopi sessuali ma anche, probabilmente - questo lo si dovrà verificare nei prossimi giorni - all’interno di festini con la presenza di cocaina e quindi di soldi, perché il sesso a pagamento costa ma la cocaina costa ancora di più, e quei 3. 000 Euro sul tavolo che spariscono sono un pesante indizio, perché è evidente che non sono la mercede del trans, o forse non sono solo la mercede del trans, probabilmente sono anche il prezzo della droga. E allora questi Carabinieri girano questo video e poi lo danno o lo fanno dare un fotografo che, guarda caso, è uno specialista nel ramo trans, perché è lo stesso che aveva beccato il portavoce di Prodi, Sircana, mentre dalla macchina incontrava un trans all’aperto in una strada di Roma e questo fotografo, Scarfone, che lavorava per l’agenzia Corona, e che continua a lavorare, che cosa fa? Si rivolge alle agenzie che devono vendere, che devono intermediare i servizi fotografici e i videotapes ai giornali scandalistici, ai giornali di gossip per vedere chi lo vuole comprare. All’epoca ricorderete che le foto di Sircana furono acquistate dal settimanale Oggi, che poi non le pubblicò, ma prima erano state visionate anche dai giorni Mondadori e conseguentemente, negli ambienti dei giornali, le foto di Sircana erano note e, evidentemente, quando uno viene a sapere una cosa compromettente di un politico, quel politico da quel momento in poi non è più libero, se qualcuno gli fa sapere di averlo filmato e di possedere il filmato. Per cui pregherà tutti i giorni che quel giornale non pubblichi le sue foto e, se quel giornale appartiene al gruppo Rizzoli, dentro il quale c’è tutto il gota della Confindustria e del sistema bancario italiano, beh, è evidente che, volente o nolente, quel gruppo lì tiene sotto scacco il portavoce dell’allora Presidente del Consiglio. Ecco perché, quando Belpietro pubblicò la notizia, che c’erano le foto con Sircana alle prese con trans, scrissi “anche se l’ha fatto Belpietro ha fatto bene a dirlo, perché solo facendo uscire queste cose finiscono i ricatti: purtroppo ci va di mezzo la persona che ha quel vizietto, però la persona è stata incauta”, questo dissi, è meglio che vengano fuori le cose perché, quando vengono fuori, cessa il ricatto. La stessa cosa avviene stavolta: il fotografo Scarfone cerca di piazzare il videotape in cui pare si veda il governatore del Lazio insieme al trans, o forse ci sono anche due video, insomma c’è della droga, adesso bisogna capire se la droga era lì prima o è stata messa dopo per creare la messa in scena, ma questo è poco importante, in questo momento, per il discorso che facciamo, va all’agenzia fotografica, la quale fa il solito giro dei giornali scandalistici che possono permettersi di comprare questo videotape, che viene offerto a 200.000 Euro trattabili. I primi a riceverlo credo siano quelli di Oggi, nuovamente il settimanale del gruppo Rizzoli, che rifiutano di comprare questa roba, anche perché immaginate un giornale che vende in allegato un filmino di due minuti in cui si vede il governatore del Lazio con i trans e la coca, insomma sarebbe una cosa di una barbarie allucinante, ancora peggio che quello che abbiamo visto in questi anni. Sappiamo che esiste anche una registrazione della D'Addario con Berlusconi, spero che a nessuno verrà in mente di regalarla o di venderla insieme a qualche giornale: è vero che lì non si rischia, perché i giornali sono quasi tutti suoi o amici suoi, quindi lui pericoli non ne corre, ma insomma è evidente che il video viene respinto. Viene respinto e allora che cosa fa l’agenzia?

Alfonso Signorini, una pedina fondamentale nel gioco politico - Si rivolge all’altro grande giornale di gossip, che è Chi, quello diretto da Alfonso Signorini e Chi si prende il suo tempo per decidere: intanto tiene o si fa una copia del video e qui vi devo leggere quello che scrive Fiorenza Sarzanini, che è una fuori classe assoluta, una delle migliori giornaliste investigative che abbiamo in Italia, su Il Corriere della Sera: “ comincia tutto la scorsa settimana, quando l’agenzia Photomasi di Milano contatta il settimanale Chi e offre il video. Racconta, il direttore Signorini, “ me l’ha offerto la titolare Carmen Masi e io l’ho preso in visione. Mi disse che il prezzo era di 200.000 Euro trattabili, ho spiegato subito che non mi interessava però, come spesso avviene per vicende così delicate, ho detto che ne avrei parlato con i vertici aziendali”. Eh, hai un video con cui si può ricattare il governatore di centrosinistra del Lazio che, astuto come una volpe, ha preso la sua testa e l’ha infilata dentro la tagliola, perché già tre anni fa cercavano di incastrarlo con una storia di trans, già nel 2005, quattro anni fa, gli spioni famosi del centrodestra avevano cercato di incastrarlo con una storia di trans, è possibile che non prendi precauzioni e che vai lì con l’auto blu sempre nello stesso posto, facendoti vedere? Voglio dire, hai un vizietto, cerca di coltivarlo con prudenza, proprio la testa nella tagliola, no? E questo Signorini dice “ questa roba è politica”, a lui che gli frega della politica? Lui è un direttore di un giornale di gossip, o meglio che gliene dovrebbe fregare della politica? Il problema è che lui invece è una pedina fondamentale nel gioco politico, Signorini, in quanto è il direttore di un giornale che, con il gossip, è in grado di orientare la politica e l’elettorato con i milioni di copie che.. o meglio, con i milioni di persone che leggono o che comprano Chi. Non dimenticate che è a Chi che Berlusconi rilascia le uniche dichiarazioni approfondite sui suoi scandali sessuali, Chi è il Micromega del mondo berlusconiano, senza offesa per Micromega naturalmente, quello è il livello culturale del nostro centrodestra, purtroppo! E quindi Signorini dice “ non sono uno che deve badare al giornale, io mi devo occupare anche dell’aspetto politico di questo video” e allora che cosa fa? “ Ho detto che ne avrei parlato con i vertici dell’azienda, ho subito informato la Presidente Marina Berlusconi e l’amministratore delegato Maurizio Costa, con i quali abbiamo concordato di rifiutare la proposta”. A questo punto, scrive la Sarzanini, la stessa Marina Berlusconi presumibilmente avvisa il padre e chi è il padre? E’ il capo del governo, leader dello schieramento opposto a quello di Marrazzo, schieramento opposto che non dispone di giornali di gossip né di un potenziale televisivo tale da mettere in circolazione possibili video che riguardino esponenti del centrodestra. Lunedì scorso - oggi è il 26 - e quindi il 19, la settimana scorsa, il Presidente del Consiglio visiona le immagini: immaginate la scena, prima di partire per la Dacia di Putin Berlusconi si vede il filmino di Marrazzo con i trans e la droga, Cineforum a Palazzo Grazioli! Poi chiama Marrazzo, lo confermano ambienti vicini al capo del governo e lo stesso Marrazzo, lo racconta a alcuni amici, anche se non specifica a tutti chi sia l’interlocutore che l’ha messo in guardia. Durante la telefonata Berlusconi lo informa che il video è nelle mani della Mondadori, gli assicura che la sua azienda non è interessata all’acquisto e gli fornisce addirittura i contatti dell’agenzia per fare in modo che Marrazzo, magari pagando qualcosa o magari no - chi lo sa? - riesca a fare sparire dalla circolazione il video. Ecco perché Marrazzo sperava che il ricatto dei Carabinieri ai suoi danni non portasse gli italiani e, soprattutto, sua moglie e sua figlia, a sapere di quel suo vizietto e il fatto che ricatto riguardava proprio quel suo vizietto, ecco perché all’inizio tenta disperatamente di negare e parla di una bufala. Il problema quale è? Il problema è che qualcuno ha avvertito gli uomini del Ros che c’è un ricatto da parte di questi quattro Carabinieri contro Marrazzo e che l’arma del ricatto è il videotape, o i due videotapes e chi ha avvertito gli uomini del Ros di questo ricatto, visto che Marrazzo è convinto che a saperlo sono talmente poche persone che si può mettere tutto a tacere? Questo è mistero: noi sappiamo che tra i pochissimi a sapere di questo video c’erano il Presidente del Consiglio e il direttore di Chi e che i Carabinieri dipendono dal governo del Presidente del Consiglio. Qui mi fermo, perché non c’è altro che si possa dire su questa vicenda, se non che Marrazzo ovviamente non si deve limitare a autosospendersi, ma deve proprio dimettersi, anche a costo di fare andare il Lazio alle elezioni, tanto andare alle elezioni adesso o andarci tra tre o sei mesi non è che faccia questa grande differenza, trovassero qualcuno spendibile, possibilmente non ricattabile, d’altra parte anche il centrodestra ha visto cadere la sua Giunta per uno scandalo ben peggiore, ossia lo scandalo di Storace. O meglio, Storace fu costretto - scusatemi, mi stavo ricordando male - a dimettersi da Ministro della Sanità dopo che si erano scoperte delle brutte faccende che riguardavano la gestione della sanità nel Lazio ai tempi in cui lui era governatore, insomma anche lo scandalo di Lady A.S.L. e tutto quello che abbiamo spesso raccontato non è che deponga a favore della buona amministrazione del centrodestra. Questo non è uno scandalo che riguardi la buona o cattiva amministrazione di Marrazzo, che aveva fatto delle cose buone e anche delle cose pessime, soprattutto in materia ambientale, ma è evidente che, chi ha ceduto a un ricatto pagando, consegnando assegni a sua firma ai ricattatori e mettendosi quindi nelle loro mani, non può ricoprire una carica pubblica, esattamente per la stessa ragione per cui anche Berlusconi dovrebbe dimettersi, visto che da tempo immemorabile è sottoposto a ricatti prima da parte della mafia, poi da parte delle escort, poi da parte delle ragazzine che piazzava Saccà, “perché sennò parlano”, adesso si è scoperto che perfino Ciancimino, il padre, dal carcere lo ricattava mandandogli delle lettere in cui diceva “ se passa molto tempo senza che succeda qualcosa sarò costretto a uscire dal mio riserbo, che dura da anni”.

Berlusconi ricattato: se parlano è rovinato - Berlusconi ha il problema che ci sono centinaia di persone che, se escono dal loro riserbo, lui è rovinato: vive da decenni in una situazione oggettivamente ricattatoria, pensate se parlasse Mills, dicendo qualcosa in più di quello che aveva già lasciato scritto al suo commercialista e che poi ha tentato invano di ritrattare; pensate se parla Previti, pensate se parla Dell’Utri, pensate se parlano quelli che pagano le tangenti alla Guardia di Finanza e si sono presi tutta la colpa e la condanna per salvare Berlusconi e adesso però sono in Parlamento, pensate se parla un’altra, oltre alla D'Addario, di quelle decine di ragazze che andavano nelle sue varie residenze, pensate se parlasse un’altra Stefania Ariosto, che ha semplicemente visto alcune cose che avvenivano nell’entourage di Berlusconi, di Previti e della magistratura romana. Il terrore di quest’uomo è che parli qualcuno, lui vive in una situazione oggettivamente ricattatoria da ben prima addirittura che entrasse in politica, ma è chiaro che il prezzo del ricatto, quando entri in politica, decuplica. Il problema è che quello che si dice a proposito di Marrazzo sul fatto che non può, uno che ha ceduto a un ricatto, stare lì dove sta, non si riesce a dirlo a proposito di Berlusconi, che è in una situazione ricattatoria per fatti molto peggiori, rispetto a quelli con i quali è stato incastrato, o meglio si è autoincastrato Marrazzo. Da questo punto di vista viene in mente quello che disse Gherardo Colombo a proposito della bicamerale, ossia che “la politica italiana non conosce altro modo di fare le riforme se non con il consociativismo, ovvero con tangentopoli abbiamo scoperto solo la punta dell’iceberg della corruzione, mentre il resto è rimasto sommerso e, su questo sommerso, si sono costruiti ricatti incrociati così inquietanti da indurre tutta la politica, senza distinzione di colori, a bloccare la magistratura prima che vi affondi ancora le mani. Nel metabolismo politico sociale del Paese ci sono ancora le tossine che consigliano di realizzare le nuove regole della Repubblica non intorno al conflitto trasparente, ma al compromesso opaco e un passaggio chiave è la bicamerale. Chi non è stato toccato dalla magistratura e ha scheletri nell’armadio si sente non protetto, ma debole perché ricattabile: ecco, la società del ricatto trova la sua forza su ciò che non è stato scoperto”. Questo diceva Gherardo Colombo, confermato poi, qualche anno dopo, da un’intervista di Giuliano Ferrara a Micromega, nella quale Ferrara diceva “ oggi per fare politica devi essere ricattabile: perché? Perché gli altri devono sapere fino a dove tu ti potrai spingere, quanto è lungo il tuo guinzaglio, quanto è lungo il tuo braccio”. Guardate che è un quadro drammatico, ma ci viene confermato quotidianamente da quello che vediamo: avremmo bisogno, nel centrodestra e nel centrosinistra, di qualcuno che nel passato era troppo giovane per averne combinata qualcuna o era troppo fuori da questi giochi per averne combinata qualcuna; avremmo bisogno di gente che Berlusconi non può alzare il telefono per chiamarla e dire “ sai, ho saputo questa cosa, però da noi è al sicuro, eh, te lo dico in amicizia, stai tranquillo che non la tiriamo fuori!”, da quel momento tu sei nelle sue mani. Allo stesso modo, avremmo bisogno di qualcuno anche nel centrodestra che non fosse ricattabile dalla mafia, dalle prostitute, dai papponi etc. etc., e potesse fare politica invece di occuparsi quotidianamente di tappare la bocca a questo e a quello: da questo punto di vista nel centrodestra la situazione è disperata, perché finché c’è quello lì e tutta la sua banda è evidente che stiamo parlando di un giro di ricattatori e di ricattati, ma il problema sta anche nel centrosinistra. Non ho nulla contro Bersani, ma temo che uno che fa politica da 40 anni e che diventa il leader di un nuovo partito nato nel terzo millennio.. beh, insomma, non è una bella notizia il fatto che sia diventato segretario del PD, perché se il principale partito dell’opposizione è formato da uno che ha fatto già tutto, governatore della regione, Ministro 200. 000 volte etc. etc., che è lì dalla notte dei tempi e conosce vita, morte e miracoli, operazioni finanziarie etc. etc., è evidente che sarà molto più facile che qualcuno gli telefoni per dirgli “ ti ricordi quando quella volta..” etc. etc.. Noi avremmo bisogno di qualcuno un po’ più nuovo, non tanto per giovanilismo o per nuovismo, ma proprio per il fatto che nessuno possa alzare il telefono per dirgli “ ho saputo che hai fatto quella cosa, stai tranquillo che se fai il bravo non te la tiriamo fuori”, perché finché l’opposizione sarà in mano a persone che possono ricevere quel tipo di telefonate non avremo un’opposizione. Passate parola e continuate a leggere Il Fatto Quotidiano. Grazie."

lunedì 26 ottobre 2009

Requiem per la politica, il cantautore siciliano e i “rincoglioniti” al governo: INNERES AUGE


INNERES AUGE


Come un branco di lupi che scende dagli altipiani ululando
o uno sciame di api accanite divoratrici di petali odoranti
precipitano roteando come massi da altissimi monti in rovina.
Uno dice che male c'è a organizzare feste private
con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato?

Non ci siamo capiti
e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?
Che cosa possono le Leggi dove regna soltanto il denaro?
La Giustizia non è altro che una pubblica merce...
di cosa vivrebbero ciarlatani e truffatori
se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente.

La linea orizzontale ci spinge verso la materia,
quella verticale verso lo spirito.
Con le palpebre chiuse s'intravede un chiarore
che con il tempo e ci vuole pazienza,
si apre allo sguardo interiore: Inneres Auge, Das Innere Auge

La linea orizzontale ci spinge verso la materia,
quella verticale verso lo spirito.
Ma quando ritorno in me, sulla mia via,
a leggere e studiare, ascoltando i grandi del passato...
mi basta una sonata di Corelli, perchè mi meravigli del Creato!

Franco Battiato

..............................................................................................
Articoli | Marco Travaglio

Franco Battiato è molto diverso da come lo immagini. Allegro, scherzoso, spiritoso, talora persino un po’ cazzone. Forse perché, con la sua cultura sterminata e la sua pace interiore, se lo può permettere. Un uomo, però, armato di un’intransigenza assoluta, di un’insofferenza antropologica per le cose che non gli piacciono. E’ appena tornato da due concerti trionfali a Los Angeles e New York e ancora combatte il jet-lag nella sua casa di Milo (Catania). Parliamo del suo ultimo pezzo-invettiva “Inneres Auge”, già anticipato sulla rete: uno dei due singoli inediti che impreziosiscono l’album antologico in uscita il 13 novembre (“Inneres Auge - Il tutto è più della somma delle sue parti”). Una splendida invettiva che si avventa sugli scandali berlusconiani e sulla metà d’Italia che vi assiste indifferente e imbelle, con parole definitive: “Uno dice: che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare Primari e Servitori dello Stato? Non ci siamo capiti: e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti…”.

INTERVISTA

Che significa “Inneres Auge”?
“Occhio interiore. Ma lo preferisco in tedesco. In italiano si dice “terzo occhio”, ma non mi piace, fa pensare a una specie di Polifemo. I tibetani hanno scritto cose magnifiche sull’occhio interiore, che ti consente di vedere l’aura degli uomini: qualcuno ce l’ha nera, come certi politici senza scrupoli, mossi da bassa cupidigia; altri ce l’hanno rossa, come la loro rabbia”.

Lei, quando ha scritto “Inneres Auge”, aveva l’aura rossa.
“Vede, sto bene con me stesso. Vivo in questo posto meraviglioso sulle pendici del Mongibello. Dalla veranda del mio giardino osservo il cielo, il mare, i fumi dell’Etna, le nuvole, gli uccelli, le rose, i gelsomini, due grandi palme, un pozzo antico. Un’oasi. Poi purtroppo rientro nello studio e accendo la tv per il telegiornale: ogni volta è un trauma. Ho un chip elettronico interiore che va in tilt per le ingiustizie e le menzogne. Alla vista di certi personaggi, mi vien voglia di impugnare la croce e l’aglio per esorcizzarli.C’è un mutamento antropologico, sembrano uomini, ma non appartengono al genere umano, almeno come lo intendiamo noi: corpo, ragione e anima”.

I “lupi che scendono dagli altipiani ululando”.
“Quello è un verso di Manlio Sgalambro che applico a questi individui ben infiocchettati in giacca e cravatta che dicono cose orrende, programmi spaventosi, ragionamenti folli e hanno ormai infettato la società civile. Quando li osservo muoversicircondatidaguardiedel corpo, li trovo ripugnanti e mi vien voglia di cambiare razza, di abdicare dal genere umano. C’è una gran quantità di personaggi di questa maggioranza che sento estranei a me ed è mio diritto di cittadino dirlo: non li stimo, non li rispetto per quel che dicono e sono. Non appartengono all’umanità a cui appartengo io. E, siccome faccio il cantante, ogni tanto uso il mio strumento per dire ciò che sento”.

L’aveva fatto già nel 1991 con “Povera Patria”, anticipando Tangentopoli e le stragi. L’ha rifatto nel 2004 con “Ermeneutica”, sulla “mostruosa creatura” del fanatismo politico-religioso e della guerra al terrorismo ingaggiata dai servi di Bush, “quella scimmia di presidente”: “s'invade si abbatte si insegue si ammazza il cattivo e s’inventano democrazie”.
“Sì, lo faccio di rado perché mi rendo conto di usare il mio mezzo scorrettamente. La musica dovrebbe essere super partes e non occuparsi di materia sociale. Ma sono anch’io un peccatore e la carne è debole…”

Lei non crede nel cantautore impegnato.
“Per il tipo che dovrei essere, no. Ma non sopporto i soprusi e ogni tanto coercizzo il mio strumento. Il pretesto di “Inneres Auge”, che ha origini più antiche, è arrivato quest’estate con lo scandalo di Bari, delle prostitute a casa del premier. E con la disinformazione di giornali e tiggì che le han gabellate per faccende private. Ora, a me non frega niente di quel che fanno i politici in camera da letto. Mi interessa se quel che fanno influenza la vita pubblica, con abusi di potere, ricatti, promesse di candidature, appalti, licenze edilizie in cambio di sesso e di silenzi prezzolati. Questa è corruzione, a opera di chi dovrebbe essere immacolato per il ruolo che ricopre”.

“Non ci siamo capiti”, dice nella canzone.
“Non dev’essere molto in gamba un signore che si fa portare le donne a domicilio da un tizio che poi le paga, dice lui, a sua insaputa per dargli l’illusione di piacere tanto, di conquistarle col suo fascino irresistibile. Quanto infantilismo patologico in quest’uomo attempato! Ma non c’è solo il premier”.

Chi altri non le piace?
“Tutta la banda. I cloni, i servi, i killer alla Borgia col veleno nell’anello. Li ho sempre detestati questi tipi umani. Per esempio il bassotto che dirige un ministero e fa il Savonarola predicando e tuonando solo in casa d’altri, senza mai applicare le stesse denunce ai suoi compagni partito e di governo. Meritocrazia: ma stiamo scherzando? Badi che, quando dico bassotto, non mi riferisco alla statura fisica, ma a quella intellettuale e morale: un occhio chiuso dalla sua parte e uno aperto da quell’altra”.

“La Giustizia non è altro che una pubblica merce”, dice ancora.
“Penso al degrado della giustizia: ma i magistrati dovrebbero ribellarsi tutti insieme e appellarsi al mondo contro le condizioni in cui sono costretti a lavorare. Non possono accettare, nell’èra dell’informatica, di scrivere ancora sentenze e verbali col pennino e il calamaio, mentre la prescrizione si mangia orrendi delitti e, in definitiva, la Giustizia”.

Quando Umberto Scapagnini divenne sindaco di Catania, lei minacciò addirittura di espatriare. Come andò?
“Avevo previsto un decimo di quel che poi è accaduto. Un inferno.Catania era uno splendore: in pochi anni, come Palermo, è stata devastata da questa cosiddetta destra. Ma nessuno ne parla”.

Lei è di sinistra?
“E chi lo sa cos’è la sinistra. Basta parlaredidestraedisinistra,anche perchè a sinistra c’è un sacco di gente che ha sempre fatto il doppio gioco al servizio della destra, spudoratamente. Per evitare tranelli, uso un sistema tutto mio: osservo i singoli individui, poi traggo le mie conclusioni”.

Ha votato alle primarie del Pd?
“Sì, per Bersani. Non che sia il mio politico ideale, ma mi sembra un tipo in gamba. Forse l’ho fatto perché almeno, in queste primarie, il voto non era inquinato. Non è poco, dalle mie parti, dove alle elezioni politiche e alle amministrative i seggi sono spesso presidiati da capibastone e capimafia che ti minacciano sotto gli occhi della polizia”.

Quella cosa dell’espatrio non era esagerata?
“La ripeterei oggi. Io sono sempre pronto: se in Italia le cose dovessero peggiorare, me ne andrei. Ubi maior, minor cessat. Mica puoi fare la guerra ai mulini a vento. Per fortuna è difficile che si ripeta il fascismo, anche perché sono convinto che molti italiani la pensano come me e sarebbero pronti a impedirlo. Comunque, “pi nan sapiri leggiri nè sciviri”, comprerò una casa all'estero”.

Lei è molto antiberlusconiano.
“Sono un Travaglio un po’ più bastardo. Penso che la tecnica migliore sia l’aplomb misto all’irrisione, senza urli né insulti”.

Ma Berlusconi non è finito, al tramonto?
“Dipende da quanto dura, il tramonto. Ma non credo sia finito: la cordata è ancora robusta. Però mi sento più tranquillo di qualche mese fa: sta commettendo troppi errori”.

I partiti hanno mai provato ad arruolarla?
“Mai. A parte Pannella, tanti anni fa. Qualche mese fa mi ha chiamato un ministro di questo governo per dirmi che mi segue da sempre e concorda in pieno con una mia intervista. Forse non aveva capito o avevo sbagliato qualcosa io. Ma ora, dopo il mio ultimo singolo, magari fa marcia indietro”.

“Inneres Auge” già impazza sulla rete. Teme reazioni politiche?
“Mi aspetto la contraerea. Ma siamo pronti”.

Non teme, con una canzone così “schierata”, di perdere il pubblico berlusconiano?
“Mi farebbe un gran piacere. Se invece uno che non mi piace viene a dirmi di essere un mio fan, sinceramente mi dispiace”.

Ai tempi del “La voce del padrone”, a chi la interpellava sul significato dei suoi testi ermetici, lei rispondeva “sono solo canzonette”. Lo sono ancora?
“Quello era un gioco, ma non sono mai stato d’accordo con questa massima di Edoardo Bennato. “La voce del padrone” era un’operazione programmata come un divertimento frivolo e commerciale, e riuscì abbastanza bene, mi pare. Ma in realtà avevo inserito segnali esoterici che sono stati ben percepiti e seguiti da molti ascoltatori. Ogni tanto mi dicono che qualcuno, ascoltando i miei pezzi, ha letto Gurdjieff e altri grandi mistici. E questo mi rende un po’ felice”.

“Inneres Auge”: serve a qualcosa, una canzone?
“Lei parla di corda in casa dell’impiccato: ho sempre avuto dubbi su questo nella mia vita. Ma, dopo tanti anni, posso affermare che un brano molto riuscito può scatenare influenze esponenziali. Una canzone può migliorarti e farti cambiare idea e direzione. Un giorno domandarono a un grande pianista dell’Europa dell’Est, ora a riposo: lei pensa di emozionare il suo pubblico? E lui: “Quando sono riuscito a emozionare anche un solo spettatore nella sala gremita di un mio concerto, ho raggiunto il mio scopo”.

Marco Travaglio (da Il Fatto Quotidiano n°33 del 30 ottobre 2009)


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