"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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venerdì 30 marzo 2012

Monti e l'Italia in offerta speciale

PECHINO - Mario Monti atterra a Pechino e in Italia si moltiplicano gli elenchi di ciò che il nostro Paese offre in saldo alla Cina. E' bastata una presunta battuta di Hu Jintao a Seul, "dirò di investire in Italia", perché esplodesse un'offerta infinita di imprese, infrastrutture e prodotti finanziari nostrani pronti a gettarsi nelle braccia del Dragone. A Pechino però nessuno conferma che l'invito del presidente cinese, in ogni caso una vaga formula di cortesia, sia mai stato effettivamente pronunciato. In attesa di chiarire il mistero, quando nelle prossime ore Monti incontrerà il premier Wen Jiabao e il suo vice Li Keqiang, affinché le relazioni economiche Italia-Cina si approfondiscano realmente, può essere utile uscire da annosi equivoci.

Alcune domande, visto che qualcuno è arrivato al punto di ammonire che adesso "tocca all'Italia meritarsi i cinesi" sono d'obbligo. Ammesso che Pechino voglia accendere il semaforo verde sull'Italia, questo significa che fino ad oggi Hu Jintao e il vertici del partito comunista cinese hanno vietato di investire nel Bel Paese? Per quale ragione? In Europa c'è realmente qualcuno convinto che nella Cina di oggi il segretario del partito fondato da Mao abbia il potere di indirizzare con una parola il flusso dei capitali, pubblici e privati, destinati all'estero?

Nell'autunno 2011, quando già in Italia si esultò per presunti investimenti cinesi, mai avvenuti, Pechino ebbe modo di chiarire la sua idea di "sbarco in Italia": l'interesse esiste per il business, per fare affari, non per prestare denaro a fondo perduto, gonfiandosi di imprese decotte e titoli di stato non remunerativi. Tradotto: la Cina è disponibile, verso l'Italia come verso qualunque altra nazione, ma la logica è investire denaro per guadagnarne di più, non per salvare l'Occidente a proprie spese. Se così è, resta da capire per quale ragione il capitalismo democratico italiano, che non perde occasione per autocertificarsi liberista, debba esultare se il leader di Pechino, ricorrendo alla forza del vecchio statalismo autoritario di un partito comunista, dichiara di voler imporre investimenti nel nostro Paese.

Perché se il Dragone spendesse in Italia, facendo incetta di porti, autostrade, compagnie aeree, ferrovie, banche, buoni del tesoro, aziende hi-tech e brevetti, lo farebbe a tre condizioni: assicurarsi il controllo dei beni acquisiti, attingere da essi tecnologia e poterli gestire secondo il sistema cinese. Per l'Italia ai saldi di fine stagione, questo equivarrebbe consegnare i gioielli di famiglia non tanto alla seconda economia del mondo, ma alla più forte economia socialista, ossia di Stato, della storia. Davvero gli imprenditori e i partiti italiani non vedono l'ora di trasformarsi in un micro-ingranaggio della differenziazione cinese, per essere amministrati come gli altri vecchi carrozzoni pubblici (a partire dalle banche) che sono la palla al piede della prima frenata della crescita di Pechino?

Mentre Mario Monti si appresta a iniziare la visita più importante e difficile del suo tour asiatico, è opportuno ricordare che i tecnocrati della Cina non sono affatto ingenui: non regaleranno nulla, rischiando una rivolta popolare nell'anno della decennale transizione del potere, e sanno bene che se gli affari proposti da Roma fossero tanto convenienti, qualcun altro li avrebbe già fatti. Pechino ha interesse nella stabilità dell'euro e nella ripresa europea, ossia nei suoi consumi, per rilanciare il proprio export. Illudersi che a questi interessi nazionali si sia aggiunta un'inedita filantropia esterofila, e in particolare che questa possa attingere ai 550 miliardi di euro a disposizione del fondo sovrano cinese, potrebbe indurre per l'ennesima volta un gelido risveglio.

Fino a poche settimane fa Roma e Bruxelles dichiaravano che l'euro e i bilanci statali della Ue dovevano "essere salvati dall'Europa e dagli Stati nazionali": cos'è cambiato nel frattempo? Dare all'Asia l'impressione che senza l'intervento delle sue potenze, dalla Corea del Sud, al Giappone e alla Cina, la zona euro non ce la fa, potrebbe essere assai pericoloso. Alle questioni di opportunità economica e finanziaria, si aggiunge infine un quesito politico. Il premier italiano approda a Pechino con l'intenzione di affrontare con gli interlocutori cinesi anche i problemi legati al rispetto dei diritti umani, alla libertà di espressione e alla repressione del dissenso, alla colonizzazione del Tibet e allo sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche? Un premo Nobel per la pace, Lia Xiaobo, langue in carcere e nell'ultimo anno trenta monaci tibetani si sono dati alle fiamme: sono temi all'altezza di una visita ufficiale, pur di taglio economico, oppure l'agenda politica dei valori maggioritari nella popolazione e nei partiti italiani, è ormai esclusa dalle relazioni tra i governi? Gli investimenti della Cina in Italia, che in un quadro di chiarezza ognuno si augura, non sono un auspicio finanziario astratto: significano l'ingresso di Pechino nella vita degli italiani, con tutto ciò che questo comporta anche in termini politici e sociali. Mario Monti, tutto questo, lo sa bene: è la ragione per cui in Cina nessuno si aspetta che si limiti a presentare la lista di un'Italia da battere all'asta per chi offre di più.

GIAMPAOLO VISETTI (La Repubblica - 30 marzo 2012)


Mario Monti scrive sulle polemiche dopo il suo intervento: i partiti dimostrano senso di responsabilità. Italiani maturi

Mario Monti scrive sulle polemiche dopo il suo intervento: i partiti dimostrano senso di responsabilità. Italiani maturi.

"Caro Direttore,

vedo solo ora che alcune considerazioni da me fatte in una conferenza tenuta l'altro ieri a Tokyo presso il giornale Nikkei hanno suscitato vive reazioni in Italia. Ne sono molto rammaricato, tanto più che quelle considerazioni, espresse nel corso di un lungo intervento in inglese, avevano l'obiettivo opposto a quello che, fuori dal contesto, è stato loro attribuito. Volevano infatti sottolineare che, pur in una fase difficile, le forze politiche italiane si dimostrano vitali e capaci di guardare all'interesse del Paese.

La mia visita in Corea, Giappone e Cina ha lo scopo di spiegare ai governi e agli investitori asiatici ciò che l'Italia sta facendo per diventare più competitiva, anche nell'attrarre investimenti esteri.

Comincia a diffondersi l'apprezzamento per ciò che il nostro Paese ha saputo fare in pochi mesi in termini di riduzione del disavanzo, riforma delle pensioni, liberalizzazioni.

Ma restano una riserva, una percezione errata, un forte dubbio. La riserva, comprensibile, riguarda il mercato del lavoro. Con quali tempi il Parlamento approverà la riforma proposta dal governo? La sua portata riformatrice verrà mantenuta sostanzialmente integra o verrà diluita? La percezione errata è quella che porta ad attribuire essenzialmente al governo («tecnico») il merito dei rapidi cambiamenti in corso. Il forte dubbio discende da quella percezione: è il dubbio che il nuovo corso possa essere abbandonato quando, dopo le elezioni parlamentari, torneranno governi «politici».

Finché la percezione errata e il dubbio non saranno dissipati, la fase attuale verrà considerata come una interessante «parentesi», degna forse di qualche investimento finanziario a breve termine. Ma le imprese straniere, come del resto quelle italiane, saranno riluttanti a considerare l'Italia un luogo conveniente nel quale investire e creare occupazione.

Non è facile modificare le opinioni su questi due punti. Ma credo sia dovere del presidente del Consiglio cercare di farlo con ogni interlocutore. Gli argomenti che ho utilizzato a Tokyo, riportati correttamente dai corrispondenti italiani presenti, ma «letti» in Italia fuori contesto, sono stati i seguenti.

Se da qualche mese l'Italia ha imboccato risolutamente la via delle riforme, lo si deve in parte al governo, ma in larga parte al senso di responsabilità delle forze politiche che, pure caratterizzate da forti divergenze programmatiche, hanno saputo dare priorità, in una fase di emergenza, all'interesse generale del Paese.

E lo si deve anche alla grande maturità degli italiani, che hanno mostrato di comprendere che vale la pena di sopportare sacrifici rilevanti, purché distribuiti con equità, per evitare il declino dell'Italia o, peggio, una sorte simile a quella della Grecia.

E dopo le elezioni? Certo, torneranno governi «politici», come è naturale (perfino in Giappone, ho dichiarato che il sottoscritto sparirà e che il «montismo» non esiste!). Ma ritengo che ciò non debba essere visto come un rischio.

Le forze politiche sono impegnate in una profonda riflessione al loro interno e, in dialogo tra loro, lavorano a importanti riforme per rendere il sistema politico e istituzionale meno pesante e più funzionale.

Ho anche espresso la convinzione che il comportamento delle forze politiche dopo questo periodo, del quale le maggiori di esse sono comunque protagoniste decisive nel sostenere il governo e nell'orientarne le scelte, non sarà quello di prima. Infatti, stiamo constatando - anche i partiti - che gli italiani sono più consapevoli di quanto si ritenesse, sono pronti a esprimere consenso a chi si sforzi di spiegare la reale situazione del Paese e chieda loro di contribuire a migliorarla.

«La mia fiduciosa speranza - ho detto a Tokyo - è che questo sia un anno di trasformazione per il Paese, non solo sul fronte del consolidamento di bilancio, per la crescita e per l'occupazione, ma anche perché i partiti politici stanno vedendo che gli italiani sono molto più maturi di quello che pensavamo: la gente sembra apprezzare un modo moderato e non gridato di affrontare i problemi». A sostegno di questa tesi, fiduciosa nella politica e indispensabile per dare fiducia nell'Italia a chi deve aiutarci con gli investimenti, a offrire lavoro ai nostri giovani, ho ricordato che, per quel che valgono, i sondaggi sembrano finora rivelare un buon consenso al governo, che pure è costretto a scelte finora considerate impopolari.

In questo modo mi sto impegnando per presentare, a una parte sempre più decisiva dell'economia globale, un'Italia che si sta trasformando, grazie all'impegno di politici, «tecnici» e, soprattutto, cittadini. Trasformazione che proseguirà anche dopo il ritorno a un assetto più normale della vita politica.

Mario Monti 30 marzo 2012"

Corriere della Sera (30 marzo 2012)


giovedì 29 marzo 2012

Partito «tecnico»

Questo governo sta godendo di un alto consenso nei sondaggi, i partiti no»: così ha detto Monti. Non ci sembra un’uscita felice: mostra una vanità poco gestita da parte di chi ci sta governando per volontà dei partiti, in primo luogo. Poi, si incarica di fratturare la scena dell’esercizio del potere tenendo con ingenuità a battesimo una soggettività «politica» – quella dei «tecnici» – che entra ora in competizione con la forma partito. Così, consegna alla dimensione dei «tecnici» un «cappottino» partitico tuttavia svincolato dalla bassa popolarità di cui in questo frangente tutti i partiti soffrono. Apre o no la frase di Monti un buco nero istituzionale e costituzionale? Mentre il governo «tecnico» si impunta sull’articolo 18 che al paese garantisce l’incremento del tasso di disperazione tra i molti ai quali, con poco equilibrio, lo stesso governo ha imposto di pagare la crisi. Calma, si può far meglio.

Nanerottoli di Toni Jop (L'unità - 29 marzo 2012)

Vorrei scrivere come Curzio Maltese

Non ho mai nascosto, scrivendo su questo e sull'altro blog, la mia passione per il giornalismo e per la comunicazione in generale. Fin da adolescente, invece di Topolino o Capitan Miki oppure dell'Intrepido o dei Fantastici Quattro, amavo leggere il Corriere della Sera e La Repubblica, L'Europeo e L'Espresso, La Stampa e Il Manifesto. I miei compagni dell'epoca mi guardavano tra lo scettico e il compassionevole, ma alla fine a me poco importava: l'importante era esaudire la mia famelica richiesta di lettura, ovviamente comprensiva di libri e fumetti. Da circa sei anni ho soddisfatto anche il mio ego, facendo vedere la luce ai miei blog, postando la bellezza di più di millesettecento articoli. Ma mai come l'altro giorno, lunedì 5 settembre, avrei voluto scrivere un pezzo come quello scritto da uno dei miei giornalisti preferiti, quel Curzio Maltese da me già citato in passato in altri post. L'articolo di Maltese, dedicato come sempre al Cavalier Pompetta alias Silvio Berlusconi, è secondo me da leggere tutto d'un fiato, un pò come si fa con un buon bicchiere di centerbe o di rhum: una sorta di schioppettata all'anima e al cervello, una splendida esortazione a riflettere e a capire come e chi ci sta portando alla rovina. Un ulteriore e sollecito invito, agli italiani e a tutti gli uomini di buona volontà, a svegliarsi una buona volta e a far sì che il nostro Paese venga al più presto deberlusconizzato. Per chi se lo fosse perso (spero vivamente non la maggioranza degli italiani) ripropongo integralmente ai miei lettori l'articolo di Curzio Maltese, dal titolo Il bancomat del ricatto. Buona lettura.
Agli insegnanti, agli operai, agli impiegati e ai pensionati che sopravvivono sul filo dei millecinquecento euro al mese farà certo piacere apprendere che il capo del Governo è stato per tutti questi anni un bancomat.
Un bancomat sempre aperto a una nutrita corte dei miracoli composta da prostitute e magnaccia, spacciatori, mafiosi, politici voltagabbana, faccendieri, sfaccendati e soprattutto sfaccendate.
Bastava inserire la carta di credito del ricatto e uscivano dalle casse del premier decine e centinaia di migliaia, milioni di euro. In cambio di nulla, si capisce, nè sesso, nè droga, nè voti. Per pura bontà di "papi" e ora "zio Silvio" che si descrive "fatto così, incapace di dire no a chi ha bisogno". Un benefattore, insomma. Sia pure soltanto per alcune curiose categorie. Mai una vecchina, un barbone, un orfano, un disoccupato, un terremotato, un bambino africano. Del resto quale uomo, di fronte alle fotografie delle Olgettine, ormai diffuse su tutti i giornali del mondo, non verrebbe mosso a compassione? Quale cuore di pietra, davanti alle difficoltà dei coniugi Tarantini o di un Lavitola, di Lele Mora e di Emilio Fede, incarnazioni stesse della fame nel mondo, non porterebbe la mano al portafogli? Per non parlare del partito dei responsabili capeggiato da Scilipoti, nei confronti del quale non è provata alcuna "liberalità", ma soltanto presunta. Da tutti.
I soldi per Berlusconi non sono mai stati un problema, a differenza che per qualche decina di milioni di connazionali. Gli sono piovuti dal cielo in valigioni fin dal principio della parabola, come nella celebre scena de Il Caimano. Ma la contabilità della vergogna certificata dalle intercettazioni, il bancomat del Cavaliere, pone alcune gravi questioni politiche e personali. Che nel suo caso, sono la stessa cosa.
Siamo anzitutto di fronte a un uomo disperato, braccato da un presente e da un passato inconfessabili, costretto a comprarsi ogni volta, da anni e quasi ogni giorno, una storia presentabile, oltre a tutto il resto. Amore, amicizia, fedeltà, ammirazione, onore. Aveva cominciato presto, fin dai tempi dello stalliere di Arcore, a comprarsi l'amico stalliere Mangano e gli amici dell'amico. Ma il precipizio degli ultimi anni è impressionante. Il gran seduttore di donne è ridotto a pagare centinaia di migliaia di euro per condurre alle sue "cene eleganti" torme di ragazze che lo disprezzano e poi moltiplicano le richieste non appena vengono convocate come testi dai magistrati. Il mitico capo, oggetto di culto delle masse, potentissimo e senza paure, è costretto a cedere alle richieste milionarie di un peracottaro come Lele Mora, con il devoto Emilio Fede a fare la cresta. Non può negarsi al telefono e neppure alle pressanti richieste di quattrini da parte di personaggi come Tarantini e Lavitola, che sembrano usciti da un cinepanettone andato a male. Il leader che doveva guidare la sesta potenza economica del pianeta verso un nuovo boom economico trascorre le giornata di qua e di là, con il libretto d'assegni in mano, per tappare le falle e le balle di un potere fondato sulla falsificazione quotidiana.
Sarebbe tutta da ridere, come fa la stampa internazionale, se non fosse il nostro quel Paese guidato da questo ricchissimo poveruomo. Se non toccasse a lui, per ironia della storia, chiedere oggi agli italiani di fare i sacrifici, stringere la cinghia, contare l'euro per la fine del mese. Al termine della storia Berlusconi, come tutti i personaggi del genere, non trova di meglio che offendere un Paese cui deve tanto, troppo. L'ultimo Mussolini scriveva che governare l'Italia non è difficile, ma inutile. Berlusconi consegna attraverso le intercettazioni il suo slogan finale, "via da questo Paese di merda". Magari su qualche cosa avrà pure ragione. Ma se prendesse tutta la sua corte dei miracoli di puttane e giornalisti, voltagabbana e spacciatori, e se ne andasse via davvero, potrebbe migliorarlo questo Paese. Sarebbe per lui la prima volta.

tpi-back (10 settembre 2011)

martedì 27 marzo 2012

Una legge sui crac personali: ecco il piano salva-famiglie

Il Consiglio dei ministri approva un disegno di legge che regola, per la prima volta nella storia del Paese, il caso di bancarotta individuale. Il debitore meritevole, che abbia acceso un mutuo o un prestito in linea con il suo reddito del momento, non sarà più condannato alla morte civile, non sarà più un pignorato per la vita.

"Il giudice - spiega il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Zoppini, padre del provvedimento - potrà guidare questo debitore verso una ristrutturazione ragionata della sua esposizione. Noi non vogliamo certo incoraggiare la corsa ai debiti. Non vogliamo neanche che una persona perda per sempre il diritto al consumo solo perché si è ammalata, ha divorziato, ha perso il posto di lavoro".

Il disegno di legge, che modifica la legge sull'usura del gennaio 2012, salvaguardia creditori speciali (come una ex moglie che riceve gli alimenti) e non autorizza la cancellazione dei debiti verso lo Stato, ma solo la rateizzazione. Ma alla fine di un percorso complesso, saldate una parte delle proprie obbligazioni, il consumatore potrà beneficiare della cancellazione di tutti i suoi debiti e "godere - spiega Zoppini - di una seconda possibilità"

LA COMPOSIZIONE - Progetto di rientro attendibile e il giudice zittisce i creditori

Il disegno di legge prevede una prima ciambella di salvataggio per il consumatore sopraffatto dai debiti: la "Composizione". La persona in affanno ha il diritto di rivolgersi agli "Organismi di composizione della crisi" che funzioneranno da consulenti gratuiti. Con la loro assistenza, il debitore potrà preparare un "piano di ristrutturazione" del suo ammanco, dove spiegherà quanto può realisticamente rimborsare e in che modo.

Per soddisfare le richieste dei suoi creditori, il debitore potrà offrire beni di cui sia proprietario o che immagina di avere in futuro (per una liquidazione, un'eredità). Questo piano andrà poi all'esame del giudice, che dirà se sia realistico ed esente da frodi. A quel punto il giudice potrà "omologare" il piano e imporlo all'intera platea dei creditori.

L'omologazione sospende ogni iniziativa ai danni del debitore, i cui beni non potranno essere pignorati. Se il debitore rispetterà i termini del piano, il suo debito totale sarà cancellato (anche se i creditori hanno recuperato una parte di quanto loro spettava). Il giudice dovrà tutelare creditori "speciali" (ad esempio la ex moglie destinataria di alimenti) e verificare che questo percorso sia più conveniente rispetto all'altra strada che lo stesso disegno di legge prevede: la liquidazione.

LA LIQUIDAZIONE - Tutti i beni liquidati senza spese. Sconti a senza lavoro e divorziati

Una persona potrebbe avere tanti debiti, ma disporre anche di proprietà che permettano di fronteggiare - almeno in parte - la situazione di emergenza. Questo intero monte di proprietà potrà essere consegnato ad un liquidatore che lo metterà in vendita. La liquidazione sarà accelerata e non comporterà costi per la persona in rosso.

Il percorso - come quello alternativo della "Composizione" - potrebbe saldare solo una fetta dei debiti. Quella che resta fuori diventa, in ogni caso, inesigibile. Nel caso della liquidazione come anche della "Composizione", il giudice valuterà la "meritevolezza" del debitore.

In altre parole, le ciambelle di salvataggio arriveranno se il debitore dimostrerà di aver contratto debiti ragionevoli rispetto al reddito del momento. "Nessun aiuto ai furbi che hanno preso la Ferrari con uno stipendio da impiegato - dice il sottosegretario Zoppini, padre del provvedimento - ma nessuna condanna a vita per chi ha preso un televisore a rate o una Panda quando aveva un lavoro regolare". Nel valutare la "meritevolezza" del debitore, il giudice terrà conto di circostanze straordinarie che ne hanno compromesso intanto le entrate, dalla malattia al licenziamento, fino al divorzio.

GLI ALTRI PAESI - Berlino all'avanguardia. In Svezia c'è l'Authority

Convinti che l'ammanco personale sia figlio del demonio, i legislatori italiani non hanno mai preso in esame la riabilitazione della persona sopraffatta - suo malgrado e in buona fede - dai debiti. E così l'Italia resta l'unico Paese dell'Ue a non disciplinare la crisi da "sovraindebitamento" (insieme alla piccola Ungheria).

Nelle altre nazioni, la legge esiste e si basa su due idee. Primo: chi è andato in rosso può meritare una nuova occasione e, dunque, va restituito alla vita civile e al consumo. Secondo: i creditori rischiano di restare a bocca asciutta se uno solo di loro, più veloce e scaltro, ottiene un pignoramento e si porta via gli ultimi averi del debitore. Anche i creditori, quindi, vanno protetti.

In Svezia, il consumatore in difficoltà presenta un "Piano di rientro" ad una Autorità indipendente che accoglie il 60% delle proposte ogni anno. La Germania richiede l'accordo della maggioranza dei creditori e nega il "salvataggio" del consumatore quando la gran parte dei debiti sia stata accesa nell'ultimo anno. La Danimarca - in base alle Legge Fallimentare del 2005 - considera decisiva la "meritevolezza" del debitore: se ha acceso il mutuo quando aveva un posto stabile, e poi lo ha perso, non può essere consegnato alla "morte civile".

I DEBITI DEGLI ITALIANI - Per cancellare il deficit 13 mesi senza spendere

Il 27,7 per cento delle famiglie italiane è indebitato. Un "rosso" che la Banca d'Italia stima in 43 mila 792 euro, di media. "Per cancellarlo - calcola ora il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Zoppini - gli italiani dovrebbero mettere da parte ogni singolo euro guadagnato per 13 mesi di fila". Una utopia. Il debito, però, non è sempre sinonimo di povertà, anzi. Spesso persone dai redditi medio-alti, e qualche proprietà alle spalle, accendono mutui importanti per comprare un'abitazione. L'11,4 per cento dei nuclei familiari deve rimborsare, appunto, mutui o prestiti per la ristrutturazione di immobili; mentre il 12,4 e il 5,6% ricorre a finanziamenti tramite carta di credito e allo scoperto di conto corrente.

Ci sono le banche (ammesso che prestino ancora dei soldi). Ci sono le società finanziarie e, purtroppo, anche gli usurai. Ma uno "sportello" informale di finanziamento è rappresentato da amici e parenti, alla cui porta bussa il 2,6% delle famiglie.

Gli italiani vulnerabili, quelli che devono spendere oltre il 30 del reddito annuo per ripagare il debito, sono l'11,1% di quelli indebitati. La vulnerabilità attecchisce nei nuclei con entrate modeste. Riguarda il 37,9% delle famiglie più in basso nella scala delle entrate, contro il 2,2% dei ricchi.

ALDO FONTANAROSA (La Repubblica - 27 marzo 2012)


lunedì 26 marzo 2012

Dio non ha mai creato questo mondo

Osho Rajneesh (11 dicembre 1931-19 gennaio 1990), mistico ‘sui generis’, provocatorio, immediato, non contrario verso le attitudini sessuali. Criticò le religioni organizzate: ‘sistemi di potere che nascondono la verità sull’illuminazione‘. Nel 1981 si trasferì nell’Oregon, dove i suoi seguaci fondarono una comune (65.000 acri), che ebbe un grande seguito. Nel 1985 fu arrestato e condannato a dieci anni di carcere, sospesi con la condizionale, ed espulso dagli Stati Uniti. Osho lo considerò un complotto da parte dei fondamentalisti cristiani. Scrisse anche che i servizi segreti, gli somministrarono, durante la prigionia, del cibo avvelenato che lentamente lo portò alla morte.

Osho: “Per prima cosa, sarai sorpreso di sapere che Dio non ha mai creato questo mondo. Esso è la tua creazione. Dio ha creato un mondo, ma non quello che conosci tu. Egli non ha affatto creato questo mondo in cui esistono Richard Nixon, il Vietnam, Adolf Hitler e Mussolini, il fascismo e il comunismo, Stalin e Mao. Dio non ha creato questo mondo pieno di miseria nel quale la gente è avida, accaparratrice; questo mondo in cui la vita è così orribile, senza amore; dove la gente non fa che competere, lottare, scontrarsi con estrema violenza… Questo mondo non l’ha creato Dio: questo è il tuo mondo! Dio ti ha creato in quanto libertà. Naturalmente, nella libertà è implicito l’opposto. Puoi fare il bene o il male, a secondo della tua scelta. Dio ha donato a tutti la libertà di scelta.

Questo è il tormento e l’estasi dell’uomo. L’estasi perchè l’uomo è libero. Non riesci a vederlo? Un albero non è libero; un cespuglio di rose è un cespuglio di rose: tutto ciò che gli accade è già predestinato. Ecco perchè dico: nulla può essere paragonato alla bellezza dell’uomo. Tutti sono totalmente liberi, e le scelte possibili sono tantissime. L’uomo è un arcobaleno, composto da tutti i colori. Egli non è predestinato. Ecco perchè, usando la nostra libertà, abbiamo creato questo mondo; la responsabilità è nostra. Egli ti ha dato corda a sufficienza… Puoi andare fuori strada, ma puoi anche tornare indietro. Questo mondo esiste grazie alla possibilità di perdersi… E’ possibile imprimere al mondo un cambiamento radicale; una volta trasformata la nostra consapevolezza, questo mondo può essere totalmente diverso”.

Franco Battiato (Il Fatto Quotidiano - 26 marzo 2012)

Lucio Dalla prevede il XXI secolo (incontro a Catania, primavera 1997)

Lucio Dalla, salendo sulle strade dell'Etna, conduce la vecchia Jaguar come i Malavoglia, residenti della vicina Aci Trezza, conducevano la loro barca, la Provvidenza: sbandate improvvise, colpi di timone, sguardo all'orizzonte. Guidano meglio i piloti delle sue canzoni (Nuvolari, Senna), ma non ho il coraggio di dirglielo. Lucio Dalla, oltrettutto, ha due attenuanti: guida di notte con gli occhiali da sole; e si e' guadagnato il mio rispetto. Per ore, in una traversa della via Etnea, ha riempito la «valigia del Duemila» messagli davanti dal Corriere . Non so se l'abbia fatto volentieri. Dalla e', per temperamento e per cultura, un impasto tra Eraclito, Hegel e un imprenditore New Age: lo spettacolo di cosa succede lo affascina; le esclusioni lo infastidiscono. Se fosse San Pietro e gli venisse affidata la direzione del traffico in occasione del giudizio universale, darebbe una mano a tutti. Se lavorasse a un casello autostradale, alzerebbe le sbarra, e andrebbe a pescare.

••••

La conversazione si svolge su un dondolo, in un cortile stretto tra case alte. Di fronte a noi un muro rosa, chiazzato di umidita' e insidiato dai rampicanti. La' dove un geometra vedrebbe alti costi di manutenzione, Lucio Dalla vede «un quadro di Burri». Lo scirocco non lo infastidisce; la luce che scompare, lo entusiasma: «Il mondo si mette a posto da solo, con l'arrivo della sera». Il che e' vero, soprattutto in Sicilia, ma rende piu' difficile un'intervista come questa, dove occorre essere piu' manichei che poeti, piu' giustizialisti che giusti, piu' intellettualmente vendicativi che umanamente comprensivi. Ma Dalla non ne vuole sapere. Vestito alla Dalla (piedi nudi, calzoni corti, maglietta larga), con gli amici nella stanza accanto, con un disco (Canzoni) che ha venduto un milione e trecentomila copie e una tournee' imminente (partenza il 9 agosto dal porto di Marsala), Lucio Dalla guarda questo muro di Catania, e ha l'aria di essere in pace col mondo.

Sto per rassegnarmi. Quando, d'improvviso, benvenuto come un refolo di vento fresco che non t'aspetti, un accenno polemico. «La gente non si rende conto che sta finendo il millennio», dice. «Ne parla, si'. Ma non se ne rende conto. Manca la componente ansiogena positiva. Peccato. Sara' come arrivare a Natale senza accorgersene. E diciamocelo: quel che conta e' la vigilia. Non c'e' niente di piu' noioso del giorno di Natale». Ecco, ci siamo: un attacco alla religione? Nemmeno per sogno. Lucio Dalla sostiene che un personaggio che transitera' trionfalmente nel prossimo millennio e' Gesu' Cristo. «Si e' circondato di gente che contava talmente poco da non esistere nemmeno. Qualche poveraccio. Una ex-puttana. Un pescatore, che probabilmente gli puzzavano anche i piedi. Cristo ha saputo essere anacronistico, ha creato codici nuovi. Come lui, San Francesco: massmediologi assoluti, uomini che avevano capito tutto.»

Lucio Dalla si ferma, si rannicchia sul dondolo, guarda ancora il muro di Catania, saluta gli amici di Cattolica, da' consigli al cantante di Fano (Armando Dolci), riverisce il signor Pippo, proprietario della sala d'incisione. «Sopravviveranno alla fine della civilta' della parola - dice - quelli che hanno inventato qualcosa, invece di copiarlo: i tragici greci, Shakespeare. E quelli che, in tutte le epoche, hanno fiutato il cambiamento. In Italia, recentemente, Calvino e Pasolini. In centroeuropa, Kafka, Thomas Mann. Musil no: troppo classico. Robert Walser, quello della Passeggiata , si', invece. Il protagonista cammina e capisce che, dietro quell'apparente tranquillita', sta per saltare tutto in aria. Sapevi che quel libro mi ha ispirato L'anno che verra'? ».

No, non sapevo che lo svizzero Walser avesse ispirato al bolognese Dalla L'anno che verra'. Sapevo, pero', che Lucio Dalla ha sempre masticato il futuro (Cosa sara', Telefonami tra vent'anni, Futura ): ecco perche' sono qui. Annuisce. «Futura l'ho scritta dopo una visita a Berlino. Credo fosse il 1979. Berlino ovest era tutta una luce, Berlino est tutta buia. Sono andato al Check-Point Charlie. Mi sono fermato a guardare. Poi e' arrivato un taxi. Dentro c'era Phil Collins dei Genesis, che erano in citta'. E' sceso, e si e' messo anche lui a guardare, senza dire niente. Non sono andato a parlargli, anche se mi sarebbe piaciuto. Perche' non avrei sopportato che, in quel momento, qualcuno fosse venuto a parlare con me.

Mentre lo tento con la valigia aperta - voglio nomi, voglio condanne impietose e promozioni rapide: sono o non sono un giornalista? - Lucio Dalla continua a rifinire il concetto di partenza, come uno scultore che non sa abbandonare la sua statua. «Diciamo che mi piacciono le palle che rimbalzano da una parete all'altra. Mi piace la gente che e' aperta al cambiamento. Mi piacciono i siciliani e i napoletani. Mi piace Ruggiero IIº e mi piace Spielberg: e' furbo, attento e poetico. Mi piaceTerminator 2 : resistera'. Rossellini e Fellini? Avranno qualche difficolta'. Chi capira' il termine "paparazzi", tra vent'anni? Ammiro invece Roberto Roversi: nel 1974 aveva gia' capito come sarebbe stato il "motore del 2000"». (A proposito di motori: promossi al terzo millennio sia Nuvolari che Senna, ma forse piu' Senna di Nuvolari).

Sulla musica, Dalla ha qualche incertezza in piu': forse la frequenta troppo. Non e' disposto, pero', a giurare sulla longevita' del melodramma («Un po' fumettistico»), ne' in quella del blues («Un po' retorico»). Ha qualche dubbio su Elvis Presley e sui Beatles («L'altro giorno ho comprato un loro disco, e mi e' sembrato un po' ridicolo»), e ha molti dubbi sul marketing musicale del passato prossimo («Una follia.»). Promuove invece Pavarotti (ma non vale, sono amici) e promuove Franco Battiato (sono amici e vicini di casa, ma vale lo stesso. Dalla lo considera un genio, e ama i suoi costumi da bagno ascellari, la sua competenza musicale, le sue passioni estemporanee. Ultimamente - dice l'amico affascinato - Battiato e' stato assiduo spettatore dei tornei di boccette nei bar di Catania).

Scende la sera siciliana, e il bolognese Dalla si guarda intorno soddisfatto, mostrandomi dove stanno l'ibisco e il gelsomino: «Quando vado in un posto, io divento quel posto». Crudelmente, lo induco a parlare di politica. Anche in questo campo, Lucio Dalla non intende dire chi merita di rimanere, ma chi rimarrá. Promuove insieme persone che non ama, portatrici di idee che non condivide, e personaggi che apprezza e stima («Basta che siano testimoni del tempo»). «Votavo comunista, e avevo fiducia in Berlinguer. Non sto dicendo che fosse perfetto: sto dicendo che mi fidavo. Ma come posso negare che Giulio Andreotti rimarra'? Ha lasciato un segno profondo nell'immaginario collettivo. Ohe', parliamo di uno che e' stato al governo per decenni e andava a ritirare un premio come il Telegatto. Dico: il Telegatto. E mentre era li' faceva lo spiritoso con Ruud Gullit.»

Stessa magnanima apertura verso altri protagonisti della politica italiana. Silvio Berlusconi, per esempio, rappresenta un archetipo italiano e, comunque, «aveva tutto il diritto di entrare in politica». «E Antonio Di Pietro? Un tipico italiano del sud, protagonista e generoso. A me, Di Pietro sta benissimo. Lo stesso vale per Bossi e per Craxi. E se questi personaggi hanno provocato cambiamenti e turbamenti, tanto meglio: fanno parte dello straordinario del mondo. Non e' questione di buono o di cattivo: il fatto di esistere e', di per se', una prova di inevitabilita'. C'era anche bisogno della polvere da sparo, visto che qualcuno l'ha inventata.» E cosa dice Lucio Dalla, che ha sempre votato a sinistra, dei miti sempreverdi della sinistra? Che Guevara, per esempio, restera'? «Conosco bene il Sudamerica e posso garantire che non ci sono tracce della funzione rivoluzionaria del Che Guevara. E' solo una questione iconografica.» Poster nelle camere dei ragazzi? «Piu' o meno».

Mettetevi nei miei panni: cosa si puo' dire a un uomo di sinistra che mette Berlusconi e non Che Guevara nella valigia del 2000? Niente. Lo si ascolta. «Mi piaccioni i vulcani, e le schegge che vanno lontano. Mi piacere guardarli, i vulcani, come Plinio. Mi piacciono i personaggi che provocano catastrofi. Anch'io nel mio piccolo, ho cercato di provocare catastrofi. Mi hanno dato il premio Montale, ma poi ho fatto Attenti al lupo col balletto. Ricordo - quando giravo l'Italia con De Gregori e cantavo vecchie canzoni - la sensazione d'essere ormai materiale trascorso . Capivo che Dario Fo con il suo Mistero Buffo era piu' rock di me. Per esserci la volta dopo, bisogna sparire e rinascere. Ecco: io ho l'ambizione di non rimanere.»

Questa è una bugia, naturalmente. Ma ha l'aria di essere la prima, e gliela lasciamo dire.

Beppe Severgnini (Beppe Severgnini website)

Addio al «Credito» di Denis Verdini - Bankitalia: liquidazione coatta

FIRENZE - Il Credito Cooperativo Fiorentino, la banca guidata da venti anni dal coordinatore del Pdl Denis Verdini, casa madre a Campi Bisenzio, è arrivata al capolinea: dopo tre anni di crisi, dopo l’arrivo dei commissari inviati da Bankitalia, dopo le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto Verdini, i vertici della banca — ma anche altri esponenti politici come Marcello Dell’Utri, in tutti gli indagati sono stati 55 —, dopo le sanzioni a chi l’ha guidata, ora sportelli, attività e passività verranno rilevate da ChiantiBanca, l’istituto che fa parte del circuito del Credito cooperativo. Non restano però le «sofferenze», i crediti non ancora riscossi (e difficili da riscuotere): quelli saranno acquisiti dal fondo nazionale di garanzia delle Bcc.

Per il Credito Cooperativo, Bankitalia ha proposto (e il premier Mario Monti ha firmato) il procedimento di «liquidazione coatta amministrativa». Cioè l’atto più pesante per le situazioni di crisi del sistema bancario, che non arriva solo per problemi finanziari ma soprattutto, come recita l’articolo 80 del Testo unico, «qualora le irregolarità nell’amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall’articolo 70 siano di eccezionale gravità». Sicuramente pesante è la situazione patrimoniale: nel bilancio 2009, il Credito Cooperativo dichiarava 55.874.606 euro di capitale. I due commissari straordinari, Angelo Provasoli e Virgilio Fenaroli, chiamati a capire come e perché la banca era in crisi, hanno trasmesso una relazione a Bankitalia in cui si parla di un disavanzo patrimoniale tra i dieci e i quindici milioni di euro. Tradotto: in tre anni, sono stati «mangiati» dal Credito tra i 66 e i 71 milioni di euro. Una situazione insostenibile, che richiedeva una sforzo particolare, e che ha portato ad un’operazione «di sistema».

Tutti i soggetti interessati, il sistema del Credito Cooperativo, i commissari, Bankitalia, il ministero per l’Economia (la delega ce l’ha appunto il premier) hanno convenuto che era meglio portare disavanzo patrimoniale e sofferenze e posizioni (anche quelle inerenti o riferibili a ex esponenti aziendali del Credito) fuori dalla Regione. Una mega operazione di pulizia, per salvaguardare i clienti della banca: i sette sportelli (da cui passano 170 milioni di impieghi e circa 350 di raccolta diretta) vengono rilevati da ChiantiBanca. Che, in questo modo, dopo la firma di mercoledì prossimo, diventerà il primo gruppo di credito cooperativo della Toscana e l’ottavo d’Italia. Una acquisizione praticamente a costo zero: il capitale di ChiantiBanca verrà usato per il «turn around», il risanamento e la ristrutturazione. Una decisione, questa, che viaggia di pari passo con l’inchiesta della Procura portata avanti dai pm Luca Turco, Giuseppina Mione e Giulio Monferini sulle presunte appropriazioni indebite avvenute durante la gestione dell’istituto bancario di Campi.

Resta dunque da capire se, in questi giorni, il Tribunale fallimentare dichiarerà la bancarotta dell’istituto, che viene comunque di fatto salvato (compresi i conti correnti) dal sistema bancario. Se così fosse, la ricaduta — da un punto di vista giudiziario — sarebbe immediata: l’ex presidente Verdini, l’intero Cda — l’avvocato Marco Rocchi, Enrico Luca Biagiotti, Simonpiero Ceri, Franco Galli, Mauro Marcocci e Fabrizio Nucci —, l’ex direttore generale Italo Biagini e i sindaci revisori Antonio Marotti, Luciano Belli e Gianluca Lucarelli (attualmente sotto inchiesta per appropriazione indebita) potrebbero vedersi la loro posizione aggravata.

Marzio Fatucchi - Simone Innocenti (Corriere della Sera - 25 marzo 2012)

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