Mani Pulite è proseguita nonostante l'abbandono di Antonio Di Pietro. Molti hanno pensato, altri sperato, che l'allontanamento del simbolo avrebbe comportato la fine del nostro lavoro. Non è stata cosa da poco continuare senza la capacità e la dedizione di Antonio, e non sono mancate difficoltà anche a livello organizzativo: abbiamo, cioè, dovuto redistribuire tra noi tutto il lavoro che stava seguendo. Per mesi infatti non è stato possibile rimpiazzare Di Pietro, a causa dei pressanti impegni dei colleghi occupati negli altri settori (criminalità organizzata, omicidi, droga, rapine, evasioni fiscali e quant'altro), circostanza che ha impedito di distogliere un altro sostituto dalle proprie indagini per destinarlo alle nostre. Siamo andati avanti così per poco meno di un anno, sopperendo alla carenza di persone con l'intensità dell'impegno, risucchiando Francesco Greco, Paolo Ielo ed Elio Ramondini, che avendo già dedicato gran parte del loro tempo alle indagini di Mani Pulite, si sono trovati a non poter fare quasi più altro. Nell'autunno 1995, finalmente, è stata aggregata alle indagini anche Ilda Boccassini, rientrata da un lungo distacco in Sicilia.
Impulsiva, di carattere forte e un po' spigoloso, determinata come forse nessuno, Ilda aveva lasciato Milano - non senza qualche incomprensione con alcuni colleghi, tra cui il sottoscritto - dopo la morte di Giovanni Falcone, cui era legata da rapporti professionali intensissimi. Aveva dato la propria disponibilità, subito accolta, a farsi applicare alla procura di Caltanissetta, competente territorialmente a indagare sulla strage di Capaci. Si era imposta di scoprire gli assassini di Giovanni, della moglie, degli uomini della scorta e aveva raggiunto lo scopo con una rapidità eccezionale, applicando la scientificità investigativa che lo stesso Falcone le aveva insegnato. Dopo una breve parentesi a Palermo, è ritornata a Milano, e le sue capacità professionali, ancor più affinate e profonde, sono state messe a disposizione di Mani Pulite.
Nel frattempo l'oggetto delle indagini si è ulteriormente allargato con l'emergere di nuovi e spesso recentissimi episodi di corruzione, specialmente nel filone delle verifiche fiscali, dei reati attribuibili ad appartenenti alla Guardia di finanza; ma soprattutto si è trasformato, per l'impulso di nuovi accertamenti che hanno portato la nostra attenzione investigativa verso gli aspetti patrimoniali del reato: vale a dire la creazione e la disponibilità dei fondi neri, dei capitali occulti da cui prelevare il prezzo della corruzione da una parte; e la conservazione e l'uso da parte di pubblici ufficiali e politici del denaro ricevuto per vendere le proprie funzioni dall'altra. Si tratta di accertamenti che richiedono tempi molto lunghi, non solo quando si è costretti a chiedere l'assistenza di magistrature straniere.
Infatti per scoprire da dove i soldi sono venuti, o sono andati, in ambito nazionale è necessario esaminare mastodontiche contabilità societarie, individuare rapporti bancari, analizzarli, trovare il sistema per scoprire depositi mascherati, o effettuati tramite prestanome, o celati attraverso operazioni commerciali inventate.
Per procedere nelle stesse ricerche all'estero è necessario innanzi tutto che esistano accordi internazionali con il paese interessato che prevedano l'assistenza giudiziaria (in caso contrario non si può che sperare nell'altrui cortesia), e poi bisogna in concreto trovare la collaborazione dei colleghi stranieri, non sempre disponibili a scegliere comportamenti che potrebbero crear loro difficoltà con gli altri poteri locali, se non addirittura con la stessa organizzazione istituzionale del loro paese, quando l'economia di quest'ultimo si basa o sulle capacità di attrarre denaro da parte di un sistema bancario rigorosamente muto alle ragioni della trasparenza, o sulla garanzia di poter utilizzare società di comodo per dissimulare operazioni commerciali inesistenti, senza potere, di regola, essere scoperti.
Ci è stata negata più volte assistenza con motivazioni bizzarre: per esempio che la corruzione è un reato "politico", e come tale non suscettibile di costituire oggetto di collaborazione internazionale; oppure che la magistratura locale è troppo impegnata nell'amministrare la giustizia interna per potersi interessare delle richieste provenienti dall'estero, e così via. Ma anche quando i trattati ci sono e la disponibilità dei colleghi è massima (come è avvenuto, soprattutto da parte del procuratore generale Carla Del Ponte, in Svizzera), mille intoppi procedurali rendono virtuale la tempestività dell'assistenza straniera, e le risposte arrivano anche dopo anni dalle richieste, quando chi vi ha interesse ha avuto tutto il tempo per spostare i suoi capitali in luoghi più sicuri o per costruire ad arte spiegazioni fasulle su proprietà e trasferimenti.
Anche in Italia le indagini finanziarie non hanno sempre vita facile, e ci è capitato più volte di scoprire i tradimenti di dirigenti e funzionari di istituti di credito che, allo scopo di prevenire le iniziative della magistratura, avevano letteralmente falsificato le carte per ostacolare la ricostruzione di movimentazioni ingenti, o per evitare l'attribuibilità a questo o quell'impiegato pubblico, dei milioni o dei miliardi che aveva ricevuto occultamente, ovvero per far perdere le tracce della destinazione di considerevoli importi usciti dai fondi neri di importanti società.
Forse perché manca il simbolo, Antonio Di Pietro; certamente per la natura delle nuove investigazioni che meno possono essere oggetto di spettacolarizzazioni attraverso la curiosità o lo scandalo creato attorno al nome dell'indagato, per qualche tempo le indagini diventano meno evidenti e suscitano minor interesse nella stampa e negli altri media. E progressivamente, giorno per giorno, si nota insinuarsi con costanza una disaffezione, quasi una insofferenza verso le nuove scoperte e il progredire delle investigazioni. Non è un fenomeno che riguarda tutti, perché per la strada, attraverso il telefono e il fax, o tramite gli inviti a partecipare a dibattiti su legalità e giustizia che provengono da tutta Italia e da molti paesi stranieri, l'interesse delle persone comuni della cosiddetta società civile e degli osservatori stranieri è sempre lo stesso. Ma per il "palazzo" è diverso.
Salvo alcune rilevanti ma sporadiche eccezioni, il mondo che conta matura, con spostamenti quasi impercettibili ma continui, una specie di avversione a Mani Pulite, quasi che il continuare a mettere a nudo l'illegalità diffusa infastidisca, disturbi, rappresenti un intralcio per la politica e per la gestione della cosa pubblica.
Non è tanto quel che viene fatto, ma quello che non si fa ad essere significativo, benché sia quanto meno avvilente per Borrelli, D'Ambrosio, Greco, Davigo, e per me, dopo decine d'anni di lavoro in cui abbiamo espresso senza tentennamenti il senso della nostra autonomia, e siamo pertanto stati fortemente esposti al rischio di attacchi, senza mai ricevere tuttavia nemmeno un appunto, vederci scaricare addosso a palate procedimenti disciplinari e denunce penali.
Tuttavia impressiona e delude la coscienza civile, prima ancora di mortificare l'impegno professionale, il fatto che in questi quattro anni non sia stata adottata una legge, un provvedimento che faciliti le indagini o che renda più difficile, per quanto è possibile, la corruzione.
Non una misura per modificare i controlli, per renderli effettivi; non un provvedimento che tenda ad allontanare dalla pubblica amministrazione coloro che per decenni hanno venduto la propria funzione, ma soltanto rare, approssimative iniziative per favorire il recupero del maltolto; nessuna, o poche e solo apparenti indagini amministrative, controlli interni alle istituzioni per verificare comportamenti dei funzionari, regolarità degli appalti, responsabilità; e ancora assenza totale di interventi politici per fare rientrare i capitali illecitamente trasferiti all'estero. Qualche volta nasce anche il sospetto che persone poco prima scoperte a svolgere attività di mediazione tra corruttori e corrotti, e condannate per questo, abbiano tranquillamente ripreso a compiere le stesse attività.
Quando segnali del genere sono più forti, viene da domandarsi se non sia stato raggiunto un tacito gentlemens agreement, che in modo inespresso preveda che Mani Pulite debba essere lasciata morire, dimenticata. Ma, soprattutto, che nulla vada fatto per cambiare le cose.
Tutto questo "niente" lascia disorientamento e sfiducia. Rende difficile superare la stanchezza di tanto prolungato sforzo investigativo e morale, considerati i sistematici e spesso ingiuriosi attacchi cui siamo stati sottoposti. Sconcerta perché è lampante, per chi ricopre incarichi istituzionali e dispone di incisivi strumenti di analisi e di valutazione, quanto il sistema che abbiamo scoperto sia devastante, e sia causa di incommensurabili danni per tutti.
Se, almeno apparentemente, a qualcuno può far gioco, per il proprio personale interesse, che nulla si muova, per tutti gli altri, che parrebbero essere i più, e a maggior ragione per chi è investito di compiti istituzionali di rappresentanza, la corruzione dovrebbe essere qualche cosa da cui liberarsi al più presto.
Gli stessi strumenti di informazione credo abbiano avuto interesse più a comunicare gli aspetti esteriori del sistema delle tangenti, piuttosto che il suo effettivo contenuto, e di conseguenza non si sono sforzati di analizzarne e diffonderne le implicazioni negative a livello economico, istituzionale e anche culturale. Questi argomenti sono rimasti oggetto di dibattiti di risonanza limitata, talvolta tenuti tra addetti ai lavori, frequentemente sollecitati dalla curiosità di gruppi di cittadini che, nelle più svariate sedi e occasioni, organizzavano incontri per capire e approfondire, con ciò dimostrando una sensibilità ben diversa da quella delle sedi istituzionali. Con il passare del tempo, la percezione della gravità delle conseguenze del continuo mercimonio della funzione pubblica è sfumata. Ed è parso quasi che i media, e per quanto ne potesse essere influenzata la cittadinanza, fossero più interessati a conoscere nomi piuttosto che fatti, titoli di reato piuttosto che comportamenti, sicché i resoconti delle nostre scoperte si sono trasformati in un terribile gioco di superficie, nel quale raramente ha trovato spazio un livello di analisi profondo.
Le conseguenze, i danni della corruzione, sono passati in secondo piano, e forse non è stato casuale. La disaffezione verso il nostro lavoro è stata forse momentanea, ma la superficialità della percezione degli effetti della corruzione continua tuttora. E siccome le regole non hanno giustificazione in sé, ma per quello cui tendono, sarà bene riportare alla mente quegli effetti, quei danni, che le regole, punendo la corruzione, cercano di evitare.
La prima puntualizzazione, necessaria per i frequenti fraintendimenti di una parte dell'opinione pubblica, riguarda il fatto che le tangenti, contrariamente a quanto sembra avvenire, non le paga l'impresa, bensì l'ente pubblico cui è preposto il funzionario infedele che le riceve. Ciò è lampante quando la tangente mira a eludere un controllo, a nascondere situazioni o disponibilità, come succede se un finanziere accetta cinquanta milioni per non accorgersi di un'evasione fiscale di cento. Ma lo spostamento del costo si verifica anche in caso di appalti, e cioè quando la tangente è pagata per la stipulazione di un contratto. Infatti il suo ammontare è recuperato di regola attraverso collaudati sistemi, come la revisione dei prezzi (durante l'esecuzione dell'opera il costruttore chiede, e naturalmente ottiene, che il corrispettivo sia elevato lamentando, per esempio, l'aumento del costo delle materie prime), le varianti in corso d'opera (improvvisamente ci si accorge che il contratto per la costruzione di un ospedale non prevedeva, per esempio, l'installazione di alcuni ascensori: si integra l'appalto originario e il costo degli ascensori viene determinato a parte, calcolandolo con larghezza) o l'impiego di materiali in quantità minore o meno pregiati e meno costosi (chi si è impegnato ad asfaltare una strada con un manto di tre centimetri ne posa soltanto due e mezzo) o l'uso di tecnologie meno raffinate. Il pagamento del prezzo della corruzione non costituisce quindi un onere per l'imprenditore, ma è una causa di incremento del costo dell'opera, e perciò della spesa pubblica, un danno per la collettività facilmente quantificabile.
Seconda puntualizzazione: se la tangente è pagata dall'imprenditore per acquistare i favori di politici e funzionari, è sempre l'ente pubblico, e quindi la collettività, che paga anche il prezzo di tale favore. Per esempio, la pubblica amministrazione dispone la costruzione di opere inutili, che spesso rimangono incompiute, solo perché queste rappresentano il veicolo attraverso cui far transitare la tangente; altre volte per ricambiare il favore rappresentato dal pagamento di una tangente, assegna un appalto a un'impresa meno idonea di altre, ottenendo un risultato di mediocre quando non addirittura di pessimo livello (se si costruisce un'autostrada con un manto d'asfalto meno spesso di quanto sarebbe necessario, questa si deteriorerà più rapidamente; si dovrà intervenire per ripararla prima di quanto si sarebbe potuto fare se l'autostrada fosse stata costruita a regola d'arte; mentre se viene decisa la costruzione di un'opera pubblica del tutto inutile, il suo costo rappresenta solo un onere per la collettività, dal momento che da quell'opera essa non ricava alcun vantaggio).
Fatti del genere non costituiscono casi isolati, anzi. L'Italia, soprattutto il sud, è disseminata, di opere pubbliche incompiute (scuole, piscine, strade, palestre), la cui costruzione è stata iniziata e mai condotta a termine, e di cui la collettività non ha mai potuto usufruire pur avendo sopportato i costi della loro parziale realizzazione. Opere spesso rovinose per l'ambiente e il paesaggio. E quanto della cementificazione, delle conseguenti continue alluvioni, dell'inquinamento dell'acqua e dei mari, di cervellotici piani di urbanizzazione è dovuto al sistema delle tangenti?
Spesso la contrattazione e il pagamento della tangente comportano il dilatarsi a dismisura dei tempi di realizzazione dell'opera. La stipulazione di un contratto pubblico, le complesse e a volte artificiose regole previste dalle leggi, richiedono già di per sé un tempo piuttosto lungo. Se, parallelamente alla procedura ufficiale, si instaura una trattativa occulta tra l'ente pubblico e le imprese interessate, destinata a far conseguire alle parti dell'illecito contratto il profitto più alto possibile, quella stessa stipulazione richiederà tempi molto più lunghi. Talvolta è proprio il meccanismo utilizzato per trasferire il costo della tangente sull'ente pubblico a imporre la dilatazione dei tempi di realizzazione dell'opera: se l'ultimazione di questa avviene con grande tempestività, come è possibile ricorrere credibilmente alla revisione del prezzo?
Il diffuso sistema della corruzione comporta il progressivo deteriorarsi del modo di agire della pubblica amministrazione che, popolata da funzionari interessati più a conseguire vantaggi personali che non il pubblico interesse, finisce per operare senza tenere più conto delle regole di efficienza e imparzialità che devono ispirarne l'intervento.
I risultati complessivi sono immaginabili, se si considera che, oltre alla corruzione che riguarda grandi opere e grandi appalti di competenza degli enti pubblici di maggiore rilievo, esiste una corruzione quasi bagattellare diffusa su tutto il territorio e praticata nel contesto dei più svariati rapporti tra pubblico e privato (nel campo delle corruzioni destinate a consentire l'abusivismo edilizio, per esempio, sembra conso-lidata la prassi secondo la quale il pagamento di tangenti di importo non elevato evita qualsiasi controllo e permette di costruire o modificare in modo del tutto abusivo, con danni per l'ambiente, la collettività e per lo stesso erogatore dell'illecito pagamento, quando quest'ultimo è rivolto a eludere disposizioni indirizzate alla sua salvaguardia, come quelle che lo tutelano dai rischi di terremoti, frane, alluvioni e così via).
Data la costante consuetudine ad accompagnare i contratti pubblici con i pagamenti illeciti, l'ammontare complessivo delle tangenti pagate in Italia, nel corso di un anno, potrebbe essere stimato, per difetto, in almeno l'uno per cento del complesso delle somme movimentate da stato, regioni, province, comuni, enti pubblici economici, di servizi e assistenziali in occasione di contratti di costruzione e fornitura di cui gli stessi siano stati parte. Una cifra enorme.
Il sistema danneggia anche le imprese. Il loro patrimonio non consiste soltanto nel possesso degli strumenti, dei materiali e della tecnologia, ma anche in una grande professionalità. Se le regole attraverso le quali i lavori vengono assegnati prescindono dalla professionalità, questa tende a diminuire progressivamente, superata da una sempre più collaudata e perfezionata capacità di corrompere. Conseguentemente, offrendo prodotti e servizi dequalificati, le imprese tendono a essere emarginate e le conseguenze, se non si manifestano nell'ambito del mercato protetto ove abitualmente operano, sicuramente si evidenziano nel mercato internazionale.
È successo di constatare più volte che i dirigenti di imprese di settore (per esempio, quelle che costruiscono ospedali) si sono riuniti per pervenire ad accordi perversi: si spartiscono preventivamente la vincita degli appalti (usando tutti i marchingegni necessari per raggiungere lo scopo, compresa la corruzione dei funzionari preposti alle gare perché consentano il gioco), e se qualcuna di esse resta esclusa dalla preventiva assegnazione, perché il numero degli appalti è insufficiente ad accontentare tutti, la si "indennizza" con la corresponsione di una somma in danaro: evviva la concorrenza, evviva il liberismo!
Il sistema produce, in sostanza, eccezionali danni per l'economia nazionale, nella quale non si può più ritenere vigente il regime del libero mercato: le regole della concorrenza vengono stravolte e le imprese corruttrici possono operare quanto meno in situazione di oligopolio.
Un aspetto fondamentale del fenomeno è rappresentato dalla costituzione da parte delle imprese corruttrici della provvista da cui attingere per effettuare i pagamenti illeciti. La provvista è alimentata da fondi neri, cioè capitali occulti non contabilizzati e quindi, a voler ricordare un ulteriore danno di questo sistema, sottratti al pagamento delle imposte.
Solo raramente, e in genere soltanto per le imprese di piccole e medie dimensioni, i fondi neri sono costituiti in Italia. Nella stragrande maggioranza dei casi essi sono invece formati all'estero, attraverso una tipica sequenza di rapporti che si snodano tra imprese, fiduciarie e banche aventi sede in stati dell'Europa occidentale o in stati off-shore. Un facile esempio può essere rappresentato dal caso di società estere, generalmente off-shore, che emettono fatture relative a consulenze prestate a imprese italiane che intendono costituire fondi neri. Le consulenze in realtà non vengono rese e il controvalore delle fatture, emesse per operazioni inesistenti, viene accreditato presso una banca sita in un paese dell'Europa occidentale e successivamente trasferito attraverso operazioni bancarie estero su estero o nella disponibilità dell'impresa italiana ovvero direttamente nella disponibilità del corrotto.
L'esistenza di fondi neri non provoca soltanto la sottrazione di risorse all'imposizione fiscale (e quindi l'aumento delle pretese dello stato verso gli altri cittadini), ma anche danni al mercato e all'organizzazione dell'impresa che li ha prodotti. La loro costituzione e il loro uso si scontrano con le disposizioni di legge dettate per tutelare libertà e trasparenza del mercato, disposizioni che rappresentano valori per tutti, anche per le imprese, perché possano operare nel mercato grazie alla propria capacità, professionalità e tecnologia.
Peraltro, è anche all'interno della società che l'uso di fondi neri crea rilevanti scompensi. Tutte le volte (e sono tante) in cui si utilizza parte del nero per pagare occultamente alcuni dipendenti, per esempio, si stravolge qualsiasi gerarchia tra costoro: l'amministratore che vuole utilizzare la società a fini propri senza render conto ai soci del proprio operato, compra i dipendenti situati nei posti chiave perché seguano le sue disposizioni, indipendentemente da qualsiasi rapporto gerarchico, fuori da qualsiasi lealtà nei confronti della società. E quando parte dei fondi è destinata al finanziamento illecito di partiti, colui che costituisce il collegamento con chi riceve il denaro, acquista all'interno dell'impresa eccezionali posizioni di potere sostanziale, perché il materiale datore instaura rapporti privilegiati, talvolta esclusivi, con il politico che riceve e che può, con il suo comportamento, influenzare le future possibilità di lavoro della società, le aliquote delle imposte cui sono assoggettati i suoi prodotti, l'ammontare dei canoni dei servizi che fornisce, il prezzo di ciò che vende, quando si è in regime di prezzi controllati.
Senza contare che spesso parte dei fondi neri va ad arricchire occultamente e illecitamente gli amministratori (che con ciò danneggiano i soci) o i soci di maggioranza (che con ciò danneggiano i piccoli azionisti), e parte va ad alimentare il sotterfugio, l'imbroglio, l'apparenza: si sovvenzionano testate e giornalisti perché parlino bene dei propri prodotti al di là della loro qualità, o perché favoriscano una scalata, una fusione, un investimento indipendentemente dalla loro convenienza; si restituiscono sottobanco soldi ai clienti, per sottrarli alla concorrenza, o ai partner di un affare, perché questo non sia mandato all'aria anche quando non è produttivo.
Qualche volta, poi, i fondi extra bilancio servono anche a mantenere rapporti di buon vicinato con organizzazioni criminali che controllano il territorio più incisivamente dello stato.
Anche la circolazione del profitto della corruzione è avvenuta frequentemente all'estero, e ha interessato società o istituti di credito residenti in paesi stranieri. Sono centinaia, forse migliaia i miliardi che stiamo cercando di recuperare su conti correnti stranieri, essendo andati a ingrossare i patrimoni personali di alcuni corrotti, che in tal modo hanno ottenuto arricchimenti illeciti notevolissimi.
Tante altre volte il denaro è finito nelle casse di partiti politici: quando i politici e i funzionari che hanno gestito l'affare non ne hanno approfittato, en passant, per incrementare la propria personale ricchezza, sono stati gratificati, dall'ambiente di provenienza, con la patente d'essere stati estremamente onesti.
Ma non sono solo le ruberie e i costi economici per la collettività a costituire lo sfacelo rappresentato da Tangentopoli. C'è dell'altro, che considero ancora peggio, è il tradimento continuo del proprio incarico, della propria funzione, del proprio mandato. È la sostituzione costante con l'occulto delle regole che dovrebbero valere per tutti. è la sovversione dello stato di diritto, perché viene tolta al cittadino qualsiasi affidabilità dei rapporti economici, politici e sociali, e i piani dell'esistenza si sdoppiano; un livello apparente in cui tutti si è uguali e un livello reale, dove si è diversi, estremamente diversi. Esistono le regole formali che dovrebbero valere per tutti e che si applicano invece soltanto a chi non si compromette con il palazzo, ed esistono altre regole, non scritte sostanziali ma occulte, le regole del sotterfugio e dell'intrallazzo, che vigono per chi fa parte del sistema sotterraneo della corruzione. In questo contesto proprio i politici e i funzionari che, non avendo "rubato per sé", hanno mantenuto intatta la loro rispettabilità, hanno contribuito a creare le conseguenze peggiori.
Infatti, la disponibilità di somme enormi da parte di alcuni partiti politici, senza che ciò fosse noto al complesso dei cittadini, ha reso non più imparziale lo scontro tra le forze politiche, in quanto alcune di esse hanno avuto più forza delle altre in virtù di un sistematico ricorso all'illecito, e ha indotto i propri rappresentanti a svolgere le loro funzioni tenendo conto della necessità del partito di appartenenza di aumentare la propria disponibilità finanziaria anche attraverso il loro comportamento scorretto, incurante delle regole di trasparenza, imparzialità ed efficienza che dovrebbero presiedere allo svolgimento delle funzioni del pubblico amministratore, e in contrasto con gli interessi del paese. Inoltre, all'interno del partito, si è verificato il rischio, che spesso si è trasformato in realtà, che il potere venisse acquisito non tanto per le capacità politiche quanto per le capacità di raccogliere denaro da versare nelle sue casse.
Così, le relazioni nel palazzo, più di una volta, sono state inquinate dal ricatto: da parte degli esponenti politici (e dei burocrati) al corrente delle malefatte degli altri, non ancora emerse dalle indagini; da parte degli imprenditori nei confronti di politici e burocrati, che hanno "tenuto in mano" tutti coloro di cui hanno comprato, senza che lo si sappia, dignità e funzioni.
Perché paia che qualcosa cominci a muoversi deve passare del tempo, e le prime iniziative, subito contrastate da molti, provengono guarda caso da Antonio Di Pietro, divenuto ministro.
Impulsiva, di carattere forte e un po' spigoloso, determinata come forse nessuno, Ilda aveva lasciato Milano - non senza qualche incomprensione con alcuni colleghi, tra cui il sottoscritto - dopo la morte di Giovanni Falcone, cui era legata da rapporti professionali intensissimi. Aveva dato la propria disponibilità, subito accolta, a farsi applicare alla procura di Caltanissetta, competente territorialmente a indagare sulla strage di Capaci. Si era imposta di scoprire gli assassini di Giovanni, della moglie, degli uomini della scorta e aveva raggiunto lo scopo con una rapidità eccezionale, applicando la scientificità investigativa che lo stesso Falcone le aveva insegnato. Dopo una breve parentesi a Palermo, è ritornata a Milano, e le sue capacità professionali, ancor più affinate e profonde, sono state messe a disposizione di Mani Pulite.
Nel frattempo l'oggetto delle indagini si è ulteriormente allargato con l'emergere di nuovi e spesso recentissimi episodi di corruzione, specialmente nel filone delle verifiche fiscali, dei reati attribuibili ad appartenenti alla Guardia di finanza; ma soprattutto si è trasformato, per l'impulso di nuovi accertamenti che hanno portato la nostra attenzione investigativa verso gli aspetti patrimoniali del reato: vale a dire la creazione e la disponibilità dei fondi neri, dei capitali occulti da cui prelevare il prezzo della corruzione da una parte; e la conservazione e l'uso da parte di pubblici ufficiali e politici del denaro ricevuto per vendere le proprie funzioni dall'altra. Si tratta di accertamenti che richiedono tempi molto lunghi, non solo quando si è costretti a chiedere l'assistenza di magistrature straniere.
Infatti per scoprire da dove i soldi sono venuti, o sono andati, in ambito nazionale è necessario esaminare mastodontiche contabilità societarie, individuare rapporti bancari, analizzarli, trovare il sistema per scoprire depositi mascherati, o effettuati tramite prestanome, o celati attraverso operazioni commerciali inventate.
Per procedere nelle stesse ricerche all'estero è necessario innanzi tutto che esistano accordi internazionali con il paese interessato che prevedano l'assistenza giudiziaria (in caso contrario non si può che sperare nell'altrui cortesia), e poi bisogna in concreto trovare la collaborazione dei colleghi stranieri, non sempre disponibili a scegliere comportamenti che potrebbero crear loro difficoltà con gli altri poteri locali, se non addirittura con la stessa organizzazione istituzionale del loro paese, quando l'economia di quest'ultimo si basa o sulle capacità di attrarre denaro da parte di un sistema bancario rigorosamente muto alle ragioni della trasparenza, o sulla garanzia di poter utilizzare società di comodo per dissimulare operazioni commerciali inesistenti, senza potere, di regola, essere scoperti.
Ci è stata negata più volte assistenza con motivazioni bizzarre: per esempio che la corruzione è un reato "politico", e come tale non suscettibile di costituire oggetto di collaborazione internazionale; oppure che la magistratura locale è troppo impegnata nell'amministrare la giustizia interna per potersi interessare delle richieste provenienti dall'estero, e così via. Ma anche quando i trattati ci sono e la disponibilità dei colleghi è massima (come è avvenuto, soprattutto da parte del procuratore generale Carla Del Ponte, in Svizzera), mille intoppi procedurali rendono virtuale la tempestività dell'assistenza straniera, e le risposte arrivano anche dopo anni dalle richieste, quando chi vi ha interesse ha avuto tutto il tempo per spostare i suoi capitali in luoghi più sicuri o per costruire ad arte spiegazioni fasulle su proprietà e trasferimenti.
Anche in Italia le indagini finanziarie non hanno sempre vita facile, e ci è capitato più volte di scoprire i tradimenti di dirigenti e funzionari di istituti di credito che, allo scopo di prevenire le iniziative della magistratura, avevano letteralmente falsificato le carte per ostacolare la ricostruzione di movimentazioni ingenti, o per evitare l'attribuibilità a questo o quell'impiegato pubblico, dei milioni o dei miliardi che aveva ricevuto occultamente, ovvero per far perdere le tracce della destinazione di considerevoli importi usciti dai fondi neri di importanti società.
Forse perché manca il simbolo, Antonio Di Pietro; certamente per la natura delle nuove investigazioni che meno possono essere oggetto di spettacolarizzazioni attraverso la curiosità o lo scandalo creato attorno al nome dell'indagato, per qualche tempo le indagini diventano meno evidenti e suscitano minor interesse nella stampa e negli altri media. E progressivamente, giorno per giorno, si nota insinuarsi con costanza una disaffezione, quasi una insofferenza verso le nuove scoperte e il progredire delle investigazioni. Non è un fenomeno che riguarda tutti, perché per la strada, attraverso il telefono e il fax, o tramite gli inviti a partecipare a dibattiti su legalità e giustizia che provengono da tutta Italia e da molti paesi stranieri, l'interesse delle persone comuni della cosiddetta società civile e degli osservatori stranieri è sempre lo stesso. Ma per il "palazzo" è diverso.
Salvo alcune rilevanti ma sporadiche eccezioni, il mondo che conta matura, con spostamenti quasi impercettibili ma continui, una specie di avversione a Mani Pulite, quasi che il continuare a mettere a nudo l'illegalità diffusa infastidisca, disturbi, rappresenti un intralcio per la politica e per la gestione della cosa pubblica.
Non è tanto quel che viene fatto, ma quello che non si fa ad essere significativo, benché sia quanto meno avvilente per Borrelli, D'Ambrosio, Greco, Davigo, e per me, dopo decine d'anni di lavoro in cui abbiamo espresso senza tentennamenti il senso della nostra autonomia, e siamo pertanto stati fortemente esposti al rischio di attacchi, senza mai ricevere tuttavia nemmeno un appunto, vederci scaricare addosso a palate procedimenti disciplinari e denunce penali.
Tuttavia impressiona e delude la coscienza civile, prima ancora di mortificare l'impegno professionale, il fatto che in questi quattro anni non sia stata adottata una legge, un provvedimento che faciliti le indagini o che renda più difficile, per quanto è possibile, la corruzione.
Non una misura per modificare i controlli, per renderli effettivi; non un provvedimento che tenda ad allontanare dalla pubblica amministrazione coloro che per decenni hanno venduto la propria funzione, ma soltanto rare, approssimative iniziative per favorire il recupero del maltolto; nessuna, o poche e solo apparenti indagini amministrative, controlli interni alle istituzioni per verificare comportamenti dei funzionari, regolarità degli appalti, responsabilità; e ancora assenza totale di interventi politici per fare rientrare i capitali illecitamente trasferiti all'estero. Qualche volta nasce anche il sospetto che persone poco prima scoperte a svolgere attività di mediazione tra corruttori e corrotti, e condannate per questo, abbiano tranquillamente ripreso a compiere le stesse attività.
Quando segnali del genere sono più forti, viene da domandarsi se non sia stato raggiunto un tacito gentlemens agreement, che in modo inespresso preveda che Mani Pulite debba essere lasciata morire, dimenticata. Ma, soprattutto, che nulla vada fatto per cambiare le cose.
Tutto questo "niente" lascia disorientamento e sfiducia. Rende difficile superare la stanchezza di tanto prolungato sforzo investigativo e morale, considerati i sistematici e spesso ingiuriosi attacchi cui siamo stati sottoposti. Sconcerta perché è lampante, per chi ricopre incarichi istituzionali e dispone di incisivi strumenti di analisi e di valutazione, quanto il sistema che abbiamo scoperto sia devastante, e sia causa di incommensurabili danni per tutti.
Se, almeno apparentemente, a qualcuno può far gioco, per il proprio personale interesse, che nulla si muova, per tutti gli altri, che parrebbero essere i più, e a maggior ragione per chi è investito di compiti istituzionali di rappresentanza, la corruzione dovrebbe essere qualche cosa da cui liberarsi al più presto.
Gli stessi strumenti di informazione credo abbiano avuto interesse più a comunicare gli aspetti esteriori del sistema delle tangenti, piuttosto che il suo effettivo contenuto, e di conseguenza non si sono sforzati di analizzarne e diffonderne le implicazioni negative a livello economico, istituzionale e anche culturale. Questi argomenti sono rimasti oggetto di dibattiti di risonanza limitata, talvolta tenuti tra addetti ai lavori, frequentemente sollecitati dalla curiosità di gruppi di cittadini che, nelle più svariate sedi e occasioni, organizzavano incontri per capire e approfondire, con ciò dimostrando una sensibilità ben diversa da quella delle sedi istituzionali. Con il passare del tempo, la percezione della gravità delle conseguenze del continuo mercimonio della funzione pubblica è sfumata. Ed è parso quasi che i media, e per quanto ne potesse essere influenzata la cittadinanza, fossero più interessati a conoscere nomi piuttosto che fatti, titoli di reato piuttosto che comportamenti, sicché i resoconti delle nostre scoperte si sono trasformati in un terribile gioco di superficie, nel quale raramente ha trovato spazio un livello di analisi profondo.
Le conseguenze, i danni della corruzione, sono passati in secondo piano, e forse non è stato casuale. La disaffezione verso il nostro lavoro è stata forse momentanea, ma la superficialità della percezione degli effetti della corruzione continua tuttora. E siccome le regole non hanno giustificazione in sé, ma per quello cui tendono, sarà bene riportare alla mente quegli effetti, quei danni, che le regole, punendo la corruzione, cercano di evitare.
La prima puntualizzazione, necessaria per i frequenti fraintendimenti di una parte dell'opinione pubblica, riguarda il fatto che le tangenti, contrariamente a quanto sembra avvenire, non le paga l'impresa, bensì l'ente pubblico cui è preposto il funzionario infedele che le riceve. Ciò è lampante quando la tangente mira a eludere un controllo, a nascondere situazioni o disponibilità, come succede se un finanziere accetta cinquanta milioni per non accorgersi di un'evasione fiscale di cento. Ma lo spostamento del costo si verifica anche in caso di appalti, e cioè quando la tangente è pagata per la stipulazione di un contratto. Infatti il suo ammontare è recuperato di regola attraverso collaudati sistemi, come la revisione dei prezzi (durante l'esecuzione dell'opera il costruttore chiede, e naturalmente ottiene, che il corrispettivo sia elevato lamentando, per esempio, l'aumento del costo delle materie prime), le varianti in corso d'opera (improvvisamente ci si accorge che il contratto per la costruzione di un ospedale non prevedeva, per esempio, l'installazione di alcuni ascensori: si integra l'appalto originario e il costo degli ascensori viene determinato a parte, calcolandolo con larghezza) o l'impiego di materiali in quantità minore o meno pregiati e meno costosi (chi si è impegnato ad asfaltare una strada con un manto di tre centimetri ne posa soltanto due e mezzo) o l'uso di tecnologie meno raffinate. Il pagamento del prezzo della corruzione non costituisce quindi un onere per l'imprenditore, ma è una causa di incremento del costo dell'opera, e perciò della spesa pubblica, un danno per la collettività facilmente quantificabile.
Seconda puntualizzazione: se la tangente è pagata dall'imprenditore per acquistare i favori di politici e funzionari, è sempre l'ente pubblico, e quindi la collettività, che paga anche il prezzo di tale favore. Per esempio, la pubblica amministrazione dispone la costruzione di opere inutili, che spesso rimangono incompiute, solo perché queste rappresentano il veicolo attraverso cui far transitare la tangente; altre volte per ricambiare il favore rappresentato dal pagamento di una tangente, assegna un appalto a un'impresa meno idonea di altre, ottenendo un risultato di mediocre quando non addirittura di pessimo livello (se si costruisce un'autostrada con un manto d'asfalto meno spesso di quanto sarebbe necessario, questa si deteriorerà più rapidamente; si dovrà intervenire per ripararla prima di quanto si sarebbe potuto fare se l'autostrada fosse stata costruita a regola d'arte; mentre se viene decisa la costruzione di un'opera pubblica del tutto inutile, il suo costo rappresenta solo un onere per la collettività, dal momento che da quell'opera essa non ricava alcun vantaggio).
Fatti del genere non costituiscono casi isolati, anzi. L'Italia, soprattutto il sud, è disseminata, di opere pubbliche incompiute (scuole, piscine, strade, palestre), la cui costruzione è stata iniziata e mai condotta a termine, e di cui la collettività non ha mai potuto usufruire pur avendo sopportato i costi della loro parziale realizzazione. Opere spesso rovinose per l'ambiente e il paesaggio. E quanto della cementificazione, delle conseguenti continue alluvioni, dell'inquinamento dell'acqua e dei mari, di cervellotici piani di urbanizzazione è dovuto al sistema delle tangenti?
Spesso la contrattazione e il pagamento della tangente comportano il dilatarsi a dismisura dei tempi di realizzazione dell'opera. La stipulazione di un contratto pubblico, le complesse e a volte artificiose regole previste dalle leggi, richiedono già di per sé un tempo piuttosto lungo. Se, parallelamente alla procedura ufficiale, si instaura una trattativa occulta tra l'ente pubblico e le imprese interessate, destinata a far conseguire alle parti dell'illecito contratto il profitto più alto possibile, quella stessa stipulazione richiederà tempi molto più lunghi. Talvolta è proprio il meccanismo utilizzato per trasferire il costo della tangente sull'ente pubblico a imporre la dilatazione dei tempi di realizzazione dell'opera: se l'ultimazione di questa avviene con grande tempestività, come è possibile ricorrere credibilmente alla revisione del prezzo?
Il diffuso sistema della corruzione comporta il progressivo deteriorarsi del modo di agire della pubblica amministrazione che, popolata da funzionari interessati più a conseguire vantaggi personali che non il pubblico interesse, finisce per operare senza tenere più conto delle regole di efficienza e imparzialità che devono ispirarne l'intervento.
I risultati complessivi sono immaginabili, se si considera che, oltre alla corruzione che riguarda grandi opere e grandi appalti di competenza degli enti pubblici di maggiore rilievo, esiste una corruzione quasi bagattellare diffusa su tutto il territorio e praticata nel contesto dei più svariati rapporti tra pubblico e privato (nel campo delle corruzioni destinate a consentire l'abusivismo edilizio, per esempio, sembra conso-lidata la prassi secondo la quale il pagamento di tangenti di importo non elevato evita qualsiasi controllo e permette di costruire o modificare in modo del tutto abusivo, con danni per l'ambiente, la collettività e per lo stesso erogatore dell'illecito pagamento, quando quest'ultimo è rivolto a eludere disposizioni indirizzate alla sua salvaguardia, come quelle che lo tutelano dai rischi di terremoti, frane, alluvioni e così via).
Data la costante consuetudine ad accompagnare i contratti pubblici con i pagamenti illeciti, l'ammontare complessivo delle tangenti pagate in Italia, nel corso di un anno, potrebbe essere stimato, per difetto, in almeno l'uno per cento del complesso delle somme movimentate da stato, regioni, province, comuni, enti pubblici economici, di servizi e assistenziali in occasione di contratti di costruzione e fornitura di cui gli stessi siano stati parte. Una cifra enorme.
Il sistema danneggia anche le imprese. Il loro patrimonio non consiste soltanto nel possesso degli strumenti, dei materiali e della tecnologia, ma anche in una grande professionalità. Se le regole attraverso le quali i lavori vengono assegnati prescindono dalla professionalità, questa tende a diminuire progressivamente, superata da una sempre più collaudata e perfezionata capacità di corrompere. Conseguentemente, offrendo prodotti e servizi dequalificati, le imprese tendono a essere emarginate e le conseguenze, se non si manifestano nell'ambito del mercato protetto ove abitualmente operano, sicuramente si evidenziano nel mercato internazionale.
È successo di constatare più volte che i dirigenti di imprese di settore (per esempio, quelle che costruiscono ospedali) si sono riuniti per pervenire ad accordi perversi: si spartiscono preventivamente la vincita degli appalti (usando tutti i marchingegni necessari per raggiungere lo scopo, compresa la corruzione dei funzionari preposti alle gare perché consentano il gioco), e se qualcuna di esse resta esclusa dalla preventiva assegnazione, perché il numero degli appalti è insufficiente ad accontentare tutti, la si "indennizza" con la corresponsione di una somma in danaro: evviva la concorrenza, evviva il liberismo!
Il sistema produce, in sostanza, eccezionali danni per l'economia nazionale, nella quale non si può più ritenere vigente il regime del libero mercato: le regole della concorrenza vengono stravolte e le imprese corruttrici possono operare quanto meno in situazione di oligopolio.
Un aspetto fondamentale del fenomeno è rappresentato dalla costituzione da parte delle imprese corruttrici della provvista da cui attingere per effettuare i pagamenti illeciti. La provvista è alimentata da fondi neri, cioè capitali occulti non contabilizzati e quindi, a voler ricordare un ulteriore danno di questo sistema, sottratti al pagamento delle imposte.
Solo raramente, e in genere soltanto per le imprese di piccole e medie dimensioni, i fondi neri sono costituiti in Italia. Nella stragrande maggioranza dei casi essi sono invece formati all'estero, attraverso una tipica sequenza di rapporti che si snodano tra imprese, fiduciarie e banche aventi sede in stati dell'Europa occidentale o in stati off-shore. Un facile esempio può essere rappresentato dal caso di società estere, generalmente off-shore, che emettono fatture relative a consulenze prestate a imprese italiane che intendono costituire fondi neri. Le consulenze in realtà non vengono rese e il controvalore delle fatture, emesse per operazioni inesistenti, viene accreditato presso una banca sita in un paese dell'Europa occidentale e successivamente trasferito attraverso operazioni bancarie estero su estero o nella disponibilità dell'impresa italiana ovvero direttamente nella disponibilità del corrotto.
L'esistenza di fondi neri non provoca soltanto la sottrazione di risorse all'imposizione fiscale (e quindi l'aumento delle pretese dello stato verso gli altri cittadini), ma anche danni al mercato e all'organizzazione dell'impresa che li ha prodotti. La loro costituzione e il loro uso si scontrano con le disposizioni di legge dettate per tutelare libertà e trasparenza del mercato, disposizioni che rappresentano valori per tutti, anche per le imprese, perché possano operare nel mercato grazie alla propria capacità, professionalità e tecnologia.
Peraltro, è anche all'interno della società che l'uso di fondi neri crea rilevanti scompensi. Tutte le volte (e sono tante) in cui si utilizza parte del nero per pagare occultamente alcuni dipendenti, per esempio, si stravolge qualsiasi gerarchia tra costoro: l'amministratore che vuole utilizzare la società a fini propri senza render conto ai soci del proprio operato, compra i dipendenti situati nei posti chiave perché seguano le sue disposizioni, indipendentemente da qualsiasi rapporto gerarchico, fuori da qualsiasi lealtà nei confronti della società. E quando parte dei fondi è destinata al finanziamento illecito di partiti, colui che costituisce il collegamento con chi riceve il denaro, acquista all'interno dell'impresa eccezionali posizioni di potere sostanziale, perché il materiale datore instaura rapporti privilegiati, talvolta esclusivi, con il politico che riceve e che può, con il suo comportamento, influenzare le future possibilità di lavoro della società, le aliquote delle imposte cui sono assoggettati i suoi prodotti, l'ammontare dei canoni dei servizi che fornisce, il prezzo di ciò che vende, quando si è in regime di prezzi controllati.
Senza contare che spesso parte dei fondi neri va ad arricchire occultamente e illecitamente gli amministratori (che con ciò danneggiano i soci) o i soci di maggioranza (che con ciò danneggiano i piccoli azionisti), e parte va ad alimentare il sotterfugio, l'imbroglio, l'apparenza: si sovvenzionano testate e giornalisti perché parlino bene dei propri prodotti al di là della loro qualità, o perché favoriscano una scalata, una fusione, un investimento indipendentemente dalla loro convenienza; si restituiscono sottobanco soldi ai clienti, per sottrarli alla concorrenza, o ai partner di un affare, perché questo non sia mandato all'aria anche quando non è produttivo.
Qualche volta, poi, i fondi extra bilancio servono anche a mantenere rapporti di buon vicinato con organizzazioni criminali che controllano il territorio più incisivamente dello stato.
Anche la circolazione del profitto della corruzione è avvenuta frequentemente all'estero, e ha interessato società o istituti di credito residenti in paesi stranieri. Sono centinaia, forse migliaia i miliardi che stiamo cercando di recuperare su conti correnti stranieri, essendo andati a ingrossare i patrimoni personali di alcuni corrotti, che in tal modo hanno ottenuto arricchimenti illeciti notevolissimi.
Tante altre volte il denaro è finito nelle casse di partiti politici: quando i politici e i funzionari che hanno gestito l'affare non ne hanno approfittato, en passant, per incrementare la propria personale ricchezza, sono stati gratificati, dall'ambiente di provenienza, con la patente d'essere stati estremamente onesti.
Ma non sono solo le ruberie e i costi economici per la collettività a costituire lo sfacelo rappresentato da Tangentopoli. C'è dell'altro, che considero ancora peggio, è il tradimento continuo del proprio incarico, della propria funzione, del proprio mandato. È la sostituzione costante con l'occulto delle regole che dovrebbero valere per tutti. è la sovversione dello stato di diritto, perché viene tolta al cittadino qualsiasi affidabilità dei rapporti economici, politici e sociali, e i piani dell'esistenza si sdoppiano; un livello apparente in cui tutti si è uguali e un livello reale, dove si è diversi, estremamente diversi. Esistono le regole formali che dovrebbero valere per tutti e che si applicano invece soltanto a chi non si compromette con il palazzo, ed esistono altre regole, non scritte sostanziali ma occulte, le regole del sotterfugio e dell'intrallazzo, che vigono per chi fa parte del sistema sotterraneo della corruzione. In questo contesto proprio i politici e i funzionari che, non avendo "rubato per sé", hanno mantenuto intatta la loro rispettabilità, hanno contribuito a creare le conseguenze peggiori.
Infatti, la disponibilità di somme enormi da parte di alcuni partiti politici, senza che ciò fosse noto al complesso dei cittadini, ha reso non più imparziale lo scontro tra le forze politiche, in quanto alcune di esse hanno avuto più forza delle altre in virtù di un sistematico ricorso all'illecito, e ha indotto i propri rappresentanti a svolgere le loro funzioni tenendo conto della necessità del partito di appartenenza di aumentare la propria disponibilità finanziaria anche attraverso il loro comportamento scorretto, incurante delle regole di trasparenza, imparzialità ed efficienza che dovrebbero presiedere allo svolgimento delle funzioni del pubblico amministratore, e in contrasto con gli interessi del paese. Inoltre, all'interno del partito, si è verificato il rischio, che spesso si è trasformato in realtà, che il potere venisse acquisito non tanto per le capacità politiche quanto per le capacità di raccogliere denaro da versare nelle sue casse.
Così, le relazioni nel palazzo, più di una volta, sono state inquinate dal ricatto: da parte degli esponenti politici (e dei burocrati) al corrente delle malefatte degli altri, non ancora emerse dalle indagini; da parte degli imprenditori nei confronti di politici e burocrati, che hanno "tenuto in mano" tutti coloro di cui hanno comprato, senza che lo si sappia, dignità e funzioni.
Perché paia che qualcosa cominci a muoversi deve passare del tempo, e le prime iniziative, subito contrastate da molti, provengono guarda caso da Antonio Di Pietro, divenuto ministro.
Gherardo Colombo (Il Vizio della memoria - 1996 - Feltrinelli)