"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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domenica 31 ottobre 2010

Il bunga bunga che segna la fine di un regno

Le recenti cronache dell'Italia berlusconiana che raccontano l'ennesimo scandalo ormai generalmente etichettato "bunga bunga" mi hanno lasciato al tempo stesso indifferente e stupefatto.
L'indifferenza deriva dal fatto che conosco da trent'anni Silvio Berlusconi e sono da tempo arrivato alla conclusione che il nostro presidente del Consiglio rappresenta per molti aspetti il prototipo dei vizi italiani, latenti nel carattere nazionale insieme alle virtù che certamente non mancano. Siamo laboriosi, pazienti, adattabili, ospitali.
Ma anche furbi, vittimisti, millantatori, anarcoidi, insofferenti di regole, commedianti. Egoismo e generosità si fronteggiano e così pure trasformismo e coerenza, disprezzo delle istituzioni e sentimenti di patriottismo.
Berlusconi possiede l'indubbia e perversa capacità di aver evocato gli istinti peggiori del paese. I vizi latenti sono emersi in superficie ed hanno inquinato l'intera società nazionale ricacciando nel fondo la nostra parte migliore.
È stato messo in moto un vero e proprio processo di diseducazione di massa che dura da trent'anni avvalendosi delle moderne tecnologie della comunicazione e deturpando la mentalità delle persone e il funzionamento delle istituzioni.
Lo scandalo "bunga bunga" non è che l'ennesima conferma di questa pedagogia al rovescio. Perciò non ha ai miei occhi nulla di sorprendente.
Da quando avviò la sua attività immobiliare con denari di misteriosa provenienza, a quando con l'appoggio di Craxi costruì il suo impero televisivo ignorando le ripetute sentenze della Corte costituzionale, a quando organizzò il partito-azienda sulle ceneri della Prima Repubblica logorata dalla corruzione diventata sistema di governo.
A sua volta, su quelle ceneri, il berlusconismo è diventato sistema o regime che dir si voglia: un potere che aveva promesso di modernizzare il paese, sburocratizzarlo, far funzionare liberamente il mercato, diminuire equamente il peso fiscale, sbaraccare le confraternite e rifondare lo Stato.
Il programma era ambizioso ma fu attuato in minima parte negli otto anni di governo della destra ai quali di fatto se ne debbono aggiungere i due dell'ultimo governo Prodi durante i quali il peso dell'opposizione sul paese fu preponderante.
Ma non solo il programma rimase di fatto lettera morta, accadde di peggio. Accadde che il programma fu contraddetto. Il sistema-regime è stato tutto fuorché una modernizzazione liberale, tutto fuorché una visione coerente del bene comune.
Per dieci anni l'istituzione "governo" ha perseguito il solo scopo di difendere la persona di Berlusconi dalle misure di giustizia per i molti reati commessi da lui e dalle sue aziende prima e durante il suo ingresso in politica. Nel frattempo l'istituzione "Parlamento" è stata asservita al potere esecutivo mentre il potere giudiziario è stato quotidianamente bombardato di insulti, pressioni e minacce che si sono anche abbattute sulla Corte costituzionale, sul Csm, sulle Autorità di garanzia e sul Capo dello Stato.
Il "Capo" e i suoi vassalli hanno tentato e tentano di costruire una costituzione materiale incardinata sul presupposto che il Capo deriva la sua autorità dal voto del popolo ed è pertanto sovra-ordinato rispetto ad ogni potere di controllo e di garanzia.
Questa situazione ha avuto il sostegno di quell'Italia che la diseducazione di massa aveva privato d'ogni discernimento critico e che vedeva nel Capo l'esempio da imitare e sostenere.
Il cortocircuito che questa situazione ha determinato nel carattere di una certa Italia ha fatto sì che Berlusconi esibisca i propri vizi, la propria ricchezza, la sistematica violazione delle regole istituzionali e perfino del buongusto e della buona educazione come altrettanti pregi.
Non passa giorno che non si vanti di quei comportamenti, di quella ricchezza, del numero delle sue ville, del suo amore per le donne giovani e belle, dei festini che organizza "per rilassarsi", degli insulti e delle minacce che lancia a chi non inalbera la sua bandiera. E non c'è giorno in cui quell'Italia da lui evocata e imposta non lo ricopra di applausi e non gli rinnovi la sua fiducia.
Lo scandalo "bunga bunga" è stato l'ennesima riprova di tutto questo. La magistratura sta indagando sugli aspetti tuttora oscuri di questa incredibile vicenda della quale tuttavia due punti risultano ormai chiari e ammessi dallo stesso Berlusconi: la sua telefonata al capo gabinetto del Questore di Milano nella quale chiedeva il pronto rilascio della minorenne marocchina sua amica nelle mani "sicure" di un'altra sua amica da lui fatta inserire da Formigoni nel Consiglio della Regione lombarda, e l'informazione da lui data alla Questura che la minorenne in questione era la nipote del presidente egiziano Mubarak.
Queste circostanze ormai acclarate superano ogni immaginazione e troverebbero adeguato posto nell'ultimo romanzo di Umberto Eco dove il protagonista ricalca per alcuni aspetti "mister B" per le sue capacità d'inventare il non inventabile facendolo diventare realtà.
La cosa sorprendente e stupefacente non è nella pervicacia con la quale Berlusconi resta aggrappato alla sua poltrona e neppure la solidarietà di tutto il gruppo dirigente del suo partito e della sua Corte, che fa quadrato attorno a lui ben sapendo che la sua uscita di scena sarebbe la rovina per tutti loro. La cosa sorprendente è che - sia pure con segnali di logoramento e di sfaldamento - ci sia ancora quella certa Italia il cui consenso nei suoi confronti resiste di fronte alla grottesca evidenza di quanto accade. Questo è l'aspetto sorprendente, anzi sconvolgente, che ci dà la misura del male che è stato iniettato e coltivato nelle vene della società e questo è il lascito, il solo lascito, di Silvio Berlusconi.
Sua moglie Veronica, in una lettera pubblicata un anno e mezzo fa, lo scolpì in poche righe, stigmatizzò l'uso che il marito faceva del potere e delle istituzioni, i criteri di reclutamento della "sua" classe politica imbottita di "veline" e di attricette che avevano "ceduto i loro corpi al drago" e concluse scrivendo: "Mio marito è ammalato e i suoi amici dovrebbero aiutarlo a curarsi seriamente".
Quello che sta accadendo lo dimostra e lo conferma: quest'uomo è gravemente ammalato, l'attrazione verso donne giovani e giovanissime è diventata una dipendenza che gli altera la mente e manda a pezzi i suoi freni inibitori.
Dovrebbe esser seguito da medici e da psico-terapeuti che lo aiutassero a riprendersi; ma sembra di capire che sia seguito da persone reclutate con tutt'altro criterio: quello di immortalare le apparenze della sua giovinezza in tutti i sensi. Ma così non fanno che aggravare il male.
* * *
È ormai evidente agli italiani normali e normalmente raziocinanti, il cui numero sta fortunatamente aumentando, che questa situazione non può continuare. In qualunque altro paese dell'Occidente democratico sarebbe terminata da un pezzo per decisione dello stesso interessato e del gruppo dirigente che lo attornia. Ma qui le cose vanno in un altro modo e sappiamo perché. Tra lui e i suoi accoliti, uomini e donne che siano, esistono vincoli che non si possono sciogliere perché ciascuno di loro (quelli che contano veramente) ha le sue carte sul Capo e lui ha le sue carte su tutti gli altri. Così per Previti, così per Dell'Utri, così per Scajola, così per Verdini, così per Brambilla ed altri ancora.
A questo punto tocca a tutti coloro che ritengono necessario ed urgente porre fine al "bunga bunga" politico, costituzionale e istituzionale, staccare la spina.
Presentare una mozione di sfiducia che vada da Bersani a Fini e da Casini a Di Pietro, che abbia la funzione che in Germania si chiamerebbe "sfiducia costruttiva". Esponga cioè il programma che quell'arco di forze vuole attuare subito dopo che la sfiducia sia stata approvata e che si può riassumere così:
1. Indicare al Presidente della Repubblica l'esistenza di una maggioranza alternativa che gli consenta di nominare un nuovo governo, come la Costituzione prevede.
2. Elencare alcuni temi programmatici a cominciare dal restauro costituzionale, indispensabile dopo la devastazione compiuta in questi anni e, a seguire, alcune urgenti misure economiche e sociali, un federalismo serio che rafforzi l'unità nazionale e la modernizzazione della società articolandola secondo un disegno federale, una riforma della giustizia che sia utile ai cittadini, una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di eleggere i propri rappresentanti nei vari modi con i quali quest'obiettivo può essere realizzato.
Uno sbocco di questo genere sarebbe estremamente positivo per il paese e dovrebbe essere guidato da qui alla fine naturale della legislatura da un "Mister X" che abbia le caratteristiche e la competenza necessaria al recupero dei valori etici e politici che la Costituzione contiene nella sua prima parte, ammodernandola nella seconda in conformità alle esigenze che una società moderna richiede.
Noi riteniamo che questo percorso vada intrapreso al più presto anche per riconciliare con le istituzioni un paese stanco e disilluso dal tristissimo spettacolo che è sotto gli occhi di tutti.
Non si tratta di utilizzare lo scandalo della minorenne marocchina strumentalizzandolo per fini politici. Si tratta invece di metter fine ad una rovinosa gestione governativa del "non fare" e del "malfare", che non è riuscito ad aprire un cantiere, a sostenere i consumi e il potere d'acquisto, a recuperare un centesimo di avanzo nel bilancio delle partite correnti, ad invertire il trend negativo dell'occupazione, a fare un solo passo avanti nella buona riforma della giustizia e del federalismo.
Infine a smantellare la "cricca" che da quindici anni non fa che rafforzarsi prendendo in giro i gonzi con il racconto d'una improbabile favola a lieto fine.
La storia italiana ha visto più volte analoghe "cricche" al vertice del paese. Quando ciò è accaduto, la favola è sempre terminata male o malissimo. L'esperienza dovrebbe aiutarci ad interrompere questo percorso in fondo al quale c'è inevitabilmente la rovina sociale e il degrado morale.

Eugenio Scalfari (La Repubblica - 31 ottobre 2010)

sabato 30 ottobre 2010

Ruby, il pm decise che doveva andare in comunità

Critiche da tutta l'opposizione e da Confindustria dopo la rivelazione delle telefonate del premier per far rilasciare la minorenne marocchina. Ma a preoccupare Berlusconi, più di tutto, è l'insofferenza allo scandalo dell'alleato leghista.
Doveva andare in una comunità. Così aveva deciso il pm dei minori di Milano Annamaria Fiorillo, che era di turno il 27 maggio scorso quando Ruby venne fermata e portata in Questura. Quella sera il pm Fiorillo, contattato più volte dalla Questura, dispose innanzitutto di compiere accertamenti su chi fosse la ragazza, sprovvista di qualsiasi documento di identità. Documento che, nonostante le ricerche nell’appartamento che la giovane aveva detto di aver condiviso con l’amica che l’ha poi denunciata, non venne trovato.
Vennero però prese le impronte di Ruby e si riuscì a risalire ai suoi dati anagrafici e a scoprire anche che il responsabile di una comunità in provincia di Messina dove doveva trovarsi, aveva denunciato la sua scomparsa.
Vista la situazione il pm quella notte allora decise che la ragazza dovesse essere protetta e quindi collocata in una comunità. Invece andò in un altro modo e le disposizioni del magistrato vennero disattese: Fiorillo, infatti, venne informata che era arrivata una telefonata con cui si avvertiva che la ragazza era la nipote di Mubarak e che sarebbe arrivato a prenderla un “consigliere ministeriale presso la presidenza del Consiglio dei Ministri”. Ma la questura smentisce la riscostruzione e in una nota dice: “La procura dei minori acconsentì” ad affidare Ruby a Nicole Minetti.
Il governo perde i pezzi - Mentre nuovi dettagli della vicenda emergono in continuazione, la polemica politica monta e il presidente del Consiglio è sempre più isolato. A cominciare dal più stretto degli alleati, la Lega. “Ma come gli viene in mente di chiamare la Questura? Un uomo del governo non può farlo, è a dir poco inopportuno”. Umberto Bossi è fuori di sé per la vicenda Ruby in cui è rimasto coinvolto l’alleato Berlusconi. Ed ha ormai maturato la volontà di scaricarlo, staccando definitivamente la spina a un esecutivo continuamente costretto a occuparsi dei guai privati del premier.
Guai giudiziari e donne. Patrizia D’Addario, Noemi Letizia e Ruby. Per il senatùr la minorenne è il sassolino che annuncia la frana e ai suoi detta la linea: “Dobbiamo prepararci, il Governo tecnico è alle porte”. Un Bossi rassegnato al risultato minimo: arrivare fino a febbraio, quando diventeranno operativi i decreti sul federalismo. “A noi basta così”, ha detto Bossi, secondo quanto riporta Repubblica raccontando la riunione del federale leghista ieri in via Bellerio. “Silvio cadrà a gennaio”, secondo il senatùr. Da sempre attento agli umori dei Palazzi, Bossi assiste all’intensificarsi dei rapporti tra l’Udc e il Pd, con la sponda di Futuro e Libertà che sta facendo pressioni sempre più forti su Gianfranco Fini affinché si decida a disarcionare definitivamente Berlusconi. E il presidente della Camera, di fatto, ha alzato un po’ il tiro negli ultimi giorni sulla giustizia.
Ora l’argomento che accomuna tutti è l’abuso di potere. Il presidente del Consiglio che alza il telefono per fare pressioni sui vertici della Questura milanese per far rilasciare una minorenne con precedenti di furto, è un’immagine che non può essere lasciata sbiadire. Lo sa Fini, lo sa l’opposizione con Pierluigi Bersani che trova la forza di scagliarsi apertamente contro quanto accaduto chiedendo le dimissioni del premier. “Le notizie che emergono da Milano – ha detto il segretario del Partito democratico – ci dicono una cosa chiara: Berlusconi non può stare un minuto di più in un ruolo pubblico che ha indecorosamente tradito”. E ancora: “L’Italia ha una dignità che non può essere messa a repentaglio, ha dei problemi seri che devono essere finalmente affrontati in un clima di serietà e di impegno; il tempo è finito, bisogna aprire una fase nuova”. Così come già Antonio Di Pietro e l’Idv avevano chiesto ieri le dimissioni del premier.
Ma agli attacchi politici oggi si è aggiunta la posizione dura del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: “L’azione del Governo non c’è; il parlamento non legifera, non si riesce ad eleggere il presidente della Consob”. Il paese “è in preda alla paralisi” e la politica deve “ritrovare il senso di dignità delle istituzioni”, ha detto tra gli applausi dei giovani industriali riuniti a Capri. Renato Schifani, presente in sala, ha tentato di difendere il Governo. O meglio, ha ripetuto il leit motiv del Pdl quando lo spettro della crisi prende forma: “Il paese non può permettersi fasi di instabilità”.
Secondo il presidente del Senato si devono “evitare crisi di sistema irreversibili e ciascuno, di ogni ordine e grado è chiamato all’esercizio del buon senso e della ragionevolezza”. Richiamo alla responsabilità che Marcegaglia non accetta e rimanda al mittente: “Se ogni giorno il dibattito politico viene travolto da questioni che nulla hanno a che fare con un’agenda seria, noi ci arrabbiamo e ci indigniamo”. Neanche il messaggio di “pace” inviato da Sandro Bondi è bastato. Il coordinatore del Pdl ha invitato tutti “a pensare ai problemi veri del paese”. Dimenticando chi è stato a telefonare in Questura a Milano invece di occuparsi dei “problemi veri del paese”.
La telefonata di Berlusconi - Berlusconi si occupa di salvare Ruby anche e più dei “problemi reali”. Che sia stato lui in persona ad interessarsi alla ragazza è confermato anche dalla stessa Nicole Minetti, che la notte del 27 maggio si precipita alla questura di Milano per portare via la giovane. Racconta a Repubblica l’ex igienista dentale, ora consigliere regionale in Lombardia, di avere ricevuto dal premier due telefonate nel corso di quella notte. La prima, che la invitava ad andare in questura. La seconda, a missione compiuta, perché prendesse in affido la ragazza.
Ma quelle all’ex igienista dentale non sono le uniche telefonate che il premier fa nella notte del 27 maggio. Come ricostruito dal capo di gabinetto della questura Pietro Ostuni negli atti dell’inchiesta, in via Fatebenefratelli arriva una telefonata, mentre è in atto il fotosegnalamento della ragazza, fermata per furto. E’ Ostuni stesso a prenderla. Il primo a parlare è un uomo che si qualifica come caposcorta del presidente del Consiglio: “So che da voi c’è una ragazza”, esordisce. Poi aggiunge: “Anche il presidente la conosce, anzi aspetta che adesso te lo passo”. Berlusconi interviene al telefono e dice: “Dottore, volevo confermare che conosciamo questa ragazza, ma soprattutto spiegarle che ci è stata segnalata come parente del presidente egiziano Mubarak e dunque sarebbe opportuno evitare che sia trasferita in una struttura di accoglienza. Credo sarebbe meglio affidarla a una persona di fiducia e per questo volevo informarla che entro breve arriverà da voi il consigliere regionale Nicole Minetti che se ne occuperà volentieri”. Cosa che puntualmente avviene. Passano pochi giorni però, e la ragazza è ancora nei guai, quando litiga con la donna brasiliana che la ospita temporaneamente. Solo a quel punto Ruby viene effettivamente affidata ad una comunità protetta di Genova, dopo che ripetute telefonate alla Minetti vanno a vuoto.

Davide Vecchi e Fabio Amato (Il fatto Quotidiano - 30 ottobre 2010)

La somiglianza tra i partiti sul piano delle scelte concrete non significa che la materia del contendere sia esaurita

«Destra e sinistra: che noia! Ancora se ne parla? Ancora non si è capito che, se questi concetti una volta avevano un senso, oggi non è più così? Che oggi i politici, al di là della retorica dei programmi, fanno più o meno le stesse cose? E che persino le retoriche si sono avvicinate tanto da essere difficilmente distinguibili? Cameron e Fini sono di destra? Blair e Schröder erano di sinistra?». Così sbotterebbero oggi molti di coloro che, ieri, sull’esistenza e sul contrasto di destra e sinistra hanno giocato la loro esperienza politica.

Traggo spunto da un libro appena pubblicato dal Mulino - Franco Cazzola, Qualcosa di sinistra. Miti e realtà delle sinistre al governo- per esporre tre convinzioni che mi sono formato da tempo.
A) La prima è che, sul piano dei princìpi, destra e sinistra definiscono due posizioni politiche - due visioni della società desiderabile - non solo diverse, ma nettamente contrastanti. Anche oggi, non meno di ieri.
B) La seconda convinzione è che sul piano delle politiche concrete - di quello che i partiti di destra e sinistra fanno quando sono al governo, o addirittura dichiarano di voler fare quando sono all’opposizione - una distinzione altrettanto chiara oggi non è possibile e dunque i cittadini che sono annoiati o irritati quando sentono parlare di destra e sinistra hanno buoni motivi per esserlo.
C) Illustrerò più avanti la terza convinzione. Essa si è formata cercando di rispondere a questa domanda: se la differenza tra destra e sinistra è così netta sul piano dei principi, come mai non la si ritrova sul piano delle pratiche effettive dei partiti? Perché i partiti di sinistra non fanno o almeno non dicono «qualcosa di sinistra»?
Gran parte del saggio di Cazzola riguarda il punto b) e tratta delle politiche attuate dai partiti di sinistra in tredici Paesi europei dal dopoguerra ad oggi: sono state diverse da quelle delle destre? Detto altrimenti: sul piano delle decisioni di governo, un partito di sinistra fa veramente differenza? Dovendo però collegare i programmi ai princìpi, le azioni di governo ai partiti che appartengono alle due diverse famiglie politiche, una trattazione del punto a) risultava inevitabile e infatti l’autore l’affronta nel primo capitolo. Per i propositi che si pone possono bastare i pochi flash che egli trae dalla sterminata letteratura sul problema. Ma per mostrare che i princìpi i quali distinguono destra e sinistra sono mutati poco da quando vennero forgiati nel clima rivoluzionario della fine del XVIII secolo, che tuttora essi sono in forte contrasto, e che l’attuale somiglianza tra i partiti sul piano delle politiche non è dovuta né ad una attenuazione del conflitto tra i principi, né all’esaurimento della materia del contendere... per dimostrare tutto questo bisogna scavare più a fondo.

Bisogna partire da quello che, con Martinelli e Veca, abbiamo chiamato Progetto 89 (Il Saggiatore, 2009) e mostrare che tale progetto - il progetto della sinistra - è ancora difendibile teoricamente e radicale nelle sue proposte di riforma: per convincersene basta leggere il delizioso libretto di Gerald A. Cohen Socialismo, perché no?, appena pubblicato da Ponte alle Grazie. Promuovere comportamenti e creare istituzioni che consentano a tutti di sviluppare liberamente le proprie facoltà; favorire una reale eguaglianza di opportunità e andare oltre, aggredendo tutti i vantaggi/svantaggi di cui non si porta merito/demerito, anche quelli dovuti a cause naturali o alla fortuna; rendere ogni cittadino attivo nelle deliberazioni politiche della propria comunità attraverso un incessante stimolo alla partecipazione democratica: sono tutti obiettivi - altri se ne possono aggiungere - che discendono dai princìpi della grande rivoluzione, da liberté, égalité, fraternité, e che oggi non sono stati approssimati neppure dove i diritti politici e sociali sono difesi al massimo grado, nei mitici piccoli Paesi del Nord Europa. Un libro straordinario da poco tradotto in italiano, la summa delle ricerche di una vita del maggiore economista e filosofo politico contemporaneo (Amartya Sen, L’idea di giustizia, Mondadori), fornisce una giustificazione moderna e robusta del più che bisecolare Progetto 89, una formidabile batteria di strumenti teorici di cui possono avvalersi coloro che intendono porre rimedio a diseguaglianze ingiustificate e vogliono combattere contro l’ingiustizia. Non dovrebbero essere, costoro, i seguaci della sinistra? Perché allora i partiti di sinistra non si oppongono con coraggio a diseguaglianze e ingiustizie, anche evidenti e offensive? Perché sembrano altrettanto esitanti e cauti dei partiti di destra, giustificando l’impressione comune che destra e sinistra non facciano differenza? Quali forze li trattengono?

Prima di affrontare questo problema bisogna controllare che la sorprendente convergenza tra destra e sinistra, non solo nei risultati ottenuti dai governi ma nelle stesse proposte dei partiti, ci sia effettivamente; bisogna misurarla e vederne i diversi aspetti in differenti Paesi e fasi storiche: è quello che Cazzola fa nella parte maggiore del suo saggio. Qui non possiamo seguirlo da vicino perché l’analisi è molto articolata. Il lungo periodo postbellico è distinto in tre sottoperiodi (dal 1946 al 1974; dal 1975 al 1991; dal 1992 al 2007). Per tener conto di influenze culturali, economiche e istituzionali comuni i 13 Paesi sono divisi in quattro sottoinsiemi (le piccole democrazie consociative, Austria, Belgio e Olanda; le democrazie scandinave, Danimarca, Norvegia e Svezia; le grandi democrazie europee, Francia, Regno Unito e Germania; le nuove democrazie, Spagna, Portogallo e Grecia), cui si aggiunge una «sorvegliata speciale», l’Italia. Dopo di che si considerano alcune variabili economiche manipolabili dai governi e che dovrebbero segnalare il loro orientamento di destra o di sinistra (entrate e uscite dei bilanci pubblici in rapporto al Pil, disavanzi e debito, pressione fiscale e imposizione diretta e indiretta, entità e natura delle spese pubbliche). Infine si valutano, come esiti, la crescita, l’inflazione e la disoccupazione tra i dati macroeconomici; gli scioperi come indicatori di consenso/dissenso; la distribuzione della ricchezza e del reddito come indicatore di giustizia sociale.

In che misura, per quali Paesi, in quali periodi, risulta confermata l’ipotesi che... la sinistra si comporta come sinistra? Che amplia i compiti del settore pubblico, soprattutto per spese di welfare? E che ottiene, tra i risultati, una distribuzione del reddito meno diseguale, eventualmente a discapito di una maggiore inflazione e maggiori deficit? La conferma è dubbia e parziale - in alcuni Paesi, in alcuni periodi, per alcuni obiettivi la sinistra si comporta come sinistra e in altri no - ma devo rinviare al libro per una valutazione analitica dei risultati. Qui mi limito a osservare che il procedimento adottato da Cazzola è qualitativo e descrittivo e non consente conclusioni controllabili statisticamente. Una valutazione d’insieme è però robusta e la riassumerei così.

Gli esiti di «sinistra» sul piano delle variabili macroeconomiche e distributive considerate dipendono da tre ordini di cause. Cause strutturali profonde, di natura economica, istituzionale, sociale e culturale. Questo lo si vede bene confrontando i quattro gruppi di Paesi: al netto di tutte le altre influenze, i piccoli Paesi nordici e consociativi hanno esiti migliori degli altri, e soprattutto dei Paesi di nuova democrazia. Cause legate alle grandi fasi del regime economico-politico internazionale: durante i trent’anni dell’età dell’oro, dalla fine della guerra sino alla chiusura degli anni Settanta, era facile ed elettoralmente pagante fare «cose di sinistra», e le facevano anche i governi conservatori, non solo i socialdemocratici. Nei trent’anni successivi, durante il regime neoliberale e globalizzato, la situazione si è rovesciata, e anche i partiti di sinistra sono costretti a fare «cose di destra»: gli esiti d’insieme sono quelli splendidamente descritti da Andrew Glyn (Capitalismo scatenato, Brioschi editore). E infine, forse meno importanti delle altre due ma pur influenti in alcuni momenti e per alcuni Paesi, cause legate all’ideologia dei partiti di governo, al loro essere di destra o di sinistra. Vincolati da eredità storiche di natura sociale, istituzionale, economica e culturale di difficile modificazione, da un lato, e condizionati dal regime economico-politico internazionale prevalente, dall’altro, i governi di sinistra dispongono di margini di manovra ristretti per assecondare i propri orientamenti ideologici, ma «qualcosa di sinistra» qualche volta riesce a passare. Si tratta di conclusioni acquisite da tempo, ma che Cazzola illustra con ricchezza di dettagli.

Concludendo. Gli orientamenti ideologici dei partiti al governo contano, ma non tanto da sconfiggere l’impressione diffusa che se non è zuppa è pan bagnato; che, una volta al governo, e quale che sia il loro orientamento, i politici fanno «più o meno» le stesse cose e dunque la smettano di annoiarci con la destra e la sinistra. È un’impressione comprensibile ma che va combattuta, e per due motivi. Il primo è che nel «più o meno» possono celarsi differenze significative, del tutto sufficienti a giustificare una scelta elettorale per l’una o per l’altra parte: non l’abbiamo messo in rilievo perché Cazzola si limita a indicatori di policy di natura quasi esclusivamente macroeconomica, quelli in cui i margini di autonomia dei singoli governi sono minori. Ma non c’è solo la macroeconomia e nelle altre politiche i grandi princìpi, meno costretti da vincoli esterni, possono esercitare una notevole influenza: bioetica, laicità, immigrazione, politica estera, legislazione del lavoro, istruzione, politiche di genere non sono temi meno significativi degli stanziamenti in tema di welfare o del rapporto tra spesa pubblica e Pil. Insomma, basarsi prevalentemente su dati macro può dare un’impressione ingannevole su quanto è di sinistra/di destra un partito o un governo. Il secondo motivo è ancor più importante: quell’impressione va contrastata perché porta discredito non solo su partiti e governi, ma sugli stessi princìpi. Destra e sinistra sarebbero parole vuote, paraventi ideologici senza spessore, pretesti per celare un puro gioco di potere da parte di politici meschini e auto-interessati. Non è così: anche se i politici sono spesso meschini e auto-interessati, in quelle parole si riassume l’intera storia della politica contemporanea europea e vanno prese sul serio. Ma allora perché il contrasto tra i princìpi non riesce a trasformarsi in una netta opposizione di scelte politiche da parte dei partiti che affermano di condividerli?

La risposta a questa domanda esprime la mia terza convinzione, il punto c) di cui sopra: questo avviene perché, una volta che la sinistra ha abbandonato la grande narrazione socialista, e con essa il disegno di una collettivizzazione dei mezzi di produzione; una volta che ha accettato il mercato e la proprietà privata; una volta che ha deciso di giocare la sua partita riformisticamente, dentro il capitalismo mondiale, essa affronta una situazione difficile, una fatica di Sisifo, come la rappresento in un mio saggio recente (Capitalismo, mercato e democrazia, Mulino). La situazione è difficile perché gli strumenti della sinistra riformista sono quelli della democrazia, e dunque dello Stato nazionale, l’unico nel quale opera qualcosa che alla democrazia assomiglia, mentre le forze che la sinistra dovrebbe controllare sono quelle del capitalismo globale. E per controllarle non basta la volontà di una singola democrazia, di un singolo Stato, per di più - nel caso italiano - scarsamente rilevante negli equilibri geopolitici mondiali: finché non si realizzerà l’utopia di una democrazia cosmopolitica, il controllo può essere ottenuto solo attraverso faticosi accordi internazionali. Certo, parte integrante della politica di un Paese dovrebbe essere la ricerca di questi accordi, di un’architettura di regole internazionali che siano in grado di prevenire crisi disastrose come quella esplosa due anni fa. O di rallentare pressioni competitive che creano profondi disagi per i ceti più deboli, per i lavoratori esposti alla concorrenza internazionale. Ma se questi accordi non si riescono a fare, se gli altri Stati si oppongono per ragioni di interesse nazionale, se un Paese si trova a combattere da solo, nel contesto delle regole che oggi prevalgono, qual è la risposta? C’è una risposta di sinistra e una di destra al caso Pomigliano? È di «sinistra » la risposta della Fiom ed è di «destra» quella di Ichino? Se si risponde nel primo modo, la risposta, pur comprensibile, rischia di essere dannosa. Se si risponde nel secondo, come si fa a evitare l’impressione che destra e sinistra siano indistinguibili?

Il documento che prova la trattativa Stato-mafia "fu ritrovato cinque anni fa dai carabinieri e rimesso a posto"

Il papello? Trovato cinque anni fa e rimesso a posto in cassaforte. Tutto “per ordini superiori”. Ma l’ufficiale dei carabinieri che se lo ritrovò tra le mani, nella peggiore tradizione dell’Arma, lo fotocopiò trattenendone la copia. Sono le clamorose rivelazioni di due militari, uno dei quali partecipò alla perquisizione a casa Ciancimino, acquisite agli atti del processo Mori e da ieri depositate e a disposizione delle parti. Protagonista è il capitano dei carabinieri Antonello Angeli che il 17 febbraio del 2005 diresse la perquisizione nella villa di Massimo Ciancimino, sul lungomare dell’Addaura, lasciandosi sfuggire il “papello” di Totò Riina.
L’ufficiale si sarebbe reso perfettamente conto che stava trascurando carte scottanti sulla trattativa tra Stato e mafia, ma avrebbe agito per “ordini superiori”. A rivelarlo ai pm di Palermo è un maresciallo, Saverio Masi, che dice di aver raccolto le confidenze dello stesso capitano poco dopo l’“anomala” perquisizione. Presentatosi spontaneamente ai pm di Palermo Nino Di Matteo e Paolo Guido, che indagano sulla “trattativa” tra Stato e mafia, il sottufficiale ha raccontato che fu lo stesso Angeli a rivelargli come avesse rinvenuto in un soppalco di quella villa dell’Addaura, “la documentazione relativa ai rapporti tra le istituzioni e Cosa Nostra” e in particolare il “papello redatto da Totò Riina”.
Secondo il maresciallo, il papello non fu toccato perché “dai superiori arrivò l’ordine di non procedere al sequestro”, in quanto si sarebbe trattato di “documentazione già acquisita”. Ma al maresciallo, Angeli avrebbe riferito infatti di aver fotocopiato di nascosto la documentazione ufficialmente sfuggita al suo controllo grazie all’aiuto di un collaboratore. Qualche tempo dopo, allo stesso maresciallo, Angeli avrebbe chiesto di contattare un giornalista per denunciare pubblicamente la storia del mancato sequestro. Obbedendo al suo capitano, il sottufficiale, in compagnia di un collega, incontrò l’inviato di un quotidiano nazionale che però rifiutò di pubblicare la notizia. Il giornalista, chiamato dai pm, ha confermato tutto, consegnando persino un biglietto su cui i carabinieri avevano scritto i propri nomi e recapiti. Di quella “strana” perquisizione nella villa all’Addaura da parte di carabinieri incredibilmente “distratti” che avevano messo la casa sottosopra, ma si erano lasciati sfuggire il documento di Totò Riina, aveva già parlato Massimo Ciancimino, sostenendo però che la cassaforte non era stata neppure aperta.
Oggi scopriamo che quel pezzo di carta che prova la trattativa tra la mafia e lo Stato (consegnato da Massimo Ciancimino ai pm di Palermo solo l’anno scorso) in realtà è nelle mani dei carabinieri e in particolare di Angeli, da cinque anni. Un’ulteriore conferma alle parole del maresciallo è arrivata, più recentemente, dal collaboratore di Angeli, Samuele Lecca, che materialmente fotocopiò il ‘’ papello’’, consegnandone la copia al capitano, direttamente in ufficio. Si tratta di un carabiniere semplice che faceva parte della squadra incaricata di perquisire la villa di Ciancimino jr in quel febbraio del 2005. Il militare, convocato nei giorni scorsi dai pm, ha raccontato che durante quel controllo in casa del figlio di don Vito il capitano Angeli gli chiese se conoscesse una copisteria dove potesse ‘’velocemente’’ fotocopiare alcuni documenti per poi riportarglieli in ufficio. Si trattava di numerosi fogli, alcuni a quadretti, molti dei quali scritti a penna e costellati di post it.
Il carabiniere rimase sospreso perché, per correre a fotocopiare quelle carte, dovette utilizzare la macchina di servizio, sottraendola ai colleghi che rischiavano di non poter tornare in caserma. Il militare, comunque, raggiunse in fretta una copisteria, fotocopiò le carte e riportò originali e fotocopie al suo capitano. Poi partecipò alla catalogazione dei documenti sequestrati in casa Ciancimino e notò che i documenti da lui fotocopiati non facevano parte dei materiali finiti sotto sequestro. Angeli, oggi colonnello dei carabinieri, per anni in servizio presso il Quirinale, è indagato a Palermo per favoreggiamento. È stato interrogato una prima volta nell’estate 2009 e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nuovamente convocato dai pm il 22 ottobre scorso, ha fatto sapere qualche giorno prima dell’interrogatorio, tramite il suo legale, l’avvocato Salvatore Orefice, di non voler rispondere. I magistrati hanno rinunciato a sentirlo. I due testimoni saranno interrogati in aula nel processo Mori.

di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano del 30 ottobre 2010)

mercoledì 27 ottobre 2010

Il segreto della longevità politica del premier e la pancia del Paese

«Berlusconi, perché?». Racconta Beppe Severgnini che nel suo girovagare per il mondo infinite volte si è sentito rivolgere quella domanda da colleghi giornalisti, amici, scrittori di diverso orientamento politico, animati da curiosità più che da preconcetti. E così, cercando una risposta per loro, ha cominciato a elencare i fattori del successo del Cavaliere. Umanità, astuzia, camaleontica capacità di immedesimarsi negli interlocutori. Virtù (o vizi?) di Berlusconi, ma anche del Paese che ha deciso di farsi rappresentare da lui. Disse una volta Giorgio Gaber: «Non ho paura di Berlusconi in sé. Ho paura di Berlusconi in me». Quella frase fa da epigrafe a «La pancia degli italiani. Berlusconi spiegato ai posteri», il libro di Beppe Severgnini in vendita da oggi, del quale pubblichiamo l'introduzione.

Spiegare Silvio Berlusconi agli italiani è una perdita di tempo. Ciascuno di noi ha un'idea, raffinata in anni di indulgenza o idiosincrasia, e non la cambierà. Ogni italiano si ritiene depositario dell'interpretazione autentica: discuterla è inutile. Utile è invece provare a spiegare il personaggio ai posteri e, perché no?, agli stranieri. I primi non ci sono ancora, ma si chiederanno cos'è successo in Italia. I secondi non capiscono, e vorrebbero. Qualcosa del genere, infatti, potrebbe accadere anche a loro. Com'è possibile che Berlusconi - d'ora in poi, per brevità, B. - sia stato votato (1994), rivotato (2001), votato ancora (2008) e rischi di vincere anche le prossime elezioni? Qual è il segreto della sua longevità politica? Perché la maggioranza degli italiani lo ha appoggiato e/o sopportato per tanti anni? Non ne vede gli appetiti, i limiti e i metodi? Risposta: li vede eccome. Se B. ha dominato la vita pubblica italiana per quasi vent'anni, c'è un motivo. Anzi, ce ne sono dieci.

1) Fattore umano
- Cosa pensa la maggioranza degli italiani? «Ci somiglia, è uno di noi». E chi non lo pensa, lo teme. B. vuole bene ai figli, parla della mamma, capisce di calcio, sa fare i soldi, ama le case nuove, detesta le regole, racconta le barzellette, dice le parolacce, adora le donne, le feste e la buona compagnia. È un uomo dalla memoria lunga capace di amnesie tattiche. È arrivato lontano alternando autostrade e scorciatoie. È un anticonformista consapevole dell'importanza del conformismo. Loda la Chiesa al mattino, i valori della famiglia al pomeriggio e la sera si porta a casa le ragazze. L'uomo è spettacolare, e riesce a farsi perdonare molto. Tanti italiani non si curano dei conflitti d'interesse (chi non ne ha?), dei guai giudiziari (meglio gli imputati dei magistrati), delle battute inopportune (è così spontaneo!). Promesse mancate, mezze verità, confusione tra ruolo pubblico e faccende private? C'è chi s'arrabbia e chi fa finta di niente. I secondi, apparentemente, sono più dei primi.

2) Fattore divino - B. ha capito che molti italiani applaudono la Chiesa per sentirsi meno colpevoli quando non vanno in chiesa, ignorano regolarmente sette comandamenti su dieci. La coerenza tra dichiarazioni e comportamenti non è una qualità che pretendiamo dai nostri leader. L'indignazione privata davanti all'incoerenza pubblica è il movente del voto in molte democrazie. Non in Italia. B. ha capito con chi ha a che fare: una nazione che, per evitare delusioni, non si fa illusioni. In Vaticano - non nelle parrocchie - si accontentano di una legislazione favorevole, e non si preoccupano dei cattivi esempi. Movimenti di ispirazione religiosa come Comunione e Liberazione preferiscono concentrarsi sui fini - futuri, quindi mutevoli e opinabili - invece che sui metodi utilizzati da amici e alleati. Per B. quest'impostazione escatologica è musica. Significa spostare il discorso dai comportamenti alle intenzioni.

3) Fattore Robinson - Ogni italiano si sente solo contro il mondo. Be', se non proprio contro il mondo, contro i vicini di casa. La sopravvivenza - personale, familiare, sociale, economica - è motivo di orgoglio e prova d'ingegno. Molto è stato scritto sull'individualismo nazionale, le sue risorse, i suoi limiti e le sue conseguenze. B. è partito da qui: prima ha costruito la sua fortuna, accreditandosi come un uomo che s'è fatto da sé; poi ha costruito sulla sfiducia verso ciò che è condiviso, sull'insofferenza verso le regole, sulla soddisfazione intima nel trovare una soluzione privata a un problema pubblico. In Italia non si chiede - insieme e con forza - un nuovo sistema fiscale, più giusto e più equo. Si aggira quello esistente. Ognuno di noi si sente un Robinson Crusoe, naufrago in una penisola affollata.

4) Fattore Truman - Quanti quotidiani si vendono ogni giorno in Italia, se escludiamo quelli sportivi? Cinque milioni. Quanti italiani entrano regolarmente in libreria? Cinque milioni. Quanti sono i visitatori dei siti d'informazione? Cinque milioni. Quanti seguono Sky Tg24 e Tg La7? Cinque milioni. Quanti guardano i programmi televisivi d'approfondimento in seconda serata? Cinque milioni, di ogni opinione politica. Il sospetto è che siano sempre gli stessi. Chiamiamolo Five Million Club. È importante? Certo, ma non decide le elezioni. La televisione - tutta, non solo i notiziari - resta fondamentale per i personaggi che crea, per i messaggi che lancia, per le suggestioni che lascia, per le cose che dice e soprattutto per quelle che tace. E chi possiede la Tv privata e controlla la Tv pubblica, in Italia? Come nel Truman Show, il capolavoro di Peter Weir, qualcuno ci ha aiutato a pensare.

5) Fattore Hoover - La Hoover, fondata nel 1908 a New Berlin, oggi Canton, Ohio (Usa), è la marca d'aspirapolveri per antonomasia, al punto da essere diventata un nome comune: in inglese, «passare l'aspirapolvere» si dice to hoover. I suoi rappresentanti (door-to-door salesmen) erano leggendari: tenaci, esperti, abili psicologi, collocatori implacabili della propria merce. B. possiede una capacità di seduzione commerciale che ha ereditato dalle precedenti professioni - edilizia, pubblicità, televisione - e ha applicato alla politica. La consapevolezza che il messaggio dev'essere semplice, gradevole e rassicurante. La convinzione che la ripetitività paga. La certezza che l'aspetto esteriore, in un Paese ossessionato dall'estetica, resta fondamentale (tra una bella figura e un buon comportamento, in Italia non c'è partita).

6) Fattore Zelig - Immedesimarsi negli interlocutori: una qualità necessaria a ogni politico. La capacità di trasformarsi in loro è più rara. Il desiderio di essere gradito ha insegnato a B. tecniche degne di Zelig, camaleontico protagonista del film di Woody Allen. Padre di famiglia coi figli (e le due mogli, finché è durata). Donnaiolo con le donne. Giovane tra i giovani. Saggio con gli anziani. Nottambulo tra i nottambuli. Lavoratore tra gli operai. Imprenditore tra gli imprenditori. Tifoso tra i tifosi. Milanista tra i milanisti. Milanese con i milanesi. Lombardo tra i lombardi. Italiano tra i meridionali. Napoletano tra i napoletani (con musica). Andasse a una partita di basket, potrebbe uscirne più alto.

7) Fattore harem - L'ossessione femminile, ben nota in azienda e poi nel mondo politico romano, è diventata di pubblico dominio nel 2009, dopo l'apparizione al compleanno della diciottenne Noemi Letizia e le testimonianze sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli. B. dapprima ha negato, poi ha abbozzato («Sono fedele? Frequentemente»), alla fine ha accettato la reputazione («Non sono un santo»). Le rivelazioni non l'hanno danneggiato: ha perso la moglie, ma non i voti. Molti italiani preferiscono l'autoindulgenza all'autodisciplina; e non negano che lui, in fondo, fa ciò che loro sognano. Non c'è solo l'aspetto erotico: la gioventù è contagiosa, lo sapevano anche nell'antica Grecia (dove veline e velini, però, ne approfittavano per imparare). Un collaboratore sessantenne, fedele della prima ora, descrive l'insofferenza di B. durante le lunghe riunioni: «È chiaro: teme che gli attacchiamo la vecchiaia».

8) Fattore Medici - La Signoria - insieme al Comune - è l'unica creazione politica originale degli italiani. Tutte le altre - dal feudalesimo alla monarchia, dal totalitarismo al federalismo fino alla democrazia parlamentare - sono importate (dalla Francia, dall'Inghilterra, dalla Germania, dalla Spagna o dagli Stati Uniti). In Italia mostrano sempre qualcosa di artificiale: dalla goffaggine del fascismo alla rassegnazione del Parlamento attuale. La Signoria risveglia, invece, automatismi antichi. L'atteggiamento di tanti italiani di oggi verso B. ricorda quello degli italiani di ieri verso il Signore: sappiamo che pensa alla sua gloria, alla sua famiglia e ai suoi interessi; speriamo pensi un po' anche a noi. «Dall'essere costretti a condurre vita tanto difficile», scriveva Giuseppe Prezzolini, «i Signori impararono a essere profondi osservatori degli uomini». Si dice che Cosimo de' Medici, fondatore della dinastia fiorentina, fosse circospetto e riuscisse a leggere il carattere di uno sconosciuto con uno sguardo. Anche B. è considerato un formidabile studioso degli uomini. Ai quali chiede di ammirarlo e non criticarlo; adularlo e non tradirlo; amarlo e non giudicarlo.

9) Fattore T.I.N.A. - T.I.N.A., There Is No Alternative. L'acronimo, coniato da Margaret Thatcher, spiega la condizione di molti elettori. L'alternativa di centrosinistra s'è rivelata poco appetitosa: coalizioni rissose, proposte vaghe, comportamenti ipocriti. L'ascendenza comunista del Partito democratico è indiscutibile, e B. non manca di farla presente. Il doppio, sospetto e simmetrico fallimento di Romano Prodi - eletto nel 1996 e 2006, silurato nel 1998 e 2008 - ha un suo garbo estetico, ma si è rivelato un'eredità pesante. Gli italiani sono realisti. Prima di scegliere ciò che ritengono giusto, prendono quello che sembra utile. Alcune iniziative di B. piacciono (o almeno dispiacciono meno dell'alternativa): abolizione dell'Ici sulla prima casa, contrasto all'immigrazione clandestina, lotta alla criminalità organizzata, riforma del codice della strada. Se queste iniziative si dimostrano un successo, molti media provvedono a ricordarlo. Se si rivelano un fallimento, c'è chi s'incarica di farlo dimenticare. Non solo: il centrodestra unito rassicura, almeno quanto il centrosinistra diviso irrita. Se l'unico modo per tenere insieme un'alleanza politica è possederla, B. ne ha presto calcolato il costo (economico, politico, nervoso). Senza conoscerlo, ha seguito il consiglio del presidente Lyndon B. Johnson il quale, parlando del direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover, sbottò: «It's probably better to have him inside the tent pissing out, than outside the tent pissing in», probabilmente è meglio averlo dentro la tenda che piscia fuori, piuttosto di averlo fuori che piscia dentro. Così si spiega l'espulsione e il disprezzo verso Gianfranco Fini, cofondatore del Popolo della libertà. Nel 2010, dopo sedici anni, l'alleato ha osato uscire dalla tenda: e non è ben chiaro quali intenzioni abbia.

10) Fattore Palio - Conoscete il Palio di Siena? Vincerlo, per una contrada, è una gioia immensa. Ma esiste una gioia altrettanto grande: assistere alla sconfitta della contrada rivale. Funzionano così molte cose, in Italia: dalla geografia all'industria, dalla cultura all'amministrazione, dalle professioni allo sport (i tifosi della Lazio felici di perdere con l'Inter pur di evitare lo scudetto alla Roma). La politica non poteva fare eccezione: il tribalismo non è una tattica, è un istinto. Pur di tener fuori la sinistra, giudicata inaffidabile, molti italiani avrebbero votato il demonio. E B. sa essere diabolico. Ma il diavolo, diciamolo, ha un altro stile.

Berlusconi non è indagato, da verificare le parole della ragazza che compirà 18 anni a novembre. Diana Mora, figlia di Lele, ha provato ad adottarla

La ragazza si chiama Ruby, è tuttora minorenne ed è ospite di una comunità protetta. Compirà diciott’anni a novembre e solo allora, raggiunta la maggiore età, potrà decidere di lasciare la comunità.
Ruby è stata ascoltata nel corso dell’indagine sui locali e le discoteche della movida milanese, curata dal sostituto procuratore Antonio Sangermano. Ha raccontato una storia in alcuni punti confusa, non priva di smagliature e contraddizioni. Ha dichiarato di avere avuto alcuni incontri nella villa di Arcore con il presidente del Consiglio: feste, con altre ragazze e ospiti vip.
Dopo le anticipazioni su questa vicenda pubblicate ieri dal Fatto Quotidiano, il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha smentito l’esistenza a Milano di un’indagine sui rapporti tra una ragazza e Silvio Berlusconi. In realtà, sulla base delle dichiarazioni di Ruby, la procura ha aperto, secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, un fascicolo preliminare, che in gergo tecnico si chiama “modello 45”, dove confluiscono “atti relativi a…”, cioè documenti d’indagine non ancora contenenti notizie di reato.
Nessun coinvolgimento diretto, dunque, di Silvio Berlusconi nell’inchiesta. Ma questo non ha impedito che il presidente del Consiglio, da giorni a conoscenza delle dichiarazioni di Ruby, accrescesse le sue preoccupazioni e il suo nervosismo. Di tutto ha bisogno in queste settimane, tranne che di un nuovo caso Noemi Letizia, per di più in versione hard, con fatti, incontri, particolari.
Una versione da riscontrare - I racconti di Ruby sono tutti da verificare. Le sue dichiarazioni possono essere dettate da spirito di rivalsa, desiderio di vendetta, tentativo di ricatto. Possono essere una trappola, una polpetta avvelenata. Oppure un confuso tentativo di farsi ascoltare. Incontri, amicizie, soldi, rapporti. E perfino uno strano tentativo di adozione. Un avvocato milanese ha presentato infatti al tribunale dei minori una richiesta per adottare Ruby. L’aspirante mamma è Diana Mora, la figlia di Lele.
L’avvocato non è un esperto di diritto di famiglia, ma non è uno qualsiasi: è Luca Giuliante, ex consigliere provinciale di Forza Italia, membro della segreteria regionale del Pdl, tesoriere milanese del partito di Berlusconi, nonché legale di Roberto Formigoni nella vicenda del ricorso contro l’esclusione del suo “listino” alle ultime elezioni regionali, con conseguente intervento della P3. L’avvocato Giuliante in precedenza aveva firmato anche il ricorso contro le richieste milionarie del fisco a Lele Mora, che al termine di un lungo contenzioso con l’Agenzia delle entrate ha poi visto la sua agenzia, la Lm management, approdare nel giugno 2010 al fallimento, decretato dal tribunale di Milano. Cercato da Il Fatto Quotidiano, l’avvocato Giuliante non ha ritenuto di dover rispondere. Lele Mora invece ci ha risposto: “Non ho niente da dire e non ho nessuna voglia di parlare”.
Le procedure per l’adozione non sono mai state completate. In compenso Ruby è finita in una comunità protetta. Intanto, i magistrati della Procura della Repubblica di Milano stanno procedendo alla verifica delle sue dichiarazioni con grande cautela e nella massima riservatezza, fino a negare l’esistenza stessa dell’indagine.
Protagonisti e comparse - I personaggi di questa storia sono degni di una soap opera. C’è Domenico Rizza, detto Nico, finito dentro un’indagine per sfruttamento della prostituzione. E c’è Lele Mora, più volte visto varcare in auto il cancello della villa di Arcore, accompagnato da ragazze della sua scuderia. Con alcune delle ragazze di Lele, Ruby aveva stretto amicizia: con Barbara Faggioli, con Marysthell Garcia Polanco. Ruby era molto vicina anche a Nicole Minetti, l’igenista dentale di Silvio Berlusconi che è stata da lui candidata (con successo) al consiglio regionale della Lombardia nella lista Formigoni. Raggiunta al telefono dal Fatto Quotidiano durante le registrazioni di una puntata dello show di Italia 1 “Colorado”, Marysthell Garcia Polanco ha accettato di buon grado di rispondere a qualche domanda, ma quando le è stato chiesto se conosceva Ruby e che rapporti aveva con lei, si è di colpo irrigidita: “No, di queste cose non posso dirti niente”.
Il caso ha voluto far precipitare negli stessi giorni sulle pagine dei giornali storie molto diverse, come la vicenda di Ruby e quella di Fabrizio Favata, l’uomo che sostiene di aver portato ad Arcore la registrazione della telefonata di Piero Fassino (“Allora, siamo padroni di una banca?”). In entrambi i casi, il presidente del Consiglio, con i suoi comportamenti, si è messo nella condizione di diventare ricattabile. Può un uomo politico alla guida del Paese esporsi al rischio di mettersi in balia di pressioni e ricatti?

Gianni Barbacetto (Il Fatto Quotidiano del 27/10/2010)

Omofobia, basta discriminazioni. La nostra proposta di legge

Questa mattina ho presentato un disegno di legge sul problema dell’omofobia. E’ una proposta che muove dalla necessità di porre un freno al pericoloso clima che sta investendo l’Italia. Esistono tante forme di intolleranza, ma tra queste l’omofobia e la transfobia sono tra le peggiori perché sono comportamenti che si preferisce ignorare, far finta che non esistano e sono troppo spesso tollerati. La discriminazione per ragioni sessuali attraversa, purtroppo, tutti gli strati della nostra società e interessa tutte le appartenenze politiche. Noi dell’Italia dei Valori, che abbiamo sempre messo al primo posto la parità dei diritti di tutti i cittadini, non possiamo trascurare il problema, non possiamo neanche correre il rischio che all’interno del nostro partito ci sia ancora chi non ha raggiunto una maturità culturale. Crediamo perciò che sia giunto il momento di mettere all’ordine del giorno un tema che attiene alla dignità della persona e all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. In Parlamento si parla tanto di difesa dei diritti e allora chiediamo che ci sia una presa di coscienza reale del problema dell’omofobia. Tra l’altro, questa norma non costa nulla e, pertanto, non deve avere l’avallo del ministro Tremonti. La nostra proposta è davvero molto semplice e, se ci fosse la volontà, potremmo avere anche una rapida approvazione del provvedimento. Di fatto, la legge c’è già, è la 205 del 1993, nota come legge Mancino che condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. Noi vorremmo aggiungere a queste forme di discriminazione anche quella per ragioni sessuali. Alla legge Mancino in passato sono state già apportate alcune modifiche, ad esempio quella di tutela delle minoranze linguistiche, allora perché non intervenire introducendo questa tipologia specifica di reato: “la discriminazione per motivi sessuali”? Si andrebbe così oltre alla proposta fatta dal Pd, che vorrebbe introdurre l’omofobia soltanto come aggravante di reati già esistenti. Inoltre, serve un’azione preventiva, includendo il divieto per le associazioni che hanno come scopo (esplicito o implicito) l’incitamento all’odio e alla discriminazione contro gli omosessuali. Infine, c’è anche un aspetto rieducativo della legge: tra le varie forme di punizione vogliamo obbligare chi commette questo reato a recuperare anche effettuando azioni di pubblica utilità.

Da una ricerca di Arcigay emerge che nel 2010 l’odio a sfondo sessuale ha portato già a due omicidi, 29 violenze e aggressioni, sei estorsioni, un atto di bullismo, sette atti vandalici e cinque dichiarazioni istituzionali che vanno in questo senso. Se si vede la situazione dal 2006 a oggi, in soli cinque anni, l’omofobia ha prodotto ben 37 omicidi, 194 aggressioni e 21 casi di estorsioni. La situazione è grave e delicata, perciò manderò questo disegno di legge a tutti i nostri parlamentari affinché possano sottoscriverla e diventarne anche loro co-promotori. Ci appelliamo ai tutti i deputati e senatori e chiediamo che la nostra proposta di legge possa essere messa all’ordine del giorno e sia discussa in Parlamento al più presto.
Con me alla conferenza stampa sono intervenuti anche Franco Grillini, responsabile Idv per i Diritti civili e Associazionismo, Alessandro Cresci, consigliere Idv della Provincia di Firenze, Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, e Federico Palomba, capogruppo Idv in Commissione Giustizia alla Camera.

Antonio Di Pietro - 27 ottobre 2010


PERCORSO XVI MARATONA INTERNAZIONALE DELLA CITTA’ DI PALERMO 21 NOVEMBRE 2010

PERCORSO XVI MARATONA INTERNAZIONALE DELLA CITTA’ DI PALERMO 21 NOVEMBRE 2010 PARTENZA: Via Libertà Spazio antistante Giardino Inglese Via della Libertà – P.zza Vittorio Veneto – Via dell’Artigliere – P.zza Leoni – Ing. Parco della Favorita –V.le Diana – Via della Favorita (dir. Fiera giro di boa)–Via della Favorita (dir. Mondello) V.le Diana (dir. Mondello) – Via Reg. Margherita di Savoia (giro di boa)-Via Reg.Margherita di Savoia (dir.Ingresso Parco della Favorita) - V.le Ercole – Palazzina Cinese – P.zza Niscemi – Ingresso Villa Niscemi – V.le Ercole – V.le Diana (usc. Parco della Favorita) – P.zza Leoni – Via dell’Artigliere – P.zza Vittorio Veneto – V.le della Libertà – P.zza Ruggero Settimo – Via Ruggero Settimo – Via Maqueda – P.zza Villena (Quattro Canti) – C.so Vittorio Emanuele – Porta Nuova – C.so Calatafimi – P.zza Indipendenza – Ingresso Palazzo Reale - P.zza del Parlamento – Via L. Cadorna (dir. C.so Vitt. Emanuele) – C.so Vittorio Emanuele – P.zza Villena (Quattro Canti) – Via Maqueda – Via Trieste – Via Pavia – Via Torino – Via Maqueda – Via Ruggero Settimo – Via della Libertà – arrivo altezza Giardino Inglese Arrivo Mezza Maratona Km 21,097 Circuito da ripetere due volte per complessivi Km 42,195



Immagini della edizione 2009 sono visionabili su
http://maratonadipalermo.blogspot.com/




martedì 26 ottobre 2010

Doppio brodo Alfano

Testo: "Buongiorno a tutti, questa settimana direi due cose importanti tra le tante: 1) un no di Napolitano, noi spesso abbiamo criticato il Capo dello Stato perché non riusciva a dire la parola “no” questa settimana ne ha detto uno, vedremo perché, cosa implica. 2) Le anticipazioni fornite dai giornali sulla cosiddetta “riforma della giustizia” presentata dal Ministro Alfano, che in realtà non è una riforma della giustizia.
La legge Alfano sullo scudo a Berlusconi - Ancora una volta usano le parole sbagliate per chiamare le cose, è una riforma dei giudici, che viene spacciata per una riforma della giustizia per far credere alla gente che ciò venga incontro alle nostre esigenze di cittadini, mentre in realtà viene incontro alle esigenze della politica di mettere sotto controllo la magistratura.
Cominciamo dal “no” di Napolitano alla Legge Alfano, non lodo, cominciamo a usare le parole giuste e a fare pulizia nel nostro vocabolario e quindi nelle nostre menti, sapete che e l’abbiamo già detto più volte, i lodi sono soluzioni a controversie decise da arbitri super partes, imparziali, indipendenti, autorevoli, qui non c’è nessuna controversia, ci sono i processi a Berlusconi e non c’è nessun arbitro imparziale, c’è Alfano, è una legge costituzionale prevista dall’Art. 138 della Costituzione che stabilisce alcune cose: 1) per poter processare il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio ci vuole l’autorizzazione della maggioranza del Parlamento, autorizzazione a procedere della maggioranza del Parlamento, con maggioranza semplice, 50% più 1 dei parlamentari; 2) la Legge Alfano è retroattiva, è ovvio che sia retroattiva, vale per i processi cominciati prima che venga approvata e per i reati commessi prima che venga approvata e questo è evidente, la fanno per mandare a monte i processi a Berlusconi, quindi se non fosse “retroattiva” varrebbe soltanto per i processi che nasceranno in futuro, per i reati che verranno commessi in futuro, mentre qui il problema è bloccare i processi già esistenti, quindi è evidente che o lo fanno retroattivo o non lo fanno; 3) la sospensione dei processi fino al termine dell’incarico è reiterabile, cosa vuole dire? Che se oggi Berlusconi riesce a sospendere i suoi processi con questa legge costituzionale Alfano, quando finisce la legislatura prematuramente se si va alle elezioni prima, alla scadenza naturale se si va alle elezioni nel 2013, cosa succede nella nuova legislatura? Succede che se Berlusconi torna a fare il Presidente del Consiglio può avvalersi di nuovo della Legge Alfano e quindi i suoi processi non riprendono neanche tra la fine della legislatura attuale e l’inizio di quella successiva, continua finché non smette di fare il Presidente del Consiglio e ormai ha 74 anni e nel 2013 ne avrà 77 e se sarà Presidente del Consiglio per altri 5 anni arriverà a 82, ma la reiterabilità non implica soltanto che uno si possa portare dietro lo scudo da una legislatura all’altra, implica anche che se cambia poltrona, sempre all’interno di quelle due Presidenza della Repubblica, Presidente del Consiglio, gli vale comunque, quindi se Berlusconi fosse eletto nel 2013 quando si andrà a rinnovare il Capo dello Stato, Presidente della Repubblica, si trascinerebbe lo scudo che aveva come Presidente del Consiglio.
Quindi praticamente la reiterabilità significa che se Berlusconi riesce a tornare a Palazzo Chigi o addirittura andare al Quirinale, quella che chiamiamo sospensione in realtà è un’abolizione in eterno, in secula secolorum dei suoi processi, questo è in sostanza, in parole volgari la legge costituzionale Alfano, sapete che non va in vigore tra poco, devono ancora approvarla al Senato la prima volta, poi alla Camera la prima volta, poi far passare 3 mesi, poi di nuovo passare al Senato, poi di nuovo passare alla Camera se non viene mai emendata a quel punto si va al referendum popolare perché è evidente che se riescono a approvarla con maggioranza del 50+1 e già questo non è sicuro, viste le posizioni critiche dei finiani, quindi è sicuro che non arriveranno alla maggioranza dei 2/3, il referendum è praticamente automatico, basta chiederlo e quindi i cittadini si pronunceranno sulla domanda: volete che la legge sia uguale per tutti o invece che ci sia una persona, il capo del Governo più uguale degli altri? E Berlusconi sarà costretto a farsi una campagna elettorale per chiedere ai cittadini di dargli l’impunità, solo a lui, a nessun altro se non a lui e al Capo dello Stato, se il Capo dello Stato verrà ricompreso in questo scudo, perché hanno compreso il Capo dello Stato nello scudo? Perché non vogliono fare uno scudo dove ci sia proprio il nome del beneficiario, perché se lo fanno solo per il Presidente del Consiglio, anche quelli che oggi fanno finta di non vedere, capiranno che non è una protezione della funzione dei due Presidenti, ma è una protezione della persona di Berlusconi.
Tra l’altro questa cosa per cui chi fa il Capo del Governo non può sottoporsi a processo è ridicola, intanto perché in un paese ordinato chi ha processi non dovrebbe poter fare il Presidente del Consiglio e se avesse processi dopo che è stato nominato Presidente del Consiglio, dovrebbe dimettersi, questo avviene negli altri paesi, ma soprattutto non sta scritto da nessuna parte che uno solo perché è Capo del Governo non abbia tempo di andare ogni tanto a qualche udienza o di mandare i suoi Avvocati a rappresentarlo a qualche udienza, Berlusconi ha fatto il Ministro dello Sviluppo economico per quasi 6 mesi a interim, ha detto di essersi impegnato moltissimo, ora ha smesso perché ha nominato il Ministro Romani, quindi evidentemente quell’impegno grandissimo che ha profuso al Ministero dello sviluppo economico, adesso che non ce l’ha più, gli lascia un sacco di tempo libero e quindi potrebbe utilizzarlo per andare a processo, chi gliel’ha fatto fare di andare qualche giorno nella dacia in Russia a festeggiare il compleanno di Putin, non era mica una missione diplomatica ufficiale, c’è andato per trovare un suo amico, benissimo, è la dimostrazione che di tempo libero ne ha a iosa!
Ma soprattutto questa cosa è ridicola per un altro motivo e cioè che Berlusconi lo sapeva prima di essere eletto in Parlamento due anni e mezzo fa, nel 2008 e di essere nominato Presidente del Consiglio, di avere dei processi, perché? Perché li aveva già prima e quindi avrebbe potuto inserire nel programma del Pdl un punto, direi in cima al programma del Pdl, visto che è la cosa che più lo impegna, in cui dire: eleggetemi perché se sarò eletto mi farò uno scudo e così sapremmo se gli elettori di centro-destra sono disposti o no a votare Berlusconi per dargli lo scudo, in realtà lui invece le campagne elettorali le fa sempre sul ponte sullo stretto, la riduzione delle… su tutte promesse che poi non mantiene, l’unica che sta mantenendo è lo scudo, però non l’aveva mai promesso prima delle elezioni agli elettori.
Perché Napolitano ha detto di no? Avrebbe potuto dire di no con questa motivazione: signori non ho processi, non vedo per quale motivo dovreste farmi una legge che me li sospende, se volete fare una legge che sospende i processi al Premier, fate una legge che sospende i processi al Premier e tenete fuori il Presidente della Repubblica che non ha bisogno di tutele, avrebbe potuto citare i lavori preparatori della Costituente dove si posa il problema se rendere immune il Capo dello Stato e i padri costituenti decisero di no, decisero che il Capo dello Stato per i reati comuni è processabile come ogni cittadino, mentre non è responsabile degli atti che compie nell’esercizio delle funzioni di Capo dello Stato, infatti come sapete c’è sempre la controfirma di un Ministro quando il Capo dello Stato prende un’iniziativa, proprio perché lui non è responsabile, questo si stabilì, per gli atti commessi nelle sue funzioni, se stende qualcuno con la macchina o accoltella il vicino di casa o fa un abuso edilizio, qualsiasi cosa, quelli sono reati comuni commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni, non parliamo poi dei reati commessi prima di entrare in funzione, per quelli il Capo dello Stato è un cittadino comune, per i reati comuni extra funzionali o prefunzionali.
Ci sono solo due reati commessi nell’esercizio delle funzioni per le quali il Capo dello Stato è processabile, sono i due reati più gravi che può commettere un Capo dello Stato: alto tradimento e attentato alla Costituzione, in questi casi il Parlamento si esprime a maggioranza qualificata, deve votare con una maggioranza dei 2/3 per la messa in stato d’accusa del Capo dello Stato, il cosiddetto impeachment che in Italia non si chiama così e allora il Capo dello Stato va a finire davanti alla Corte Costituzionale che lo processa o per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. Al di fuori di quei due casi per i reati funzionali il Capo dello Stato non è responsabile e per i delitti comuni viene trattato come un comune cittadino, anche se si è stabilita una prassi, sapete che le prassi giuridiche poi hanno un valore di legge, per cui si è stabilito che per reati comuni si aspetti la fine del mandato, un po’ quello che succede in Francia, anche lì per il Capo dello Stato, è successo per esempio che quando la Procura di Roma aprì l’indagine sui fondi neri del Sisde e alcuni dirigenti del Sisde disse che passavano i fondi riservati, quelli che si usa per le spese che non si possono documentare, pagare informatori, confidenti, pentiti, spie, spie straniere, fondi riservati sono nella disponibilità del Ministro dell’Interno e che quindi alcuni Ministri facevano uso di questi fondi riservati non istituzionale, furono indagati diversi ex Ministri dell’interno tra i quali Scalfaro, si aspettò che Scalfaro finisse il suo mandato presidenziale, poi si mandò avanti l’indagine e si scoprì che non era vero niente, che Scalfaro era una persona per bene e quindi l’inchiesta per abuso d’ufficio fu archiviata ma non fu fatta durante la presidenza della Repubblica a Scalfaro.
Lo strano scudo per il Presidente della Repubblica - Quindi il Capo dello Stato per i reati comuni per prassi viene processato dopo che scade il suo mandato, per i reati funzionali, legati alla carica non è responsabile, salvo per attentato alla Costituzione e alto tradimento, nel qual caso ci vuole la maggioranza qualificata dei 2/3 del Parlamento per metterlo in stato d’accusa e trascinarlo davanti alla Corte Costituzionale.Adesso non viene abolita questa norma prevista dalla Costituzione, perché? Perché viene lasciata, è un articolo della Costituzione questo che riguarda i possibili reati del Capo dello Stato, a fianco di quella norma costituzionale, nasce la legge costituzionale Alfano nell’intenzione del Governo della maggioranza che dice che per i reati comuni il Capo dello Stato non è processabile salvo autorizzazione a procedere della maggioranza semplice del Parlamento, 50% più 1, quindi paradossalmente gli danno una tutela inferiore a quella che ormai ha il Capo dello Stato, anzi mentre per i reati funzionali il Capo dello Stato per essere messo in stato d’accusa per alto tradimento, per attentato alla Costituzione c’è bisogno dei 2/3 del Parlamento, quindi è molto tutelato il Capo dello Stato, per i reati comuni è facilissimo metterlo sotto l’abuso edilizio, è facilissimo metterlo in stato d’accusa perché? Perché basta il 51% del Parlamento che è ridicolo, è ridicolo perché? Perché intanto non c’è niente di paragonabile all’alto tradimento o all’attentato alla Costituzione, eppure per metterlo in stato d’accusa per quei gravissimi reati è molto difficile perché bisogna raggiungere i 2/3 del Parlamento, mentre invece se fa un abuso edilizio, una diffamazione, un battibecco con un vicino di casa o cose del genere, lì è facilissimo metterlo in stato d’accusa, perché? Perché basta il 51% del Parlamento e quindi il Capo dello Stato diventa ostaggio della maggioranza politica che c’è in quel momento.
Quindi la maggioranza politica che c’è in quel momento, quindi il governo che c’è in quel momento, può tenere sotto scopa il Capo dello Stato, perché? Perché dipende dalla maggioranza semplice stabilire se il Capo dello Stato va o non va sotto processo anche per un reatucolo da 4 soldi e quindi lo possono ricattare ovviamente, se fai il bravo non diamo l’autorizzazione a procedere, se non fai il bravo la diamo. Per questo il Capo dello Stato ha detto no, non perché dica: voglio essere uguale a tutti gli altri cittadini di fronte alla legge com’è adesso salvo i reati funzionali, ma perché dice che così facendo si limita l’autonomia e l’indipendenza del Capo dello Stato che a differenza del Capo del Governo, rappresenta tutta la nazione, non rappresenta soltanto la maggioranza, naturalmente quelli che hanno fatto la Legge Alfano si sono precipitati a dire: adesso guerreggiamo, non ci eravamo accorti, non avevano neanche colto o fingono di non avere colto un fatto così devastante, tutto fatto perché? Perché bisogna mettere una foglia di fico su Berlusconi, il Capo dello Stato viene usato nella Legge Alfano come foglia di fico per Berlusconi.
Adesso cosa faranno? Non si capisce, perché? Perché se mettono anche per il Capo dello Stato un’autorizzazione a procedere dei 2/3, Berlusconi potrebbe avere dei problemi e quindi cosa dovranno fare? Dovranno probabilmente stabilire una maggioranza diversa per l’autorizzazione a procedere al Capo dello Stato e al Capo del Governo, il tutto perché? Perché ovviamente gli interessa bloccare i processi al Capo del Governo, ma di questa Legge Alfano possiamo anche occuparci tra qualche mese o tra qualche anno perché come abbiamo detto non è questa che risolve i problemi al Cavaliere, in quanto ci vorranno un anno e mezzo, due anni per mandarla in vigore, sempre che Berlusconi sia ancora interessato a fare tutto questo calvario di due anni, visto che il tempo stringe e il 14 dicembre è dietro l’angolo e è il 14 dicembre che la Corte Costituzionale stabilirà se il suo legittimo impedimento che lo sospende processualmente fino all’estate prossima è o non è legittimo, perché se non è legittimo Berlusconi torna imputato a Natale e dovrà farsi qualcos’altro alla svelta, tipo un altro legittimo impedimento, magari cambiando un po’ quello appena varato dalla Corte, altrimenti i giudici nel giro di pochi mesi vanno a sentenza nel processo Mills e nel processo Mediaset.
La riforma dei giudici - Due, la riforma dei giudici abusivamente ribattezza “riforma della giustizia” pochi punti importanti, intanto Alfano dice e non ha torto, che questa riforma è presa paro, paro dalla bozza Boato dalla Bicamerale.Nel 1997 dopo 6 bozze esplorative, Boato presentò la settima e definitiva sulla quale nel 1998 si andò al voto nella bicamerale presieduta da D’Alema, maggioranza di centro-sinistra e tutti i partiti di centro-destra e di centro-sinistra, esclusa Rifondazione Comunista, approvarono quella bozza Boato, per fortuna quando poi si trattò di tradurre in norme costituzionali, quindi in Parlamento la bozza approvata in bicamerale, Berlusconi si tirò indietro, perché? Perché voleva pure l’amnistia e dato che ormai mancava poco alle elezioni, non ricordo se europee, credo di sì, il centro-sinistra non se la sentì di fare un’amnistia perché altrimenti sarebbe stato spazzato via e quindi Berlusconi che voleva usare la bicamerale per arrivare all’amnistia, dato che non gliela diedero, fece saltare la bicamerale, tanto la bicamerale gli era comunque servita per bloccare il centro-sinistra su tutta una serie di norme che lui non voleva, conflitto di interessi, antitrust etc., quelli si erano comprati la sua partecipazione alla bicamerale dandogliene tutte vinte e adesso Berlusconi, al momento opportuno, gli fece un bel gesto dell’ombrello, gli fece cascare la riforma della giustizia con la riforma dei giudici, riforma costituzionale, quindi la bicamerale saltò e infatti poi ci pensò Berlusconi nella successiva legislatura a fare la famosa controriforma dell’ordinamento giudiziario, Castelli, che poi è andata in vigore con i decreti delegati durante il secondo governo Prodi con la riforma Castelli – Mastella che era poi la stessa cosa riveduta e corretta o forse corrotta, il che significa tra l’altro che non c’è bisogno di nessuna riforma della giustizia perché ne hanno già fatte un’ottantina in questi 15 anni, nel libro ad personam ho ricordato quante sono le riforme della Giustizia fatte in questi 15 anni, solo perché adesso ci dicono: finalmente arriva la riforma della Giustizia, no, ne hanno fatte un’ottantina di riforme della giustizia, hanno tutte avuto l’effetto di far durare di più i processi.
Questa non incide minimamente sulla durata dei processi, perché incide solo e esclusivamente sullo status del magistrato e in particolare del Pubblico Ministero, la bestia nera, quindi ricordando che sta copiando la riforma della bicamerale, già votata da tutti i partiti in bicamerale, ma fortunatamente non entrata in vigore perché Berlusconi, Dio lo benedica, fece salvare la bicamerale, Alfano ripropone tutta una serie di punti della bozza Boato, perché? Perché qui si tratta addirittura di riscrivere il Titolo IV della Costituzione, un blocco enorme di leggi, decine di articoli, quello che oggi si intitola “La Magistratura” e che in futuro il Ministro chiamerà “La Giustizia” perché la parola “magistratura” non gli piace. Primo, le carriere, separazione delle carriere, ecco perché fanno una norma costituzionale, perché la Costituzione stabilisce che i giudici si distinguono soltanto per funzioni e appartengono tutti quanti allo stesso ordine che poi è un potere dello Stato, indipendente, dice la Costituzione, autonomo da ogni altro potere, il che significa che tutta la Magistratura è un ordine che costituisce un potere dello Stato e tutta la Magistratura vuole dire: giudici e pubblici Ministeri, adesso invece le carriere verranno separate. La posizione costituzionale del giudice è differenziata da quella del PM, scrive Alfano, il giudice è un potere dello Stato, rimane un potere dello Stato, il PM non più, viene definito un ufficio regolato dalle norme dell’ordinamento giudiziario, quindi il PM non fa più parte della carriera dell’ordine giudiziario, diventa una specie di protesi delle forze dell’ ordine, le forze dell’ ordine vanno da lui e gli dicono: chiedimi l’arresto di questo, chiedimi l’intercettazione per questo, mettimi sotto inchiesta questo, autorizzami a pedinare questo e il PM obbedisce, altra cosa è il giudice che invece giudica.
Oggi per fortuna non è così, capita spessissimo che le forze dell’ ordine vogliono fare qualcosa e che il PM invece dica no, perché? Perché anche lui è impregnato di cultura dell’imparzialità, mica deve arrestare qualcuno pur che sia, deve far arrestare i colpevoli, non uno purché sia, l’abbiamo detto mille volte, il PM non è pagato a cottimo sugli arresti o sulle condanne, il PM deve cercare la verità, il giudice deve accertare la verità e quindi fanno un mestiere complementare, per questo devono stare nella stessa carriera, perché la verità viene fuori soltanto se PM e giudice hanno nella testa il concetto e il criterio e la bussola dell’imparzialità, le forze di Polizia non hanno questo dovere, le forze di Polizia, come sapete, fanno carriera in base alle statistiche e le statistiche sono tot retate, tot arresti, tot sequestri, poi vai a sapere se quelli che hai preso poi saranno condannati o meno, l’importante è che ne prendi tanti, addirittura arriviamo alle aberrazioni di certi ufficiali o dirigenti deviati che sequestrano più volte la stessa partita da droga o addirittura la fanno trovare, come è successo recentemente a certi alti ufficiali del Ros, perché? Perché devono impinguare le statistiche, il giudice e il PM non c’entrano con questo modo di operare.
Adesso il PM è sganciato dalla cultura dell’imparzialità e della verità che diventerà solo del giudice, sarà una longa manus delle forze dell’ ordine, quelle chiedono e lui concede come un jukebox delle forze di Polizia e questo a tutto danno delle garanzie dei cittadini, naturalmente, perché bisognerà aspettare il giudice che arriva molto dopo per rimediare agli errori che faranno insieme le forze di Polizia e il PM, mentre oggi è il PM il primo baluardo dei cittadini contro eventuali abusi delle forze dell’ ordine.
L’ufficio del PM e questo è il primo limite che viene messo ai poteri del PM, resta titolare dell’azione penale, spetta a lui aprire le indagini e chiedere il rinvio a giudizio, ci mancherebbe altro, ma dovrà esercitarla l’azione penale secondo le priorità indicate dalla legge, ecco cosa fanno, nella Costituzione scrivono che il PM deve rispettare le priorità indicate dalla legge, poi si fa una legge ordinaria, 50% più 1, in cui si dice che il PM deve dare priorità a certi reati rispetto a altri e indovinate un po’ a quali reati dovrà dare priorità il PM, oggi non deve dare priorità a niente, al massimo se ha troppo da fare dà priorità ai reati più gravi o a quelli commessi più di recente, visto che quelli più antichi rischiano di finire in prescrizione, se deve scegliere proprio, ma non c’è nessuna norma per cui tra una bancarotta e uno scippo è ovvio che dà priorità alla bancarotta, perché? Perché la bancarotta ha rubato a migliaia di cittadini milioni di Euro, mentre lo scippo, per quanto grave sia uno scippo, quanto può avere portato via alla vittima?
In futuro vedrete che avremo una legge che imporrà ai magistrati di dare priorità a scippi, furtarelli, reati di strada e di trascurare bancarotte, falsi in bilancio, corruzioni, concussioni, truffe, i reati che portano via i soldi dalle casse dello Stato o dal mondo della finanza ai danni dei cittadini e dei risparmiatori. Figuratevi questa maggioranza che stabilisce i reati prioritari, ma questi sono capaci di togliere pure la mafia, la camorra e l’‘ndrangheta dai reati prioritari, viste le rappresentanze di mafia, camorra e ‘ndrangheta nel governo e nella maggioranza.
Secondo limite al PM, anche la disponibilità della Polizia giudiziaria sarà rimessa alle modalità stabilite dalla legge, nella Costituzione scriveranno questo e poi faranno una legge a maggioranza semplice, 50% più 1, in cui si spiega che il PM non è più il dominus della Polizia giudiziaria, oggi la Polizia giudiziaria fa quello che le dice il PM, il PM dice “vai lì e loro vanno lì” indaga su quello e loro sono obbligati a indagare su quello, invece in futuro la Polizia giudiziaria sarà lasciata al controllo gerarchico che, di chi è? Del governo, la Guardia di Finanza risponde al Ministro Tremonti, la Polizia risponde al Ministro Maroni, interno, i Carabinieri rispondono al Ministro della Difesa, La Russa e dipenderanno dal governo e basta, quindi se il giudice dice: indagatemi un po’ su quella transazione finanziaria, su quella frode fiscale, loro diranno: no, dovranno fare quello che gli dice il governo, gli agenti di Polizia giudiziaria, pensate un po’ quando si tratterà di indagare su un ragazzo massacrato di botte in carcere o durante una manifestazione, casi è inutile che ne facciamo i nomi, li conosciamo tutti, ce ne sono sempre di più!
Quando la Polizia giudiziaria dovrà indagare su sé stessa, se non ci sarà un ordine preciso del Magistrato, con il cavolo che vado a indagare sul mio collega, o su un mio superiore, se ho un ordine del Magistrato lo faccio e sono protetto da quell’ordine, perché? Perché me l’ha chiesto lui, ma se non ho l’ordine del Magistrato e è una mia iniziativa indagare su un mio superiore, non lo faccio, perché? Perché mi stroncano la carriera, mi mandano a indagare sulle pecore in Sardegna o in Aspromonte! Avete capito la logica del separare le carriere e poi dello spolpare i poteri autonomi che garantiscono autonomia del Magistrato, PM e quindi diritti e equità ai cittadini.
Il Csm, è ovvio, separando i PM dai giudici come carriera separano anche il Csm, uno varrà per il PM e uno varrà per i giudici, così intanto spaccano un organismo unico, lo frazionano in due organismi che conteranno molto di meno, naturalmente, perché? Perché rappresenteranno meno gente e che, attenzione, non saranno più composti come dice l’attuale Costituzione per i 2/3 da magistrati e per 1/3 da eletti dal Parlamento, ma se ci va bene saranno eletti fifty-fifty metà dal Parlamento e metà dai magistrati, se ci va male e secondo me ci andrà male, è una legge di Murphy, con questa classe politica, se può andare peggio ci andrà, per 1/3 il Csm sarà formato da magistrati e per 2/3 da politici e lo chiamano organo di autogoverno della magistratura, un organo di autogoverno che in realtà ha la maggioranza di politici, immaginate cosa diventa il Csm, non un organo di garanzia e autogoverno della Magistratura, ma un plotone di esecuzione per punire i magistrati, chi? Quelli incapaci, quelli fannulloni? Quelli pigri? Quelli corrotti? Quelli collusi? No, quelli verranno promossi, verranno puniti quelli bravi, efficienti, in questi anni il Csm ha tradito il suo compito di difendere i magistrati onesti (vedi Forleo, De Magistris, i magistrati Nuzi, Verasani e Apicella di Salerno che avevano osato mettere il naso in certi santuari) e ha tradito nonostante una maggioranza che ancora è dei magistrati, figuratevi quando avranno la maggioranza i politici cosa non riusciranno a fare, probabilmente riusciranno anche a espugnare le procure di Milano e Palermo che per il momento non sono ancora riuscite, nonostante i tentativi a smantellare.
La fine della separazione dei poteri - Il Csm naturalmente non potrà più esprimere pareri sulle leggi vergogna che attengono una magistratura, lo potrà fare soltanto quando glielo chiede il Ministro e dato che il Ministro sa che un Csm degno di questo nome, non può che fare pareri negativi su leggi orrende, non chiederà i pareri al Csm e così non ci sarà neanche questo barlume di controllo sulle normative in materia di giustizia.
E poi tenetevi forte perché c’è un ingrassamento smodato da parte del Ministro della Giustizia, Alfano si dà un po’ di poteri in più, parecchi poteri in più e naturalmente li dà al Ministro, quindi i Ministri alla Giustizia avranno enormi poteri di interferenza sull’autonomia e indipendenza della magistratura, il Ministro della Giustizia riferirà annualmente alle Camere sullo stato della giustizia, sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine, pensate il Ministro della Giustizia, un politico di un partito della maggioranza, va ogni anno alle Camere e fa una relazione su come va la giustizia, su come viene esercitata l’azione penale, su chi i PM hanno chiesto di processare e chi no e sull’uso dei mezzi di indagine, andrà a ficcare il naso se il Magistrato ha usato le intercettazioni, ha usato i pedinamenti, le microspie, questo, quest’altro metodo di indagine, se non gli piace un’indagine, se non gli piace che si indaghi su qualcuno, il Ministro riferisce al Parlamento e il Parlamento alla fine cosa fa? Vota la relazione del Ministro, si mette ai voti in Parlamento l’esercizio dell’azione penale da parte delle Procure della Repubblica, il Parlamento ogni anno deve approvare o disapprovare le indagini della magistratura, pensate che aborto, abominio, mostruosità, dove va a finire la divisione dei poteri, il Parlamento vota sull’attività della Magistratura, oggi non lo potrebbe fare, perché? Perché le procure potrebbero sollevare un conflitto di attribuzioni tra i poteri dello Stato, visto che le procure non devono rispondere a altri, se non alla legge, figurarsi al Parlamento, alla maggioranza o al governo, in futuro le procure non saranno più un potere dello Stato, quindi non potranno più sollevare conflitto davanti alla Corte Costituzionale contro questi abomini, figuratevi il Magistrato come si sentirà intimidito dalla prospettiva che una sua indagine venga pubblicamente denunciata e bocciata dalla maggioranza parlamentare, avendo oltretutto dietro le spalle con il Csm che lo tutela, ma un plotone di esecuzione che lo può fucilare allo spalle, formato da una maggioranza di politici, quindi magistrati che facciano indagini scomode sul potere non se ne troveranno più, salvo kamikaze, aspiranti suicidi.
Il Ministro della giustizia diventa poi una figura che può presentare proposte e richieste al Csm, quindi addirittura partecipa alle riunioni del Csm e propone, concorre alla formazione dei giudici e dei PM, glielo insegna lui ai giudici e ai PM il mestiere di magistrato, glielo insegna il Ministro tramite opportuni insegnanti, potete immaginare quali, immaginate Alfano, Castelli, Mastella, Biondi, Mancuso, i vari Ministri che abbiamo avuto in questi anni, uno più indecente dell’altro, pensate quando potranno concorrere a formare i nuovi magistrati, che formazione tireranno fuori!
Ultimi due punti: ritorna la legge incostituzionale Pecorella, quella che aboliva l’appello del PM, sapete che nel 2005, Berlusconi temendo di perdere il suo processo d’appello, fece abolire l’appello dal suo Avvocato che è l’Avvocato Pecorella che anche il Presidente della Commissione Giustizia, si stabilì che, se tu vieni assolto o prescritto in primo grado e il PM fa appello non lo può più fare, per cui tu la prima volta ti è andata bene, vai a casa per sempre tranquillo e beato, se invece vieni condannato in primo grado, allora tu puoi fare appello e se perdi il processo e ti condannano anche in appello, puoi fare ricorso in Cassazione, il PM invece non può fare appello contro le assoluzioni e le prescrizioni e poi parlano di parità delle armi tra difesa e accusa nel processo penale, è incostituzionale questa porcata, la Corte l’ha bocciata, ha riconsentito anche ai PM, non solo agli imputati di fare appello e adesso la mettono nella Costituzione, una norma già dichiarata incostituzionale dalla Corte.
Infine si prevede anche la partecipazione del popolo all’amministrazione della giustizia, come? Con la nomina elettiva di magistrati onorari per le funzioni di PM, avremmo un po’ di PM eletti dal popolo, pensate che meraviglia, si faranno le campagne elettorali per l’elezione del PM, la Lega avrà il suo candidato, il Pdl avrà il suo candidato, il PD avrà il suo candidato, Di Pietro avrà il suo candidato, la Sinistra radicale, l’Udc avrà il suo candidato, chissà se riescono a trovare un candidato incensurato, pensate che meraviglia, le campagne elettorali per l’elezione del PM, dopodiché chi si farà mai indagare da un PM eletto in quota Lega, in quota Di Pietro, in quota Pdl, in quota PD, in quota Udc, pensate che casino, pensate un extracomunitario processato che si trova sul banco dell’accusa un PM eletto a Bergamo in una lista di PM leghisti, pensate come deve sentirsi sicuro, pensate se non ha il diritto di chiedere la legittima suspicione e il trasferimento a un’altra sede.
Questo per dirvi la gravità di quello che sta succedendo, non mi pare di avere notato grande indignazione in circolazione, ma del resto questo è un paese abituato a tutto, per cui questa porcheria viene spacciata per riforma della Giustizia.
Concludo con un appello, questa settimana Il Fatto Quotidiano ha pubblicato una notizia e cioè ha raccontato che l’ufficio stampa dell’Enel aveva mandato una strana comunicazione alla nostra concessionaria pubblicitaria e alla nostra amministrazione, in cui si diceva: visto che avete criticato il collocamento in borsa delle azioni dell’Enel Green Power, è un’operazione da 3 miliardi di Euro che ovviamente vengono chiesti ai risparmiatori, visto che Il Fatto ha criticato questa operazione, dicendo che non era proprio esente da critiche, mica abbiamo detto che è una truffa o cosa… abbiamo detto semplicemente che bisognava stare attenti visti certi precedenti, l’Enel farà in modo di non fare più pubblicità su Il Fatto Quotidiano, questa è stata la comunicazione, naturalmente non ce ne può fregare di meno, nel senso che già lo sappiamo che la nostra linea imparziale, soprattutto nelle pagine dell'economia e della politica, quelle più inquinate sugli altri giornali allontana gli inserzionisti pubblicitari, non li attira perché non siamo disponibili a fare soffietti e pompini in cambio di una pagina di pubblicità, cosa che invece fanno molti altri giornali che gli inserzionisti li attirano perché? Perché parlano sempre bene di loro.
Infatti poco abituati alle critiche dagli altri giornali i signori dell’Enel si sono molto meravigliati delle nostre critiche, evidentemente pensavano che dare qualche pagina di pubblicità ad Il Fatto quotidiano gli esentasse da critiche de Il Fatto Quotidiano all’Enel, si vede che sono abituati così con gli altri giornali, perché erano veramente stupefatti delle nostre critiche ma come, facciamo pubblicità su Il Fatto e voi ci criticate? Sì, certo, perché? Perché la pubblicità non serve a comprarsi un giornale, la pubblicità serve a promozionare un prodotto ai lettori di quel giornale, quindi tu inserzionista dovresti occuparti di un unico particolare, quel giornale vende? Vende copie a un numero sufficiente di persone che ci interessa raggiungere con il nostro messaggio promozionale? Se sì, facciamo la pubblicità e la paghiamo in proporzione alla diffusione di quel giornale, se no, non la facciamo, non ci deve essere altro retro pensiero, interesse, evidentemente non è così in Italia, infatti ci hanno detto che avrebbero fatto in modo di non farci più pubblicità, noi cosa abbiamo risposto? Fate come vi pare, evidentemente avevate sbagliato indirizzo, perché noi non siamo un giornale che rinuncia alle critiche quando sono meritate, soltanto perché il destinatario delle critiche ci ha dato qualche pagina di pubblicità, preferiamo restare senza pubblicità, ma continuare a informare i cittadini su quello che i grandi inserzionisti non vogliono far sapere, ma anche che gli altri giornali non fanno sapere per non perdere preziosi e lucrosi inserzionisti in un momento tra l’altro di crisi dell’editoria e della carta stampata e soprattutto a causa del tirar cinghia degli inserzionisti pubblicitari.
Lo dico perché in questi giorni abbiamo la campagna abbonamenti per la prima volta dopo un anno chiediamo ai nostri abbonati di rinnovare l’abbonati e a quelli che non lo sono di abbonarsi, di abbonarsi on line o di abbonarsi via coupon per poter avere ogni giorno il proprio giornale prenotato in edicola, visto che molto spesso, per fortuna, Il Fatto Quotidiano a una certa ora scompare perché tutti si sono comprati le copie disponibili, se andate sul sito ilfattoquotidiano.it trovate i dettagli per la campagna abbonamenti e per il rinnovo degli abbonamenti, sappiate che con 100 Euro o poco più, vi portate a casa per un altro anno un giornale che da questo punto di vista siete sicuri che non bara, perché quando riceve questi strani messaggi degli inserzionisti pubblicitari, invece di risolvere la questione in separata sede, come avrebbero fatto molti altri o invece di dire: abbiamo un’inchiesta sull’Enel, che facciamo la pubblichiamo oppure ci date pubblicità perché anche questo succede e casi recenti ci hanno fatto capire che uso viene fatto di certe informazioni sensibili, noi cosa abbiamo fatto? Massima trasparenza, abbiamo immediatamente messo sul giornale quello che stava succedendo tra Il Fatto e l’Enel, una critica e l’Enel toglie la pubblicità, abbiamo anche raccontato i precedenti perché molti altri giornalisti che hanno osato toccare certi santuari, hanno provocato l’immediato ritiro della pubblicità ai loro giornali e così questi giornalisti sono diventati non solo dei nemici degli inserzionisti, ma anche dei pericoli pubblici per il loro editore che ha perso dei grossi introiti, a Il Fatto Quotidiano si fanno molti errori, siamo un giornale piccolo, giovane, minorenne, direi, ma non si fanno scherzi e non si fanno truffe, per cui ci date la pubblicità? Continueremo a scrivere di voi quello che pensiamo, non ce la date? Liberissimi, ce la togliete subito dopo che vi abbiamo criticati? Vi mettiamo sul giornale perché deve essere tutto trasparente, soprattutto in un giornale che ha un solo padrone, il lettore, non l’inserzionista e non lo Stato visto che siamo anche uno dei pochi giornali in Italia, direi quasi l’unico che non prende un quattrino dalla Presidenza del Consiglio e forse si vede!
Non prendendo un quattrino dalla Presidenza del Consiglio non abbiamo motivi di riconoscenza nei confronti della Presidenza del Consiglio e non abbiamo paura che ci taglino i fondi, perché? Semplicemente perché non li abbiamo mai voluti, passate parola e se potete abbonatevi, buona settimana!"

Marco Travaglio (Passaparola del 25 ottobre 2010)

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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