venerdì 30 ottobre 2020

“Un futuro più giusto – Rabbia, conflitto e giustizia sociale”


Con una complessa analisi, effettuata unitamente a Patrizia Luongo, nel recente libro “Un futuro più giusto – Rabbia, conflitto e giustizia sociale” Fabrizio Barca effettua un’ampia disamina dell’esistente sistema sociale e produttivo italiano correlata anche al contesto internazionale. 

I due autori focalizzano le peculiarità socio-economiche dei nostri tempi, attenzionando in modo particolare una serie di mutazioni che, con ogni evidenza, non appaiono ancora sufficientemente accompagnate da forme di controlli (politici, giuridici e comportamentali). 

In un contesto sostanzialmente neoliberista, proliferano ancora indisturbati processi tecnologici che condizionano e indirizzano a sempre maggiori sfruttamenti, marginalizzando a status di “subalternità” le fasce meno abbienti, viste come fossero costituite sostanzialmente da soli “consumatori orientabili”. 

Al riguardo, particolarmente interessante risulta anche l’attenzione posta sull’utilizzo pressochè incontrollato degli algoritmi – ormai onnipresenti in ogni campo e divenuti sistema - che, nell’assenza di un’adeguata disciplina pubblica e di regole scritte, consente a colossi economici - attraverso i sistemi informatici sofisticati in uso quasi esclusivo - sfruttamenti incondizionati, con situazioni di enorme privilegio, che quasi mai coincidono con l’interesse pubblico più generale. 

Nel libro si fa riferimento anche a manager e degli enti pubblici in particolare (che tuttora rappresentano circa un terzo dell'economia produttiva nazionale), illustrandoli per quello che in verità sono, e del controllo e indirizzo strategico da loro esercitato sulle rispettive partecipate statali. Viene fatto osservare come la classe politica, che opera le scelte e procede alle nomine, oggi si limita all’individuazione dei soggetti cui affidare il ruolo di piena gestione, lasciando gli incaricati sostanzialmente liberi di operare. Ciò, collegato a tutti i rischi e i ritorni “partitocratici” di breve periodo, anche per la durata del mandato, non consente quasi mai l’attuazione di vere politiche industriali di ampio respiro. Il limite di durata triennale delle nomine, di fatto riduce pertanto visioni lungimiranti e fa propendere i diversi manager a scelte prossime all'imminente, atteso la cadenza delle cariche che ambiscono a rinnovi. 

In quest’ottica acclarata si ipotizzano nel libro anche interventi per una istituzione stabile di coordinamenti generalizzati fra i manager di tutte le realtà partecipate, rivolti allo sviluppo di obiettivi univoci e che coordinino gli intenti condivisibili. Per tali aspetti si continuerà a far pieno affidamento agli stanziamenti nazionali e/o comunitari che possono ben consentire la piena realizzazione dei progetti accomunabili di ampia durata. 

Una cooperazione generalizzata fra le varie rappresentanze politiche istituzionali, le tante università impegnate a ricerche, le associazioni di categoria e che preveda anche l’intervento diretto di molte rappresentanze di società civile impegnata in vari campi, andrebbe a completare un’azione amministrativa integrata, volta a studiare e catalogare le esigenze segnalate dalle comunità, secondo le priorità programmabili e le disponibilità economiche. 

In argomento assumerebbe, inoltre, particolare rilevanza un’importante osservazione rilevata dagli autori circa gli investimenti pubblici rivolti a innovazione e ricerca, rispetto allo sfruttamento reale degli esiti via via prodotti e disponibili, potenzialmente gratuiti per chi ne faccia richiesta, ma realisticamente sfruttabili da pochi.

Al riguardo Barca e Luongo sostengono testualmente che: 

Il problema sta nel fatto che sulla carta la conoscenza prodotta da quelle infrastrutture pubbliche è utilizzabile da ognuno di noi, da ogni piccola o grande impresa, ma in realtà solo le grandi imprese, che hanno accumulato la conoscenza e gli strumenti per attingere per prime a quel sapere, riescono ad utilizzarlo, e lo fanno proprio. Così un vasto patrimonio di open science, che potrebbe essere rivolto ad accrescere la giustizia sociale, produce l’effetto contrario: le imprese private si appropriano di conoscenze nate come bene pubblico e acquisiscono una robusta posizione di monopolio con guadagni che eccedono il ragionevole profitto da libera concorrenza”. 

La problematica anzidetta, è forse uno dei profili più rilevanti e attuali nell’analisi condotta. Perchè la questione va anche a interessare fortemente la salute e la scienza medica. Più in generale viene le questioni vengono approfondite per addivenire a un obiettivo unico perseguibile che contempli “missioni strategiche nelle tre dimensioni della competitività, della giustizia ambientale e della giustizia sociale”. Ne deriva che “questo obiettivo deve riguardare in primo luogo i tre settori di salute, trasformazione digitale e transizione energetica, che sono investiti in modo possente nel cambiamento tecnologico e sono centrali per la nostra vita”. 

Nel saggio viene pure riposta particolare attenzione alle Università per la loro interazione con il sistema produttivo che, in un paese come l’Italia, palesa tuttora contesti differenziati fra Nord e Sud e non solo.

In ciò si prende anche atto del fatto che la PMI evidenzi forti carenze tecnologiche, dovute anche alle differenti patriminializzazioni delle singole imprese e alle opportunità di finanziamento e sviluppo offerte dalle politiche industriali nazionali. 

Il testo di Barca e Luongo, più che costituire un ennesimo saggio divulgativo, sembra essere un documento dettagliato e complesso rivolto alla politica che, oltre a discernere sui vari aspetti economici e sociali dell’Italia contemparane, prospetta una serie di soluzioni percorribili che, senza alcun dubbio, potrebbero anche ben costituire punti cardine di un programma partitico, per qualunque rappresentanza progressista che lo voglia – anche parzialmente - accogliere. 

Lungo i tanti argomenti trattati vengono evidenziate  le esistenze di varie collaborazioni avviate in Italia fra diverse strutture pubbliche, quelle universitarie e le varie associazioni di cui gli autori fanno anche parte in particolare. Sembrerebbe, che sebbene molto attive, questi coordinamenti sembrano allocati in perimetri marginali rispetto alla politica fattiva. Molte attività vengono avanzate, ma sono ancora idee che non hanno ancora saputo coinvolgere commissioni parlamentari o hanno indotto a scrivere disegni di legge correlate alle ipotesi progettualizzate. 

Ulteriore questione sollevata e quasi un problema centrale e di grande attualità è indicato nelle “Aree marginalizzate” che, come già accennato, vanno oltre la discrepanza fra nord e sud del paese e che inglobano principalmente quasi tutte le periferie urbane e i grandi agglomerati, oltre alle tante aree interne “in sofferenza” diffuse in tanti angoli della penisola. 

Non trascurate, stante le molte questioni affrontate, risultano quindi le complessità che condizionano la “giustizia sociale”, nei suoi molteplici e diversificati aspetti. Ad esempio per una approssimata globalizzazione basata su regole nazionali differenti e perfino su eclatanti incongruenze comunitarie, per la parcellizzazione delle forme di lavoro “innovative”, per l’erosione di cinquant’anni di conquiste sindacali, per le precarietà che alimentano povertà e sfruttamenti diffusi, per la sempre più frequente tendenza alla “socializzazione” del “capitale di rischio” sottostante all’imprenditoria capitalista 2.0. E chi più ne ha più ne metta.

Le pagine del libro che, come detto, sono ricche di analisi e informazioni, illustrano tutte le problematiche osservate attraverso efficaci approfondimenti, ai quali vengono sistematicamente anche associate oltre a “uno stato dell’arte” anche delle proposte per cambiamenti o soluzioni praticabili. 

Le pagine del libro, che sono ricche di analisi e informazioni, illustrano tutte le problematiche attraverso approfondimenti, ai quali vengono sistematicamente anche associate delle proposte. 

Le problematiche Covid contingenti spesso accentuano la portata delle questioni, se affiancate alle emergenze che l’epidemia pone oggi in forte evidenza. 

Non ultima è anche l'attenzione posta sull'aumentata disparità conseguente ad una iniqua distribuzione della ricchezza prodotta. Aspetto che, negli ultimi anni ha visto sempre più crescere di numero e i volumi delle disponibilità e gli accumuli delle classi economiche più abbienti. Anche qui, analisi e soluzioni sono argomentate in modo ampio al fine di studiare un sisteva orientato verso un'efficace inversione di tendenza che, anche un sistema capitalistico illuminato, dovrebbe trovare utile per una maggiore giustizia sociale, anche in funzione di un rilancio dei consumi. 

Per concludere, ci si rende conto e si può facilmente affermare che risulta difficile e pressochè impossibile riassumere in poche parole un saggio così ricco, articolato, dettagliato e alquanto complesso. 

Un appunto che si potrebbe fare è che forse gli autori avrebbero potuto anche procedere a schematizzare meglio i tratti essenziali dell’ampia materiale trattato, ma per un addetto ai lavori questo non può costituire di certo un vero problema. 

Per chi vuole e che trova interesse nelle tematiche accennate, si rimanda all’acquisto del volume edito da Il Mulino (pp. 280 dal costo di 16 euro). Possono anche essere consultati i siti web di riferimento https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/ e la pagina FB https://www.facebook.com/ForumDisuguaglianzeDiversita/.

 

© Essec

 

 

 

giovedì 29 ottobre 2020

Certi modi di di dire un po’ obsoleti: “Cu ccù a currutu?” Oppure “Cu ccù staiu currennu?”

Oggi prendo a pretesto una vignetta umoristica ricevuta dall’amico Ruggero, che evidenzia anche la saggezza che Shulz attribuiva ai personaggi di sua fantasia - in questo caso Snoopy - per rinverdire termini, una volta molto comuni nel linguaggio corrente dei palermitani.

 



 “Cu ccù a currutu?” Oppure “Cu ccù staiu currennu?”. Entrambe le tipiche espressioni siciliane, oggi in disuso, venivano frequentemente utilizzate nel dialogo discorsivo nella necessità di fare talvolta un po’ il punto della situazione.

Nel primo caso ("Con chi hai corso?" Nel senso di: con chi credi di aver a che fare?) intendeva far intendere all’interlocutore che forse non aveva perfettamente focalizzato le peculiarità della persona con si stava intrattenendo, nel secondo caso, invece, era il dubbio intimo e riflessivo (ma con chi sto correndo?) che assaliva il soggetto, quando si rendeva conto che il contesto in cui si ritrova era, per vari motivi, molto lontano dal suo idem sentire.

Questo comunque non voleva dire che uno ne traesse subito le dovute conseguenze, ma era utile a far capire o a interrogarsi se valeva la pena continuare a impegnarsi in un confronto o se, anche per il quieto vivere di tutti, non fosse magari più saggio, utile e opportuno lasciare perdere e magari cambiare aria.

Suscita talvolta un pò d'ilarità la domanda di chi ha nel frattempo osservato con attenzione le tue vicende e con tanta saggezza, a mo' di consiglio, a sua volta ti domanda: "ma cu ccù ti iunci" (ma con chi ti accompagni?). In questo caso la sua però corrispondeva spesso a una costatazione.

“La vita è bella perché è varia”, diceva quello, o anche che “ciascuno se la canta e se la suona come meglio crede”, purchè però il tutto non arrechi - anche involontariamente – troppo fastidio ad altri.

 

Buona luce a tutti!

 

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mercoledì 28 ottobre 2020

"Patto di unità nazionale", sempre utile alle attente lobbies dei potenti


In tempi non tanto passati un certo Elio Vito, ministro senza portafoglio, era deputato ai rapporti con il Parlamento, ed era lui che di frequente costituiva l’unico esponente di governo che interveniva per rispondere alle interpellanze parlamentari previste dalla nostro assetto costituzionale.

Di fatto, quindi, l’istituto del “Question time” (traducibile in: tempo delle interrogazioni), in assenza del coinvolgimento diretto dei singoli ministri competenti, veniva ridotto ad un rituale standardizzato e pressoché burocratico.

Negli ultimi tempi accade invece il contrario.

Quasi sempre alla Camera e al Senato ora intervengono, invece, direttamente i ministri titolari dei diversi dicasteri e spesso anche lo stesso Presidente del consiglio fornisce i chiarimenti richiesti e risponde alle domande poste.

Ciò anche per l’affermata scelta politica di volere in qualche modo assicurare una proclamata regola di trasparenza sull’attività del Governo.

Continuare, però, ad assistere ancor oggi a interpellanze di taluni, piene di pregiudizi, vaghe, fumose e che quasi mai prospettano o anticipano all’interrogato chiari quesiti circostanziati o proposte per eventuali scelte alternative, anche in relazione all’opportunità offerta specie alle forze politiche di opposizione, risulta quanto mai riduttivo e deprimente.

Reiterare fondamentalmente e ancora l’idea del “facimm’ammuina” senza mai esternare con limpidezza dialettica quelle che sono le proprie idee, per analizzare al meglio, o affrontare e magari contribuire a individuare meglio i termini nell'intento di risolvere quantomeno i problemi che accomunano, non è che poi generi tanto costrutto.

Il Governo, il suo Presidente e i Ministri chiamati a rispondere per essere presi a bersaglio costituiscono una funzione scolorita di un fare la politica all’antica, lontana anni luce da quello che dovrebbe essere il compito dei senatori e deputati di adesso.

I social quasi sempre anticipano i fatti e le interpellanze così condotte rappresentano quindi dei vecchi archibugi che sparano con polveri bagnate.

Poi, le interpellanze raramente indicano problematiche chiare e certificate per consentire di verificare al meglio la veridicità o anche l’attendibilità di domande e risposte.

Il tutto sembra infine ridursi all’esigenza per alcuni di legittimate un’alzata di toni e sollevare polveroni incomprensibili, falsamente ideologici o demagogici (fate voi), che si riducono a proclami e rivendicazioni marginali e tipici dei cori facinorosi di una curva da stadio.

Il tutto con la coreografia di una gaudente clack di nominati - denominati onorevoli – che battono le mani soddisfatti di aver assolto allo svolgimento dei compiti e aver offerto materiale ai media assetati di "scoop da copertina" (particolare effetto ha avuro, in altro contesto, ma non tanto dissimile il fatidico "capra, capra, capra, capra" ormai passato alla storia).

Anche questi sono aspetti curiosi della nostra democrazia fatta di fortunati calati alla politica d’oggi, che si accontentano, dopo lo spettacolo da circo, di ricevere il loro meritato zuccherino.

Nella politica italiana c’è ancora molto da fare, ma il più è richiesto ai cittadini quando sono chiamati al voto. La classe politica proposta sarà sempre quella candidata, pertanto la responsabilità maggiore ricadrà sempre su chi esercita la scelta e che poi, anche se come percentuale ridotta del totale degli aventi diritto al voto, alla fine determina la selezione.

Nel sistema politico italiano, in ogni caso, comunque vada e quando non si trovano soluzioni valgono gli “inciuci”, i patti trasversali e ogni accordo utilizzabile per espellere quelli che - per i politicanti più navigati - rappresentano anticorpi estranei da fagocitare. Magari ricorrendo a un “patto di unità nazionale” per ripristinare la conosciuta sempre valida ed equa spartizione compartecipativa, che non si confonde in ideologie e che è sempre utile alle attente lobbies dei potenti.

In un altro articolo si ebbe a fare un’ampia dissertazione sulle reali percentuali di rappresentanza dei partiti dopo il voto, in quanto le tanto rivendicate percentuali dei seggi assegnati a ciascun gruppo o coalizione a fine elezioni, sono meno rappresentativa perchè subalterne al numero più ridotto dei votanti rispetto agli aventi diritto al voto.


© Essec

 

 

Una specie di tazebao che raccoglie esternazioni di tanti.


Ad oggi 28 ottobre 2020 i “Mi piace” sono: 3846. Invece i “Non mi piace” assommano: 560

Gli accessi al filmato: Kashgar - Il mercato della domenica, postato su You Tube il 16 aprile 2011 sono state poco meno di novecentomila (nel momento in cui scrivo: 893.318).

Al di là della valenza del video, che sostanzialmente rappresenta un documento di una realtà oggi profondamente cambiata, particolarmente interessanti risultano i tanti commenti postati dai visitatori del web.

E’ indubbio che i commenti, specie di coloro che hanno pure manifestato il classico “Like”, si riferiscono principalmente ad appartenenti al popolo degli Uiguri o a loro sostenitori o simpatizzanti, ma piace registrare come il filmato possa ora costituire un pretesto e una specie di tazebao per raccogliere le esternazioni di tanti. 

Soffermandosi sulle letture emergono - con ogni evidenza - le naturali differenti posizioni sociopolitiche di ciascun commentatore. 

Ognuno può e potrà sempre continuare a giudicare e scrivere secondo le proprie idee, più o meno indipendenti dalle diverse ideologie che condizionano. Un fatto è però certo e cioè che quanto rappresentato nelle scene filmate costituisce il vero volto di una comunità fotografata asetticamente nel lontano 1995 (circa 25 anni fa) e di cui si è già scritto in un precedente articolo

Le mie riprese sono, infatti, assolutamente fedeli ai luoghi e corrispondo a quello che l’occhio e l’orecchio umano erano in grado di percepire, senza aggiunta alcuna di ulteriori suoni o altre manipolazioni varie.

Riporto di seguito alcuni degli ultimi commenti che ho tradotto con Google Translate, per i più curiosi indico di seguito i links del video in questione e di un an altro analogo meno visitato.

 

https://youtu.be/bJysrj2u3GQ  https://youtu.be/EiR9mP4NFsM

 https://youtu.be/o1K2r997dac

 

 © Essec

 

Ecco alcuni dei commenti tradotti col softweare di Google:

 

Inchino basso all'operatore, grazie mille per l'opportunità di vedere la nostra patria, non importa quanto soffra la nostra gente, non si perdono d'animo (((

 

"I loro volti sono tutti gentili, calmi, laboriosi dei fratelli di mia nonna rimasti a Kashkar ea Urumqi non li abbiamo mai incontrati. È un peccato".

 

Gli uiguri sono le sorelle degli uzbeki. Abbiamo la stessa lingua, religione e usanze. Che Allah vi aiuti, cari fratelli uiguri.

 

Gli uiguri sono brave persone 👍 ... io stesso sono cresciuto con loro, li conosco bene))) Ho un bravo ragazzo Bazha Uygur

 

Sì, tua madre è cinese. Guarda la situazione dei poveri. Apprezza l'indipendenza, uzbeka, tagika, turkmena, kirghisa e kazaka.

 

Questi sono i nostri parenti musulmani, sono meravigliosi, ma ora i cani cinesi ti stanno torturando. Dio ti benedica

 

Urumqi era una terra uigura e rimarrà uigura per sempre

 

Tayyp Erdogan aiuta Uygur, nessun altro come te lo aiuterà

 

TUTTO IN COPRICAPI OTTIMO ROLLER BRAVO OPERATORE PROSPERITÀ DI PACE E BUONE PERSONE UIGURE

 

Possa Allah aiutare gli uiguri, buoni musulmani,

 

Fratelli Salomalekum Uyguri Sono tagiko, sii sempre sano e felice

 

Mi dispiace per questo popolo, sono come un leone messo in un angolo, questo è ciò che fa l'accupazione con il popolo cinese non li ama e non permette loro di secedere, quindi sono in questa posizione, aiutali l'Onnipotente a trovare la libertà, dagli forza e pazienza. Kazakistan

 

Gli uiguri sono grandi lavoratori nella vita, ben fatti! Rahmyat!

 

I poveri vengono torturati dai cinesi. Possa Dio punire quei cinesi.

 

Fratelli Assalam Aleikum uiguri! ... Tartari per te.

 

Assalamualaikum al popolo uigura, che Dio ti protegga

 

È chiaro senza parole che la vita è dura, ma le persone, nonostante le difficoltà, lavorano, e qui possiamo solo rimproverare il presidente in tutti i peccati

 

Fratelli miei ... gli uiguri vi salutano da Tashkent

 

Abbiamo matchmaker uiguri. 👍 Bella gente ??