venerdì 30 agosto 2013

Mani pulite è proseguita

Mani Pulite è proseguita nonostante l'abbandono di Antonio Di Pietro. Molti hanno pensato, altri sperato, che l'allontanamento del simbolo avrebbe comportato la fine del nostro lavoro. Non è stata cosa da poco continuare senza la capacità e la dedizione di Antonio, e non sono mancate difficoltà anche a livello organizzativo: abbiamo, cioè, dovuto redistribuire tra noi tutto il lavoro che stava seguendo. Per mesi infatti non è stato possibile rimpiazzare Di Pietro, a causa dei pressanti impegni dei colleghi occupati negli altri settori (criminalità organizzata, omicidi, droga, rapine, evasioni fiscali e quant'altro), circostanza che ha impedito di distogliere un altro sostituto dalle proprie indagini per destinarlo alle nostre. Siamo andati avanti così per poco meno di un anno, sopperendo alla carenza di persone con l'intensità dell'impegno, risucchiando Francesco Greco, Paolo Ielo ed Elio Ramondini, che avendo già dedicato gran parte del loro tempo alle indagini di Mani Pulite, si sono trovati a non poter fare quasi più altro. Nell'autunno 1995, finalmente, è stata aggregata alle indagini anche Ilda Boccassini, rientrata da un lungo distacco in Sicilia.
Impulsiva, di carattere forte e un po' spigoloso, determinata come forse nessuno, Ilda aveva lasciato Milano - non senza qualche incomprensione con alcuni colleghi, tra cui il sottoscritto - dopo la morte di Giovanni Falcone, cui era legata da rapporti professionali intensissimi. Aveva dato la propria disponibilità, subito accolta, a farsi applicare alla procura di Caltanissetta, competente territorialmente a indagare sulla strage di Capaci. Si era imposta di scoprire gli assassini di Giovanni, della moglie, degli uomini della scorta e aveva raggiunto lo scopo con una rapidità eccezionale, applicando la scientificità investigativa che lo stesso Falcone le aveva insegnato. Dopo una breve parentesi a Palermo, è ritornata a Milano, e le sue capacità professionali, ancor più affinate e profonde, sono state messe a disposizione di Mani Pulite.
Nel frattempo l'oggetto delle indagini si è ulteriormente allargato con l'emergere di nuovi e spesso recentissimi episodi di corruzione, specialmente nel filone delle verifiche fiscali, dei reati attribuibili ad appartenenti alla Guardia di finanza; ma soprattutto si è trasformato, per l'impulso di nuovi accertamenti che hanno portato la nostra attenzione investigativa verso gli aspetti patrimoniali del reato: vale a dire la creazione e la disponibilità dei fondi neri, dei capitali occulti da cui prelevare il prezzo della corruzione da una parte; e la conservazione e l'uso da parte di pubblici ufficiali e politici del denaro ricevuto per vendere le proprie funzioni dall'altra. Si tratta di accertamenti che richiedono tempi molto lunghi, non solo quando si è costretti a chiedere l'assistenza di magistrature straniere.
Infatti per scoprire da dove i soldi sono venuti, o sono andati, in ambito nazionale è necessario esaminare mastodontiche contabilità societarie, individuare rapporti bancari, analizzarli, trovare il sistema per scoprire depositi mascherati, o effettuati tramite prestanome, o celati attraverso operazioni commerciali inventate.
Per procedere nelle stesse ricerche all'estero è necessario innanzi tutto che esistano accordi internazionali con il paese interessato che prevedano l'assistenza giudiziaria (in caso contrario non si può che sperare nell'altrui cortesia), e poi bisogna in concreto trovare la collaborazione dei colleghi stranieri, non sempre disponibili a scegliere comportamenti che potrebbero crear loro difficoltà con gli altri poteri locali, se non addirittura con la stessa organizzazione istituzionale del loro paese, quando l'economia di quest'ultimo si basa o sulle capacità di attrarre denaro da parte di un sistema bancario rigorosamente muto alle ragioni della trasparenza, o sulla garanzia di poter utilizzare società di comodo per dissimulare operazioni commerciali inesistenti, senza potere, di regola, essere scoperti.
Ci è stata negata più volte assistenza con motivazioni bizzarre: per esempio che la corruzione è un reato "politico", e come tale non suscettibile di costituire oggetto di collaborazione internazionale; oppure che la magistratura locale è troppo impegnata nell'amministrare la giustizia interna per potersi interessare delle richieste provenienti dall'estero, e così via. Ma anche quando i trattati ci sono e la disponibilità dei colleghi è massima (come è avvenuto, soprattutto da parte del procuratore generale Carla Del Ponte, in Svizzera), mille intoppi procedurali rendono virtuale la tempestività dell'assistenza straniera, e le risposte arrivano anche dopo anni dalle richieste, quando chi vi ha interesse ha avuto tutto il tempo per spostare i suoi capitali in luoghi più sicuri o per costruire ad arte spiegazioni fasulle su proprietà e trasferimenti.
Anche in Italia le indagini finanziarie non hanno sempre vita facile, e ci è capitato più volte di scoprire i tradimenti di dirigenti e funzionari di istituti di credito che, allo scopo di prevenire le iniziative della magistratura, avevano letteralmente falsificato le carte per ostacolare la ricostruzione di movimentazioni ingenti, o per evitare l'attribuibilità a questo o quell'impiegato pubblico, dei milioni o dei miliardi che aveva ricevuto occultamente, ovvero per far perdere le tracce della destinazione di considerevoli importi usciti dai fondi neri di importanti società.
Forse perché manca il simbolo, Antonio Di Pietro; certamente per la natura delle nuove investigazioni che meno possono essere oggetto di spettacolarizzazioni attraverso la curiosità o lo scandalo creato attorno al nome dell'indagato, per qualche tempo le indagini diventano meno evidenti e suscitano minor interesse nella stampa e negli altri media. E progressivamente, giorno per giorno, si nota insinuarsi con costanza una disaffezione, quasi una insofferenza verso le nuove scoperte e il progredire delle investigazioni. Non è un fenomeno che riguarda tutti, perché per la strada, attraverso il telefono e il fax, o tramite gli inviti a partecipare a dibattiti su legalità e giustizia che provengono da tutta Italia e da molti paesi stranieri, l'interesse delle persone comuni della cosiddetta società civile e degli osservatori stranieri è sempre lo stesso. Ma per il "palazzo" è diverso.
Salvo alcune rilevanti ma sporadiche eccezioni, il mondo che conta matura, con spostamenti quasi impercettibili ma continui, una specie di avversione a Mani Pulite, quasi che il continuare a mettere a nudo l'illegalità diffusa infastidisca, disturbi, rappresenti un intralcio per la politica e per la gestione della cosa pubblica.
Non è tanto quel che viene fatto, ma quello che non si fa ad essere significativo, benché sia quanto meno avvilente per Borrelli, D'Ambrosio, Greco, Davigo, e per me, dopo decine d'anni di lavoro in cui abbiamo espresso senza tentennamenti il senso della nostra autonomia, e siamo pertanto stati fortemente esposti al rischio di attacchi, senza mai ricevere tuttavia nemmeno un appunto, vederci scaricare addosso a palate procedimenti disciplinari e denunce penali.
Tuttavia impressiona e delude la coscienza civile, prima ancora di mortificare l'impegno professionale, il fatto che in questi quattro anni non sia stata adottata una legge, un provvedimento che faciliti le indagini o che renda più difficile, per quanto è possibile, la corruzione.
Non una misura per modificare i controlli, per renderli effettivi; non un provvedimento che tenda ad allontanare dalla pubblica amministrazione coloro che per decenni hanno venduto la propria funzione, ma soltanto rare, approssimative iniziative per favorire il recupero del maltolto; nessuna, o poche e solo apparenti indagini amministrative, controlli interni alle istituzioni per verificare comportamenti dei funzionari, regolarità degli appalti, responsabilità; e ancora assenza totale di interventi politici per fare rientrare i capitali illecitamente trasferiti all'estero. Qualche volta nasce anche il sospetto che persone poco prima scoperte a svolgere attività di mediazione tra corruttori e corrotti, e condannate per questo, abbiano tranquillamente ripreso a compiere le stesse attività.
Quando segnali del genere sono più forti, viene da domandarsi se non sia stato raggiunto un tacito gentlemens agreement, che in modo inespresso preveda che Mani Pulite debba essere lasciata morire, dimenticata. Ma, soprattutto, che nulla vada fatto per cambiare le cose.
Tutto questo "niente" lascia disorientamento e sfiducia. Rende difficile superare la stanchezza di tanto prolungato sforzo investigativo e morale, considerati i sistematici e spesso ingiuriosi attacchi cui siamo stati sottoposti. Sconcerta perché è lampante, per chi ricopre incarichi istituzionali e dispone di incisivi strumenti di analisi e di valutazione, quanto il sistema che abbiamo scoperto sia devastante, e sia causa di incommensurabili danni per tutti.
Se, almeno apparentemente, a qualcuno può far gioco, per il proprio personale interesse, che nulla si muova, per tutti gli altri, che parrebbero essere i più, e a maggior ragione per chi è investito di compiti istituzionali di rappresentanza, la corruzione dovrebbe essere qualche cosa da cui liberarsi al più presto.
Gli stessi strumenti di informazione credo abbiano avuto interesse più a comunicare gli aspetti esteriori del sistema delle tangenti, piuttosto che il suo effettivo contenuto, e di conseguenza non si sono sforzati di analizzarne e diffonderne le implicazioni negative a livello economico, istituzionale e anche culturale. Questi argomenti sono rimasti oggetto di dibattiti di risonanza limitata, talvolta tenuti tra addetti ai lavori, frequentemente sollecitati dalla curiosità di gruppi di cittadini che, nelle più svariate sedi e occasioni, organizzavano incontri per capire e approfondire, con ciò dimostrando una sensibilità ben diversa da quella delle sedi istituzionali. Con il passare del tempo, la percezione della gravità delle conseguenze del continuo mercimonio della funzione pubblica è sfumata. Ed è parso quasi che i media, e per quanto ne potesse essere influenzata la cittadinanza, fossero più interessati a conoscere nomi piuttosto che fatti, titoli di reato piuttosto che comportamenti, sicché i resoconti delle nostre scoperte si sono trasformati in un terribile gioco di superficie, nel quale raramente ha trovato spazio un livello di analisi profondo.
Le conseguenze, i danni della corruzione, sono passati in secondo piano, e forse non è stato casuale. La disaffezione verso il nostro lavoro è stata forse momentanea, ma la superficialità della percezione degli effetti della corruzione continua tuttora. E siccome le regole non hanno giustificazione in sé, ma per quello cui tendono, sarà bene riportare alla mente quegli effetti, quei danni, che le regole, punendo la corruzione, cercano di evitare.
La prima puntualizzazione, necessaria per i frequenti fraintendimenti di una parte dell'opinione pubblica, riguarda il fatto che le tangenti, contrariamente a quanto sembra avvenire, non le paga l'impresa, bensì l'ente pubblico cui è preposto il funzionario infedele che le riceve. Ciò è lampante quando la tangente mira a eludere un controllo, a nascondere situazioni o disponibilità, come succede se un finanziere accetta cinquanta milioni per non accorgersi di un'evasione fiscale di cento. Ma lo spostamento del costo si verifica anche in caso di appalti, e cioè quando la tangente è pagata per la stipulazione di un contratto. Infatti il suo ammontare è recuperato di regola attraverso collaudati sistemi, come la revisione dei prezzi (durante l'esecuzione dell'opera il costruttore chiede, e naturalmente ottiene, che il corrispettivo sia elevato lamentando, per esempio, l'aumento del costo delle materie prime), le varianti in corso d'opera (improvvisamente ci si accorge che il contratto per la costruzione di un ospedale non prevedeva, per esempio, l'installazione di alcuni ascensori: si integra l'appalto originario e il costo degli ascensori viene determinato a parte, calcolandolo con larghezza) o l'impiego di materiali in quantità minore o meno pregiati e meno costosi (chi si è impegnato ad asfaltare una strada con un manto di tre centimetri ne posa soltanto due e mezzo) o l'uso di tecnologie meno raffinate. Il pagamento del prezzo della corruzione non costituisce quindi un onere per l'imprenditore, ma è una causa di incremento del costo dell'opera, e perciò della spesa pubblica, un danno per la collettività facilmente quantificabile.
Seconda puntualizzazione: se la tangente è pagata dall'imprenditore per acquistare i favori di politici e funzionari, è sempre l'ente pubblico, e quindi la collettività, che paga anche il prezzo di tale favore. Per esempio, la pubblica amministrazione dispone la costruzione di opere inutili, che spesso rimangono incompiute, solo perché queste rappresentano il veicolo attraverso cui far transitare la tangente; altre volte per ricambiare il favore rappresentato dal pagamento di una tangente, assegna un appalto a un'impresa meno idonea di altre, ottenendo un risultato di mediocre quando non addirittura di pessimo livello (se si costruisce un'autostrada con un manto d'asfalto meno spesso di quanto sarebbe necessario, questa si deteriorerà più rapidamente; si dovrà intervenire per ripararla prima di quanto si sarebbe potuto fare se l'autostrada fosse stata costruita a regola d'arte; mentre se viene decisa la costruzione di un'opera pubblica del tutto inutile, il suo costo rappresenta solo un onere per la collettività, dal momento che da quell'opera essa non ricava alcun vantaggio).
Fatti del genere non costituiscono casi isolati, anzi. L'Italia, soprattutto il sud, è disseminata, di opere pubbliche incompiute (scuole, piscine, strade, palestre), la cui costruzione è stata iniziata e mai condotta a termine, e di cui la collettività non ha mai potuto usufruire pur avendo sopportato i costi della loro parziale realizzazione. Opere spesso rovinose per l'ambiente e il paesaggio. E quanto della cementificazione, delle conseguenti continue alluvioni, dell'inquinamento dell'acqua e dei mari, di cervellotici piani di urbanizzazione è dovuto al sistema delle tangenti?
Spesso la contrattazione e il pagamento della tangente comportano il dilatarsi a dismisura dei tempi di realizzazione dell'opera. La stipulazione di un contratto pubblico, le complesse e a volte artificiose regole previste dalle leggi, richiedono già di per sé un tempo piuttosto lungo. Se, parallelamente alla procedura ufficiale, si instaura una trattativa occulta tra l'ente pubblico e le imprese interessate, destinata a far conseguire alle parti dell'illecito contratto il profitto più alto possibile, quella stessa stipulazione richiederà tempi molto più lunghi. Talvolta è proprio il meccanismo utilizzato per trasferire il costo della tangente sull'ente pubblico a imporre la dilatazione dei tempi di realizzazione dell'opera: se l'ultimazione di questa avviene con grande tempestività, come è possibile ricorrere credibilmente alla revisione del prezzo?
Il diffuso sistema della corruzione comporta il progressivo deteriorarsi del modo di agire della pubblica amministrazione che, popolata da funzionari interessati più a conseguire vantaggi personali che non il pubblico interesse, finisce per operare senza tenere più conto delle regole di efficienza e imparzialità che devono ispirarne l'intervento.
I risultati complessivi sono immaginabili, se si considera che, oltre alla corruzione che riguarda grandi opere e grandi appalti di competenza degli enti pubblici di maggiore rilievo, esiste una corruzione quasi bagattellare diffusa su tutto il territorio e praticata nel contesto dei più svariati rapporti tra pubblico e privato (nel campo delle corruzioni destinate a consentire l'abusivismo edilizio, per esempio, sembra conso-lidata la prassi secondo la quale il pagamento di tangenti di importo non elevato evita qualsiasi controllo e permette di costruire o modificare in modo del tutto abusivo, con danni per l'ambiente, la collettività e per lo stesso erogatore dell'illecito pagamento, quando quest'ultimo è rivolto a eludere disposizioni indirizzate alla sua salvaguardia, come quelle che lo tutelano dai rischi di terremoti, frane, alluvioni e così via).
Data la costante consuetudine ad accompagnare i contratti pubblici con i pagamenti illeciti, l'ammontare complessivo delle tangenti pagate in Italia, nel corso di un anno, potrebbe essere stimato, per difetto, in almeno l'uno per cento del complesso delle somme movimentate da stato, regioni, province, comuni, enti pubblici economici, di servizi e assistenziali in occasione di contratti di costruzione e fornitura di cui gli stessi siano stati parte. Una cifra enorme.
Il sistema danneggia anche le imprese. Il loro patrimonio non consiste soltanto nel possesso degli strumenti, dei materiali e della tecnologia, ma anche in una grande professionalità. Se le regole attraverso le quali i lavori vengono assegnati prescindono dalla professionalità, questa tende a diminuire progressivamente, superata da una sempre più collaudata e perfezionata capacità di corrompere. Conseguentemente, offrendo prodotti e servizi dequalificati, le imprese tendono a essere emarginate e le conseguenze, se non si manifestano nell'ambito del mercato protetto ove abitualmente operano, sicuramente si evidenziano nel mercato internazionale.
È successo di constatare più volte che i dirigenti di imprese di settore (per esempio, quelle che costruiscono ospedali) si sono riuniti per pervenire ad accordi perversi: si spartiscono preventivamente la vincita degli appalti (usando tutti i marchingegni necessari per raggiungere lo scopo, compresa la corruzione dei funzionari preposti alle gare perché consentano il gioco), e se qualcuna di esse resta esclusa dalla preventiva assegnazione, perché il numero degli appalti è insufficiente ad accontentare tutti, la si "indennizza" con la corresponsione di una somma in danaro: evviva la concorrenza, evviva il liberismo!
Il sistema produce, in sostanza, eccezionali danni per l'economia nazionale, nella quale non si può più ritenere vigente il regime del libero mercato: le regole della concorrenza vengono stravolte e le imprese corruttrici possono operare quanto meno in situazione di oligopolio.
Un aspetto fondamentale del fenomeno è rappresentato dalla costituzione da parte delle imprese corruttrici della provvista da cui attingere per effettuare i pagamenti illeciti. La provvista è alimentata da fondi neri, cioè capitali occulti non contabilizzati e quindi, a voler ricordare un ulteriore danno di questo sistema, sottratti al pagamento delle imposte.
Solo raramente, e in genere soltanto per le imprese di piccole e medie dimensioni, i fondi neri sono costituiti in Italia. Nella stragrande maggioranza dei casi essi sono invece formati all'estero, attraverso una tipica sequenza di rapporti che si snodano tra imprese, fiduciarie e banche aventi sede in stati dell'Europa occidentale o in stati off-shore. Un facile esempio può essere rappresentato dal caso di società estere, generalmente off-shore, che emettono fatture relative a consulenze prestate a imprese italiane che intendono costituire fondi neri. Le consulenze in realtà non vengono rese e il controvalore delle fatture, emesse per operazioni inesistenti, viene accreditato presso una banca sita in un paese dell'Europa occidentale e successivamente trasferito attraverso operazioni bancarie estero su estero o nella disponibilità dell'impresa italiana ovvero direttamente nella disponibilità del corrotto.
L'esistenza di fondi neri non provoca soltanto la sottrazione di risorse all'imposizione fiscale (e quindi l'aumento delle pretese dello stato verso gli altri cittadini), ma anche danni al mercato e all'organizzazione dell'impresa che li ha prodotti. La loro costituzione e il loro uso si scontrano con le disposizioni di legge dettate per tutelare libertà e trasparenza del mercato, disposizioni che rappresentano valori per tutti, anche per le imprese, perché possano operare nel mercato grazie alla propria capacità, professionalità e tecnologia.
Peraltro, è anche all'interno della società che l'uso di fondi neri crea rilevanti scompensi. Tutte le volte (e sono tante) in cui si utilizza parte del nero per pagare occultamente alcuni dipendenti, per esempio, si stravolge qualsiasi gerarchia tra costoro: l'amministratore che vuole utilizzare la società a fini propri senza render conto ai soci del proprio operato, compra i dipendenti situati nei posti chiave perché seguano le sue disposizioni, indipendentemente da qualsiasi rapporto gerarchico, fuori da qualsiasi lealtà nei confronti della società. E quando parte dei fondi è destinata al finanziamento illecito di partiti, colui che costituisce il collegamento con chi riceve il denaro, acquista all'interno dell'impresa eccezionali posizioni di potere sostanziale, perché il materiale datore instaura rapporti privilegiati, talvolta esclusivi, con il politico che riceve e che può, con il suo comportamento, influenzare le future possibilità di lavoro della società, le aliquote delle imposte cui sono assoggettati i suoi prodotti, l'ammontare dei canoni dei servizi che fornisce, il prezzo di ciò che vende, quando si è in regime di prezzi controllati.
Senza contare che spesso parte dei fondi neri va ad arricchire occultamente e illecitamente gli amministratori (che con ciò danneggiano i soci) o i soci di maggioranza (che con ciò danneggiano i piccoli azionisti), e parte va ad alimentare il sotterfugio, l'imbroglio, l'apparenza: si sovvenzionano testate e giornalisti perché parlino bene dei propri prodotti al di là della loro qualità, o perché favoriscano una scalata, una fusione, un investimento indipendentemente dalla loro convenienza; si restituiscono sottobanco soldi ai clienti, per sottrarli alla concorrenza, o ai partner di un affare, perché questo non sia mandato all'aria anche quando non è produttivo.
Qualche volta, poi, i fondi extra bilancio servono anche a mantenere rapporti di buon vicinato con organizzazioni criminali che controllano il territorio più incisivamente dello stato.
Anche la circolazione del profitto della corruzione è avvenuta frequentemente all'estero, e ha interessato società o istituti di credito residenti in paesi stranieri. Sono centinaia, forse migliaia i miliardi che stiamo cercando di recuperare su conti correnti stranieri, essendo andati a ingrossare i patrimoni personali di alcuni corrotti, che in tal modo hanno ottenuto arricchimenti illeciti notevolissimi.
Tante altre volte il denaro è finito nelle casse di partiti politici: quando i politici e i funzionari che hanno gestito l'affare non ne hanno approfittato, en passant, per incrementare la propria personale ricchezza, sono stati gratificati, dall'ambiente di provenienza, con la patente d'essere stati estremamente onesti.
Ma non sono solo le ruberie e i costi economici per la collettività a costituire lo sfacelo rappresentato da Tangentopoli. C'è dell'altro, che considero ancora peggio, è il tradimento continuo del proprio incarico, della propria funzione, del proprio mandato. È la sostituzione costante con l'occulto delle regole che dovrebbero valere per tutti. è la sovversione dello stato di diritto, perché viene tolta al cittadino qualsiasi affidabilità dei rapporti economici, politici e sociali, e i piani dell'esistenza si sdoppiano; un livello apparente in cui tutti si è uguali e un livello reale, dove si è diversi, estremamente diversi. Esistono le regole formali che dovrebbero valere per tutti e che si applicano invece soltanto a chi non si compromette con il palazzo, ed esistono altre regole, non scritte sostanziali ma occulte, le regole del sotterfugio e dell'intrallazzo, che vigono per chi fa parte del sistema sotterraneo della corruzione. In questo contesto proprio i politici e i funzionari che, non avendo "rubato per sé", hanno mantenuto intatta la loro rispettabilità, hanno contribuito a creare le conseguenze peggiori.
Infatti, la disponibilità di somme enormi da parte di alcuni partiti politici, senza che ciò fosse noto al complesso dei cittadini, ha reso non più imparziale lo scontro tra le forze politiche, in quanto alcune di esse hanno avuto più forza delle altre in virtù di un sistematico ricorso all'illecito, e ha indotto i propri rappresentanti a svolgere le loro funzioni tenendo conto della necessità del partito di appartenenza di aumentare la propria disponibilità finanziaria anche attraverso il loro comportamento scorretto, incurante delle regole di trasparenza, imparzialità ed efficienza che dovrebbero presiedere allo svolgimento delle funzioni del pubblico amministratore, e in contrasto con gli interessi del paese. Inoltre, all'interno del partito, si è verificato il rischio, che spesso si è trasformato in realtà, che il potere venisse acquisito non tanto per le capacità politiche quanto per le capacità di raccogliere denaro da versare nelle sue casse.
Così, le relazioni nel palazzo, più di una volta, sono state inquinate dal ricatto: da parte degli esponenti politici (e dei burocrati) al corrente delle malefatte degli altri, non ancora emerse dalle indagini; da parte degli imprenditori nei confronti di politici e burocrati, che hanno "tenuto in mano" tutti coloro di cui hanno comprato, senza che lo si sappia, dignità e funzioni.
Perché paia che qualcosa cominci a muoversi deve passare del tempo, e le prime iniziative, subito contrastate da molti, provengono guarda caso da Antonio Di Pietro, divenuto ministro.

Gherardo Colombo (Il Vizio della memoria - 1996 - Feltrinelli)


lunedì 26 agosto 2013

Lezioni di etica dai Talebani

Per gli occidentali le elezioni sono il sacro perno della democrazia. Quando le vinciamo noi o i nostri amici. Se invece le vincono gli altri non valgono più. E' storia vecchia e quanto sta accadendo in Egitto ne è la riprova. Il precedente più noto è l'Algeria. Nel 1991 le prime elezioni 'libere', dopo trent'anni di una sanguinaria dittatura militare, furono vinte dal Fis (Fronte islamico di salvezza) con una schiacciante maggioranza del 47% (aveva già vinto le amministrative dell'anno prima col 54%). Ma si stimava che al ballottaggio avrebbe raggiunto i due terzi dei consensi con l'apporto dei partiti islamici minori. Allora i generali tagliagole, con l'appoggio dell'intero Occidente, annullarono le elezioni sostenendo che il Fis avrebbe instaurato una dittatura. In nome di una dittatura del tutto ipotetica si ribadiva quella precedente. Tutti i principali dirigenti del Fis furono messi in galera o assassinati. Cosa succede in un Paese quando la stragrande maggioranza della popolazione si vede derubata del voto? Una guerra civile. I gruppi più decidi del Fis costituirono il Gia (Gruppo islamico armato) che diede vita a una guerriglia durata anni e costata 200 mila morti, in maggioranza civili. Ma non erano tutti addebitabili al Gia. Anzi. Mohamed Samraoui, numero due dell'antiterrorismo, riparato in Francia, in un libro del 2003 ('Cronache di un anno di sangue') ha rivelato come molte stragi attribuite al Gia fossero opera di reparti speciali dell'esercito, camuffati da estremisti islamici, per indirizzare l'odio della popolazione sui guerriglieri.
In Egitto le prime elezioni libere, dopo decenni di dittature militari, sono state vinte dai Fratelli Musulmani e il loro leader, Morsi, è diventato premier. Dopo un anno ci sono state alcune sommosse di piazza che chiedevano la cacciata di Morsi e dei Fratelli. Ciò che si rimprovera a Morsi non è di avere instaurato una dittatura o di aver varato leggi liberticide in salsa islamica, ma l'inefficienza. A questa stregua, in Occidente, qualsiasi governo potrebbe essere legittimamente abbattuto con la violenza di piazza. I generali tagliagole egiziani, proprio quelli che, con l'appoggio degli americani, avevano sostenuto la dittatura di Mubarak, han preso pretesto da queste manifestazioni per cancellare l'esito delle elezioni, arrestare Morsi con i suoi principali collaboratori, ribadire la propria dittatura e dare il via a una repressione che marcia al ritmo di un migliaio di morti la settimana, cosa che nemmeno Assad potrebbe permettersi. E il democratico Occidente? A botta calda dopo il primo massacro ferragostano (600 morti) Emma Bonino, il nostro ministro degli Esteri, si è detta "preoccupata per la violazione dei diritti umani". Gli americani non hanno proferito verbo. Hollande e Merkel si sono rimessi alla Ue che ha deciso di non decidere.
Di fronte a questa vergognosa ipocrisia dell'Occidente ci piace dar conto del comunicato diramato dall'Emirato isalmico d'Afghanistan del Mullah Omar: "Nel condannare con fermezza l'azione disumana e non etica delle forze di sicurezza affinché si arresti lo spargimento di sangue di donne, bambini e anziani innocenti pensiamo che i militari e il governo egiziani debbano preparare il cammino per il ritorno del presidente costituzionalmente eletto in modo da impedire alla situazione di andare ulteriormente fuori controllo".
A furia di calpestare, in nome della realpolik, i loro sacri principi, agli Occidentali tocca farsi impartire lezioni di etica istituzionnale, e non solo, anche dai Talebani.



La quercia del Tasso



Quell’antico tronco d'albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand'essa era frondosa.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che, poco lungi da essa, c'era, ai tempi del grande e infelice poeta, un'altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi.
Un caso.
Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la "t" maiuscola e della quercia del tasso con la "t" minuscola. In verità c'era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall'altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso.
Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano "il tasso del Tasso"; e l'albero era detto "la quercia del tasso del Tasso" da alcuni, e "la quercia del Tasso del tasso" da altri.
Siccome c'era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch'egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: "E' il Tasso dell'olmo o il Tasso della quercia?".
Così poi, quando si sentiva dire "il Tasso della quercia" qualcuno domandava: "Di quale quercia?".
"Della quercia del Tasso."
E dell'animaletto di cui sopra, ch'era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: "il tasso del Tasso della quercia del Tasso".
Poi c'era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s'era dedicata al poeta e perciò era detta "la guercia del Tasso della quercia", per distinguerla da un'altra guercia che s'era dedicata al Tasso dell'olmo (perché c'era un grande antagonismo fra i due).
Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: "la quercia della guercia del Tasso"; mentre quella del Tasso era detta: "la quercia del Tasso della guercia": qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
Qualcuno più brevemente diceva: "la quercia della guercia" o "la guercia della quercia". Poi, sapete com'è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l'albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia.
Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.
Viveva.
E lo chiamarono: "il tasso della quercia della guercia del Tasso", mentre l'albero era detto: "la quercia del tasso della guercia del Tasso" e lei: "la guercia del Tasso della quercia del tasso".
Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: "il tasso del Tasso".
Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l'animaletto venne indicato come: "il tasso del tasso del Tasso".
Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all'ombra d'un tasso perché non ce n'erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: "il tasso barbasso del Tasso"; e Bernardo fu chiamato: "il Tasso del tasso barbasso", per distinguerlo dal Tasso del tasso.
Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell’animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso. 

Achille Campanile

 

Qual è il personaggio storico che preferisci?

Il personaggio storico che preferisco è Caligola, perché era pazzo.
Caligola mi è troppo simpatico per le sue pazzie! Lui nominò senatore il suo cavallo, lui si mangiò il figlio per fare come Saturno, lui schierò l'esercito in riva al mare e poi disse che era tutto uno scherzo, perché il nemico se l'era inventato, lui volle essere adorato come un dio.
Un altro personaggio storico che preferisco è la testa di Giovanni Battista. Giovanni Battista non era pazzo come Caligola, però un poco scemo, perché gridava nel deserto dove nessuno poteva ascoltarlo. Lui digiunava sempre, poi, la domenica, mangiava bacche, radici e insetti. Quando gli tagliarono la testa la misero in un piatto spiano.
Ora io vorrei dire una cosa che non c'entra col tema. Ci sta un altro personaggio che mi è molto simpatico, però non è un personaggio storico, però lo voglio dire lo stesso, perché sempre un personaggio è...! E Benino o Benito,1 quel pastore che si mette sul presepe. Io mi è simpaticissimo Benito, perché dorme sempre, e non gliene importa niente di tutto quello che succede intorno.
Quello mi sembra il personaggio più felice di tutti i personaggi storici!

1 Benito: un pastorello addormentato, figura classica del presepe napoletano.

Marcello D'Orta (IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO - Sessanta temi di bambini napoletani - 1990)


sabato 24 agosto 2013

IL DEPOSITARIO E IL GIURAMENTO



Un tale aveva ricevuto un deposito da un amico e contava di non restituirglielo. E poiché l’amico lo invitava a prestar giuramento, a buon conto, partì per la campagna.  Giunto alle porte della città, vide uno zoppo che stava per uscirne, e gli chiese chi fosse e dove fosse diretto. Quello rispose che era il Giuramento e che andava a punire gli spergiuri. Allora egli gli domandò quanto tempo stava, di solito, prima di tornare in una città. “Quarat’anni; qualche volta anche trenta”, rispose l’altro. Dopo di ciò, senza esitare, l’uomo prestò giuramento, affermando di non aver mai ricevuto quel tal deposito. Ma si trovò addosso il Giuramento, che lo condusse con sé per buttarlo giù da un precipizio. L’uomo protestava perché, dopo avergli dichiarato che ritornava ogni trent’anni, non gli aveva lasciato nemmeno un giorno di respiro. “Devi sapere”, gli rispose il Giuramento, “che, quando mi si vuol provocare, allora ho l’abitudine di tornare anche in giornata”.
La favola mostra che non ci son date fisse per la vendetta di Dio contro gli empi.

Esopo (Favole) 




La Scienza ci farà sapere la data della nostra fine. E moriremo di paura.

Dai e ridai ci sono finalmente arrivati. L'ambizione della scienza moderna e della medicina tecnologica è di farci sapere, con largo anticipo, la data della nostra morte. Adesso, a quanto pare, ci siamo. Gli autorevoli scienziati dell'Università di Lancaster hanno messo a punto uno studio sulle cellule endoteliali, "il serbatoio di tutte le potenziali cellule staminali" come scrive Edoardo Boncinelli sul Corriere della Sera. Da questo esame si può misurare, con buona approssimazione, la loro durata e quindi la durata della nostra vita. Per ora la cosa riguarda il ristretto cerchio degli adepti che ci stanno lavorando, ma nel giro di due o tre anni, assicurano gli scienziati di Lancaster, il metodo sarà perfezionato, riproducibile su larga scala e a dispozione di tutti.
Ma che bella festa. Noi uomini, fra gli animali del Creato, siamo i soli ad avere lucida consapevolezza della nostra fine, ma Madre Natura, pietosamente, ha fatto in modo che non si sappia quando arriverà. In 'De senectute' Cicerone dice, una volta tanto giustamente, che "non c'è uomo, per quanto vecchio e malandato che non pensi di poter vivere almeno ancora un anno". Toglierci queste illusioni è devastante (la pena di morte, sia detto per incidens, è inaccettabile non perché si uccide un uomo - durante le guerre, le insurrezioni, le rivoluzioni se ne fanno fuori a decine, a centinaia di migliaia, a volte a milioni - ma perché è una tortura dato che il condannato è l'unico a sapere l'ora precisa della sua morte). Se si dicesse a un ragazzo di trent'anni che morirà ad ottanta, costui vivrebbe cinquant'anni di angoscia, un'angoscia crescente e insopportabile man mano che si avvicina la data fatidica.
Una volta a 'Sottovoce' Gigi Marzullo mi chiese: "Se sapesse di avere ancora poche ore di vita come le impiegherebbe?" "Mi sparerei" risposi. E al cosiddetto 'Questionario di Proust' che viene sottoposto a intellettuali, a scrittori, ad artisti, a personaggi di vario genere, alla domanda "Di che morte preferirebbe morire?" risposi: "Violenta". Perché la morte violenta è affidata al Caso, sfugge alle certezze di quella biologica e frega i sinistri vaticinii degli scienziati della morte. Ha detto l'entusiasta Boncinelli a Fahrenheit, la bella trasmissione di Radio 3: "Sapere la data della nostra morte ci consentirebbe di assaporare ogni giorno che manca a quel fatidico appuntamento". Se fossimo tantino saggi noi dovremmo vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, ma senza sapere che lo è. Dice Friedrich Nietzsche: "Amleto, chi lo capisce? Non è il dubbio ma la certezza che uccide".
I Greci, che avevano una concezione tragica dell'esistenza, pensavano che al Fato non si può sfuggire. Molti loro Miti sono centrati su questa fatalità (da Fato, appunto). Ma non si sono mai sognati di credere che fosse individuabile l'ora in cui la mannaia sarebbe caduta. I Latini, che erano un po' più solari, lasciano ampi margini di incertezza ai vaticinii dei loro àuguri. "Ibis redibis non morieris in bello" profetizza la Sibilla Cumana ad un soldato che le era andato a chiedere se sarebbe tornato vivo dalla guerra. Tutto dipende da dove si mette la virgola, se dopo 'redibis' o prima. In un caso la frase suona: "Andrai ritornerai, non morirai in guerra". Nell'altro: "Andrai, non ritornerai ('redibis non') morirai in guerra".
La scienza moderna invece rifiuta le incertezze, il dubbio, il Caso. I profeti di sventura di oggi, gli scienziati, non si limitano a dirci che moriremo - questo lo sappiamo tutti, anche troppo bene, non abbiamo bisogno di loro - ma pretendono anche di fissare il quando. A costoro auguro di sperimentare innanzitutto su di sé il loro metodo demenziale. E di morire, di paura, molto prima della data, scientificamente accertata, dei propri mostruosi vaticinii.



LA RAGNATELA - DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI

I Servizi Segreti Usa, già nel 1942 durante il fascismo, allacciano rapporti con la mafia siciliana e determinati settori politici, e quindi instaurano durature alleanze con questi soggetti. Lo scopo è quello di controllare la vita politica italiana, in modo da piegarla con qualsiasi mezzo, anche terroristico e sanguinario, agli interessi degli Stati Uniti e dei gruppi politico-economici di loro riferimento.
Cosa abbia comportato questo disegno lo sicomincia a comprendere solo da qualche anno, grazie alle indagini di magistrati coraggiosi, che tra mille insidie ed ostacoli sono riusciti a fare intravedere, se non tutta la verità, almeno una parte di essa, facendo emergere i gangli dell'ordito di sangue.
Fin dalla caduta del Fascismo si costituiscono in Italia strutture più o meno occulte, più o meno legali, con l'unico scopo di impedire l'attuazione della Costituzione Repubblicana, pienamente democratica, impedendo l'assurgere al potere legislativo ed esecutivo di partiti di ideologia socialista, duramente contrastata dagli USA, che ribadivano la loro volontà di egemonia su parti del mondo loro assegnate dopo Yalta.
Una di queste strutture è la "Gladio", e membri importanti di "Gladio" sono l'onorevole Francesco Cossiga e Licio Gelli.
Licio Gelli, massone, costituisce una struttura massonica segreta, la Loggia P2 che, a metà degli anni '70, tende al sovvertimento della  Repubblica e all'instaurazione di una seconda Repubblica Presidenziale, a carattere liberistico e antidemocratico.
La complessa organizzazione massonica P2, il suo sistema di rapporti col potere e la mafia in Italia, i servizi segreti italiani e americani, la Gladio, un complesso di organismi e di gruppi con legami nei servizi segreti, nei Carabinieri, negli alti corpi di polizia, nella magistratura e in altri settori della pubblica amministrazione, costituiscono una struttura politico- militare, che agisce come un vero e proprio "Stato parallelo", finalizzato ad impedire che i nostri equilibri politici si evolvano in direzione di una maggiore e più completa democrazia.
Colpi di Stato tentati o minacciati, stragi, attentati a treni, azioni di terrorismo nero  furono, a complemento di manovre politiche contro la democrazia, gli strumenti di questo vero e proprio "Stato parallelo", atti al conseguimento degli scopi di eversione.
I servizi segreti, che per lungo tempo alcune forze politiche ci hanno fatto credere "deviati", hanno coperto, non episodicamente, gravi reati, depistato giudici, posti in salvo i presunti attentatori, al fine di lasciare impunite le stragi più efferate.
Questo complesso di organismi ha attivato, all'interno di un disegno a lungo termine, il progetto politico che sussisteva dietro le stragi, e ne ha tutelato e continua a tutelare gli esecutori e i mandanti.
Così oggi possiamo assistere, dopo il periodo di instabilità politica degli anni '90, all'affermazione elettorale della "Casa delle Libertà" (sic!), che ha raccolto nel suo seno tutti i tipi di destra presenti nel nostro paese: da quella xenofoba e furbesca, rappresentante dei nuovi rampanti padani, a quella rivestita di un nuovo perbenismo, ma con non ben nascoste aspirazioni autoritarie di tipo fascista, come ci hanno fatto capire, se ce ne fosse stato bisogno, attraverso la repressione di Genova durante il G8; da quella che rappresenta i "buoni sentimenti" catto-qualunquistici , a quella residuale del periodo craxiano, con le stesse idee e l'identico modo di fare politica.
Quindi la matassa aggrovigliata dei poteri occulti e palesi ha dipanato il suo perverso filo conduttore di un progetto politico autoritario e antipopolare che arriva fino all'oggi e sembra avere ormai raggiunto il suo scopo: quello di un governo dei privilegi, a-democratico, falsamente populista, fascisteggiante e reazionario, cioè il governo alla cui testa si trova il Cavalier Silvio Berlusconi, un individuo allevato dalla Mafia, coccolato dalla P2, e tanto "amico" di Craxi e di certi politici democristiani, che come bravi sarti gli hanno confezionato leggi su misura, permettendogli la scalata al potere economico e quindi politico.
Questa destra è così compatta da costituire un vero e proprio club, che procede celermente verso mutamenti istituzionali e sociali sul modello del progetto di "Rinascita Democratica" di Gelli.
A tappe successive quello "Stato parallelo" è riuscito ad impadronirsi del potere politico-economico del paese e a realizzare il suo piano (continua
- http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-591.htm)
  Traccia storica e considerazioni di Renata Franceschini, Soccorso Popolare - Padova


BERLUSCONI: La guerra non c'è (di Stefano Benni)

Cittadini italiani. Qui è Silvio W. Berlusconi che vi parla. Anche se la propaganda comunista e vaticana cerca di convincervi del contrario, i miei avvocati mi hanno rassicurato che:
a) l'Italia non è belligerante
b) non solo non è belligerante, ma non è neanche in guerra
c) non c'è in realtà nessuna guerra
Non abbiamo mai concesso né basi né spazio aereo agli americani. Era già tutto loro. Le basi americane sono da tempo territorio Usa a tutti gli effetti, occupano uno spazio grande come una regione e non sono ancora Stato Usa autonomo perché stanno decidendo per il nome: Italiaska o New Pizzland. In quanto alla spazio aereo, gli americani ci scorazzano già da anni, basta pensare al Cermis o a Ustica. Vi posso assicurare che nessun aereo Usa parte per missioni di guerra dalle nostre basi. Alcuni portano in giro le bombe, perché a stare chiuse nell'hangar si arrugginiscono. Altri fingono di partire per confondere il nemico, a volte tornano, a volte restano nascosti in qualche garage o luogo appartato. Io ho due B52 nel mio giardino ad Arcore.
Non sono mai transitati sul suolo italiano treni con armi. Se qualcuno ha portato con sé un carro armato o un cannone, lo ha fatto a titolo personale, l'importante è che non lo abbia messo in mezzo al corridoio intralciando i passeggeri o il servizio ristoro. Abbiamo espulso i diplomatici iracheni non perché ce lo ha chiesto Bush, ma perché ai sensi della legge Bossi-Fini non avevano più un lavoro, in quanto, come sapete, tutti gli sforzi diplomatici sono falliti.
Non abbiamo mai venduto armi agli americani. Agli iracheni sì, ma allora Saddam era un amico.
Non è vero che siamo già in corsa per la ricostruzione dell'Iraq e stiamo arraffando le commesse. Io di commesse ne ho avute a migliaia alla Standa e nessuna può dire che io le ho messo le mani addosso. Sono fedele a mia moglie anche se è una traditrice pacifista e secondo alcuni pettegolezzi attualmente è fidanzata con un certo Schopenauer.
Non siamo belligeranti, in quanto non c'è nessuna belligeratura in corso. E' semplicemente in atto l'operazione per disarmare Saddam. Non mi risulta che ci siano morti né tra i civili né tra i militari. Aprite la televisione e vedrete che nulla è cambiato: le solite sigle, le solite facce, i soliti conduttori, e gli esperti che giocano con le mappe e i soldatini. Si discute di Iraq, ma come si parla del brutto tempo o dei virus della polmonite, sono inconvenienti che un palinsesto non può ignorare. Qualcuno con criminoso cattivo gusto, in un rigurgito Santoriano, ha mandato in onda scene di qualche film pulp dove si vedevano marines americani massacrati e civili iracheni morti. E' ovvio che simili cose non possono avvenire in una moderna chirurgica operazione di disarmo. Ho dato l'ordine a Gasparri di mettere durante queste scene il sottotitolo fiction, e il pallino rosso sullo schermo. Mi ha risposto: ci costerà un sacco di soldi dipingere il pallino su ogni televisore italiano. E' più cretino di quanto credevo.
Ma insomma, cittadini italiani, ragionate! Vi sembra che se ci fosse la guerra il mio amico Bush andrebbe in vacanza nel suo chalet? Vi sembra possibile che un grande democrazia arresti millecinquecento persone a San Francisco perché manifestano contro la guerra? Mi si attribuiscono battute meschine sui pacifisti, che poi mi tocca di smentire. Ma io so bene che, non essendoci guerra, non ci sono pacifisti. E' un mistero per me cosa facciano quei milioni di persone in strada, con quella bandiera tutta colorata che sembra la maglia del Milan che ha fumato marijuana. Se ci fosse davvero la guerra, con tutti i missili che hanno tirato su Baghdad avrebbero ucciso Saddam. Invece eccolo lì che parla in diretta. Maledetto concorrente! E' uno dei pochi che in video è tronfio e bugiardo come me. Il migliore in televisione, comunque, è sempre George Wermacht Bush. Ha il carisma e la statura morale di un pupazzo da ventriloquo e ultimamente si è messo anche a fare il comico. Ha detto che l'Iraq deve rispettare la convenzione di Ginevra. Che i suoi prigionieri devono essere trattati umanamente, proprio come quelli di Guantanamo. Ha invocato anche il tribunale dell'Aia. Mancava solo che chiedesse l'invio di ispettori dell'Onu nella zona delle operazioni. Quando poi ha detto che bisogna rispettare il diritto internazionale, si sono sentite le risate dei cameramen e gli spari di Colin Powell che li abbatteva.
Riassumendo: l'Italia non è in guerra, non c'è nessuna guerra, non ci sono morti né da una parte né dall'altra, gli elicotteri inglesi abbattuti dal fuoco amico non sono eventi bellici ma incidenti dovuti alla congestione del traffico aereo, come a Fiumicino. Non ci sono manifestazioni sanguinose in tutto il medio Oriente, e il popolo iracheno, come ho già anticipato a suo tempo, è entusiasta di questa pacifica invasione. Ci sono invece le armi chimiche e di sterminio di massa. Sono a Aviano, pronte a essere trasportate in Iraq nel caso gli americani non ne trovassero. Ci avete creduto? Ma siete proprio dei ingenui, era una battuta.
Sapete qual è la verità? La vera arma di sterminio di massa sono io col mio governo di ipocriti, quello che vuole farvi credere che non sta succedendo niente. Abbiamo cominciato con lo sterminio dell'informazione, poi abbiamo intrapreso quello del diritto, ora ci proviamo con lo sterminio delle coscienze. Una nube di indifferenza, ecco la nostra arma chimica. Per il momento non ci riusciamo. Ma confidiamo nella tendenza degli Italiani a dimenticare in fretta, e in un pronto intervento dei servizi segreti contro il crescere del movimento pacifista. Perciò se vedete alla televisione immagini volgari di sangue e morte e bombardamenti, pensate che non sono vere, perché la guerra moderna non fa morti. Sono semplicemente degli errori di sceneggiatura.
E adesso vi lascio, prima di andare via per il week-end devo discutere con Blair e Aznar sui nuovi oleodotti e sulla ricostruzione di Baghdad. Io ho proposto Baghdad due, un ridente complesso residenziale a pochi chilometri da Baghdad, in una località che si chiama Teheran. Ha detto Bush che ci pensa lui a sgombrarmi il terreno. E poi c'è il progetto di un ponte tra Messina e Amman, con un solo pilone a Creta. E per finire una fusione tra Mediaset e Lockeed, perché non c'è la guerra, ma stranamente in Borsa le azioni della fabbriche di armi triplicano. Misteri della finanza.
Italiani, state tranquilli. Niente sangue né dolore né lacrime. Strike & Awe non è un'azione di guerra e non vuole dire Sconvolgi e Terrorizza. E' un serial con due poliziotti, Strike il bruno e Awe il biondo. Me lo ha detto Frattini che ha studiato inglese con la Playstation. Io vi proteggerò, vi consolerò, vi rassicurerò, io sono la tempesta di sabbia che tutto nasconde, io sono l'operazione Forget & Fard. Credetemi. Non sta morendo nessuno. So prendermi le mie responsabilità e non dico bugie. Ve lo giuro sui figli di Blair.

Stefano Benni