"Dopo gli anni ovattati dell'infanzia e quelli spensierati dello studio ci si immerge nella catena lavorativa che, al di là di qualunque gratificazione, assorbe e lascia poco tempo ... e poi finalmente arriva la tua quarta dimensione ... e ritrovi quella serenità smarrita."

Il presente blog costituisce un almanacco che in origine raccoglie i testi completi dei post pubblicati su: http://www.laquartadimensione.blogspot.com, indicandone gli autori, le fonti e le eventuali pagine web (se disponibili).

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lunedì 26 febbraio 2018

Elezioni, le trappole sulla scheda che rischiano di fregare l’elettore. Manuale breve: primo, conoscere (bene) i candidati




Chi è del Pd a Bologna vota Casini e ormai lo sanno tutti. A Modena vota la Lorenzin e anche questo è noto. Chi sceglie il M5s a Potenza o a Pesaro trova Caiata, indagato per riciclaggio ed espulso, e Cecconi, emarginato in qualità di caso alfa del caos sui rimborsi. A Pontida – la culla del leghismo – chi vuole essere fedele al Carroccio e lascia la sua ics sul simbolo di Alberto da Giussano, contribuisce all’elezione di Maurizio Lupi, ex fedelissimo alfaniano e perno dei “governi dell’inciucio” di questi anni. E’ il risultato dei giochi di prestigio del Rosatellum, il sistema elettorale che regola le elezioni politiche di domenica prossima. E’ il frutto di illusioni ottiche di una legge che invita a votare un partito e usa quel voto per dare la preferenza a un candidato che non si vorrebbe e che, al contrario, invita a scegliere un candidato e usa quel segno sulla scheda per ingrossare in realtà anche il risultato di una forza politica che non si sopporta. Il Rosatellum, come ha sottolineato più volte ilfatto.it anche nei giorni dell’approvazione, nasconde molti “trucchi” che impediscono una completa libertà dell’elettore dentro la cabina. Al cittadino resta un modo per “difendersi”: trasformare il proprio voto, farlo diventare il più consapevole possibile.

Non basta il fatto che sulla scheda, per la prima volta dopo molti anni, tornino stampati i nomi dei candidati. Anche perché, a una settimana dal voto, alzi la mano chi conosce i candidati che si ritroverà sulla propria scheda. Per questo l’ex segretario dei Radicali Mario Staderini, da anni impegnato in difesa dei diritti politici dei cittadini, ha creato e messo online libertadivoto.it, una piattaforma che consente di sapere quali sono i candidati di ogni collegio. “Insieme ai compagni radicali Giuseppe Alterio e Paolo Breccia – spiega a ilfattoquotidiano.it – abbiamo voluto offrire un servizio pubblico ai cittadini, che potranno conoscere i candidati del loro collegio inserendo l’indirizzo di residenza e scoprire se, per colpa della legge elettorale, per votare il loro partito al proporzionale saranno costretti a votare anche un candidato uninominale che loro considerano invotabile“.

Per cominciare si può ricordare che la legge è un sistema misto, cioè in parte maggioritario e in parte proporzionale. Ma non sono quote equivalenti: solo un terzo dei parlamentari sarà eletto con il criterio maggioritario col collegio uninominale (dove vince chi ottiene un solo voto in più dell’avversario), mentre gli altri due terzi di deputati e senatori saranno presi da listini bloccati con il criterio proporzionale: più la lista prende voti, più eletti scattano, a partire dal capolista (che ha quasi la certezza di essere eletto) e a scendere con gli altri (ci sono in tutto da 2 a 4 nomi a seconda della grandezza dei collegi).

Tutto chiaro? No. Perché la scelta dell’elettore è obbligata, annodata, intrecciata. Vediamo di sciogliere il nodo. Primo: scegliendo il candidato dell’uninominale, il voto è “trasmesso” anche ai partiti che lo sostengono (uno o più di uno). Secondo: scegliendo il partito, il voto si riflette in automatico anche sul candidato uninominale. Terzo: non ci sono le preferenze, quindi scegliendo un partito si prende il listino bloccato così com’è (anzi, ogni segno in più comporta un rischio di annullamento). Quarto: per la proprietà transitiva – poiché scegliendo il candidato dell’uninominale si vota anche il partito che lo sostiene – si contribuisce a votare i candidati nel listino bloccato del proporzionale. Il male originale è la mancanza del voto disgiunto: è così che il voto sulla scheda del Rosatellum nasconde in realtà tre voti diversi, un gioco di specchi che può portare l’elettore dove non vuole o comunque dove non immagina.

Tutto chiaro? No. C’è un’altra regolina che distorce ancora un po’ il voto, nota forse solo agli addetti ai lavori e agli elettori più attenti. Hanno, infatti, diritto a una rappresentanza in Parlamento solo le forze politiche che raggiungono il 3 per cento. Ma gli altri voti non sono tutti uguali: quelli che vanno ai partiti non coalizzati sono ripartiti tra tutte le liste che superano la soglia del 3, mentre quelli che vanno ai partiti coalizzati e che superano l’1 vengono ripartiti solo tra le forze della stessa coalizione. Facciamola più facile: se Civica Popolare (la listarella centrista di Beatrice Lorenzin) supera l’1 ma non il 3, le preferenze andate al suo simbolo vengono redistribuite tra i partiti che nella coalizione di centrosinistra superano il 3. Cioè, secondo i sondaggi, il Pd e PiùEuropa. Ancora più chiaramente: un voto agli ex berlusconiani come Lorenzin e Casini finirà per favorire la radicale Emma Bonino e non serve sottolineare quanto siano distanti le due posizioni politiche. Vale anche per il centrodestra: se Noi con l’Italia (soggetto in gran parte formato da ex democristiani) supera l’1 e non il 3, i suoi voti saranno redistribuiti alle altre forze della coalizione. Tradotto: i voti per CesaLupiFittoQuagliariello finiranno a Salvini. Anche in questo caso un voto “moderato” andrebbe ad ingrossare idee molto più radicali.

Proviamo a sciogliere qualche nodo e passare dalla teoria alla pratica.

Primo caso. A Latina all’uninominale per la Camera è eletta Giorgia Meloni, che pochi giorni fa ha organizzato una manifestazione “anti-inciucio”. Segnando il suo nome sulla scheda, il voto sarà ripartito in quota proporzionale anche a Noi con l’Italia, in gran parte formato da esponenti che hanno sostenuto i governi di Letta, Renzi e Gentiloni. Naturalmente la stessa cosa vale per i candidati all’uninominale della Lega.

Secondo caso. A Reggio Calabria il centrosinistra (Pd e alleati) candida all’uninominale del Senato Vincenzo Mario Domenico D’Ascola, da tutti conosciuto come Nico. Cioè la quintessenza del berlusconismo, anche se lui ora si dice semplicemente “socialista da sempre”: eletto parlamentare col Pdl, è stato il legale di Gianpi Tarantini e di Claudio Scajola e anche socio dello studio di Niccolò Ghedini. Detto tutto questo: l’elettore che barrerà solo il simbolo del Pd, contribuirà all’elezione di D’Ascola.

Terzo caso. Ad Alba, in provincia di Cuneo, il Movimento Cinque Stelle ha inserito come capolista del listino bloccato per il Senato Carlo Martelli, uno dei parlamentari che ha nascosto di non aver fatto tutti i bonifici al fondo per le piccole e medie imprese. E’ stato già messo fuori dal M5s e lui dice che rinuncerà. In attesa che le parole si trasformino in fatti, Martelli sarà certamente eletto perché il suo posto è blindatissimo in un’area del Nord in cui i Cinquestelle peraltro vanno piuttosto bene. Votando il simbolo del M5s, l’elettore farà eleggere Martelli.

Quarto caso. A Sesto Fiorentino il candidato all’uninominale del centrosinistra è Roberto Giachetti. Parlamentare del Pd, è ex radicale nei modi (si ricorda il suo sciopero della fame per la riforma elettorale) ma anche nei temi, soprattutto sui diritti civili. E’ suo un ddl per la legalizzazione della cannabis, su biotestamento e unioni civili si potrà immaginare come la pensa. Ma nello stesso collegio, votando Giachetti, si dà forza anche alle liste che lo appoggiano e tra queste c’è anche Civica Popolare che, nella parte proporzionale, candida al secondo posto del listino Gabriele Toccafondi, berlusconiano storico poi diventato alfaniano e soprattutto da sempre ciellino: è contrario alla legalizzazione della cannabis, al biotestamento e alla legge Cirinnà sulle unioni civili. Chi vota Giachetti contribuisce alla possibilità che venga eletto anche Toccafondi (remota solo per i numeri minuscoli di Civica Popolare).

Naturalmente tutti questi esperimenti valgono anche di più con i cosiddetti “impresentabili“. Roberto Formigoni, ex presidente della Regione Lombardia, condannato per corruzione a sei anni, è candidato al Senato come capolista di Noi con l’Italia in tre circoscrizioni della Lombardia (Milano, Monza-Brianza e Brescia-Bergamo). Un elettore di centrodestra che voterà il candidato della parte uninominale dei tre collegi (Luigi Pagliuca, Stefania Craxi, Adriano Paroli) non potrà evitare di dare il suo contributo anche al Celeste. Qui una via d’uscita c’è: basterà votare solo una lista – sempre del centrodestra – che non è quella di Formigoni (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) senza barrare alcun nome. E in effetti votare il simbolo (come accadeva col Porcellum) è il consiglio che danno molti leader di partito, da Piero Grasso a Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni.


Ilaria Mauri e Diego Pretini (Il Fatto Quotidiano - 26 febbraio 2018)



venerdì 23 febbraio 2018

Antimafia, la relazione finale: “C’è un decadimento della politica. Modificare Severino e le leggi per le candidature”



L’aumento dei comuni sciolti per inflitrazioni mafiose, le inchieste sui politici, il trasformismo, il clientelismo e il voto di scambio. Sono gli elementi che hanno un peso specifico nel continuo e sempre più evidente decadimento della classe politica. Il modo per provare a neutralizzarli? Modificare sia la legge Severino che le leggi che regolamentano le candidature. Non basta un certificato penale pulito per considerare pulita una lista. Alla vigilia delle elezioni politiche l’ Antimafia si occupa ancora una volta del problema dei cosiddetti impresentabili inseriti in lista dai vari partiti. E lo fa presentando la relazione finale che analizza cinque anni di lavoro della commissione presieduta da Rosy Bindi. Un documento che fa il punto su un lustro di lavoro di Palazzo San Macuto.  E che lascia a chi sarà eletto nella prossima commissione alcuni consigli su come continuare un lavoro d’inchiesta che nell’ultima legislatura ha puntato i riflettori non solo sullo sviluppo delle associazioni criminali ma anche sulla loro capacità d’infiltrarsi nelle istituzioni.

“Decadimento della politica. Integrare legge Severino” – Ed è proprio alla classe politica che si rivolge il capitolo della relazione dedicata agli scioglimento delle amministrazioni locali. “Il numero crescente di comuni sciolti per mafia e di procedimenti a carico di amministratori ed esponenti della politica locale, il trasformismo politico e il clientelismo su cui fa leva il voto di scambio, impongono una seria riflessione sulla moralità del sistema e sulla tenuta del principio di rappresentanza. Un decadimento allarmante che rende necessario integrare e correggere la legge Severino“, si legge nella relazione che avanza proposte tese a rafforzare il sistema dei controlli e la trasparenza . Dal 1991 ad oggi si registrano ben 291 scioglimenti per mafia di enti locali, pari a 229 comuni. Numerosi i casi di comuni sciolti due volte (42 casi) o addirittura tre volte (13 casi). Si tratta per lo più di comuni di piccole e medie dimensioni.

“Liste pulite, non bastano i certificati penali privi di condanne” – “Il mandato per la prossima commissione – scrive dunque palazzo San Macuto – non potrà trascurare il compito, su cui molto si è lavorato, del rapporto tra mafia e politica, soprattutto sul versante della trasparenza e della selezione delle candidature, in particolare a livello locale. Rientrano in quest’ambito, le proposte di modifica del Testo Unico degli enti locali, nella parte relativa allo scioglimento dei comuni per infiltrazione e condizionamento mafioso, alla gestione dell’ente da parte della commissione straordinaria e alle previsioni in tema di incandidabilità e ineleggibilità, ampiamente illustrate nella relazione. Tuttavia – sottolinea la commissione – il tema delle misure sulla presentazione e la qualità delle candidature, non si esaurisce certamente con l’esibizione di certificati penali privi di evidenze giudiziarie”.

“Senza verità sulle stragi Costituzione rimane inattuata” –  E se San Macuto si affida alla prossima legislatura per modificare la legge Severino e le regole sulle candidature, ai futuri componenti della commissione Antimafia si chiede uno sforzo ancora maggiore: cercare la verità sulle stragi mafiose.”Il 2018 si è aperto con il 70° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il primo e più completo codice antimafia del Paese, che non potrà dirsi pienamente attuata, nei suoi valori fondanti di democrazia e libertà, se non sarà fatta piena luce sulle stragi e sui delitti a carattere politico-mafioso del 1992-1993″, scrive Bindi nella relazione finale, ricordando che “l’inchiesta della commissione, nonostante la contemporanea celebrazione dei processi Borsellino quater e per la cosiddetta trattativa Stato-mafia e si è proposta comunque di comprendere, alla luce dei più recenti accadimenti, quale fosse, dopo oltre un ventennio dalle stragi, lo stato complessivo delle ricognizioni e cosa sia ancora possibile compiere per giungere alla verità”. Risultato? “Ciò che deve essere ancora chiarito non è soltanto l’interesse, vendicativo, rivendicativo o di qualsiasi altra natura che cosa nostra perseguiva, ma il ruolo e le finalità di quella mano esterna, già evidenziata dalla Commissione Pisanu e che la sentenza del Borsellino-quater, fa emergere con una lettura dei fatti in termini di depistaggio e di un interesse terzo”. Al nuovo Parlamento, quindi, la Commissione chiede quindi di continuare a cercare la verità sulle stragi. “Dopo venticinque anni – prosegue il documento – la sede naturale in cui cercare la verità storica complessiva sulle stragi è quella politica. Si tratta di un percorso complesso in cui sarebbe auspicabile anche che i protagonisti, diretti o indiretti, o soltanto testimoni del perseguimento di quegli interessi terzi, finalmente contribuissero a far luce sulle pagine buie della storia italiana. È un impegno morale che la politica non può più eludere e che la commissione rimette al nuovo Parlamento. Ciò che è accaduto allora resta una tragica ferita nella coscienza e nella dignità del paese. È un debito di verità che è tempo di consegnare riscattato agli italiani di oggi e di domani.  Rimane il dubbio che una lunga scia di sangue unisca politicamente via Fani a via D’Amelio, passando per la Sicilia e lungo la penisola”.

“41 bis perno insostituibile ma in certi casi boss comunicano”- Passaggio fondamentale della relazione è poi quelllo dedicato al regime di carcere duro pervisto per detenuti mafiosi, definito “un insostituibile perno della legislazione antimafia“. Tuttavia, però, di circa 640 detenuti in regime di 41 bis sono ospitati in strutture penitenziarie che, alcune più altre meno, non rispondono ai requisiti di legge.  “Nonostante la legge preveda strutture o sezioni penitenziarie dedicate ai detenuti in regime speciale, la norma del 2009 è rimasta inattuata, e in molti istituti è di fatto possibile la comunicazione tra soggetti di eterogenei gruppi di socialità”, si legge nel documento che – dopo aver ricordato il lavoro svolto dalla commissione sul cosiddetto Protocollo Farfalla – si sofferma come la nuova convenzione stipulata nel giugno 2010 tra l’Aise e dipartimento amministrazione penitenziaria per regolamentare lo scambio di notizie e di dati inerenti l’ambito carcerario. Un accordo che – secondo l’antimafia – genera “alcune serie preoccupazioni“. “Si sono infatti riscontrati spazi interpretativi che, anche solo ipoteticamente, potrebbero consentire una prassi applicativa non del tutto aderente alle intenzioni del legislatore ed essere causa di possibili menomazioni delle funzioni giudiziarie”. La commissione auspica che la convenzione venga, comunque, tempestivamente riscritta “per non lasciare spazio a nessuna ombra”.

“Morte Riina ha rafforzato la mafia. A breve riorganizzazione” –  La relazione, però, si occupa anche dell’attuale evoluzione delle mafie. A cominciare da quella siciliana, segnata negli ultimi tempi dalla morte di Totò Riina e Bernardo Provenzano. “Cosa nostra è vitale in ciascuna provincia siciliana. In questi anni l’organizzazione ha mantenuto il controllo del territorio e gode ancora di ampio consenso, ed esercita tuttora largamente la sua capacità di intimidazione alla quale ancora corrisponde, di converso, il silenzio delle vittime. La morte di Totò Riina costituisce paradossalmente un ulteriore elemento attuale di forza“, scrive la Bindi. Per i commissari, dunque, siamo alla vigilia di un possibile cambio di marcia della piovra. “Cosa nostra – scrivono –  è infatti libera di ridarsi un organismo decisionale centrale, e quindi una strategia comune, finora ostacolata dall’esistenza di un capo che, in carcere a vita al 41-bis, né poteva comandare né poteva essere sostituito. Andrà perciò attentamente monitorata la fase di transizione che si è formalmente aperta e che probabilmente subirà un’accelerazione a breve”. Considerato che Cosa nostra, “nonostante l’azione incessante delle forze dell’ordine e della magistratura, mostra una straordinaria capacità di rigenerazione“.



mercoledì 21 febbraio 2018

Pd, da Palermo a Napoli la protesta anti Renzi parte dal Sud: “Gestione padronale con logiche da banditismo”




A Napoli la segretaria dei giovani si è dimessa dopo l’esplosione del caso rifiuti che ha coinvolto direttamente il secondogenito di Vincenzo De Luca. “Non posso più avallare logiche che definirei ai limiti del banditismo“, si è sfogata. A Caltanissetta, invece, alcune sezioni hanno abbassato le saracinesche, in polemica con la ricandidatura – la terza – di Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Totò. “Chiuso per dignità, senza padroni”, hanno scritto all’ingresso. A Taranto il circolo l’hanno occupato direttamente, per protestare contro le liste compilate a Roma e imposte alla base territoriale: “Federazione occupata. Non vogliamo i baresi candidati a Taranto”. Più o meno la stessa polemica sollevata a Bari, ma nei confronti di un’aspirante parlamentare che ha il difetto di essere nata a Foggia. Più netta la reazione provocata a Palermo dal triplice paracadute assicurato dal Nazareno a Maria Elena Boschi, imposta come capolista in ben tre collegi siciliani. Sull’isola hanno deciso che era il momento di reagire: e hanno creato una corrente che critica aspramente la linea di partito. Comunque vadano le elezioni il prossimo 4 marzo, nel Pd la protesta contro Matteo Renzi è già cominciata. Anzi, visti i toni, più che di protesta si può parlare di una rivolta in piena regola pronta a deflagrare anche nel resto d’Italia nel day after delle politiche. Soprattuto se i risultati confermeranno le previsioni dei sondaggi. Anche perché, spesso, a contestare il segretario non sono esponenti delle correnti estreme del partito: tutt’altro.

In Sicilia nascono i partigiani del Pd –  Un esempio? Le parole di Antonio Rubino, storico responsabile dell’organizzazione del Pd in Sicilia. “Hanno trattato il Mezzogiorno come faceva la vecchia politica. Una sorte di palude nella quale nascondere operazioni nepotistiche e trasformistiche. Ma il Meridione, ancora una volta, si conferma anche luogo di passione e ribellione contro le prepotenze e questi movimenti lo stanno dimostrando”, dice al fattoquotidiano.it il dirigente dem, che con una carriera da funzionario d’ordine alle spalle non può certo essere considerato un barricadero massimalista.  Le liste compilate al Nazareno per i collegi siciliani, però, avrebbero fatto venire i cinque minuti anche al più fedele dei militanti. Oltre alla triplice blindatura assicurata a Boschi, infatti, le liste dei dem sull’isola sono stati riempite da una serie di candidati con trascorsi politici nel centrodestra.

I renziani presentati in gelateria – C’è Nicola D’Agostino, ex capogruppo del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo. E poi Valeria Sudano, che Totò Cuffaro definisce una “sua amica“. E gli immancabili “figli di“: l’erede dell’ex ministro Cardinale, che ormai da dieci anni ha ricevuto in dote dal padre il seggio al Parlamento. E Calogero Sodano, rampollo dell’ex sindaco di Agrigento, già senatore del centrodestra con un nutrito curriculum giudiziario. Insomma, davvero troppo. Rubino ed altri dirigenti, quindi, hanno deciso di varare una sorta di sciopero della militanza: hanno lasciato gli incarichi all’interno del partito, smettendo di fare campagna elettorale. Quindi hanno fondato un loro movimento: si chiamano Partigiani del Pd e da settimane non mancano di criticare la “gestione padronale” del partito condotta dal sottosegretario Davide Faraone sull’isola. Il risultato è che gli uomini di Renzi sono costretti a organizzare gli eventi elettorali in bar e gelaterie per evitare di presentarsi nei circoli dove le scelte romane hanno suscitato più di qualche maldipancia

La guerra intestina pugliese –  I nomi inseriti in lista, però, hanno sollevato proteste anche in Puglia, terra di Michele Emiliano. L’esclusione del deputato tarantino Ludovico Vico, per esempio, ha scatenato le proteste nel capoluogo jonico, dove invece è stato imposto come capolista Ubaldo Pagano,  segretario provinciale di Bari, vicino al governatore. I tarantini non ci hanno visto più e hanno occupato la sede del partito. Si sono fermati a una lettera di protesta, invece i militanti di Bari nord, che dovranno votare la foggiana Colomba Mongiello, anche lei esponente dell’area Emiliano e per questo preferita a Liliana Ventricelli, che invece è considerata espressione del territorio. Insomma in Puglia è il campanilismo la benzina della feroce guerra intestina tutta interna ai dem.

“Clientele e familismo”. E a Napoli la segretaria dei giovani lascia –Diversi i motivi che hanno portato Francesca Scarpato a dimettersi da segretario dei giovani democratici in Campania. Scarpato ha detto addio nei giorni successivi all’esplosione della doppia inchiesta sui rifiuti: quella giornalistica di Fanpage e quella giudiziaria della procura di Napoli. In entrambe è coinvolto Roberto De Luca, indagato per corruzione e ormai ex assessore al Bilancio del comune di Salerno dopo le dimissioni formalizzate nelle ultime ore. È il secondogenito del potentissimo governatore della Campania, che ha ottenuto da Renzi la candidatura blindata alla Camera per l’altro figlio, il maggiore Piero. “Ci siamo stancati di prendere schiaffi per strada appena spunta fuori che siamo del Pd. Abbiamo creduto nella rottamazione di un modo di pensare e di intendere il partito. E invece ci ritroviamo a parlare di clientele, di micronotabilato, di capibastone“, si lamenta Scarpato motivando le sue dimissioni con Repubblica. Perché ha lasciato solo ora? “Era inevitabile, alla luce delle scelte compiute sulla composizione delle liste, sulla scelta della classe dirigente. Sul familismo. Intendiamoci: io credo che il figlio di un politico possa fare politica, purché abbia fatto la gavetta. E l’ ultima vicenda di cronaca induce una domanda: a che titolo Roberto De Luca parla delle ecoballe?”, si chiede l’ex segretaria dei giovani dem, riferendosi al video in cui il figlio del governatore discute di rifiuti con l’ex boss di camorra, Nunzio Perrella.

C’è l’uomo delle fritture. E Renzi invita a turarsi il naso – Senza considerare che sempre in Campania, il Pd ha candidato  Franco Alfieri, l’uomo delle fritture di pesce passato alla storia perché venne definitivo dallo stesso governatore come “notoriamente clientelare” ai tempi della campagna elettorale per il referendum costituzionale. Una candidatura che non è piaciuta ad Antonio Vassallo: il figlio di Angelo, l’ex sindaco di Pollica ucciso dalla camorra, aveva addirittura chiesto al partito di non usare più il nome di suo padre. Ed è forse pensando ad Alfieri che Renzi in persona era arrivato a citare Indro Montanelli:Turatevi il naso e votate Pd. Ma in molti casi non c’è neanche bisogno di turarsi il naso, perché i candidati sono ottimi”, ha detto il segretario dei dem in un’intervista al Mattino. Ammettendo in questo modo che il suo partito qualche cattivo odore deve pur emanarlo se per sbarrarne il simbolo sulla scheda occorre chiudersi le narici con pollice e indice.

La linea del dissenso – L’impressione, però, è che proprio nel Sud Italia, gli storici elettori del Pd di turarsi il naso si siano stufati. E l’idea di votare chiudendo un occhio – o in certi casi pure due – cominci a non piacere neanche nelle regioni più a Nord. In Emilia Romagna, per esempio, dove gli storici elettori del Pds e del Pci segnando il simbolo dei dem eleggeranno Pierferdinando Casini al Senato. In pratica la quintessenza della Dc con un robusto passato al fianco di Silvio Berlusconi: quasi un’offesa per chi è cresciuto a colpi di feste dell’Unità aperte da Togliatti e Berlinguer. “Nel Centro Nord sono più composti. A differenza del Sud sono meno rumorosi e rissosi. Soprattutto nelle Regioni rosse sono più affezionati al concetto di partiton per questo al momento i maldipancia sono solo sotterranei”, spiega un dirigente dei dem. “In Emilia e Toscana, ma pure in Lombardia – continua la stessa fonte – parleranno ufficialmente solo dopo le elezioni. Ma è probabile che si facciano sentire pure il giorno del voto con la scheda che depositeranno nell’urna”. Insomma, nel Pd la ribellione anti Renzi rischia di essere come la Linea della Palma di Leonardo Sciascia:  “Sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma“. Di sicuro è appena passata da Napoli.




martedì 20 febbraio 2018

Oggi cinque marzo duemiladiciotto, inizia il quarto governo Berlusconi



E’ il cinque marzo duemiladiciotto, terminati gli scrutini delle elezioni politiche sono noti i risultati: il centrodestra (meglio dire la multiforme destra) ha vinto come previsto le elezioni sfiorando il quaranta per cento, il Movimento cinque stelle si conferma primo partito con il venticinque per cento ma accusa il colpo dei disastri in cui si è imbattuto, tra notizie vere e gonfiate di irregolarità che hanno fortemente nuociuto all’immagine di forza antisistema, il Pd si è fermato al ventuno per cento, un risultato clamorosamente negativo ma atteso, con la coalizione tocca il ventisei per cento. Renzi infatti si affretta a scaricare la colpa sugli “scissionisti” che hanno determinato l’arretramento che senza loro non ci sarebbe stato (motivo per cui non si dimette anche se ormai è un’anatra più che zoppa). Liberi e Uguali infatti raggiunge un appena dignitoso sei per cento che è il “minimo sindacale” ma certo non costituisce un risultato utile per poter incidere sugli equilibri nazionali, si tratta di ricominciare veramente dal basso. Potere al popolo supera le previsioni dei sondaggi che lo volevano all’un per cento e sfiora il quorum fermandosi ad un ottimo e inutile duevirgolaotto per cento, grande soddisfazione morale, in realtà un’altra debacle per la sinistra-sinistra.
Così si va verso il quarto governo Berlusconi ottuagenario che nel frattempo ha ottenuto il via libera dalla Corte di giustizia europea che gli restituisce i diritti politici passivi di eleggibilità. Tutti questi dati sono viziati da un risultato di partecipazione al voto a dir poco allarmante, ha votato infatti il quarantotto per cento degli eventi diritto, mai una percentuale così bassa, ma comunque non inficia l’esito delle elezioni per la cui validità, a differenza che per i referendum, non è previsto un quorum di votanti, a riprova della scarsa qualità e coerenza della nostra democrazia.
Così si forma un Parlamento pressoché totalmente composto da nominati delle segreterie dei vari potentati o in-potentati che dir si voglia, la vita politica italiana riprende il suo asfittico percorso con una sola vera novità: Salvini diventa vice primo ministro con l’incarico delle finanze e non primo ministro come sognava di essere, la Meloni ministra degli Interni e così il sogno di una destra razzista e post fascista pienamente riabilitata dalla storia viene a compiersi. Viva l’Italia.
Non è ancora la realtà ma un sogno premonitore, la sinistra ha fatto di tutto per giungere a questo risultato ed ora sta per pagarne le conseguenze il popolo italiano. Dovrebbero fare mente locale gli apprendisti stregoni che hanno lavorato per un tale possibile risultato, in primo luogo Matteo Renzi che porta, attraverso scelte sciagurate, il suo (nel senso che ne è proprietario) partito ad una disfatta di dimensioni cosmiche, coloro che l’hanno sostenuto a cominciare da Giorgio Napolitano e il Presidente della Repubblica in carica, Eugenio Scalfari e il suo giornale, Mannoni, la Gruber e le rispettive reti televisive; l’elenco dei corresponsabili è lungo ma scommettiamo che tra due mesi negheranno ogni cosa, scrivendo profluvi di articoli e dichiarazioni di totale estraneità. A certe latitudini ci si salva sempre il di dietro.
Può darsi che l’incubo non si avveri? Qualcuno crede ai miracoli?




lunedì 19 febbraio 2018

Amazon e il mito della velocità


La vecchiaia cambia le abitudini, si sa. Andavo a letto tardissimo e mi alzavo a mezzogiorno. Adesso vado a letto sempre tardi, anche se un po’ meno, ma spesso mi alzo un pochino prima dell’alba. Mi siedo nel soggiorno e davanti alla finestra, sul grande viale della Liberazione che congiunge il nuovo quartiere-Manhattan con la Milano anni Cinquanta o fascista, vedo lunghe file di macchine i cui fari splendono nel buio del mattino che sta iniziando. Al volante c’è, in genere, una sola persona, uomini e, in misura minore, donne. I tram non sono zeppi come quando ero bambino, ma in ogni modo ci sono parecchi passeggeri, alcuni in piedi attaccati al corrimano. Il grosso viaggia sottoterra, in metropolitana. Altri stanno arrivando in treno dall’immenso hinterland e da quella che si chiama la ‘città metropolitana’. E’ tutta gente che va a lavoro.
Mi colpisce come, in soli due secoli e mezzo, ci siamo fatti ridurre a “schiavi salariati”. Nei ‘secoli bui’ l’uomo, contadino o artigiano che fosse, disponeva del suo tempo. Per essere più precisi: il suo tempo, i suoi tempi dipendevano dalle esigenze della vita, non erano dettati da un imprenditore e dalle regole stabilite dalla società. Noi oggi, senza nemmeno tanto accorgercene, siamo diventati delle merci in movimento, i cui tempi sono contingentati, regolati fino al più piccolo gesto. Non siamo più nemmeno uomini ma oggetti.
E’ stato un lungo processo. Fra il XVII e il XVIII secolo si compie in Europa un capovolgimento di portata copernicana: si passa da un’epoca in cui l’economia è ancora subordinata alle esigenze della comunità umana a un’altra in cui le leggi economiche prendono liberamente il sopravvento ed è l’uomo a doversi piegare a esse. Le leggi economiche vengono considerate, né più né meno, come leggi di natura, ineluttabili, alle quali è inutile cercare di opporsi, che bisogna anzi assecondare per evitare guai peggiori di quelli che si vorrebbero evitare. Si impone, come afferma Dijksterhuis “la meccanizzazione della concezione dell’universo”. Si comincia, grazie anche al prepotente affermarsi del denaro (“la tecnica che unisce tutte le tecniche”, Simmel) a valutare l’esistente in termini matematici, contabili, quantitativi. La terra, prima inalienabile, e l’uomo, le sue energie, diventano merce. Prima della Rivoluzione industriale che porterà a compimento il primato assoluto dell’economia, l’uomo non era considerato una merce. Il signore, il maestro artigiano, il padrone della bottega non considerano i propri dipendenti una merce né essi si sentono tali. I rapporti sono talmente intrecciati, complessi e personali che il valore economico delle reciproche prestazioni ne rimane inglobato e non può essere enucleato. Il feudatario può considerare il servo casato addirittura una sua proprietà, ma sempre come persona, non come cosa, oggetto, merce. L’attività del dipendente è incorporata nella sua persona. E il lavoro non è una merce perché è impossibile staccarlo da chi lo fa e oggettivarlo.
Agli inizi dell’era industriale i tempi del lavoro, cioè dell’energia umana diventata merce, cominciano a essere conteggiati, contabilizzati, controllati fino al secondo, anche perché l’operaio deve adattarsi al ritmo della macchina. Si arriva al cronometraggio e all’analisi dei tempi. Nascono mestieri mostruosi: il cronometrista e l’aiutocronometrista che verificano i tempi di lavoro dei compagni. In seguito si inventeranno macchine non meno mostruose come il cronociclografo, un incrocio fra un orologio registratore ad altissima precisione e il cinema, che permette di studiare i tempi e i movimenti, anche minimi, del lavoratore mentre compie ogni singola operazione. La velocità del lavoro diventa un dogma (“il tempo è denaro”) bisogna abbattere i “tempi morti”. E’ il taylorismo.
Il braccialetto brevettato da Amazon non è che l’ultima estremizzazione del dogma della velocità. Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, vuole monitorare i suoi lavoratori e le loro mani in ogni singolo movimento con un braccialetto da far indossare ai suoi dipendenti, in grado di emettere ultrasuoni o vibrare in caso di errore per rendere più veloce la ricerca dei prodotti stoccati nei magazzini. Del resto, braccialetto o no, esiste già un “passo Amazon” con obbiettivi di smistamento da due pacchi al minuto, tempi contingentati per andare in bagno e una catena di montaggio controllata dal primo all’ultimo minuto. Amazon non è che l’emblema di uno dei più devastanti totem della modernità: la velocità appunto. Tutto deve essere veloce, andare veloce, sempre più veloce, ancora più veloce. I vecchi se ne accorgono più facilmente perché non riescono a tenere il passo, sono inesorabilmente superati. Ma anche generazioni più giovani, sempre più giovani, arrancano.
Ma la velocità non è solo un problema individuale e sociale, è una questione che investe tutto il mondo occidentale e i Paesi che hanno adottato o stanno adottando il suo modello di sviluppo.
Dove ci porteranno il dogma, il mito, la pratica della velocità? Nel 1989 andai al Cern di Ginevra a intervistare Carlo Rubbia per l’Europeo. Che titolo abbia dato il settimanale a quell’intervista non me lo ricordo, riprendeva però quello che il direttore di Pagina, Aldo Canale, aveva dato alcuni anni prima a una mia inchiesta sulla pericolosità della Scienza tecnologicamente applicata: “Scienza amara”. Rubbia all’inizio era molto infastidito. Scienziato, positivista, illuminista gli sembrava inconcepibile, addirittura irriguardoso, che si ponessero dei dubbi sulla Scienza. Mi bollò come “apocalittico” e, dopo cinque minuti, voleva già liquidarmi. Finché io, a mia volta spazientito, gli dissi: “Professor Rubbia lei è un fisico e le pongo una domanda per la quale vorrei una risposta da fisico: non è che andando a questa velocità noi stiamo accorciando il nostro futuro?”. “Ah, ma lei è un filosofo” disse Rubbia che così cadde completamente nella mia considerazione. Però cambiò il suo atteggiamento. Disse: “Capisco la sua angoscia. Noi siamo su un treno che va a mille chilometri l’ora e che per sua coerenza interna deve aumentare continuamente la sua velocità. Ai comandi non c’è nessuno o se c’è si illude di averli sottocontrollo. E non sappiamo nemmeno se abbiamo superato ‘il punto di non ritorno’. Se cioè sia ormai troppo tardi per invertire la rotta e scongiurare l’inevitabile scontro con la montagna”.



D’Alema: “Pensare che il Pd possa vincere le elezioni è lunare. Prodi? Vota Renzi e Casini senza nemmeno dirlo a se stesso”




Pensare che il Pd vinca le elezioni è “lunare” e quando Massimo D’Alema sente Matteo Renzi sostenerlo “mi sembra di essere sulla luna, invece io sono tra la gente”. Ma se Romano Prodi rimprovera i fuoriusciti dal Partito Democratico come “amici che hanno sbagliato”, anche il suo ex ministro degli Esteri pensa “lo stesso di lui”. “Non si può votare Gentiloni – dice il candidato di Liberi e Uguali a Circo Massimo, su Radio Capital – con questa legge elettorale, che Prodi reputa scandalosa e Gentiloni ha fatto passare con 8 voti di fiducia, non si vota Gentiloni ma Renzi. Se la lista ‘Insieme’ non supera il 3 per cento il voto va a Renzi, quindi Prodi voterà per Renzi e Casini senza dirlo nemmeno a se stesso” ed esprimendo un voto “non utile né per se né per il Paese”. Sull’argomento si sofferma anche il leader di Liberi e Uguali, Piero Grasso: “Se Renzi ha detto che bisogna turarsi il naso per votare Pd, non c’è dubbio che anche Prodi si dovrà turare il naso per votare a Bologna Casini e non certamente Errani. Questo è il risultato di una legge elettorale voluta da Renzi, Berlusconi e Salvini. Con questa pessima legge elettorale chiunque sostiene la lista Insieme o la lista Bonino non fa che votare Renzi e quindi il governo di Renzi con Berlusconi”. Anzi, di pù, sottolinea Grasso: “Non dimentichiamo che Gentiloni è quello che ha posto tre fiducie alla Camera e cinque al Senato per approvare una legge elettorale truffa, perché come abbiamo visto si dà un voto a una lista e si eleggono altri di un altra lista”.
Alle dichiarazioni di Prodi risponde anche la presidente della Camera e candidata di Leu Laura Boldrini: “Prodi secondo me sottovaluta quanto il Pd sia stato indisponibile a ogni forma di alleanza” dice in un’intervista a SkyTg24. “Le alleanze – continua – si fanno tra soggetti che potrebbero avere pari dignità e trovino un terreno comune questo non è avvenuto anche per una presunzione di autosufficienza. La notizia poi è che Prodi non vota per il Pd. L’alleanza del centrosinistra dovrebbe essere su programmi, o perdiamo ulteriori elettori”.
Una serie di repliche che Prodi non si aspettava, dice oggi. “Non me l’aspettavo. Perché come tutte le cose che ti vengono naturali uno si aspetta che siano accolte anche in modo naturale da chi ti ascolta – spiega a margine di un incontro – Non me l’aspettavo. Però non è stato certo equivocato quello che ho detto. Non posso neanche accusare i giornalisti”, ha scherzato il professore.
Secondo D’Alema il Pd non può vincere le elezioni: “Gran parte delle persone che incontro – spiega – voteranno centrodestra o M5s, nel mezzogiorno è prevalentemente così”. Per l’ex presidente del Consiglio, il Pd “pagherà il prezzo alla legge elettorale che ha fatto” anche con l’obiettivo di “schiacciarci”. Ed è per questo che “se il Pd perde le elezioni, mi pare difficile dare l’incarico a Gentiloni”, come da settimane si ragiona sui giornali. Così “Renzi ammicca a Berlusconi – risponde D’Alema a Massimo Giannini – in un’ottica in cui Berlusconi si separa dalla Lega, ma la sua è una visione di cortissimo respiro”.
E quindi il “governo del presidente” di cui D’Alema ha parlato più volte? Per un eventuale confronto, dice, “la mia pregiudiziale è antifascista, è verso quelli che minacciano la democrazia. Ritengo che i M5s non siano capaci di governare, che farebbero degli sfaceli come a Roma, ma non li ritengo fascisti”. Su questo tema spinge anche la Boldrini: “Dire che l’antifascismo è pericoloso è un’offesa alla nostra Costituzione. Ricordo a Berlusconi che la nostra Costituzione è antifascista ed è nata dalla Resistenza. Poi chi usa violenza sbaglia e va perseguito”, aggiunge riferendosi all’episodio del corteo di Piacenza in cui fu aggredito un carabiniere. Quanto alle alleanze, precisa la presidente della Camera, “sono scettica sulle alleanze post voto, è un tema che non interessa chi ancora deve votare. Quello che succederà lo vedremo con numeri alla mano e soprattutto sui temi. Se ci sarà convergenza sui temi allora si potranno unire le forze”.



sabato 17 febbraio 2018

Cinque Stelle: "l'errore è una verità impazzita"




Travaglio ha ragione. Ma io non ho torto. Ha ragione Travaglio quando afferma che di fronte alla slealtà, alla malafede, ai raggiri, alle truffe, alle violenze sostanziali bisogna restare fermi sui propri princìpi senza abbassarsi a quei livelli, costi quello che costi. Perché quando si scalfisce un principio anche per una sola volta e per cosa di poco conto, si sa da dove si comincia ma non dove si va a finire. Ma io non ho torto perché un principio, anche il più giusto dei princìpi, se portato alle sue estreme conseguenze è un errore (“l’errore è una verità impazzita”, Chesterton). E’ l’errore che hanno fatto i Cinque Stelle, nella comprensibile ansia di un rinnovamento etico in un’Italia marcia fino al midollo, insistendo con eccessiva ossessività sull’’onestà’, che avrebbero fatto meglio a chiamare ‘legalità’ perché l’onestà è un fatto interiore e anche un delinquente può essere onesto se rispetta il proprio codice morale (è il concetto che io riassumo nel binomio emblematico Vallanzasca/Berlusconi, il primo è un criminale, ma interiormente pulito, il secondo oltre a essere un criminale è, interiormente, moralmente marcio, un “delinquente naturale” come lo ha definito la Cassazione, cioè una persona che delinque anche quando non ne ha alcun bisogno).
Questo aver portato il principio dell’onestà/legalità alle sue estreme conseguenze espone i Cinque Stelle a facilissimi boomerang. L’altro ieri tutti i principali giornali italiani titolavano, in testa alla propria prima pagina, sul fatto che alcuni Cinque Stelle, violando il proprio codice interno, non avevano restituito la diaria. Il Giornale: “Disonestà, disonestà. Crolla il mito dei ‘puri’. Fine del sogno a 5 Stelle”; La Repubblica: “Rimborsi, lo scandalo scuote M5S”; Corriere della Sera: “M5S, un buco da 1,4 milioni”; La Stampa: “I grillini ammettono: rimborsi gonfiati”; Il Messaggero: “Rimborsi M5S, manca un milione”; Il Foglio: “Gioioso j’accuse contro gli impresentabili del moralismo”. Il sottotesto di quest’orgia di j’accuse è la sua ‘gioiosa’ implicazione: vedete sono come noi, sono marci come noi, che meraviglia.
Non c’è chi non veda, spero, la differenza che esiste fra coloro che oggi fan la morale ai moralisti e questi ultimi. I Cinque Stelle (cinque, dieci? Vedremo) hanno violato un proprio codice interno, privato, fra i moralisti d’occasione ci sono partiti nelle cui file militano deputati, senatori, consiglieri regionali, consiglieri comunali che hanno violato il Codice penale.
Giuseppe Prezzolini nel suo Codice della vita italiana distingueva gli italiani fra “i furbi” e “i fessi”. I primi sono quelli che se fregano di ogni regola, i secondi le rispettano. Ma i fessi sono così fessi da provare ammirazione per i “furbi”. Scrive ancora Prezzolini nel capitolo che introduce il Codice della vita italiana che s’intitola appunto “Dei furbi e dei fessi”: “L’italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno”. Il ventennale successo di Silvio Berlusconi, come ricordava l’altro ieri Marco Travaglio, insegna.



venerdì 16 febbraio 2018

Le Iene e i Cinque Stelle

 
E’ proprio vero che la natura cambia continuamente, bombe d’acqua sostituiscono le piogge intense, uragani si spostano per via dell’inquinamento climatico, esseri si estinguono o trasformano il modo di essere adattandosi lentamente alle situazioni che mutano.
Forse s’inquadra in questa logica la recente azione virulenta di alcune “iene biscioniane”?
Per quanto risaputo l’azione predatoria di questi animali è sempre stata di branco, un po’ attendista e vigliacca; di regola le lene si sono sempre cibate di carogne, dei resti abbandonati da altri predatori o di animali ormai inermi prossimi alla fine.
Oggi invece delle “iene biscioniane” attaccano i Cinque Stelle, mordono carne viva e incuranti delle loro energiche reazioni continuano ad azzannare.
Succede quindi che il grande schiamazzo riesce a svegliare persino il popolo che da lungo tempo è assopito, ancorchè chiamato secondo regolari scadenze ad andare a votare.
Cos’è tutto questo baccano”  chiedono molti di quelli che si risvegliano.
I Cinque stelle rispondono che fra loro si annidano dei “mariuoli”.
Gli astanti per nulla sorpresi controbattono “e allora, dove sta la novità?” ma chiedono pure “ma qual è di preciso o fatto”.
E’ che avevamo fatto un patto fra galantuomini di rinunciare a parte del nostro stipendio per sovvenzionare la piccola e media impresa ed oggi è stato scoperto che alcuni non lo hanno rispettato”.
E allora? Quanto è stato il danno e di chi erano questi soldi?
No i soldi in verità appartenevano in origine a ciascuno di loro, il fatto grave è che non hanno però rispettato l’accordo di donarli in parte”.
Anche se risvegliatisi in tanti non riuscivano però a capire …… se si trattasse di ladri o di offerte non versate come alcuni fanno in chiesa …….. come quelli che fanno finta di dare l’obolo ma in verità muovono le monetine nel cesto …….. no, no, non quelli che fanno pure loro finta e si prendono pure un improbabile resto.
Ma se i soldi erano a loro, dove sta questo reato?
No, no, reato non è; è che sono venuti meno alla parola data”.
Il popolano più sveglio, che aveva capito appieno la questione disse. “Ma qual è la novità, vabbè che siete un movimento ma fate politica e in politica venir meno alla parola data è una cosa normale. L’uomo è fatto di carne e la carne è debole.
Ma noi siamo i Cinque stelle
Se foste rimasti ancora in cinque la cosa ci sarebbe potuta anche stare ……… ma ora siete tanti milioni, un universo; chissà quante malefatte sarete chiamati a scoprire in futuro”.
In tutto questo trambusto comunque il popolo sveglio scoprì che c’erano dei politici che invece di rubare dalle casse dello Stato, ai cittadini che li avevano eletti, si tassavano e riversavano parte dei compensi per nobili scopi. Si accorsero pure che tutti quelli che avevano fomentato “l’ammuino” in verità un lascito non lo avevano mai fatto e non avrebbero mai avuto intenzione di farlo, anzi molti di loro erano sospettati pure di avere messo le mani nel sacco …….. insomma, come quelli che in chiesa fanno finta di fare un'offerta e si prendono il resto …….
Nessuno però fece caso alla mutazione genetica di alcune “iene mediatiche”; presero semplicemente tutti atto che anche questa specie, adeguandosi ai tempi, non predilige più cibarsi esclusivamente di carogne. 

© Essec 

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Un'immagine, un racconto (libro fotografico on line)

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La fotografia è in genere un documento, la testimonianza di un ricordo che raffigura spesso persone e luoghi, ma talvolta può anche costituire lo spunto per fantasticare un viaggio ovvero per inventare un racconto e leggere con la fantasia l’apparenza visiva. (cliccando sopra la foto è possibile visionare il volume)

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