Sembra che, quando si subiscono
gli effetti di un investimento finanziario sbagliato, di una truffa finanziaria
o di una crisi bancaria, la memoria individuale e collettiva tenda a rimuovere
presto l'offesa ricevuta e ci renda pronti ad esporci a nuovi rischi senza
particolari cautele aggiuntive.
L'educazione finanziaria, per
agire come fattore di prevenzione, dovrebbe, tra i suoi primi obiettivi, tenere
viva la memoria di quegli eventi, perché non si dimentichino le lezioni
negative apprese nelle diverse circostanze.
Siamo invece certi che pochi
abbiano la percezione di quante e quanto profonde siano state le crisi bancarie
e finanziarie importanti intervenute negli ultimi trentacinque anni in Italia,
vale a dire nell'arco temporale di una sola generazione.
Ripercorrendole brevemente,
vedremo ricorrenze di cause, interventi "a buoi scappati", poche
azioni per sventarne di nuove.
1982 Banco Ambrosiano, crisi
da intreccio tra poteri più o meno forti e più o meno occulti (la famigerata
P2) e da imbarazzanti vicinanze con la finanza vaticana. Soltanto un mese prima
dell'esplosione finale, le autorità avevano autorizzato la quotazione in borsa
delle azioni del Banco. Memorabile per senso dello Stato l'intervento del
cattolico Andreatta (allora Ministro del Tesoro) a difesa delle ragioni
italiane nei confronti del Vaticano. Il costo del fallimento fu di alcune
migliaia di miliardi di lire, risolto grazie alla fusione con la ricca Banca
Cattolica del Veneto.
1987 Cassa di Risparmio di Prato, banca
locale con finanziamenti concentrati nel tessile, fu gestita a lungo da
banchieri legati alla politica. Finanziò speculazioni e accrebbe i propri
rischi in misura sproporzionata. Fu il primo intervento del Fondo di Tutela dei
Depositi, appena costituto ai sensi di legge e ne assorbì in un sol colpo le
disponibilità raccolte presso il sistema.
1992 Montedison, crisi
finanziaria del maggiore gruppo chimico privato, con perdite stimate in 30.000
miliardi di lire. Si rifletté sugli equilibri della Banca Commerciale Italiana,
al cui conto economico i ricavi provenienti da quella relazione di affari
pesavano per il 15% del totale.
Era sempre il 1992 quando
la Cassa di Risparmio di Venezia, la più antica d'Italia fondata
nel 1822, andava in default per una serie di previsioni errate sui cambi
(preceduta dall'abnorme sviluppo dei crediti in valuta senza pretendere la
copertura del rischio di cambio da parte prenditori, gran parte dei quali con
la svalutazione della lira divennero insolventi). La dimensione delle perdite,
da un lato, chiamò a raccolta le consorelle venete, dall'altro, fece da
detonatore alla crisi di altre casse di risparmio e degli istituti di credito
speciale della regione. Quel che rimase confluì gradualmente nel gruppo Intesa
alla fine di un complicato processo di assorbimento protrattosi fino al 2014.
A poca distanza di tempo,
seguirà l'ondata più virulenta, che spazzerà quasi per intero il sistema delle
banche venete, alcune eredi di istituzioni risalenti all'epoca napoleonica,
altre alle prime istituzioni bancarie del cattolicesimo sociale di fine
Ottocento. A ricordarne gli antichi fasti rimangono i meravigliosi palazzi sul
Canal Grande oggi adibiti ad alberghi di lusso, le ville palladiane e i parchi
adagiati sui colli trevigiani, prestigiose sedi ora semivuote e i jet personali
dei top manager usati per inseguire i sogni di espansione verso l'Europa
dell'Est e che si fatica a rottamare, ora che per coprire le distanze tra
Vicenza e Montebelluna basta la bicicletta (vedi infra).
1995 e
seguenti Casse di Risparmio meridionali (operanti in Puglia, Campania,
Calabria, Sicilia). Furono crisi generate da relazioni clientelari,
concentrazione del credito, rapporti con la politica. Sono state aggregate in
banche più solide, come Cariplo, poi confluita in Banca Intesa.
1995 Banco di Napoli,
originata dagli stessi fattori di crisi, dopo la fine degli interventi pubblici
all'economia meridionale tramite la Cassa del Mezzogiorno, costò 12.000
miliardi di lire, con intervento pubblico a mezzo del cosiddetto Decreto
Sindona. Assieme alle crisi avanti descritte, determinò la scomparsa del
sistema bancario meridionale.
1998 Bipop di Brescia, uno
dei tanti casi ricollegabile al fenomeno dell'uomo solo al comando. Gli esempi
si sono replicati in un crescendo che arriva fino agli ultimi inquietanti
episodi di mala gestio nelle banche di molte regioni d'Italia.
2002
Collocamento di prodotti bancari tossici denominati My way e Four you da
parte del Monte dei Paschi di Siena e sue controllate. Lo scandalo costrinse
alle dimissioni il vertice della banca e al rimborso di molti risparmiatori
traditi. Le gesta della Banca 121, partecipata pugliese del Monte, sono ancora
citate dagli addetti ai lavori come esempio di truffa finanziaria.
2003 Cirio, Parmalat e titoli
di stato argentini. Le banche lucrarono commissioni collocando
questi titoli senza avvertimenti particolari circa i relativi rischi nei
confronti di sottoscrittori del tutto impreparati. Alcuni di questi titoli
figurarono, anzi, fino all'ultimo tra quelli privi di rischio indicati dall'ABI.
2006 Banca Italease era la
più grande banca italiana specializzata nel leasing immobiliare. Fu anche essa
vittima della concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo e di affari
con i "furbetti del quartierino", già noti per altre scorribande
bancarie. La Banca è stato un boccone amaro da digerire da parte del Banco
Popolare, che l'ha definitivamente incorporata nel 2015.
2006 Banca popolare italiana (già
Popolare di Lodi assorbita dal Banco popolare) affidata alle virtù
taumaturgiche del banchiere Fiorani. Si accreditava nella difesa della
italianità di banche diventate appetibili da parte di banchieri francesi,
olandesi e spagnoli.
La difesa, organizzata
picarescamente, fallì, portando alle dimissioni il Governatore della Banca
d'Italia, che aveva ingenuamente creduto in lui. In quella fase, passò di mano
la proprietà di BNL, una delle più importanti istituzioni della storia bancaria
italiana del Novecento e, pochi anni prima, tra le prime 10 banche del mondo.
2008 Monte dei Paschi, la
più grave e la più lunga crisi bancaria, ancora aperta. Ha finora assorbito
risorse per 30 mld, imponendo alla fine l'ingresso nel capitale dello Stato
come socio di maggioranza. Sono ancora in corso i confronti con la Commissione
europea e la Bce sulle modalità del salvataggio. La causa, ben nota, fu
l'azzardato acquisto di Banca Antonveneta, avendo ottenuto l'autorizzazione
delle autorità di controllo pur in assenza di due diligence. Quando, nel 2011,
erano già in piena evidenza gli effetti deleteri dell'acquisizione, lasciò
interdetti la nomina del maggiore responsabile a Presidente dell'ABI. Le
vicende giudiziarie sono in corso.
2011 Crisi
finanziarie di Alitalia e Ilva, ancora aperte; debiti verso le banche
richiederanno la garanzia dello stato.
2012 Carige,
decima banca per dimensione del sistema, compresa tra quelle significant
secondo la normativa europea di vigilanza. Scandali legati al rapporto tra
banca e assicurazione e al lungo dominio del suo storico esponente sono le
cause di una crisi da superare mediante un cospicuo aumento di capitale, ancora
in via di quantificazione.
2015 Banca
Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Carichieti, banche
del territorio in risoluzione secondo la nuova normativa europea. Cause: mala
gestio, ingerenze politiche, conflitti di interesse, strapotere nelle mani di
pochi, operazioni creditizie non coerenti con le caratteristiche di banca
locale. Acquistate per un euro da due grandi banche popolari. Costi per il
sistema e la collettività: più o meno 5 mld.
2013/2017 crisi
di tutte le ex casse di risparmio delle quattro province abruzzesi, fino alle
più recenti Casse di risparmio di Cesena, di Rimini e di San Miniato; per le
cause vedi sopra. Aggregate o da aggregare in gruppi di maggiori dimensioni.
2014-presente Banca Popolare di
Vicenza e Veneto banca, anch'esse tra le prime 15 banche italiane
sistemiche, secondo la classificazione dell'Unione bancaria. Cresciute in
misura abnorme, per le velleità dei loro esponenti più noti, richiederà
l'intervento pubblico di ricapitalizzazione a titolo precauzionale, per
integrare gli apporti, non sufficienti, del Fondo Atlante, in vista della loro
fusione. Gravissime le perdite per gli azionisti. Se questi ultimi non
accetteranno una proposta di transazione comportante perdite per l'85 per cento
del valore dei titoli, rinunciando nel contempo alle cause giudiziarie, ne
verrà sancita l'insolvenza e il ricorso al bail-in, con il presumibile
coinvolgimento di obbligazionisti e depositanti.
2014 e seguenti crisi
di numerose banche di credito cooperativo, di dimensioni importanti per
la categoria, operanti nel nord e nel centro Italia. Hanno richiesto onerosi
interventi da parte del Fondo di Garanzia dei Depositanti e di quello
temporaneo previsto dalla legge di riforma del settore, per evitare impatti diretti
sul risparmiatore. Si è in attesa della costituzione di gruppi bancari
cooperativi, per rafforzare la stabilità complessiva del sistema.
2017
Ricapitalizzazione indispensabile di Unicredit, da parte di fondi di investimento
esteri per 13 mld di euro, per abbattere l'enorme quantità di crediti anomali.
In sintesi, le crisi hanno
riguardato:
a) tutte le tipologie
istituzionali (Banche SpA, banche popolari, banche di credito cooperativo) e di
tutte le dimensioni (banche grandi, medie e piccole);
b) estese aree territoriali,
con la sparizione del sistema meridionale e il forte indebolimento di regioni
bancariamente importanti (Veneto, Toscana, Liguria, dorsale adriatica del
credito, dall'Emilia Romagna alla Puglia). Si può finalmente e cinicamente
affermare che in molte aree del paese non ci saranno più crisi bancarie
perché... sono finite le banche!
Le crisi hanno visto:
c) il frequente collocamento di
strumenti ad elevato rischio, senza adeguata informazione o con informazione
distorta al consumatore, fino ai casi delle obbligazioni e alle azioni bancarie
tossiche degli ultimi tempi;
d) l'avventurismo di non pochi
banchieri, che non ha ricevuto a tempo debito adeguato contrasto dalle autorità;
e) vicende non sempre collegate
con le fasi cicliche dell'economia e con la più recente recessione.
Al tempo dell'entrata in vigore
del TUB nel 1993, che sancì la trasformazione della banca da istituzione per lo
più pubblica in impresa privata e l'affermazione del modello di banca
universale, qualcuno chiese se le autorità avessero una propria mappa per
gestire la riconfigurazione industriale implicita nei mutamenti promossi con il
nuovo quadro regolamentare.
La risposta fu che la selezione
naturale da parte del mercato sarebbe stata più efficiente di qualsiasi
intervento esogeno, che avrebbe avuto sapore dirigistico. Il sistema da allora
si è senza dubbio trasformato, concentrandosi attraverso operazioni one by one,
ma non per questo sembra diventato più robusto. Si è di fronte a una sorta di
darwinismo a rovescio?
È ozioso anche interrogarsi se
si debba trattare questa storia come una serie di episodi singoli, per
quanto gravi, o come crisi di sistema.
Quello che conta è l'impatto
delle crisi bancarie sull'economia, sul grado di fiducia dei risparmiatori e
sulla capacità delle banche medesime di saper svolgere, tramite il credito,
azione di disciplina finanziaria e fiscale nei confronti del proprio principale
cliente, vale a dire la piccola e media impresa italiana. Questi sono i costi
socio-economici veri, al di là di pedanti calcoli in termini di effetti sul
contribuente.
Soltanto se si riuscisse a fare
un conteggio per quanto approssimato dei loro effetti sul rallentamento dello
sviluppo economico del paese, fino al declino di cui ora molti parlano,
troveremmo il peso vero delle disfunzioni del sistema.
Ora che una rinnovata politica
bancaria viene da più parti invocata, i suoi esiti saranno utili per incidere
sulla governance, sulla trasparenza dei servizi bancari e sul rinnovamento
dell'industria? A quali condizioni l'educazione finanziaria elevata a
interesse pubblico agirà su questi fattori?
Per equità, dobbiamo toccare
anche il tasto dei comportamenti opportunistici della clientela in caso di
crisi della banca, tema al quale si richiama la posizione dell'ABI favorevole
alla pubblicazione dei nomi dei primi cento debitori insolventi del
Montepaschi, misura di quanto le banche siano state a loro volta vittime di
indebiti condizionamenti da parte di lobby e clienti. Sono comportamenti che si
verificano quando il debitore si pone nella posizione di sfruttare il maggiore
potere contrattuale, causa indebolimento della controparte, trovando supporto
anche nella politica.
Un aneddoto, tratto dalla vicenda
del Banco di Napoli, subito dopo la decisione di passare l'enorme massa di
crediti malati alla bad bank costituita allo scopo, può aiutare a spiegare
meglio il punto.
Ebbene, un nostro caro collega,
in posizione di responsabilità nella vigilanza di allora, fu avvicinato da un
avvocato che gli chiese gentilmente di controllare se alcuni suoi clienti
fossero presenti in quella lista, conservata nella massima riservatezza.
Immediatamente quel collega capì che esservi inclusi avrebbe consentito ai
debitori di ritardare l'adempimento delle obbligazioni contratte. Ovviamente
egli si rifiutò di corrispondere alla richiesta, che avrebbe favorito fin da
subito comportamenti di moral hazard da parte di soggetti ancora solvibili. Ma
il segreto, come è facile comprendere, durò poco.
Sic transit gloria debitorum
atque creditorum!
Ci sono numerose citazioni
dotte che potremmo a questo punto fare sul rapporto tra apprendimento dai casi
del passato e comportamenti futuri, chiedendoci perché questo processo da noi
sembra tanto difficile a radicarsi.
Ragionare di queste cose e'
complicato, anche perché mancano dati, informazioni ed analisi organiche sulle
crisi bancarie. Nel formulare questo elenco ci siamo per lo più affidati alla
nostra esperienza e ai nostri ricordi. Nella ricerca di fonti attendibili
abbiamo trovato traccia di alcuni casi nella Mappa storico-geografico
dell'archivio storico di Intesa Sanpaolo, ma non siamo stati in grado di
accedervi compiutamente. Esso riguarda in ogni caso le istituzioni creditizie e
finanziare che nel tempo sono confluite in quello che oggi è uno dei maggiori
gruppi bancari europei.
I restanti casi sono
singolarmente dispersi nelle relazioni periodiche delle autorità, nei resoconti
giornalistici del momento, in articoli di qualche volenteroso studioso e nelle
documentazioni giudiziarie. All'epoca della rete, non vi è documentazione
completa da consultare, per una migliore comprensione della nostra più recente
storia bancaria.
Tutte le crisi citate sono
state sistemate con interventi di altre banche, con sacrifici a carico dei
risparmiatori o dei contribuenti o con una combinazione di queste modalità,
ritenendo che il costo sociale del fallimento bancario, piccolo o grande che
fosse, sarebbe stato in ogni caso maggiore.
Con queste ripetute
rassicurazioni, il sistema è spiaggiato nel 2014 sui lidi dell’Unione Bancaria,
con poca consapevolezza circa gli effetti delle nuove regole europee di
gestione delle crisi e senza una politica efficace per modificare le cause
pervicaci e strutturali che lo avviluppano, come dimostrano le estenuanti
trattative in corso con Bruxelles e Francoforte per la soluzione delle
questioni ancora aperte.
Queste cause hanno tre nomi:
- governance barocche e pletoriche
basate sul ruolo di soggetti quali le Fondazioni, da un lato vituperate,
dall'altro osannate come salvator mundi e su assemblee oceaniche dei soci da
palasport, entrambe filigrane societarie che rendono il management
irresponsabile, con ricchi bonus a prescindere dai risultati e titoli da
capitalizzare, appena usciti, in altre prestigiose posizioni;
- enormità dei crediti
deteriorati frutto della crisi, ma anche di comportamenti lassisti, da moral
hazard e selezione avversa, sapendo ex ante che si troverà sempre chi pagherà
per i dissesti, cioè i cittadini direttamente o secondo raffinate tecniche
transitive;
- asfitticità nella produzione di nuovi
servizi bancari, causati da scarsa attitudine agli investimenti, dato che siamo
il paese dove circola ancora più contante tra quelli dell’Eurozona.
Ecco perché non ci sentiamo di
prestare attenzione alle due obiezioni che ci pare già di sentire di fronte a
questa breve, ma anche lunga e non edificante storia, e che suonano più o meno
così.
In fondo, la crisi di una banca
fa parte dell’essenza del capitalismo, quella distruzione creatrice che dà vita
al sistema stesso.
Dopo tutto, il cittadino come
risparmiatore e come contribuente non ci ha rimesso più di tanto,
trascurando anche il fatto che molte grandi imprese debitrici sono state
risanate con i soldi pubblici per ripagare proprio le banche.
Una vera educazione finanziaria
dovrebbe trovare sempre più difficile l'accettazione di motivazioni a
posteriori, che rievocano la leibniziana dimostrazione del migliore dei mondi
possibili. C'è da credere che molti si siano definitivamente stancati di
recitare sempre e soltanto la parte di Candide.
(G. Coppola e D.Corsini)