domenica 31 dicembre 2017
martedì 12 dicembre 2017
La caccia alle streghe
Tira
una brutta aria, di maccartismo, di caccia alle streghe, in Italia, in
Europa, negli Stati Uniti. Dopo il ‘caso Weinstein’ si è aperta la
caccia al ‘molestatore sessuale’. Non c’è uomo, soprattutto pubblico,
politico, produttore, regista, attore, ma anche privato, su cui non
alleggi l’accusa di stregoneria. E come ai tempi della Santa
Inquisizione basta il sospetto perché venga acceso il rogo. Non passerà
molto tempo –sempre che la cosa non sia già in atto- perché un qualche
politico ingaggi dei Santi Inquisitori per rovinarne un altro.
C’è
poi l’ancor più temibile caccia alla strega ‘fascista’ e ‘nazista’ o
presunta tale. Un giovane calciatore di una squadra che milita nella
seconda categoria dilettanti ha passato l’anima dei guai insieme alla
sua società per aver mostrato, dopo un gol, una maglietta con l’insegna
della Repubblica sociale. Un carabiniere di 22 anni è sotto inchiesta
per aver esposto nella sua camera una bandiera usata dalla marina
prussiana nella prima guerra mondiale. Che c’entra una bandiera
prussiana col nazismo? E’ un vessillo usato anche dai naziskin che
peraltro, a quanto ci risulta, non sono fuorilegge. Sono due episodi fra
i tanti degli ultimi tempi. Ma il culmine si è raggiunto con la
decisione del Comune di Pontedera, approvata da tutti i partiti tranne
Forza Italia, per la quale per manifestare in piazza bisognerà compilare
un modulo con cui si dichiara “estraneità a fascismo, razzismo,
xenofobia, antisemitismo e omofobia”. Non esiste alcun obbligo di essere
antifascisti. E viene il ragionevole dubbio che i veri fascisti siano
coloro che vogliono impedire agli altri di definirsi o di essere tali.
Come diceva Longanesi: “I fascisti si dividono in due categorie: i
fascisti propriamente detti e gli antifascisti”. Del resto le recenti
norme liberticide, dalla legge Mancino a quella che punisce “l’apologia
di fascismo”, sono, sia pur a segno invertito, da Codice Rocco. E’ così
difficile da capire che l’antifascismo non è un fascismo di segno
contrario, ma il contrario del fascismo? Evidentemente sì. Il pensiero
autenticamente liberale, insieme al partito, il Pli, che lo ha
rappresentato per alcuni anni, non ha mai avuto fortuna in Italia.
In
Francia si tenta di impedire a tutti i costi, con condanne e ricorsi,
gli spettacoli del comico camerunense Dieudonné Mbala Mbala per il loro
contenuto antisemita e antifemminista.
Sui
canali ufficiali dell’informazione si sostiene che questi rigurgiti
fascisti o nazisti sono presi sottogamba. A me pare vero il contrario e
questo accanimento non fa che rinfocolarli. Non c’è bisogno di essere
Freud per sapere che la trasgressione, quale che sia, è, soprattutto per
i giovani, eccitante.
Negli
Stati Uniti la caccia oltre che alle streghe è soprattutto allo
stregone: Donald Trump. Dal giorno in cui è diventato Presidente, e
anche da prima, non c’è atto di ‘The Donald’, accusato anche, fra le
tante altre cose, di ostentare “una volgare mascolinità”, che non venga
messo sotto la lente di ingrandimento e sotto accusa per cercare di
arrivare all’impeachment. Il caso ‘Russiagate’ è totalmente artificioso.
Come scrive Sergio Romano (Corriere 4/12):
“L’incontro riservato con l’ambasciatore di una grande potenza non può
essere considerato, di per sé, una colpa”. Si dovrebbe anzi essere
contenti che le due Superpotenze, che per decenni si sono guardate in
cagnesco arrivando a sfiorare la guerra atomica, cerchino di trovare un
ragionevole accordo fra di loro. E’ la prima volta che gli americani,
ipernazionalisti e perciò in genere molto compatti, contestano fin da
subito un loro Presidente regolarmente eletto. Non è un buon segno di
tolleranza democratica.
In
realtà è da tempo che le Democrazie, che si intromettono con una serie
infinita di verboten, di inquisizioni, di censure (vedi i casi Schiele,
Balthus, Botero) oltre che nella sfera pubblica anche nella nostra vita
privata, svelano quel volto di intolleranza di cui da sempre accusano i
totalitarismi.
Tira una brutta aria…
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 9 dicembre 2017)
lunedì 11 dicembre 2017
Pillole di educazione finanziaria (D.Corsini G. Coppola)
L’attenzione generale è attirata dai lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario. Ed è giusto che sia così perché si formi nell’opinione pubblica un giudizio il più ampio possibile sulle responsabilità degli attori coinvolti (dalla politica, ai prenditori di credito, dal malaffare, alla classe dirigente delle banche) nelle gravi crisi bancarie di questi anni.
Quanto alle nostre Autorità di settore, esce un’immagine di burocrazie impegnate a difendersi, discettando in termini di impotenti formalismi, che danno un sapore amaro all’intera vicenda. Nessuna di esse apre uno spiraglio al riconoscimento di proprie responsabilità e, fatto ancor più grave, nessuna ci aiuta a capire che cosa sia veramente successo in quello che fino a pochi anni fa quelle stesse autorità consideravano uno dei sistemi bancari più solidi, gratificando se stesse come istituzioni di controllo da portare ad esempio. Ciascuno di noi, seguendo sulla rete televisiva della Camera dei deputati le sedute della Commissione, sarà in grado di valutare la situazione. Ne suggeriamo la visione nelle iniziative di educazione finanziaria, che sotto l’egida del Comitato istituzionalmente addetto e da poco nominato in seno al Mef, affronteranno il tema dell’arricchimento delle conoscenze della popolazione in materia bancaria e finanziaria.
Volendo guardare al futuro, anche altre evoluzioni dovrebbero interessarci come risparmiatori.
La prima è se siano in vista nuove situazioni di crisi nell’ambito del martoriato settore della banca locale, che ha visto sparire gran parte dei suoi osannati campioni. Purtroppo c’è da attendersi che la tempesta non sia ancora passata. Ce ne accorgeremo anche questa volta a cose fatte?
Le difficoltà di alcune banche nel realizzare aumenti di capitale, non certo per acquisire mezzi da destinare a nuovi investimenti, ma solo per rimanere in linea di galleggiamento, cioè per assorbire le ingenti perdite su crediti ancora presenti nei loro bilanci, danno concretezza a questi dubbi.
È bene che il risparmiatore minuto si tenga lontano dalla sottoscrizione di titoli di queste banche. I poteri delle Autorità di fronte a titoli non adatti alla clientela minuta saranno, dall’anno prossimo, rafforzati, fino alla possibilità di impedirne il collocamento tra i soggetti finanziariamente meno provveduti. Finalmente, a buon intenditor poche e chiare parole! Non più prospetti di offerta al pubblico scoraggianti nel linguaggio e dal contenuto informativo di ardua e/o ambigua comprensione.
È andata al momento in sordina la questione della riforma del credito cooperativo, di cui si chiude in questi giorni la consultazione sulle nuove regole di vigilanza. Non è il caso di entrare in sottili questioni tecniche sulla competenza territoriale e sui limiti alla operatività di questi epigoni del banking territoriale, materie che, in questo contesto, sembrano quasi leziose.
È dato per certo che allo scadere del termine per la presentazione delle autorizzazioni ad operare come Gruppo Bancario Cooperativo, si presenteranno tre soggetti, di cui due a vocazione nazionale. La somma delle loro attività li porta a rappresentare il terzo raggruppamento bancario del paese.
Tra i due maggiori è in pieno svolgimento la contesa per strapparsi vicendevolmente aderenti e alcune rese dei conti toccheranno i vertici del movimento. Non vorremmo che anche in questo mondo si annidassero altre situazioni di crisi, onerose da sostenere in nome della fratellanza cooperativa, con risorse sempre più limitate. Anche i processi di fusione per accrescere la dimensione media di quelle banche e, di conseguenza, il grado di resistenza alle avversità del mercato, non stanno andando alla velocità desiderata.
Quali siano i progetti industriali del gruppo romano (Iccrea) e di quello trentino (Cassa Centrale Banca), non è dato tuttora di sapere. Funzionerà davvero questo complicato sistema di banking cooperativo, fondato su meccanismi di integrazione tra organismi distribuiti sul territorio (BCC) e organismi centrali (Banca Capogruppo, società prodotto, enti associativi, fondi di garanzia istituzionali e volontari)? Saranno davvero gestibili le ridondanze centrali e le smanie di autonomia di centinaia di consigli di amministrazione? Quello che è certo è che ormai nessuno si azzarda più a mettere in discussione il modello bicefalo.
Ci vogliamo augurare che nelle assemblee dei soci che dovranno sancire entro i primi mesi dell’anno prossimo l’adesione definitiva all’una o all’altra configurazione il dibattito avvenga sul tema del sostanziale rinnovamento di questo sfibrato banking, cioè mettendo a confronto le prospettive reali dell’una e dell’altra proposta, piuttosto che concentrarsi su diatribe campanilistiche e giochi di conservazione di potere tanto al centro quanto alla periferia del sistema.
Eppure il modello voluto dalla riforma, non sarà l’unico ad operare nel nostro paese, richiamandosi ai principi della cooperazione bancaria. Oramai, il sistema alla francese (una sola licenza bancaria e un forte accentramento strategico) sta speditamente accrescendo il proprio peso con la manovra del suo campione, ormai visibile a tutti. Si tratta dell’azione sviluppata dal Credit Agricole nei confronti di tutte le componenti del business bancario italiano. Dalla acquisizione un anno fa da Unicredit di Pioneer, tra le maggiori società italiane di gestione del risparmio, all’intervento di salvataggio di tre banche retail in crisi in Toscana e in Emilia Romagna (Casse di risparmio di San Miniato, di Cesena e di Rimini, con qualche centinaia di sportelli) da unire alla maggiore componente di banca commerciale di Cariparma, acquisita nei primi anni 2000, fino al recentissimo acquisto della merchant Banca Leonardo.
Non si può escludere che la campagna si fermi a questo punto, dato che altre piccole banche sono state messe sul mercato da gruppi bancari italiani bisognosi di realizzi e che qualche altra banca, rimasta con poca prudenza ad operare da sola, non veda l’opportunità di farsi assorbire da questo gruppo.
Insomma, il mercato del credito retail sta affrontando una nuova fase basata sul consolidamento che, per essere tale, conosce di solito il modo del governo centralizzato delle risorse piuttosto che quello in cui il frazionamento viene affrontato attraverso meccanismi, come il contratto di coesione, di cui non si hanno esperienze probanti in altri contesti bancari.
In termini di educazione finanziaria, la domanda da fare é se il grado di concorrenza che si innalzerà sui mercati del banking locale, anche per il maggior peso di grandi gruppi italiani, esporrà a rischi i depositanti del mondo delle BCC.
Ci sarebbe infine un’ultima pillola, ben nota a tutti. Che è quella dell’assorbimento degli npl, sul quale ancora ci si dibatte senza aver individuato soluzioni di sistema e al quale BCE ha aggiunto il carico da undici con la proposta di contenere la svalutazione integrale di sofferenze rappresentate da crediti non garantiti entro due anni e di quelli garantiti entro sette, cosa che, a detta di tutti, sarebbe per il nostro sistema il definitivo colpo di grazia. A questa prospettiva si è opposto il Parlamento europeo, sperando in qualche passo indietro delle autorità di vigilanza europee, con applicazione del nuovo metodo almeno ai crediti anomali che di formeranno a partire dal 2018. È bene tenere sempre presente un punto, per quanto ovvio, di cui spesso sembra che ci si dimentichi. Che cioè il valore dei titoli di debito e di capitale di una banca dipende da quello delle loro attività e che se esso presenta margini di incertezza, cioè di sottovalutazione delle perdite, anche le sue passività (azioni, obbligazioni, depositi oltre i centomila euro) non possono non essere a rischio. Guardare al rapporto chiamato Texas ratio tra crediti anomali e patrimonio serve ad avere un’idea dello stato di salute della propria banca, facile da ricostruire anche da chi non ha specifiche nozioni finanziarie. Se esso è sensibilmente superiore a 100, bisogna prendere qualche precauzione, cominciando con il redistribuire i risparmi presso banche più solide.
L’elenco delle questioni di interesse del risparmiatore potrebbe essere più lungo.
Ci auguriamo che la Commissione parlamentare di inchiesta, facendo luce su quanto sciaguratamente avvenuto nel recente passato bancario, lasci intendere le strade da seguire, senza peraltro invocare nuove norme. Questo è, dopo tutto, ciò che ci aspettiamo, se vogliamo il rilancio della nostra industria bancaria.
Gli è che in questo percorso che vede al centro la tutela del consumatore dovremmo anche evitare ogni demagogia. Il nodo diventerebbe infatti ancora più intricato, se accogliessimo le proposte avanzate in questi giorni da dotti accademici in favore dell’istituzione di un’altra autorità: appunto quella per la tutela del consumatore, forse pregustando la vanità di poterla presiedere. I fautori di questa soluzione pensano veramente che siffatta autorità potrebbe opporsi al bail-in per tutelare azionisti, obbligazionisti e risparmiatori, o servirebbe per sostenere, davanti alla prossima crisi, che essa lo aveva ben detto e scritto, e che le altre autorità non l’hanno ascoltata ed è purtroppo andata a finire allo stesso modo? O magari direbbe a quelle stesse autorità, di fronte alla prossima commissione parlamentare di inchiesta: È vero io non te l'ho detto, ma non mi competeva e poi, anche se te lo avessi detto, che te lo dicevo a fare! Il che farebbe venire alla mente lo spassoso monologo del grande Gigi Proietti nel film Febbre da cavallo. Ma non sarebbe davvero un bell’accostamento.
Da che mondo è mondo la tutela del risparmiatore dipende dalla stabilità finanziaria delle banche e non possiamo dire che questa sia stata la nostra stella polare.
Quanto alle nostre Autorità di settore, esce un’immagine di burocrazie impegnate a difendersi, discettando in termini di impotenti formalismi, che danno un sapore amaro all’intera vicenda. Nessuna di esse apre uno spiraglio al riconoscimento di proprie responsabilità e, fatto ancor più grave, nessuna ci aiuta a capire che cosa sia veramente successo in quello che fino a pochi anni fa quelle stesse autorità consideravano uno dei sistemi bancari più solidi, gratificando se stesse come istituzioni di controllo da portare ad esempio. Ciascuno di noi, seguendo sulla rete televisiva della Camera dei deputati le sedute della Commissione, sarà in grado di valutare la situazione. Ne suggeriamo la visione nelle iniziative di educazione finanziaria, che sotto l’egida del Comitato istituzionalmente addetto e da poco nominato in seno al Mef, affronteranno il tema dell’arricchimento delle conoscenze della popolazione in materia bancaria e finanziaria.
Volendo guardare al futuro, anche altre evoluzioni dovrebbero interessarci come risparmiatori.
La prima è se siano in vista nuove situazioni di crisi nell’ambito del martoriato settore della banca locale, che ha visto sparire gran parte dei suoi osannati campioni. Purtroppo c’è da attendersi che la tempesta non sia ancora passata. Ce ne accorgeremo anche questa volta a cose fatte?
Le difficoltà di alcune banche nel realizzare aumenti di capitale, non certo per acquisire mezzi da destinare a nuovi investimenti, ma solo per rimanere in linea di galleggiamento, cioè per assorbire le ingenti perdite su crediti ancora presenti nei loro bilanci, danno concretezza a questi dubbi.
È bene che il risparmiatore minuto si tenga lontano dalla sottoscrizione di titoli di queste banche. I poteri delle Autorità di fronte a titoli non adatti alla clientela minuta saranno, dall’anno prossimo, rafforzati, fino alla possibilità di impedirne il collocamento tra i soggetti finanziariamente meno provveduti. Finalmente, a buon intenditor poche e chiare parole! Non più prospetti di offerta al pubblico scoraggianti nel linguaggio e dal contenuto informativo di ardua e/o ambigua comprensione.
È andata al momento in sordina la questione della riforma del credito cooperativo, di cui si chiude in questi giorni la consultazione sulle nuove regole di vigilanza. Non è il caso di entrare in sottili questioni tecniche sulla competenza territoriale e sui limiti alla operatività di questi epigoni del banking territoriale, materie che, in questo contesto, sembrano quasi leziose.
È dato per certo che allo scadere del termine per la presentazione delle autorizzazioni ad operare come Gruppo Bancario Cooperativo, si presenteranno tre soggetti, di cui due a vocazione nazionale. La somma delle loro attività li porta a rappresentare il terzo raggruppamento bancario del paese.
Tra i due maggiori è in pieno svolgimento la contesa per strapparsi vicendevolmente aderenti e alcune rese dei conti toccheranno i vertici del movimento. Non vorremmo che anche in questo mondo si annidassero altre situazioni di crisi, onerose da sostenere in nome della fratellanza cooperativa, con risorse sempre più limitate. Anche i processi di fusione per accrescere la dimensione media di quelle banche e, di conseguenza, il grado di resistenza alle avversità del mercato, non stanno andando alla velocità desiderata.
Quali siano i progetti industriali del gruppo romano (Iccrea) e di quello trentino (Cassa Centrale Banca), non è dato tuttora di sapere. Funzionerà davvero questo complicato sistema di banking cooperativo, fondato su meccanismi di integrazione tra organismi distribuiti sul territorio (BCC) e organismi centrali (Banca Capogruppo, società prodotto, enti associativi, fondi di garanzia istituzionali e volontari)? Saranno davvero gestibili le ridondanze centrali e le smanie di autonomia di centinaia di consigli di amministrazione? Quello che è certo è che ormai nessuno si azzarda più a mettere in discussione il modello bicefalo.
Ci vogliamo augurare che nelle assemblee dei soci che dovranno sancire entro i primi mesi dell’anno prossimo l’adesione definitiva all’una o all’altra configurazione il dibattito avvenga sul tema del sostanziale rinnovamento di questo sfibrato banking, cioè mettendo a confronto le prospettive reali dell’una e dell’altra proposta, piuttosto che concentrarsi su diatribe campanilistiche e giochi di conservazione di potere tanto al centro quanto alla periferia del sistema.
Eppure il modello voluto dalla riforma, non sarà l’unico ad operare nel nostro paese, richiamandosi ai principi della cooperazione bancaria. Oramai, il sistema alla francese (una sola licenza bancaria e un forte accentramento strategico) sta speditamente accrescendo il proprio peso con la manovra del suo campione, ormai visibile a tutti. Si tratta dell’azione sviluppata dal Credit Agricole nei confronti di tutte le componenti del business bancario italiano. Dalla acquisizione un anno fa da Unicredit di Pioneer, tra le maggiori società italiane di gestione del risparmio, all’intervento di salvataggio di tre banche retail in crisi in Toscana e in Emilia Romagna (Casse di risparmio di San Miniato, di Cesena e di Rimini, con qualche centinaia di sportelli) da unire alla maggiore componente di banca commerciale di Cariparma, acquisita nei primi anni 2000, fino al recentissimo acquisto della merchant Banca Leonardo.
Non si può escludere che la campagna si fermi a questo punto, dato che altre piccole banche sono state messe sul mercato da gruppi bancari italiani bisognosi di realizzi e che qualche altra banca, rimasta con poca prudenza ad operare da sola, non veda l’opportunità di farsi assorbire da questo gruppo.
Insomma, il mercato del credito retail sta affrontando una nuova fase basata sul consolidamento che, per essere tale, conosce di solito il modo del governo centralizzato delle risorse piuttosto che quello in cui il frazionamento viene affrontato attraverso meccanismi, come il contratto di coesione, di cui non si hanno esperienze probanti in altri contesti bancari.
In termini di educazione finanziaria, la domanda da fare é se il grado di concorrenza che si innalzerà sui mercati del banking locale, anche per il maggior peso di grandi gruppi italiani, esporrà a rischi i depositanti del mondo delle BCC.
Ci sarebbe infine un’ultima pillola, ben nota a tutti. Che è quella dell’assorbimento degli npl, sul quale ancora ci si dibatte senza aver individuato soluzioni di sistema e al quale BCE ha aggiunto il carico da undici con la proposta di contenere la svalutazione integrale di sofferenze rappresentate da crediti non garantiti entro due anni e di quelli garantiti entro sette, cosa che, a detta di tutti, sarebbe per il nostro sistema il definitivo colpo di grazia. A questa prospettiva si è opposto il Parlamento europeo, sperando in qualche passo indietro delle autorità di vigilanza europee, con applicazione del nuovo metodo almeno ai crediti anomali che di formeranno a partire dal 2018. È bene tenere sempre presente un punto, per quanto ovvio, di cui spesso sembra che ci si dimentichi. Che cioè il valore dei titoli di debito e di capitale di una banca dipende da quello delle loro attività e che se esso presenta margini di incertezza, cioè di sottovalutazione delle perdite, anche le sue passività (azioni, obbligazioni, depositi oltre i centomila euro) non possono non essere a rischio. Guardare al rapporto chiamato Texas ratio tra crediti anomali e patrimonio serve ad avere un’idea dello stato di salute della propria banca, facile da ricostruire anche da chi non ha specifiche nozioni finanziarie. Se esso è sensibilmente superiore a 100, bisogna prendere qualche precauzione, cominciando con il redistribuire i risparmi presso banche più solide.
L’elenco delle questioni di interesse del risparmiatore potrebbe essere più lungo.
Ci auguriamo che la Commissione parlamentare di inchiesta, facendo luce su quanto sciaguratamente avvenuto nel recente passato bancario, lasci intendere le strade da seguire, senza peraltro invocare nuove norme. Questo è, dopo tutto, ciò che ci aspettiamo, se vogliamo il rilancio della nostra industria bancaria.
Gli è che in questo percorso che vede al centro la tutela del consumatore dovremmo anche evitare ogni demagogia. Il nodo diventerebbe infatti ancora più intricato, se accogliessimo le proposte avanzate in questi giorni da dotti accademici in favore dell’istituzione di un’altra autorità: appunto quella per la tutela del consumatore, forse pregustando la vanità di poterla presiedere. I fautori di questa soluzione pensano veramente che siffatta autorità potrebbe opporsi al bail-in per tutelare azionisti, obbligazionisti e risparmiatori, o servirebbe per sostenere, davanti alla prossima crisi, che essa lo aveva ben detto e scritto, e che le altre autorità non l’hanno ascoltata ed è purtroppo andata a finire allo stesso modo? O magari direbbe a quelle stesse autorità, di fronte alla prossima commissione parlamentare di inchiesta: È vero io non te l'ho detto, ma non mi competeva e poi, anche se te lo avessi detto, che te lo dicevo a fare! Il che farebbe venire alla mente lo spassoso monologo del grande Gigi Proietti nel film Febbre da cavallo. Ma non sarebbe davvero un bell’accostamento.
Da che mondo è mondo la tutela del risparmiatore dipende dalla stabilità finanziaria delle banche e non possiamo dire che questa sia stata la nostra stella polare.
Daniele Corsini e Gerardo Coppola