"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

Fotogazzeggiando

Fotogazzeggiando
Fotogazzeggiando: Immagini e Racconti

Cerca nel blog

Translate

lunedì 28 novembre 2016

Caccia al voto dei giovani, com'è difficile la rincorsa di Renzi




È il governo con l'età più bassa nella storia della Repubblica. Eppure non riesce a sedurre gli under 35. Che al referendum rischiano di diventare il tallone d’Achille del premier. E qualche ragione per essere arrabbiati, i “nuovi adulti”, ce l’hanno.


Se da tre settimane gli incubi di Hillary Clinton sono popolati dagli operai bianchi del Midwest che hanno votato Donald Trump, quelli di Matteo Renzi sono gremiti di giovani precari meridionali furiosi. Il premier ha capito che sarà il voto degli under 40 a decidere chi vincerà il referendum. E che sono gli arrabbiati e i delusi, il tallone d’Achille su cui ha deciso di concentrare gli sforzi finali suoi e dei comitati del Sì. «Se non convinciamo i giovani a cambiare idea e votare per noi, il 5 dicembre andiamo tutti a casa», ripete il premier tre volte al giorno a chi gli capita davanti. Ecco spiegate le ultime mosse: Matteo che si lancia sulla copertina della rivista Rolling Stone (titolo “The young pop”, dove discetta di Fedez e Dj Ax, «almeno ha evitato di rimettere il chiodo» ironizzano gli antipatizzanti), Matteo che annuncia «una decontribuzione totale per chi assumerà giovani al Sud nel 2017», Matteo che applaude «il bonus di 500 euro per i diciottenni», che da inizio novembre possono scaricarsi la paghetta di Palazzo Chigi da una app del governo (“18App”, si chiama). Un plafond da spendersi in ebook e spettacoli teatrali, musei e concerti, pure di musica techno, che era stato approvato già un anno fa e che diventa operativo solo adesso. «Renzi sta diventando ridicolo anche nel dispensare le sue marchette», ha reagito Giorgia Meloni. «Evidentemente sa che questo referendum lo perderà».


«Non è detta l’ultima parola», pensa invece Renzi. Che sta tentando il tutto per tutto per affabulare i ragazzi d’Italia: i trend fotografati dalla categoria più sbeffeggiata dell’anno, quella dei sondaggisti, varranno anche poco, ma tutte le rilevazioni segnalano che per ora il No è in predominio schiacciante soprattutto tra chi ha meno di quarant’anni. Che votano “contro” non tanto per difendere la Costituzione del 1948, ma per mandare a casa un governo che non li ha mai rappresentati. «Tra i ragazzi c’è un sentiment antisistema, frutto anche di un’insoddisfazione che continua a essere molto violenta», ragiona Giuliano Da Empoli, uno dei consiglieri più ascoltati da Renzi, preoccupato dal fatto che i giovani elettori abbiano abbandonato il Pd in blocco, rivolgendosi all’offerta politica del Movimento 5 Stelle.


Un vero paradosso, per il governo più “young” della storia della Repubblica. Un esecutivo riempito di ministri e ministre di primo pelo, che ha fatto della rottamazione, del cambiamento, della novità a tutti i costi il perno della sua comunicazione. Il punto, probabilmente, sta proprio qui. Nello spread tra quello che è stato annunciato dallo storytelling renziano e quello che è stato davvero realizzato.


Analizzando documenti ufficiali della Banca d’Italia, dell’Istat, dell’Ocse, scartabellando le misure dei primi mille giorni dell’esecutivo, ecco che il quadro si fa più chiaro. Mostrando come l’insoddisfazione e la rabbia si basano su uno status quo che Renzi ha certamente ereditato, ma che non sembra aver affrontato con vigore sufficiente per tentare di ribaltare. Anzi: le diseguaglianze generazionali sono aumentate, e di riforme importanti per ridurre il gap di opportunità tra giovani e anziani, in questi primi tre anni dell’era di Rignano sull’Arno, non s’è vista l’ombra.


Partiamo dal lavoro, pietra miliare di ogni polemica. «I dati dell’Istat pubblicizzati dal governo raccontano che da febbraio 2014 ad oggi ci sono 656 mila posti in più», ha detto Renzi qualche giorno fa. In realtà, il tasso di disoccupazione giovanile è sì migliorato di qualche decimale, ma resta inchiodato a un mostruoso 37,1 per cento, con punte che vanno dal 60 all’80 per cento in regioni del Sud come Campania, Calabria e Sicilia. I nuovi occupati, dati alla mano, sono infatti in gran parte over 50, una crescita esponenziale dovuta alla stretta sull’età pensionabile voluta dall’ex ministro Elsa Fornero.


Le nuovi assunzioni a tempo indeterminato sono state pagate in larga parte dallo Stato, e hanno riguardato soprattutto lavoratori maturi: nel 2015 grazie al Jobs Act le imprese hanno potuto assumere ottenendo sgravi fiscali da favola, foraggiati di fatto dai contribuenti, e la bolla è scoppiata appena il governo ha chiuso i rubinetti degli incentivi. «Questo Paese ha speso ad oggi circa 18 miliardi per poter permettere al presidente del Consiglio di dire che ha qualche centinaio di migliaia di occupati in più. Una spesa straordinaria, con un risultato minimo», ha attaccato Susanna Camusso, leader di un sindacato, la Cgil, che non si è recentemente distinto come campione dei diritti dei giovani. «Un risultato che peraltro, con tutto il rispetto per le persone, riguarda prevalentemente la fascia over 50».


Il refrain è sempre lo stesso. Renzi, Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Luca Lotti, i “ragazzini” di Palazzo Chigi non hanno cambiato una tendenza che dura da tre lustri: quella dell’impoverimento strutturale delle nuove generazioni, che la Banca d’Italia ha individuato come i soggetti più colpiti dalla crisi iniziata nel 2008. Non solo. Nell’ultimo rapporto annuale dell’Istat si dice che un ragazzo su tre sotto i 34 anni è «sovraistruito», cioè troppo qualificato per il lavoro che svolge. Significa che lui e la sua famiglia hanno investito tempo e denaro per una formazione che l’ha portato, come primo lavoro, a fare «il commesso, il cameriere, il barista, l’addetto personale, il cuoco, il parrucchiere, l’estetista», scrivono nel maggio 2016, sconfortati, gli esperti dell’istituto.


Ovvio che il sentimento dominante, anche per coloro che un lavoro ce l’hanno, sia quello della frustrazione. E della consapevolezza che l’istruzione non è più la chiave di volta per la mobilità sociale: se Almalaurea racconta che gli stipendi dei neolaureati italiani sono i peggiori del continente, a tre anni dal titolo di studio e dalla bicchierata fuori l’ateneo con nonne e parenti solo la metà dei rampolli italiani ha trovato un contratto standard e un posto degno corrispondente agli studi fatti.


«La vecchiaia non è così male se considerate le alternative», diceva Maurice Chevalier. Mai aforisma fu più azzeccato, almeno sotto le Alpi: è un fatto che la Generazione X e quella successiva dei Millennial abbiano ormai la certezza che le loro condizioni economiche e il loro stile di vita saranno peggiori di quello dei loro padri. È la prima volta, dal Dopoguerra, che si registra un fenomeno di questo tipo: l’ascensore sociale, quello che consentiva di migliorare attraverso lo studio, il merito, l’iniziativa individuale, è bloccato da anni. E quando si muove lo fa in un’unica direzione: il basso.


La Boschi, ministro per le Riforme e architetto del referendum, invita i giovani a votare Sì «per non farsi rubare il futuro». Il rischio è che votino No perché Renzi non ha saputo rispondere alle emergenze del presente. Oltre che sul Jobs Act, il governo ha puntato sul progetto europeo “Garanzia giovani”, un programma nato per aiutare gli under 30 a trovare un posto decente. È un flop clamoroso: secondo l’Isfol, ente pubblico del ministero del Lavoro guidato da Giuliano Poletti, su quasi un milione di italiani iscritti al programma solo 32 mila (quindi il 3,7 per cento) hanno trovato un’occupazione vera e un contratto decente. Gran parte dei denari investiti, 1,5 miliardi di euro arrivati dalla Ue, è scomparsa nei rivoli della burocrazia. Molti iscritti non hanno mai ricevuto una risposta dai centri per l’impiego, che si sono affannati a smistare qualche migliaio di ragazzi in tirocini, corsi professionali e perfino nel servizio civile. «Che un milione di giovani si siano attivati e registrati a Garanzia giovani è un dato di grande rilievo», aveva detto Poletti qualche giorno prima che il suo Isfol mettesse una pietra tombale sull’esperienza, costringendo Renzi ad ammettere che i risultati sono «così così, poteva andare meglio».


Non stupisce, dunque, che nell’anno di grazia 2016 sette milioni di under 35 siano costretti a vivere ancora con i genitori: si tratta di studenti e disoccupati, dei cosiddetti Neet (oltre due milioni di giovani che non studiano e non lavorano: in Sicilia e Calabria restano nel limbo della loro vecchia cameretta 4 ragazzi su 10), ma anche di persone che hanno lavori saltuari o malpagati, che non permettono loro di emanciparsi dalla famiglia d’origine, fare a meno del welfare elargito da papà, affittarsi o comprarsi una casa propria, sposarsi e fare figli. Anche Eurostat spiega che nel 2015, «i giovani adulti» entro i 34 anni che vivono con almeno un genitore sono il 67 per cento, un esercito di “bamboccioni per forza” in netta crescita rispetto alla rilevazione precedente. Siamo i peggiori in Europa, di gran lunga.


Il 7 novembre Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, in un’audizione alla Camera sulla legge di Bilancio 2017, lo ha ribadito: «I giovani sono oggi una delle categorie più svantaggiate: si tratta di generazioni che, dopo anni di istruzione e formazione, faticano a trovare lavoro, con ricadute che interessano i comportamenti, le condizioni economiche, le scelte riproduttive e di vita».

La risposta di Renzi e del governo “young” è stata quella di allargare a un altro milione di pensionati la “quattordicesima”, un assegno supplementare dell’Inps pagato ai pensionati con redditi sotto i 10.290 euro l’anno. Chi già la prende, inoltre, vedrà accresciuto l’assegno. Una mossa che di certo dà una mano a chi se la vede male, ma che per l’ennesima volta dimostra che, se ha fiches da investire, Renzi preferisce puntarle sugli anziani e i dipendenti pubblici. Non a caso base elettorale del Pd, e - secondo i sondaggi - più propensa a votare Sì.


Perfino il presidente dell’Inps voluto da Renzi, Tito Boeri, si sta smarcando da mesi dalle scelte di Palazzo Chigi, evidenziando che l’Italia «non può investire solo su chi ha smesso di lavorare», e che la manovra finanziaria che verrà è, ancora una volta, tutta squilibrata: «Per i giovani si fa poco, e un paese che smette di investire su di loro è un paese che non ha grandi prospettive di crescita». Il problema vero è quello dell’equità: «Ci sono delle persone che oggi hanno dei trattamenti pensionistici, o dei vitalizi, come nel caso dei politici, che sono del tutto ingiustificati alla luce dei contributi versati in passato. Abbiamo concesso per tanti anni questo trattamento privilegiato a queste persone». Ora, propone Boeri, bisogna che chi ha prestazioni elevate contribuisca a alleggerire i conti previdenziali, e permettere una redistribuzione alle persone che, la pensione, rischiano di non averla mai. O decurtata, come indicano tutte le analisi, del 50-60 per cento rispetto all’ultimo stipendio.


Il governo, però, non è d’accordo. Tanto che Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e consigliere economico di Renzi, ha risposto secco che le pensioni ricche e i vitalizi «non si toccano». Motivo: «Il rischio di mettere le mani nelle tasche sbagliate è troppo grosso».


È un punto centrale, che dà il segno profondo delle politiche renziane, non disposte a tagliare l’enorme fetta di spesa pubblica (il 32 per cento del totale, secondo dati Ocse del 2014, in media la percentuale è tre volte più alta di Svezia, Norvegia, Regno Unito e Olanda) destinata ai pensionati. «La conseguenza», ragiona la sociologa Chiara Saraceno, «è che abbiamo pochi soldi per altre spese sociali fondamentali, e pochissimo per i giovani: per l’istruzione in Europa spendiamo meno di tutti, per la ricerca idem».


«Giovani e precari: dobbiamo prendere i loro Sì. Al Nord, almeno: il Sud ormai è andato», ripete Renzi ai suoi. Ma se è vero (come è vero) che il referendum del 4 dicembre è diventato, a causa di errori strategici del premier, innanzitutto un voto politico sull’operato del governo, è difficile che chi viene pagato con i voucher non sfoghi nelle urne la sua rabbia su una leadership che ha permesso l’esplosione dei buoni lavoro, usati dalle aziende per pagare gli ex co.co.co. Il piddino Cesare Damiano spiega che alla fine del 2016, se il trend rimarrà costante, «potremmo arrivare a 150 milioni di voucher venduti. Un vero record rispetto ai 500 mila del 2008, un numero 300 volte più basso». Una follia, dicono i sindacati dei precari, visto che i buoni sono stati inventati nel 2003 per far uscire dal nero i lavoretti una tantum, come quelli degli studenti che arrotondano al bar e il babysitteraggio occasionale. Nell’era Renzi, invece, i blocchetti vengono usati a piene mani da commercianti, professionisti, ristoratori per camuffare lavoro nero, contratti stagionali, e stipendi da fame dei dipendenti: secondo l’Inps quest’anno la paga “tipo” di chi viene retribuito con i buoni si aggira in media sui 500 euro. L’anno.


Naturale che la promessa di un reddito di cittadinanza (anche se la copertura economica resta operazione difficilissima) attragga milioni di ragazzi verso il M5S. Stanchi dell’immobilismo di una classe dirigente che sembra incapace di affrontare i costi politici e i prezzi elettorali di una necessaria redistribuzione generazionale del reddito e della ricchezza.


Mentre aspettano una rivoluzione che non arriva mai, i giovani restano esclusi dai gangli del potere pubblico (abbiamo i dirigenti pubblici più vecchi d’Europa), dalle imprese private, dai quadri sindacali (la metà degli iscritti sono pensionati), dalle università (nel 2014, su 13239 professori ordinari nemmeno uno ha meno di 35 anni, e solo 15 - spesso figli di baroni e potenti - sono sotto i 40. «Se va avanti così, con il turn over che ci lascia prendere un giovane ogni due docenti che vanno in pensione, rischiamo nel 2020 di non avere più giovani che possano concorrere ai programmi europei», commenta l’ex capo della Conferenza nazionale dei rettori Stefano Paleari.


Non è un caso, infine, che lo Svimez segnali come pure nel 2016 sia proseguita «la desertificazione del capitale umano meridionale»: in cerca di migliori condizioni di vita, in vent’anni i flussi migratori hanno portato via dal Sud oltre un milione di persone, facendo scomparire in pratica una metropoli grande come Napoli. In pochi hanno notato che per il 2015 l’Istat ha segnalato come il numero delle nascite al Sud abbia raggiunto il livello più basso dai tempi dell’unità d’Italia. La Fondazione Migrantes, della Conferenza episcopale italiana, ha poi messo il carico da novanta, raccontando che in valore assoluto vanno via (con destinazioni privilegiate Regno Unito, Germania, Francia e Svizzera) soprattutto giovani under 35 non dal Sud, ma dalla Lombardia, da Veneto, Lazio e Piemonte. Centosettemila persone nel 2015, il 6,2 per cento in più rispetto al 2014.


Se la Commissione Ue ha detto che la fuga di cervelli dall’Italia «può provocare una perdita netta permanente di capitale umano qualificato a danno della competitività del paese» e che «non si può parlare di scambio di cervelli» perché se molte teste lasciano il paese pochissimi laureati stranieri scelgono di venire a lavorare qui, il giovane-vecchio, Matteo, ha replicato annoiato che la questione «è ormai trita e ritrita: agli scienziati dico di tornare a casa, ma se tornate dovete sapere di tornare in un paese dove la ricerca è fondamentale. Sono orgoglioso di voi. Il mio indirizzo è matteo@governo.it, restiamo in contatto». Il 4 dicembre, però, per Renzi sarà fondamentale riuscire a restare in contatto con i giovani incazzati che non sono ancora partiti.

Emiliano Fittipaldi (L’Espresso - 28 novembre 2016)


domenica 27 novembre 2016

Caso Beatrice Di Maio, e se la cyber-propaganda fosse a Palazzo Chigi?



 
  (in gergo palermitano vuol dire letteralmente: "Salvatore accendi la luce")

Luca Lotti ha presentato denuncia contro il profilo twitter di Beatrice Di Maio sapendo che quel nome celava un’altra identità: quella di Tommasa Giovannoni Ottaviani detta Titti, nonché moglie di Renato Brunetta. È lecito pensarlo. Come è lecito sostenere che la sua denuncia, arrivata sette mesi dopo rispetto al tweet incriminato, è stata recapitata in poche ore al quotidiano La Stampa che l’ha poi divulgata costruendole attorno una “rete di cyber propaganda del Movimento 5 Stelle” sulla quale “la procura indaga”.

Insomma una notizia vera (la denuncia di Lotti) usata per costruire una notizia falsa (indagine su M5S). Notizia falsa poi cavalcata dal Partito Democratico per presentare delle interrogazioni parlamentari contro “la macchina del fango M5S”. Tempi, modi, attori: tutto rientra nel classico schema del “dossieraggio” nel quale sono dunque in qualche modo coinvolti un esponente importante del governo (Lotti), il partito di maggioranza (il Pd) e un quotidiano nazionale. Questo è quanto si può ricostruire e vedere oggi. Altri attori o soggetti sono stati coinvolti nei singoli passaggi ma al momento non sono ancora stati individuati con certezza. Ma è solo questione di tempo perché la “rete” (questa sì, reale) ha commesso alcuni errori.

Va detto che il quotidiano torinese ha sicuramente agito in buona fede. Forse è stato semplicemente usato, strumentalizzato. Insomma sembra aver preso la più classica delle “polpette avvelenate”. Capita e può capitare. Peccato però che invece di riconoscerlo e impegnarsi a scoprire se un rappresentante dello Stato ha utilizzato strumenti illeciti per individuare un profilo twitter e screditare con una notizia falsa un avversario politico, fa finta di niente e addirittura arriva a scrivere (questa mattina) che il collegamento tra Beatrice Di Maio e la cyber propaganda contro M5S non lo avevano ipotizzato loro, ma i parlamentari del Pd. Già. Si legge nell’articolo: “Nulla a che vedere con il Movimento, come invece avevano ipotizzato i parlamentari del Pd negli scorsi giorni”. Sembra di vivere in 1984 di George Orwell, quando descrive come si modificano i giornali del passato in funzione di ciò che è utile nell’oggi. Ma ognuno fa il proprio mestiere come crede, figurarsi. Privilegio questo che invece non può valere per i componenti del governo e per i parlamentari. Ed è per questo che la vicenda di Beatrice Di Maio non può essere archiviata con una risata.

Andiamo con ordine. Mercoledì 16 La Stampa pubblica un articolo con questa titolazione: “Ecco la cyber propaganda M5S, la procura indaga sull’account chiave. Algoritmi, false notizie, bufale. Palazzo Chigi denuncia per diffamazione”. Tutte notizie poi rivelatesi false: l’account chiave sarebbe quello di Beatrice Di Maio, che non ha alcun collegamento con M5S; la procura non indaga su nulla e di certo non su una rete di cyber propaganda visto che ancora non è reato fare propaganda politica; Palazzo Chigi non ha denunciato nessuno. L’unica notizia vera si trova nel testo dell’articolo: Luca Lotti ha querelato il profilo twitter di Beatrice Di Maio perché si è sentito diffamato da un tweet che lo definiva indirettamente mafioso. Punto. Nient’altro. E che in quella denuncia non ci sia altro lo rivela lo stesso avvocato di Lotti, Alberto Bianchi, al Fatto. Inoltre, dice il legale, l’atto è stato presentato martedì 15 ai Carabinieri di Firenze. Quindi come può La Stampa il mercoledì 16 scrivere che “la procura indaga”? È materialmente impossibile. Le date rivelano un altro aspetto importante: Lotti querela Di Maio per un tweet pubblicato sette mesi prima, cioè il 7 aprile. Questo. 
Facendo una semplicissima ricerca sia attraverso Google sia su Twitter, in quei giorni l’intercettazione “abbiamo le foto di Delrio con i mafiosi” era apparsa ovunque. Per ovvi motivi. Ma su Twitter tantissimi utenti ci hanno ironizzato o l’hanno usata in vari modi. Non solo Di Maio. C’è chi ha fatto peggio. Il profilo del Secolo d’Italia, il quotidiano web della destra italiana, ha messo la foto di Delrio con Renzi che lo indica ridendo. E tanti altri.

Eppure Lotti chi querela sette mesi dopo? Il profilo di Beatrice Di Maio. Solo lei. Che poi si scopre essere gestito da chi? Dalla moglie di Brunetta, oppositore principale dell’esecutivo Renzi. Quindi diciamo che o Lotti è stato molto fortunato e denunciando un utente a caso (nonostante avesse poco seguito) ha smascherato la consorte dell’avversario politico, oppure è andato a colpo sicuro. Abbiamo tentato di parlarci ma negli ultimi due giorni ha avuto altri impegni. Eppure sarebbe utile sapere direttamente da lui se era al corrente della vera identità dell’account al momento della denuncia. E se sì come l’ha scoperto? Ancora: è al corrente di come la sua denuncia sia passata in poche ore dai Carabinieri a La Stampa? E se è stata accompagnata da altri documenti, studi, relazioni, informative che collegavano Di Maio alla rete di cyber propaganda M5S, come ha scritto il quotidiano torinese? E se sì, sa chi li ha aggiunti e messi in relazione?

Da ultimo aiuterebbe conoscere in quali modi e tempi Emanuele Fiano – e gli altri parlamentari che hanno presentato le interrogazioni sulla base dell’articolo de La Stampa gridando alla “macchina del fango M5S” – sono stati avvisati o spinti ad agire. Perché ancora una volta i tempi lasciano pensare che tutto sia stato ben scandito. Denuncia, articolo, interrogazioni parlamentari, dichiarazioni di esponenti del Pd. E tutto su una notizia falsa, una bufala: l’indagine di una procura sulla cyber propaganda M5S. Notizia falsa spacciata per vera e finita persino su Le Monde e il Guardian. E usata dal Pd per dire che la macchina del fango è quella del movimento di Grillo.



venerdì 25 novembre 2016

ZAC - Cantieri Culturali della Zisa - Palermo: "Cuba. Tatuare la Storia" (Slide Show)


Scarpinato: “La riforma Renzi è oligarchica e antipopolare”





Il mio dissenso nei confronti della riforma costituzionale è dovuto a vari motivi che, per ragioni di tempo, potrò esplicare solo in piccola parte.

In primo luogo perché questa riforma non è affatto una revisione della Costituzione vigente, cioè un aggiustamento di alcuni meccanismi della macchina statale per renderla più funzionale, ma con i suoi 47 articoli su 139 introduce una diversa Costituzione, alternativa e antagonista nel suo disegno globale a quella vigente, mutando in profondità l’organizzazione dello Stato, i rapporti tra i poteri ed il rapporto tra il potere ed i cittadini.

Una diversa Costituzione che modificando il modo in cui il potere è organizzato, ha inevitabili e rilevanti ricadute sui diritti politici e sociali dei cittadini, garantiti nella prima parte della Costituzione.

Basti considerare che, ad esempio, la riforma abroga l’articolo 58 della Costituzione vigente che sancisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori, e con ciò stesso svuota di contenuto l’art. 1 della Costituzione, norma cardine del sistema democratico che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Nella diversa organizzazione del potere prevista dalla riforma, questo potere sovrano fondamentale per la vita democratica, viene tolto ai cittadini e attributo alle oligarchie di partito che controllano i consigli regionali.

Poiché, come diceva Hegel, il demonio si cela nel dettaglio, questo dettaglio – se così vogliamo impropriamente definirlo – racchiude in se e disvela l’animus oligarchico e antipopolare che – a mio parere – attraversa sottotraccia tutta la riforma costituzionale, celandosi nei meandri di articoli la cui comprensione sfugge al cittadino medio, cioè a dire alla generalità dei cittadini che il 4 dicembre saranno chiamati a votare.

I fautori della riforma focalizzano l’attenzione e il dibattito pubblico sulla necessità di ridimensionare i poteri del Senato eliminando il bicameralismo paritario, questione sulla quale si può concordare in linea di principio, ma glissano su un punto essenziale: Perché pur riformando il Senato avete ritenuto indispensabile espropriare i cittadini del diritto – potere di eleggere i senatori?

Il bicameralismo così come lo volete riformare non poteva funzionare altrettanto bene lasciando intatto il diritto costituzionale dei cittadini di eleggere i senatori?

Perché questo specifico punto della riforma è stato ritenuto tanto essenziale da determinare addirittura l’epurazione dalla Commissione affari costituzionali dei senatori del Pd – Corradino Mineo e Vannino Chiti – che si battevano per mantenere in vita il diritto dei cittadini di eleggere i senatori?

Forse uno degli obiettivi che si volevano perseguire, ma che non possono essere esplicitati alla pubblica opinione, era proprio quello di restringere gli spazi di partecipazione democratica e di estromettere il popolo dalla macchina dello Stato?

Dunque secondo voi la ricetta migliore per curare la crisi della democrazia e della rappresentanza, è quella di restringere ancor di più gli spazi di democrazia e di rappresentanza?

Questo travaso di potere dai cittadini alle oligarchie di partito non riguarda solo il Senato, ma anche la Camera dei Deputati e viene realizzato mediante sofisticati meccanismi che sfuggono alla comprensione del cittadino medio.

La nuova legge elettorale nota come l’Italicum, che costituisce una delle chiavi di volta della riforma, attribuisce infatti ai capi partito e ai loro entourage il potere di nominare ben cento deputati della Camera, imponendoli dall’alto senza il voto popolare.

Questo risultato viene conseguito mediante il sistema dei capilista bloccati inseriti di autorità nelle liste elettorali presentate nei 100 collegi nei quali cui si suddivide il paese, e che vengono eletti automaticamente con i voti riportati dalla lista, senza che nessun elettore li abbia indicati.

Gli elettori potranno esprimere un voto di preferenza per un altro candidato oltre il capo lista, ma i voti di preferenza così espressi saranno presi in considerazione solo se la lista da loro votata avrà ottenuto più di cento deputati in campo nazionale, perché i primi cento posti sono bloccati per le persone “nominate” dai gruppi dirigenti del partito in base a particolari vincoli di fedeltà.

Così, per formulare un esempio, se una lista ottiene un totale nazionale di voti pari a 100 deputati, nessuno dei candidati scelti dagli elettori dal 101 in poi con il voto di preferenza potrà essere eletto alla Camera, perché tutti i posti disponibili sono stati esauriti.

Ora poiché il premio di maggioranza previsto dall’Italicum attribuisce al partito vincitore delle elezioni 340 deputati su 630, tutti i partiti della minoranza potranno portare alla Camera nel loro insieme complessivamente 290 deputati, e, quindi, ciascuno solo una quota di deputati intorno a 100 o ad un sottomultiplo di cento.

Il che significa che entreranno alla Camera per le minoranze solo i capilista bloccati, nominati dai capi partiti. Nessuno o quasi dei candidati scelti dagli elettori oltre i cento con i voti di preferenza, farà ingresso in Parlamento.

Ne consegue che ben due terzi dei cittadini italiani votanti, tanti quanti sono rappresentati dalla somma dei partiti della minoranza nell’attuale panorama tripolare nazionale, saranno di fatto privati del diritto di scegliere i propri rappresentanti alla Camera.

Se questa è la sorte riservata ai cittadini elettori delle minoranze, è interessante notare come il congegno dei cento capilista bloccati, unito ad altri, consegua poi l’ulteriore risultato antidemocratico di determinare una distorsione della rappresentanza parlamentare anche nel partito di maggioranza, e di realizzare una sostanziale abolizione della separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo.

Per spiegare come ciò si verifichi, occorre comprendere come opera il combinato disposto della riforma e dell’Italicum. 

L’articolo 2 comma 8 dell’Italicum stabilisce: “I partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e il cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. In questo modo il voto per la forza politica “che si candida a governare” è anche il voto per il “capo della forza politica” che si candida a divenire il capo del governo, in contrasto con l’art. 92 della Costituzione, rimasto inalterato, che ne affida la nomina al Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni dei gruppi parlamentari. Come è stato osservato, sarà ben difficile non solo la nomina di una persona diversa, ma perfino la sfiducia, destinata inevitabilmente a provocare lo scioglimento della Camera.

Ciò posto, tenuto conto che, come accennato, l’Italicum attribuisce alla medesima oligarchia di partito che esprime il leader della forza politica candidato a capo del governo, la possibilità di nominare cento deputati della Camera, è evidente che tale gruppo oligarchico nominerà capilista, e quindi deputati ipso facto, tutti i componenti del gruppo ed i fedelissimi del leader. 

Si tratta di un numero di deputati che già di per se attribuisce al futuro capo del governo la Golden share per il controllo della maggioranza alla Camera dei deputati, perché equivale a circa un terzo dei deputati eleggibili dal partito.

Qualunque studioso di diritto societario sa bene che l’amministratore delegato di una azienda che detiene un terzo della quota azionaria, è in grado di controllare l’intera azienda. Ma non finisce qui. Il leader futuro capo del governo ed il suo entourage dopo avere nominato 100 deputati, tanti quanti sono i collegi elettorali del paese, sono gli stessi che formano la lista degli altri candidati non bloccati, per i quali gli elettori hanno la possibilità di esprimere una preferenza o due a condizione che si votino candidati di sesso diverso.

La riforma costituzionale non prevede alcuna norma che imponga (così come, ad esempio, l’art. 21 della Costituzione tedesca) che l’ordinamento interno dei partiti debba essere conforme ai princìpi fondamentali della democrazia e che garantisca, di conseguenza, una selezione democratica dei candidati da inserire nelle liste elettorali. Dunque la stessa oligarchia partitica che elegge se stessa con il sistema dei 100 capilista bloccati, ha la possibilità di cooptare, inserendoli nella lista dei candidati votabili, solo personaggi ritenuti affidabili e obbedienti, escludendo dalla lista gli indipendenti e gli esponenti delle opposizioni interne, oppure relegandoli in posizioni marginali.

Ma non finisce qui. L’Italicum ha in serbo un altro congegno a disposizione delle oligarchie di partito per selezionare persone da cooptare nella maggioranza parlamentare del futuro capo del governo. Si tratta della possibilità di candidare la stessa persona in ben dieci diversi collegi contemporaneamente. Il candidato eletto in più collegi deve scegliere il collegio che preferisce. In quello in cui rinuncia, al suo posto viene eletto il candidato che ha ottenuto più voti di preferenza dopo di lui. Il gruppo oligarchico che esprime il leader futuro capo del governo ha in questo modo la possibilità di neutralizzare eventuali candidati espressi dai territori e ritenuti non affidabili, stabilendo che il candidato eletto in più circoscrizioni e fedele alla leadership, scelga la circoscrizione nella quale altrimenti al suo posto verrebbe eletto il candidato non gradito, che viene così escluso dalla Camera.

Grazie a questi congegni elettorali, lo stesso gruppo oligarchico che designa come capo del Governo il capo della partito di maggioranza, acquisisce la possibilità di controllare contemporaneamente sia il Governo che la Camera dei deputati.

Si realizza così un continuum tra Camera dei deputati e Governo espressione entrambi dello stesso gruppo oligarchico che abolisce di fatto la separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo, e la Camera si trasforma da organo espressione della sovranità popolare che controlla il governo dando e revocando la fiducia, in Camera di ratifica delle iniziative legislative promosse dal Capo del Governo, il quale è allo stesso tempo capo del partito di maggioranza.

Il capo del Governo/capopartito oltre ad avere una supremazia di fatto sulla Camera nei modi accennati, ha anche una supremazia istituzionale in quanto la riforma gli attribuisce il potere di dettare l’agenda dei lavori parlamentari con il meccanismo delle leggi dichiarate dal Governo di urgenza che devono essere approvate entro 70 giorni.

Interessante notare che la stessa corsia preferenziale non è prevista per le leggi di iniziativa parlamentare, così che il governo è in grado di colonizzare ancor di più l’attività legislativa del parlamento.

Alla sostanziale desovranizzazione del popolo, alla disattivazione della separazione tra potere esecutivo e potere legislativo e, quindi, del ruolo di controllo di quest’ultimo sul primo, si somma poi la disattivazione del ruolo delle minoranze che, sempre grazie all’Italicum, sono condannate per tutta la legislatura alla più totale impotenza, avendo a disposizione in totale solo 290 deputati rispetto ai 340 della maggioranza governativa.

E ciò nonostante che nell’attuale panorama politico multipolare, le minoranze siano in realtà la maggioranza reale nel paese, assommando i voti di due terzi dei votanti a fronte del residuo terzo circa, ottenuto dal partito del capo del governo. 

Grazie alla lampada di Aladino del combinato disposto della riforma costituzionale e dell’Italicum, un ristretto gruppo oligarchico autoreferenziale in grado di auto cooptarsi prescindendo in buona misura nei modi accennati dai voti di preferenza espressi da una minoranza del paese, pari a circa un terzo dei votanti, che lo porta al potere, è in grado di divenire il gestore oligopolistico delle leve strategiche dello stato, cioè della Camera e del Governo.

Azionando sinergicamente tali leve, il gruppo nell’assenza di ogni valido contro bilanciamento è in grado di esercitare un potere politico-istituzionale di supremazia sugli apparati istituzionali nei quali si articola lo stato: dalla Rai, alle Partecipate pubbliche, agli enti pubblici economici, alle varie Authority, ai vertici delle Forze di Polizia, dei Servizi segreti, e via elencando. Si pongono così le premesse per realizzare uno spoil system generalizzato, finalizzato a garantire l’autoriproduzione del gruppo oligarchico mediante la nomina ai vertici degli apparati che contano solo persone di provata consonanza politica e fedeltà.

Tramite questi e molti altri sofisticati meccanismi che per ragioni di tempo non posso spiegare, si pongono così a mio parere le premesse per una transizione occulta da un repubblica parlamentare imperniata sulla sovranità popolare, sulla centralità del Parlamento e sulla separazione dei poteri, ad un regime oligarchico nel quale il potere reale si concentra nelle mani di una oligarchia che occupa il cuore nevralgico dello stato.

Per giustificare la sostituzione della Costituzione vigente con una nuova Costituzione, i promotori della riforma si sono appellati ad argomenti che si rivelano non ancorati alla realtà e che, proprio per questo motivo, suscitano, a mio parere, serie perplessità, giacché se le ragioni della riforma dichiarate non sono radicate nella realtà, se ne deve dedurre che vi sono altre ragioni che non si ritiene politicamente pagante esplicitare.

Si sostiene infatti che questa riforma sarebbe finalizzata a tagliare i costi della politica e sarebbe necessaria ed urgente per risolvere i problemi del paese. Quanto all’inconsistenza del primo argomento – cioè lo scopo di tagliare i costi della politica – non ritengo di dovermi soffermare. La Ragioneria dello Stato in una relazione trasmessa al Ministro per le riforme in data 28 ottobre 2014 ha stimato il risparmio di spesa conseguente alla riforma del Senato pari a 57,7 milioni di euro, una cifra ridicola rispetto al bilancio statale, e che potrebbe essere risparmiata in mille altri modi con leggi ordinarie senza alcuna necessità di stravolgere la Costituzione. Per esempio tagliando i costi della corruzione, i costi della evasione fiscale, invece di tagliare la democrazia.

Il secondo argomento dei sostenitori del Si è – come accennavo – che la riforma è necessaria ed urgente per risolvere i problemi del paese, in quanto il bicameralismo paritario determina una patologico rallentamento del processo legislativo, ed in quanto l’attuale assetto costituzionale impedisce una governabilità del paese agile, flessibile, necessaria per reggere le sfide della globalizzazione.

Se questo è lo scopo dichiarato, non risulta che siano stati indicati dai fautori del Si i problemi del paese che sarebbero stati causati in passato dalla farraginosità dei meccanismi istituzionali previsti dalla Costituzione vigente e che, invece, troverebbero immediata soluzione con la riforma della Costituzione.

Forse la completa assenza di una politica industriale che perdura da oltre un quarto di secolo e a causa della quale dal 2008 ad oggi sono passati al capitale straniero più di 500 marchi storici di tutti i settori strategici dell’industria nazionale?

Dall’elettronica, alle automobili, alle comunicazioni, agli elettrodomestici, alle ferrovie, all’aerospaziale, all’agroalimentare, alla moda, l’elenco dei marchi passati al capitale straniero da la sensazione di una silenziosa Caporetto nazionale: Pirelli, Pininfarina, Indesit, Ansaldo Breda, Italcementi, Edison, Buitoni, Parmalat, Fendi, Bulgari, Gucci, Valentino, etc.

Forse la disoccupazione giovanile che raggiunge livelli record in ambito europeo e l’emigrazione all’estero di centinaia di migliaia di giovani laureati che nel nostro paese non hanno alcun futuro?

Forse la gigantesca evasione fiscale (la terza del mondo dopo Messico e Turchia) con un mancato introito per le casse dello stato che mette in ginocchio l’erogazione dei servizi sociali?

Ciascuno può allungare a piacimento la lista dei gravi problemi nei quali versa il paese e che lo stanno avvitando in una spirale di declino che sembra senza fine, e stilare dal suo punto di vista una diversa gerarchia della gravità di tali problemi.

Ma pur nella diversità delle opzioni, un fatto è certo: nessuno di questi problemi è addebitabile al bicameralismo paritario e alla Costituzione del 1948. Una classe dirigente che si è rivelata inadeguata a reggere le sfide della complessità e che si è resa responsabile del declassamento economico e sociale del paese, ora tenta di scaricare le proprie responsabilità sul capro espiatorio di una Costituzione del 1948 che nulla ha da spartire con le cause della crisi economica.

Non basta. Gli uffici studi del Parlamento hanno documentato quanto sia priva di fondamento nella realtà la narrazione dei sostenitori del Sì secondo cui il bicameralismo paritario avrebbe enormemente dilatato i tempi di approvazione delle leggi a causa della navetta tra la Camera dei Deputati ed il Senato, quando una delle due camere apporta modifiche ai progetti di legge approvati dall’altra.

In questa legislatura sono state sino ad oggi approvare 250 leggi di cui ben 200, pari all’80%, senza navetta parlamentare e solo 50 pari al 20% con rinvio di una Camera all’altra, a seguito di modifiche. I tempi medi approvazione delle leggi sono i seguenti: ogni legge ordinaria viene approvata in media fra Camera e Senato in 53 giorni; ogni decreto viene convertito in legge dalle due Camere in 46 giorni; e ogni legge finanziaria passa, con la "doppia conforme", in 88 giorni.

Se una legge si incaglia in parlamento non è per colpa del pur discutibile bicameralismo paritario: ma dei dissensi politici dentro le coalizioni di maggioranza. È pur vero che vi sono leggi che invece sono state approvate in tempi molto lunghi. Ma se si approfondisce l’analisi si comprende bene che le ragioni di questi tempi lunghi non sono attribuibili al bicameralismo paritario, ma a ben altre ragioni di ordine politico non sempre commendevoli. La legge sulla corruzione, per esempio, ha ottenuto il via libera dal Parlamento dopo ben 1546 giorni.

Dunque ricapitolando le ragioni addotte dai sostenitori del Si per sostenere la necessità di questa riforma non trovano riscontro nella realtà.

Possiamo concludere che non è affatto vero che esiste una crisi di governabilità del paese che è una concausa importante della grave crisi economica nella quale ristagniamo? Non possiamo affatto sostenerlo. Anzi dobbiamo ammettere che esiste certamente una reale grave crisi di governabilità che ha causato ed aggrava la crisi.

Quel che merita riflessione, dal mio punto di vista, è che si addebita la crisi di governabilità alla Costituzione vigente e si tacciono invece alla pubblica opinione le vere cause strutturali di tale crisi di governabilità, che possono essere ignote al cittadino comune, che possono essere sconosciute ai tanti giuristi in buona fede che non conoscono quale sia il reale funzionamento della macchina del potere oggi, ma che, invece, non possono essere ignote a coloro che hanno ideato questa riforma.

Quali sono dunque le reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo scenario macro politico e macroeconomico venutosi a creare nella seconda repubblica per fattori nazionali e internazionali verificatisi dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso?

La risposta a questa domanda presuppone che si abbia ben chiaro quali siano gli strumenti indispensabili per governare la politica economica di un paese e che sono essenzialmente tre. La potestà monetaria, cioè il potere di emettere moneta e obbligazioni di Stato. La potestà valutaria, cioè il potere di svalutare la moneta nazionale in modo da fare recuperare margini di competitività all’economia nazionale nei periodi di crisi. La potestà di bilancio, cioè il potere di finanziare il rilancio dell’economia mediante spesa pubblica in deficit, senza attenersi alla regola del pareggio tra entrate ed uscite. In assenza di questa fondamentale cassetta degli attrezzi, non è possibile governare la politica economica di un paese.

L’esempio più evidente si trae dall’esperienza degli strumenti messi in campo dall’amministrazione americana per gestire e superare la crisi sistemica verificatasi dopo l’esplosione della bolla dei mutui subprime.

L’amministrazione statunitense ha contemporaneamente azionato la leva della potestà monetaria autorizzando la Fed ad iniettare ogni mese 80 miliardi di liquidità nell’economia reale, la leva della sovranità valutaria svalutando il dollaro rispetto ad altre monete, la leva infine della potestà di bilancio, finanziando con il deficit di bilancio statale politiche di spesa per il rilancio dell’economia. Solo grazie a telai manovre, l’economia statunitense è uscita dal guado. Veniamo ora al nostro paese. Perché il governo italiano nello stesso periodo non ha azionato le stesse leve felicemente azionate dall’amministrazione statunitense? Forse perché ha commesso un errore di diagnosi?

Perché ha ritenuto di dovere seguire un’altra strategia? No, semplicemente perché non ha potuto.

Non ha potuto perché le tre potestà fondamentali per gestire il governo dell’economia del sistema Italia – potestà monetaria, potestà valutaria, potestà di bilancio – non sono più azionabili dal governo italiano essendo state cedute ad organi sovranazionali: la Commissione europea e la Bce, componenti insieme al Fondo monetario internazionale della c.d. Troika, santuario del pensiero unico neoliberista.

In altri termini il governo non ha potuto azionare quelle leve per un deficit di governabilità nazionale determinato non dalla Costituzione del 1948, come sostengono i fautori del Si, ma dai trattati europei firmati dal 1992 in poi. Il deficit di governabilità così venutosi a determinare è a sua volta il frutto di un grave deficit di democrazia. Infatti le leve fondamentali per governare la politica economica nazionale, non sono state cedute al Parlamento europeo o ad altro organo espressione della sovranità popolare, ma sono state cedute agli organi prima menzionati – la Commissione europea, la Bce (e per certi versi il Fondo monetario internazionale) – privi di legittimazione e rappresentanza democratica, disconnessi dalla sovranità popolare ma fortemente connessi invece ai grandi centri del potere economico e finanziario.

Connessione questa dimostrata in modo inequivocabile dalla biografia di tanti soggetti che in tali organi hanno rivestito e rivestono ruoli decisionali strategici e che provengono dalle strutture apicali delle più grandi banche di affari internazionali, o che a fine del loro mandato vengono assunti da tali banche e da potenti multinazionali come consulenti o top manager.
Non risponde a realtà dunque, come affermano i sostenitori del Si, che la politica ha perduto il controllo sull’economia a causa dell’ inefficienza delle procedure decisionali previste dall’attuale Costituzione che, dunque, sarebbe bene riformare votando Si al prossimo referendum del 4 dicembre.

La politica, o meglio la democrazia, ha abdicato al suo ruolo, quando ha consegnato gli strumenti della sovranità a ristrette oligarchie arroccate in centri decisionali impermeabili alla volontà popolare, ma fortemente permeabili ai diktat dei mercati, o meglio alle potenze economiche che governano i mercati.

Una esemplificazione concreta e recente dei risultati di questa abdicazione della politica al potere economico e dei modi nei quali oggi viene gestito il potere reale si ricava dall’esame della lettera strettamente riservata che in data 5 agosto 2011, il Presidente della Bce inviò al Presidente del Consiglio dei Ministri italiano, dettandogli una analitica agenda politica delle riforme che il governo ed il Parlamento italiano dovevano approvare, specificando anche i tempi e gli strumenti legislativi da adottare.

Dalla riforma della legislazione sul lavoro, alla riforma della contrattazione collettiva, alla riforma delle pensioni sino alle privatizzazioni e alla riforma della Costituzione, è una summa del pensiero e delle strategie neoliberiste.

È impressionante verificare a posteriori come quell’agenda politica sia stata puntualmente realizzata – dalla riforma Fornero sino al Jobs Act – dai tre governi che si sono susseguiti dal 2011 ad oggi, e da maggioranze parlamentari composte in larga misura da persone nominate da ristretti vertici di partito.

Quel che appare ancor più significativo è che in quella stessa lettera del 5 agosto 2011, il Presidente della Bce sollecitava anche una riforma della seconda parte della Costituzione che è stata realizzata nel 2012 nella indifferenza e nella inconsapevolezza della sua reale portata, della opinione pubblica e del mondo dei giuristi.

Mi riferisco a quell’art. 81 della Costituzione che ha introdotto l’obbligo del pareggio di bilancio, norma di matrice culturale neoliberista.

Una norma che ha introdotto un vero e proprio cavallo di Troia all’interno della cittadella costituzionale, perché impedisce di finanziare in deficit politiche economiche espansive di tipo keinesiano per superare le fasi di crisi aumentando la spesa pubblica, ed impone quindi come unica soluzione alternativa obbligata il taglio della spesa pubblica ai servizi dello Stato sociale, determinando così l’impoverimento delle masse popolari, la riduzione della loro capacità di spesa, la caduta della domanda aggregata interna e l’avvitamento della spirale recessiva.

La vicenda in parola dimostra quanto siano infondate tutte le argomentazioni dei sostenitori del Si secondo cui la Costituzione va riformata perché quella attuale rallenta l’iter legislativo e impedisce la governabilità.

Tutte le leggi indicate dalla BCE sono state approvate in tempi rapidissimi con un doppio passaggio parlamentare. La Salva-Italia di Monti e Fornero fu approvata in appena 16 giorni.
La legge costituzionale sul pareggio di bilancio obbligatorio fu approvata addirittura in cinque mesi (con quattro votazioni Camera-Senato-Camera-Senato).

La vicenda esposta costituisce una concreta esemplificazione del reale modo di essere del potere oggi e di come oligarchie partitiche insediate al governo e in grado di controllare il parlamento, possano divenire la cinghia di trasmissione della volontà politica di centri decisionali esterni ai luoghi della rappresentanza popolare, attraverso itinerari informali che si sottraggono alla visibilità democratica.

Quella che ho appena esposto non è solo una vicenda del passato ma è una simulazione di come sarà esercitato il potere in futuro se questa riforma costituzionale dovesse essere definitivamente approvata.

Non si tratta di un processo alle intenzioni, non si tratta di dietrologia.

Nella relazione che accompagna il disegno di legge di riforma costituzionale, si legge testualmente che questa riforma risolverà tutti i problemi del paese, rimediando:
“l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio” 

“le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”
In altri termini l’abrogazione del diritto dei cittadini di eleggere i senatori e, in buona misura, i deputati, nonché il travaso di potere dal Parlamento al Governo che costituiscono il cuore e il nerbo della riforma, vengono invocati per assicurare la migliore consonanza ai diktat della Commissione europea, della Bce e alle pretese dei mercati.

In nome della esigenza di una totale subordinazione della politica all’economia. Il migliore inequivocabile riscontro che questo sia il reale obiettivo della riforma costituzionale, viene dalla sua sponsorizzazione entusiastica da parte delle più potenti banche di affari internazionali e delle altre cattedrali della finanza internazionale che in questi ultimi mesi sono scese in campo con tutta la loro forza di pressione per sostenere il fronte del si, e per intimidire gli indecisi minacciando sfracelli economici se la riforma dovesse essere bocciata dai cittadini il 4 dicembre. E mi pare meritevole di riflessione che queste finalità della riforma benché siano state dichiarate nella relazione che accompagna il disegno di legge di riforma costituzionale, non siano mai state utilizzate per sostenere le ragioni del Si nel corso di tutta questa campagna referendaria. Evidentemente i promotori politici della riforma ritengono controproducente proclamare a reti unificate che la riforma costituzionale risolverà tutti i problemi del paese, grazie al fedele esecuzione delle indicazioni provenienti dalla governance europea.

I Riformatori affermano di essere proiettati nel futuro, ma a me sembra che con questa riforma si rischi di riportare indietro l’orologio della Storia all’epoca del primo Novecento quando prima dell’ avvento della Costituzione del 1948, il potere politico era concentrato nelle mani di ristrette oligarchie, le stesse che detenevano il potere economico.

Era il tempo in cui lo Stato non godeva di alcuna considerazione perché era considerato un instrumentum regni nelle mani dei potenti e la legge, come insegnava Gaetano Salvemini, non godeva di alcun rispetto perché era percepita come la voce del padrone.

Quella triste stagione della storia è stata archiviata grazie alla Costituzione del 1948 che resta, oggi come ieri, l’ultima linea Maginot per la difesa della democrazia e dei diritti. Una Costituzione che nessuno ci ha regalato, che è costata lacrime e sangue, come ci ricorda Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione del 1948, le cui parole pronunciate durante i lavori della Costituente nella seduta del 7 marzo 1947, sono da tenere bene a mente in questo delicato frangente della storia nel quale dovremo decidere sul futuro del paese, e mi sembrano le migliori per concludere il mio intervento:

“Io mi domando, onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea costituente… credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia: e si immagineranno… che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri i cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani [….] Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono i nostri morti. Non dobbiamo tradirli”.

* Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo. Intervento al Seminario di studi sulla Riforma della Costituzione svoltosi al Palazzo di Giustizia di Palermo il 22 novembre 2016 .

Roberto Scarpinato (MicroMega, 24 novembre 2016)


Archivio blog

Post più popolari ultimi 7 giorni

Questo BLOG non è una testata giornalistica: viene aggiornato con cadenza casuale e pertanto non è un prodotto editoriale (ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001) bensì un semplice archivio condiviso di idee e libere opinioni. Tutto ciò ai sensi dell'art.21 comma 1 della Costituzione Italiana che recita come: TUTTI HANNO DIRITTO DI MANIFESTARE LIBERAMENTE il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Dissertazioni su Street Art, ne vogliamo parlare? A cura di Toti Clemente

Dissertazioni su Street Art, ne vogliamo parlare? A cura di Toti Clemente
Dissertazioni su Street Art. Ne vogliamo parlare?

Post più popolari dall'inizio

Lettori fissi

Visualizzazioni totali

Cagando todos somos iguales

Cagando todos somos iguales
Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può, pertanto, considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62 del 7/03/2001

Un'immagine, un racconto (libro fotografico on line)

Un'immagine, un racconto (libro fotografico on line)
La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

Etichette

"Sbankor" (2) 10 storie del Cavaliere (10) Abbate Ciccio (1) Abbate Lirio (2) Accolla Dario (1) Accorinti Renato (1) Adinolfi Massimo (1) Aforismi (18) Ai Weiwei (1) Aiosa Lorella (2) Al Capone (1) Alberton Mariachiara (1) Alfano Angelino (2) alias C215 (1) Alice ed Ellen Kessler (1) Alinari Luca (1) Allende Isabel (1) Allievi Stefano (1) Almerighi Mario (1) Amato Fabio (2) Amato Giuliano (2) Ambrosi Elisabetta (1) Amurri Sandra (1) Andreoli Vittorino (4) Andreotti Giulio (4) Andrews Geoff (1) Aneddoti (21) Angela (1) Angelo Rivoluzionario (1) Annunziata Lucia (2) Anselmi Tina (2) Anzalone Morena (1) Articoli (1992) articolo (9) ARVIS (2) Ascione Marco (1) Assange Julian (1) Assante Ernesto (2) Attias Luca (1) Augias Corrado (2) Autieri Daniele (1) Avedon Richard (1) Avveduto Virginia (1) B1 (2) Bachis Roberto (1) Baglioni Angelo (1) Bagnasco Angelo (1) Ballarò (1) Balocco Fabio (1) Banca d'Italia (31) Banche & Finanza (59) Baraggino Franz (1) Barbacetto Gianni (3) Barbareschi Luca (1) Barbera Davide (1) Barca Fabrizio (2) Basile Gaetano (2) Bassi Franco (1) Basso Francesca (1) Battaglia Letizia (9) Battiato Franco (8) Battisti Lucio (1) BCE (1) Beccaria Antonella (1) Beha Oliviero (3) Bei Francesco (1) Belardelli Giovanni (1) Belardelli Giulia (3) Bellantoni Pietro (1) Beltramini Enrico (1) Bene Carmelo (1) Benedetti Carla (1) Benetazzo Eugenio (1) Benigni Roberto (1) Benincasa Giuseppe (1) Benni Stefano (35) Bergoglio Jorge Mario (2) Bergonzoni Alessandro (10) Berlinguer Bianca (1) Berlinguer Enrico (4) Berlusconi Silvio (17) Bernabei Ettore (1) Bersani Pierluigi (3) Bertini Carlo (1) Bertinotti Fausto (1) Bertolini Gregorio (2) Bertolucci Lionello (1) Biagi Enzo (26) Bianchi Enzo (1) Bianchini Eleonora (3) Bianchini Gabriella (1) Bianconi Giovanni (1) Bicocchi Silvano (5) Bignardi Daria (1) Bilderberg (1) Billeci Antonio (2) Billi Debora (1) Billitteri Daniele (1) Bindi Rosy (1) Bini Flavio (2) Biondani Paolo (1) Biscotto Carlo Antonio (1) Bisio Caludio (1) Biussy Nick (1) Bizzarri Sura (7) Blair Cherie (1) Bobbio Norberto (3) Bocca Giorgio (7) Bocca Riccardo (1) Bocconi Sergio (1) Boggi Paolo (1) Boldrini Laura (1) Bolzoni Attilio (2) Bongiorno Carmelo (3) Bongiorno Giulia (1) Bongiorno Mike (1) Bonini Carlo (1) Bonino Carlo (1) Bonino Emma (1) Borghi di Sicilia (1) Borromeo Beatrice (3) Borsellino Paolo (4) Borsellino Rita (1) Borsellino Salvatore (2) Bossi Umberto (2) Botti Antonella (1) Bowie David (1) Bozonnet Jean-Jacques (1) Bracconi Marco (4) Brambrilla Michele (1) Branduardi Angelo (2) Breda Marzio (1) Brera Guido Maria (1) Brusini Chiara (1) Bucaro Giuseppe (1) Buffett Warren (1) Buinadonna Sergio (1) Bukowski Charles (1) Buonanni Michele (1) Burioni Roberto (1) Busi Maria Luisa (1) Buttafuoco Pietrangelo (1) Buzzati Dino (1) Cacciari Massimo (3) Cacciatore Cristian (1) Cacioppo Giovanni (1) Calabresi Mario (4) Calabrò Maria Antonietta (1) Calderoli Roberto (1) Callari Francesco (1) Calvenzi Giovanna (1) Calzona Piero (1) Camilleri Andrea (25) Cammara Nuccia (2) Cammarata Diego (1) Campanile Achille (13) Campi Alessandro (1) Campofiorito Matteo (1) Cancellieri Anna Maria (3) Canfora Luciano (1) Canini Silvio (1) Cannatà Angelo (1) Cannavò Salvatore (3) Cantone Raffaele (1) Canzoni (19) Caponnetto Antonino (1) Caporale Antonello (4) Caprarica Antonio (4) Carbone Chiara (1) Carchedi Bruno (1) Carli Enzo (1) Carlisi Franco (2) Carmi Lisetta (1) Carminati Massimo (1) Carofiglio Gianrico (2) Carpenzano Emanuele (1) Caruso Cenzi (1) Casaleggio Gianroberto (1) Caselli Gian Carlo (5) Caselli Stefano (2) Caserta Sergio (1) Cassese Sabino (1) Castellana Giovanni (1) Castigliani Martina (1) Cat Stevens (1) Catalano Carmela (3) Catalano Massino (2) Catilina Lucio Sergio (1) Cavallaro Felice (2) cazzegio ma non tanto (1) Ceccarelli Filippo (2) Cedrone Giovanni (1) Cei Enzo (1) Celentano Adriano (3) Celestini Ascanio (12) Celi Lia (1) Centro Paolo Borsellino (1) Cerami Gabriella (1) Cernigliaro Totò (1) Cerno Tommaso (1) Cerrito Florinda (2) Cetto La Qualunque (1) Change.Org (1) Chessa Pasquale (1) Chi controlla il controllore? (1) Chiarucci Giancarlo (1) Ciancimino Massimo (3) Ciancimino Vito (2) Ciccarello Elena (1) Cicconi Massi Lorenzo (1) Cicozzetti Giuseppe (1) Cimato Claudia (1) Cimò Valeria (1) Ciotti Luigi (1) Cipiciani Carlo (1) Cirino Mariano (1) Citelli Zino (1) Cito Francesco (4) Civati Giuseppe (1) Claudel Paul (1) Clemente Toti (2) Cocuzza Luigi (1) Colletti Giampaolo (1) Collini Pietro (1) Colombo Furio (4) Colombo Gherardo (6) Coltorti Fulvio (1) Conte Giuseppe (9) Conti Paolo (1) Copasir (1) Coppola Gerardo (11) copyright (1) Cordà Eliane (1) Cordero Franco (1) Cornaglia Carlo (2) Corsi Cristina (2) Corsini Daniele (29) Cortese Renato (1) Cosimi Simone (1) Costamagna Luisella (9) Covatta Giobbe (1) Covid 19 (7) Craxi Bettino (3) Crispi Maurizio (1) Crocetta Rosario (1) Crozza Maurizio (2) Curcio Antonio (3) Cuscunà Salvo (1) Custodero Alberto (1) Cuticchio Franco (1) Cuzzocrea Annalisa (1) d (1) D'alema Massimo (2) D'Alessandro Nicolò (2) D'Amato Daniele (1) D'Ambrosio Simone (2) D'Avanzo Giuseppe (11) D'Eramo Marco (1) D'Esposito Fabrizio (2) D'Orta Marcello (19) da altri blog (1486) Dacrema Pierangelo (1) Dalla Chiesa Carlo Alberto (1) Dalla Chiesa Nando (1) Dalla Lucio (1) Damilano Marco (6) Dandini Serena (1) Davigo Piercamillo (8) De Andrè Fabrizio (4) De Angelis Alessandro (1) De Angelis Attilio (1) De Bac Marcherita (1) De Bortoli Ferruccio (2) De Crescenzi Davide (8) De Crescenzo Luciano (24) De Crescenzo Paola (1) De Curtis Antonio (2) De Francesco Gian Maria (1) De Gasperi Alcide (1) De Gregori Francesco (2) De Gregorio Concita (3) De Luca Erri (2) De Luca Maria Novella (1) De Magistris Luigi (5) De Marchi Toni (1) De Masi Domenico (1) De Riccardis Sandro (1) De Sciciolo Cristiano (1) Deaglio Enrico (3) Dedalus (1) Del Bene Francesco (1) Del Corno Mauro (1) Dell'Utri Marcello (4) Della Valle Diego (1) Deneault Alain (1) Di Bartolo Marica (1) Di Battista Alessandro (1) Di Cori Modigliani Sergio (1) Di Domenico Marco (1) Di Donato Michele (1) Di Feo Gianluca (1) Di Giorgio Floriana (1) Di Maio Luigi (1) Di Matteo Antonino (6) Di Napoli Andrea (10) Di Nicola Primo (2) Di Nuoscio Enzo (3) Di Pietro Antonio (28) Di Romano Arianna (1) Di Stefano Jolanda Elettra (2) Di Stefano Paolo (1) Diamanti Ilvo (28) Didonna Donato (1) Discorsi (1) Documenti (114) Dominici Piero (1) Donadi Massimo (2) Donati Antonella (1) Dondero Mario (1) Dones Merid Elvira (1) Draghi Mario (11) Dusi Elena (1) Eco Umberto (2) Editoriali (1) Eduardo De Filippo (1) Educazione Finanziaria (4) Einstein Albert (1) Elio e Le Storie Tese (1) Email (24) Emanuello Daniele (1) Enigmistica (1) Erika Tomasicchio (1) Ernesto Bazan (2) Esopo (7) Esposito Antonio (1) essec (552) Etica e società (1) Eugenia Romanelli (1) Evangelista Valerio (1) Evita Cidni (3) Ezio Bosso (1) Fabozzi Andrea (1) Fabri Fibra (1) Facchini Martini Giulia (1) Facci Filippo (1) Facebook (28) Falcone Giovanni (5) Falcone Michele (1) Faletti Giorgio (1) Famiglie Arcobaleno (6) Famularo Massimo (1) Fantauzzi Paolo (1) Faraci Francesco (1) Faraone Davide (1) Farinella Paolo (7) Fatucchi Marzio (1) Fava Giuseppe (1) Favale Mauro (1) Favole (11) Fazio Antonio (1) Federica Radice Fossati Confalonieri (1) Federico Vender (2) Fedro (6) Feltri Stefano (6) Feltri Vittorio (1) Ferla Giuseppe (1) Ferrandelli Fabrizio (2) Ferrara Gianluca (1) Ferrara Roberta (1) Ferrarella Luigi (1) Ferro Ornella (2) FIAT (1) Ficocelli Sara (2) Fierro Enrico (2) Filastrocche (1) Finanza (2) Fini Gianfranco (5) Fini Massimo (348) Fiorio Giorgia (1) Fittipaldi Emiliano (2) Flaiano Ennio (1) Flores d'Arcais Paolo (7) Floris Giovanni (2) Flusser Vilem (1) Fo Dario (3) Foà Arnoldo (1) Fontanarosa Aldo (1) Fontcuberta Joan (2) Forleo Maria Clementina (1) Formigli Enrico (1) Fornaro Placido Antonino (1) Fotografia (308) Franceschini Dario (2) Franceschini Enrico (3) Franceschini Renata (1) Franco Luigi (1) Frangini Sara (1) Fraschilla Antonio (1) Friedman Alan (1) Fruttero Carlo (1) Fruttero e Lucentini (1) Furnari Angelo (1) Fusaro Diego (3) Gaarder Jostein (2) Gab Loter (1) Gabanelli Milena (5) Gaber Giorgio (11) Gaglio Massimiliano (1) Gaita Luisiana (1) Galantino Nunzio (1) Galeazzi Lorenzo (1) Galici Marina (2) Galimberti Umberto (10) Galli della Loggia Ernesto (1) Galligani Mauro (1) Gallo Andrea (2) Gallo Domenico (1) Garbo Rosellina (1) Garcin Gilbert (1) Garibaldi Giuseppe (1) Gasparri Maurizio (1) Gattuso Marco (1) Gaudenzi Daniela (3) Gawronski PierGiorgio (2) Gebbia Totò (1) Gelmini Mariastella (2) Genovesi Enrico (3) Gentile Tony (1) georgiamada (1) Gerbasi Giuseppe (1) Gerino Claudio (1) Ghedini Niccolò (2) Giampà Domenico (1) Giamporcaro Concetta (1) Gianguzzi Rosalinda (1) Giannelli (1) Giannini Massimo (31) Giannone Eugenio (1) Giannuli Aldo (3) Giaramidaro Nino (9) Gilardi Ando (1) Gilioli Alessandro (5) Gino e Michele (2) Ginori Anais (1) Giordano Lucio (1) Giordano Paolo (1) Giuè Rosario (1) Giuffrida Roberta (1) Giulietti Beppe (1) Gomez Peter (24) Gonzalez Silvia (1) Google (1) Gotor Miguel (1) Graffiti (2) Gramellini Massimo (9) Granata Fabio (3) Grancagnolo Alessio (1) Grassadonia Marilena (2) Gratteri Nicola (1) Greco Francesco (3) Greco Valentina (1) Grillo Beppe (45) Grimoldi Mauro (1) Grossi Alberto (1) Gruber Lilli (1) Gualerzi Valerio (1) Guémy Christian (1) Guerri Giordano Bruno (3) Gump Forrest (2) Gusatto Lara (1) Guzzanti Corrado (10) Guzzanti Paolo (4) Guzzanti Sabina (1) Hallen Woody (1) Harari Guido (1) Herranz Victoria (1) Hikmet Nazim (1) Hitler Adolf (1) Horvat Frank (1) Hutter Paolo (1) IA (2) Iacchetti Enzo (1) Iacona Riccardo (1) Iannaccone Sandro (1) Idem Josefa (1) IDV - Italia dei Valori (23) Il Ghigno (2) Il significato delle parole (5) Imperatore Vincenzo (4) Imprudente C. (1) Ingroia Antonio (4) Innocenti Simone (1) Invisi Guglielmo (1) Ioan Claudia (1) Iori Vanna (1) Iossa Mariolina (1) Iotti Nilde (1) Iovine Sandro (1) ITC Francesco Crispi (2) Iurillo Vincenzo (1) Jarrett Keith (1) Jodice Mimmo (1) Jop Toni (1) Joppolo Francesca (1) Julia Jiulio (1) Kashgar (1) Kipling Rudyard (1) Kleon Austin (1) L'Angolino (6) L'apprendista libraio (1) L'Ideota (1) La Delfa Giuseppina (1) La Grua Giuseppe (1) La Licata Francesco (2) La Rocca Margherita (1) La Rosa Dario (1) LAD (Laboratorio Arti Digitali) - Palermo (1) Lana Alessio (1) Lannino Franco (1) Lannutti Elio (1) Lannutti Wlio (1) Lanzetta Maria Carmela (1) Lanzi Gabriele (1) Laurenzi Laura (1) Lauria Attilio (2) Lavezzi Francesco (1) Le Formiche Elettriche (19) Le Gru (3) Leanza Enzo Gabriele (1) Lectio Magistralis (1) Lella's Space (1) Lenin (1) Lerner Gad (1) Letta Enrico (3) Letta Gianni (1) Levi Montalcini Rita (1) Lezioni (3) Li Castri Roberto (1) Li Vigni Monica (1) Licandro Orazio (1) Licciardello Silvana (1) Lido Fondachello (1) Lillo Marco (14) Limiti Stefania (1) Lingiardi Vittorio (1) Littizzetto Luciana (8) Liucci Raffaele (1) Liuzzi Emiliano (3) Livini Ettore (1) Lo Bianco Giuseppe (2) Lo Bianco Lucia (1) Lo Piccolo Filippo (1) Lodato Saverio (8) Lolli Claudio (1) Longo Alessandra (1) Lorenzini Antonio (8) Lorenzo dè Medici (2) Loy Guglielmo (1) Lucarelli Carlo (1) Lucci Enrico (1) Lungaretti Celso (1) Luongo Patrizia (1) Luporini Sandro (7) Lussana Carolina (1) Luttazi Daniele (3) M5S (2) Mackinson Thomas (3) Magris Claudio (1) Maier Vivian (1) Maiorana Marco Fato (1) Maltese Curzio (22) Manca Daniele (1) Manfredi Alessia (1) Manna Francesco (1) Mannheimer Renato (1) Mannoia Fiorella (2) Manzi Alberto (1) Maraini Dacia (2) Maratona di Palermo (7) Maratona di Palermo 2023 (1) Marcelli Fabio (1) Marchetti Ugo (1) Marchionne Sergio (3) Marcoaldi Franco (1) Marconi Mario (1) Marcorè Neri (1) Marenostrum (1) Marino Ignazio (2) Marra Wanda (3) Marro Enrico (1) Martelli Claudio (4) Martini Carlo Maria (2) Martorana Gaetano (5) Marzano Michela (2) Mascali Antonella (2) Mascheroni Luigi (1) Masi Mauro (1) Massarenti Armando (4) Massimino Eletta (1) Mastella Clemente (1) Mastropaolo Alfio (1) Mattarella Sergio (2) Mauri Ilaria (1) Maurizi Stefania (1) Mauro Ezio (22) Mautino Beatrice (1) Max Serradifalco (1) Mazza Donatella (1) Mazzarella Roberto (1) Mazzella Luigi (1) Mazzola Barbara (2) Mazzucato Mariana (1) McCurry Steve (1) Meletti Giorgio (3) Meli Elena (1) Mello Federico (4) Melloni Mario (3) Meloni Giorgia (1) Menichini Stefano (1) Mentana Enrico (3) Merella Pasquale (1) Merico Chiara (1) Merkel Angela (1) Merlino Simona (1) Merlo Francesco (5) Messina Ignazio (1) Messina Sebastiano (3) Mesurati Marco (1) Milella Liana (2) Milla Cristiana (1) Mincuzzi Angelo (1) Mineo Corradino (2) Minnella Liana (1) Minnella Melo (1) Mogavero Domenico (2) Monastra Antonella (1) Montanari Maurizio (1) Montanari Tomaso (2) Montanelli Indro (8) Montefiori Stefano (2) Monti Mario (7) Moore Michael (1) Mora Miguel (2) Morelli Giulia (1) Moretti Nanni (1) Moro Aldo (6) Mosca Giuditta (1) Munafò Mauro (1) Musolino Lucio (1) Mussolini Benito (4) Myanmar (1) Napoleoni Loretta (1) Napoli Angela (1) Napolitano Giorgio (10) Narratori e Umoristi (263) Nemo's (1) Nicoli Sara (6) Nietzsche Friedrich (2) Norwood Robin (1) Notarianni Aurora (1) Nuzzi Gianluigi (4) Obama Barak (4) Oian Daniele (1) Oliva Alfredo (1) Onorevoli e .... (282) Oppes Alessandro (1) Orlando Leoluca (4) Ottolina Paolo (1) P.T. (6) Pace Federico (2) Padellaro Antonio (31) Padre Georg Sporschill (1) Pagliai Giovanni (1) Pagliaro Beniamino (1) Pagnoncelli Nando (1) Palazzotto Gery (1) Palminteri Igor (1) Palombi Marco (2) Panebianco Angelo (1) Panizza Ghizzi Alberto (1) Pannella Marco (1) Pansa Giampaolo (3) Papa Bergoglio (2) Papa Francesco (1) Papa Roncalli (2) Pappalardo Pippo (31) Paragone Gianluigi (1) Parise Goffredo (1) Parisi Francesco (1) Parisi Giorgio (1) Parlagreco Salvatore (5) Pasolini Caterina (1) Pasolini Pierpaolo (1) Pasqualino Lia (1) Passaparola (84) Peccarisi Cesare (1) Pellegrini Edoardo (1) Pellegrino Gianluigi (1) Pellizzetti Pierfranco (9) Penelope Nunzia (1) Pericle (1) Personaggi (7) Pertini Sandro (1) Petizioni (1) Petraloro Vito (1) Petrella Louis (1) Petretto Francesca (1) Petrini Diego (1) Petrolini Ettore (4) Piana degli Albanesi (1) Picciuto Salvatore (1) Piccolo Francesco (5) Pignatone Giuseppe (1) Piketty Thomas (2) Pillitteri Nino (2) Pini Massimo (4) Pini Valeria (2) Pink Floyd (2) Pino Sunseri (1) Pinotti Ferruccio (1) Pipitone Giuseppe (5) Pisanu Giuseppe (1) Pitta Francesca (1) Pitti Luca (1) Pivano Fernanda (1) Poesia (39) Politi Marco (2) politica (32) Polito Antonio (1) Pomi Simone (4) Pomicino Paolo Cirino (1) Pompei (1) Popolo Viola (1) Porro Nicola (1) Porrovecchio Rino (2) Portanova Mario (1) Pretini Diego (1) Prezzolini Giuseppe (1) Prodi Romano (3) Puppato Laura (1) Purgatori Andrea (1) Quagliarello Gaetano (1) Querzè Rita (1) Quinto Celestino (1) Raiperunanotte (1) Rajastan (1) Rame Franca (1) Rampini Federico (13) Randazzo Alessia (1) Ranieri Daniela (1) Ranucci Sigfrido (1) Ravello (1) Recalcati Massimo (2) Recensioni (72) Referendum (2) Reguitti Elisabetta (2) Reina Davide (1) Remuzzi Giuseppe (1) Renzi Matteo (12) Report (2) reportage (1) Reportage siciliano (4) Reski Petra (2) Retico Alessandra (1) Revelli Marco (1) Riboud Marc (1) Ricci Maurizio (1) Ricciardi Raffaele (1) Rijtano Rosita (1) Riondino David (4) Riva Gloria (1) Rizza Sandra (2) Rizzo Marzia (1) Rizzo Sergio (9) Roberti Franco (2) Roccuzzo Antonio (1) Rodari Gianni (3) Rodotà Maria Laura (1) Rodotà Stefano (6) Roiter Fulvio (1) Romagnoli Gabriele (1) Rosalio (1) Rosselli Elena (1) Rossi Enrico (1) Rossi Guido (1) Rossi Paolo (1) Rosso Umberto (1) Ruccia Gisella (1) Rusconi Gianni (1) Russo Stefano (1) Rutigliano Gianvito (2) Ruvolo Mariastella (1) Sacconi Maurizio (2) Saggistica (132) Saglietti Ivo (1) Said Shukri (1) sallusti Alessandro (1) Salvati Michele (1) Sander August (1) Sannino Conchita (1) Sansa Ferruccio (3) Sansonetti Stefano (1) Santamaria Marcello (1) Santarpia Valentina (1) Santoro Michele (6) Sardo Alessandro (1) Sargentini Monica Ricci (1) Sartori Giovanni (9) Sasso Cinzia (1) Sava Lia (1) Savagnone Fabio (1) Savagnone Giuseppe (1) Saviano Roberto (12) Savoca Tobia (7) Savona Paolo (1) Scacciavillani Fabio (1) Scaglia Enrico (1) Scalfari Eugenio (33) Scalzi Andrea (1) Scanzi Andrea (9) Scarafia Sara (1) Scarpinato Roberto (10) Schillaci Angelo (1) Scianna Ferdinando (12) Sciascia Carlo Roberto (1) Scorza Guido (2) Scuola (2) Scurati Antonio (1) Segre Liliana (1) Sellerio Enzo (2) Serra Michele (14) Serra Michele R. (1) Serradifalco Massimiliano (1) Severgnini Beppe (12) Sgroi Fabio (3) Shopenhauer Arthur (1) Shultz (1) Sicilcassa (2) SID (1) Sidari Daniela (3) Sideri Massimo (2) Siena (2) Signorelli Amalia (1) Siino Tony (1) Silena Lambertini (1) Simonelli Giorgio (2) Sisto Davide (1) Slide show (66) Smargiassi Michele (3) Snoopy (1) Socrate (1) Soffici Caterina (1) Sofri Adriano (1) Sollima Giovanni (1) Sommatino Francesca (2) Soth Alec (1) Sparacino Tiziana (1) Spencer Tunick (1) Spicola Mila (3) Spielberg Steven (1) Spinelli Barbara (6) Spinicci Paolo (1) Sport (1) Springsteen Bruce (4) Staino Sergio (1) Stasi Davide (1) Stella Gian Antonio (10) Stepchild adoption (1) Stille Alexander (2) Stone Oliver (1) Storie comuni (6) Strada Gino (1) Strano Roberto (1) street art (10) Studio Seffer (1) Superbonus (1) Sylos Labini Francesco (1) Szymborska Wislawa (1) T.S. (1) Tafanus (1) Taormina Carlo (1) Tarquini Andrea (2) Tartaglia Roberto (1) Taverna Paola (1) Tecce Carlo (4) Telese Luca (7) Temi (4) Terzani Tiziano (4) Tholozan Isabella (1) Tinti Bruno (16) Tito Claudio (2) Tocci Walter (1) Tomasi di Lampedusa Giuseppe (1) Tomasoni Diego (2) Tonacci Fabio (1) Toniolo Maria Gigliola (1) Toniutti Tiziano (2) Tornatore Giuseppe (1) Torresani Giancarlo (9) Torsello Emilio Fabio (2) Tortora Francesco (3) Totò (3) Trailer (1) Tramonte Pietro (1) Travaglio Marco (252) Tremonti Giulio (2) Tribuzio Pasquale (5) Trilussa (15) Troja Tony (1) Trump Donald (1) Truzzi Silvia (8) TT&P (1) Tundo Andrea (1) Turati Giuseppe (1) Turco Susanna (1) Turrini Davide (1) Twain Mark (1) U2 (1) UIF - Unione Italiana Fotoamatori (4) Usi ed Abusi (8) Valesini Simone (1) Valkenet Paulina (1) Vandenberghe Dirk (1) Vannucci Alberto (1) Varie (101) Vauro Senesi (3) Vazquez Luisa (3) Vecchi Davide (9) Vecchio Concetto (3) Veltroni Walter (3) Vendola Niki (3) Venturini Marco (1) Verderami Francesco (1) Verdini Denis (3) Vergassola Dario (4) Verrecchia Serena (1) Viale Guido (1) Video (104) Villaggio Paolo (6) Violante Luciano (2) Viroli Maurizio (3) Visetti Giampaolo (1) Vita Daniele (1) Viviano Francesco (2) Vivirito Cettina (1) Volàno Giulio (1) Vulpi Daniele (1) Vultaggio Giuseppe (1) Walters Simon (1) Weinberger Matt (1) Wenders Wim (1) Wikipedia (20) Wilde Oscar (3) WWF (1) www.toticlemente.it (4) You Tube (97) Yourcenar Margherite (1) Zaccagnini Adriano (1) Zaccagnini Benigno (1) Zagrebelsky Gustavo (9) Zambardino Vittorio (1) Zanardo Lorella (1) Zanca Paola (1) Zecchin Franco (2) Zucconi Vittorio (3) Zucman Gabriel (1) Zunino Corrado (1)

COOKIES e PRIVACY Attenzione!

Si avvisano i visitatori che questo sito utilizza dei cookies per fornire servizi ed effettuare analisi statistiche anonime. E’ possibile trovare maggiori informazioni all’indirizzo della Privacy Policy di Automattic: http://automattic.com/privacy/ Continuando la navigazione in questo sito, si acconsente all’uso di tali cookies. In alternativa è possibile rifiutare tutti i cookies cambiando le impostazioni del proprio browser.

Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

Monte Pellegrino visto da casa natia di Acqua dei Corsari

Collaboratori

Calcolo Devalutazione Monetaria