sabato 15 novembre 2008

FANTOZZI SI OCCUPA DI RELAZIONI PUBBLICHE

Da molto tempo la società di Fantozzi versava in gravi condizioni. Ma ultimamente una fioca speranza: forse arrivava un investimento da una potentissima società tedesca. Le delicatissime trattative erano state portate avanti dallo stesso Direttore Generale. Era stata un'operazione lentissima durata quasi un anno, ma alla fine della quale, se le cose fossero andate a buon fine, sarebbero arrivati i soldi e con questi si salvava il pane a tutti i millecinquecento dipendenti. Tutti gli impiegati avevano seguito atterriti la manovra. A livello Fantozzi arrivavano notizie ora confortanti, ora terribili, ma per tutti a dir il vero, anche a livello direzionale, gli ultimi tre mesi erano stati pieni di paure e di incubi notturni. Venerdì finalmente la grande notizia: arrivava da Düsseldorf il prof. Otto Kraus-Kollman con i fondi! La vita di tutti era salva! In società si festeggiò l'evento con molti brindisi e molti avevano deciso di andare in pellegrinaggio a piedi fino alla Madonna del Monte. Il prof. Kraus-Kollman arrivava all'aeroporto domenica mattina, c'era quindi il problema di fargli passare delle ore liete fino a lunedì mattina. Il Direttore Generale fece domandare dai suoi segretari chi poteva essere l'uomo ad hoc e che soprattutto sapesse parlare in tedesco. L'indagine aveva dato esito negativo: nessuno o quasi. Quei pochi che parlavano altre lingue non avevano osato avanzare la loro candidatura: i rischi erano troppi. Il Direttore Generale era disperato e non sapeva più dove battere la testa, quando Fantozzi disse a Fracchia (erano le 6 di quel drammatico venerdì pomeriggio): “Ma veramente io un po' di tedesco alle commerciali l'ho studiato!”. Fracchia sobbalzò sulla sedia: “la sua grande occasione, tutti gliene saranno grati, le aumenteranno lo stipendio, lo faccia per i nostri figli...”. Fantozzi era irremovibile: non se la sentiva, anzi si fece giurare da Fracchia che non avrebbe fatto trapelare la notizia. Ma Fracchia lo tradì e lo disse al caposervizio Montorsoli. Come una folgore la notizia rimbalzò di tavolo in tavolo, di telefono in telefono fino al Direttore Generale. Questi chiamò Fantozzi e gli disse semplicemente: “Siamo nelle sue mani... vada all'aeroporto domenica mattina e ce lo porti qui sano e salvo lunedì per il consiglio”. Fantozzi fu mandato con la macchina della società a casa a riposare e si mise in salotto con una grammatica tedesca in mano. Era terrificato, aveva freddo e ogni tanto gli girava la testa. Passò una notte tremenda. La giornata di sabato mangiò solo un brodo tiepido, ma vomitò subito. Il Direttore Generale gli telefonò a casa e lo rincuorò. Domenica mattina alle 4 era già all'aeroporto, completamente distrutto. L'aereo da Dusseldorf arrivò a mezzogiorno. La direzione gli aveva dato un foglietto con una descrizione sommaria del professore. “Nome: Otto. Tipo da tedesco” ed era tutto! Scesero dall'aereo 40 “tipi da tedeschi”. Fantozzi aspettava dietro le transenne del pubblico. Vide il gruppo minaccioso che si avvicinava. Tentò il tutto per tutto: “Otto!” gridò (era il nome più diffuso in Germania!). Su 40 venti alzarono la testa. Si affidò alla fortuna, si diresse verso l'“Otto” più vicino e gli baciò la mano e gli chiese in dialetto armeno: “Venga... professore, ho qui la macchina”. Salirono in macchina. Lo portò a casa sua, e “Otto” mangiò tre piatti di spaghetti, una bistecca, bevve mezza bottiglia di Chianti e si addormentò. Gli calarono lentamente le serrande e lo lasciarono dormire due ore. Si svegliò con una fame tremenda, e Fantozzi scese di volata dal portinaio e si fece prestare sei uova. Alle 7 di sera, Otto in perfetto italiano disse: “Beh! Me ne vado a casa... abito qui vicino, vi ringrazio tanto, mi chiamo Ottonelli”. Fantozzi non cercò neppure di ucciderlo e si scaraventò all'aeroporto. Qui c'era un “tipo da tedesco” di nome Otto che stava cercando di accoltellare i funzionari dell'Alitalia. Fantozzi vomitò alla toilette e carponi gli si avvicinò. Lo pregò di salire in macchina. Otto diede una tremenda coltellata a un barista e docilmente si avviò verso l'auto. Salirono in macchina, fecero cento metri e Fantozzi si accorse che aveva una gomma a terra. Si scusò in dialetto romagnolo e fece un tragico cambio di ruota. Il prof. Kraus-Kollman rimaneva seduto in macchina e pesava una novantina di chili. Fantozzi si sporcò anche le orecchie di grasso, si squarciò la giacca nuova e si portò via quasi un occhio con la chiave avvitabulloni. Partì dimenticandosi la ruota cambiata e gli attrezzi, partì ma non osò tornare indietro. Disse a Otto in sloveno: “Vuole visitare la città?”. Il prof. Otto Kraus-Kollman fece di sì con la testa. Girarono per tre ore senza che il prof. Otto Kraus-Kollman dicesse una parola né desse un segno di approvazione o disapprovazione. Passarono vicino alla stazione di monta taurina. “Cosa è questo?” domandò il professore in tedesco. Fantozzi capì: “Voglio vedere questo!”. Scesero ed entrarono. Subito all'ingresso il prof. Kraus-Kollman si chinò fino a terra per decifrare una oscura iscrizione nel pavimento finemente mosaicato. In quel preciso istante Gorgo, il più grosso toro colà ospitato si faceva sulla porta e certamente equivocando usava al professore lunga quanto atroce pubblica violenza. Risalirono in macchina e Fantozzi si accorse che il prof. Otto Kraus-Kollman era disorientato. Passarono vicino al tendone del Gran Circo Tonbai. “Ridere? Vuole ridere?” propose Fantozzi. Il prof. Kraus-Kollman fece di sì con la testa ed entrarono. Erano vicini alla pista, e al professore cadde il fazzoletto: si chinò fino a terra per raccoglierlo. In quel preciso istante Urus, il più grande rinoceronte del circo, da 12 anni in astinenza, partiva dalle lontane scuderie. Il prof. Kraus-Kollman partì con l'aereo della sera per Düsseldorf, non senza aver prima accoltellato un tassista. Fantozzi non osò neppure telefonare in ufficio, e dopo due settimane lo trovarono sulle colline che predicava e aveva allineato sull'erba dei pani e dei pesci e prometteva ad una folla inesistente che li avrebbe moltiplicati.

Paolo Villaggio "Fantozzi"

L'inno del corpo sciolto

E' questo l'inno del corpo sciolto, lo puo` cantare solo chi caca di molto. Se vi stupite la reazione e` strana perche` cacare soprattutto e` cosa umana. Noi ci svegliamo e dalla mattina il corpo sogna le membra posano in mezzo all'orto e` questo l'inno l'inno si` del corpo sciolto. Ci han detto vili, brutti e schifosi ma son soltanto degli stitici gelosi ma il corpo e` lieto, lo sguardo e` puro, noi siamo quelli che han cacato di sicuro. Pulirsi il culo da gioie infinite, con foglie di zucca, di bietola o di vite; quindi cacate, perche` e` dimostrato, ci si pulisce il culo dopo aver cacato. Evviva i cessi, sian benedetti, evviva, i bagni, le toilettes e i gabinetti; evviva i campi da concimare, viva la merda e chi ha voglia di cacare. Se parlo co' un demente, un fetente, un ignorante, mi levo la giacca e la cacca gli fo' il bello nostro; e` che ci s'incazza parecchio, ci si calma solo dopo averne fatta un secchio, la vogliam reggere per una stagione e con la merda puoi far la rivoluzione. Pieni di merda andremo a lavorare, poi tutt'a un tratto si fa quello che ci pare e a chi ci dice fai questo e quello gli caghiamo addosso e lo copriam fino al cervello. Non sono stato mai, viva la merda che ricopre tutto il mondo, e` un mondo libero, un mondo squacchera, perche` spillacchera di qua e di la`, caconi, merdoni, stronzoni, puzzoni, la merda che mi scappa si sparga su di te.
sulla latrina, cosi` giocondo

Roberto Benigni

Sono di sinistra. Ma non esercito

Mi sono svegliato nel 2010 e ho avuto paura perché Berlusconi aveva comprato tutto. Perfino la Costituzione aveva fatto riscrivere. Da Mike Bongiorno. Il primo articolo diceva: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? Avete venti secondi per rispondere. Via al cronometro”.

"Hanno scritto un libro sul Centrosinistra che si chiama: Vincere e altre dieci possibilità” “E quali sarebbero?” “Pareggiare, perdere, perdere, perdere, perdere, perdere...”

Walter Veltroni: “C’è qualcosa che vorrei dirvi prima di cominciare e parlare”.


Il grande vantaggio di una democrazia matura è che tutti possono apparire in televisione e prendere in giro i politici. Naturalmente anche i politici possono apparire in televisione e prendere in giro tutti. Questa sì che è la par condicio.

Gino & Michele "Anche le formiche nol loro piccolo fanno politica (e s'incazzano)"



IL RE DEI CLOWN

È noto che più cala nei sondaggi, più Berlusconi si incazza e sputa bile, senza nemmeno avere il coraggio delle sue rabbie, anzi travestendosi subito dopo da vittima e da odiato. Il suo look plasticato e ridente si è guastato in ghigni da horror. Se una volta si affidava a Yves Saint Laurent adesso per truccarlo ci vuole Rambaldi. Come ultima, democratica riforma, ha deciso di abusare ogni giorno della televisione (tanto è sua) per spiegare ai suoi elettori e ai comunisti, ovvero il becero volgo italico manipolato e oppresso dalla bugie, cosa sta facendo il governo. Ne consegue che nel nostro paese o tutti sono cretini e bugiardi, oppure c’è un solo debordante cretino e bugiardo che pensa che tutti siano cretini e bugiardi. Alla storia l’ardua sentenza, anche se «sentenza» è una parola che provoca al cavaliere forti choc anafilattici. Questo premier, moderno come un vecchio Carosello, ha di fatto introdotto una sola riforma: la televisione al posto del parlamento. Il suo ultimo raptus monologante ha coinvolto piazze, pistole clowns e ballerine. Però, in questo momento difficile della sua carriera di pataccaro e di politico, abbiamo scoperto un segreto che lo rende più umano. La vera storia che spiega perché Berlusconi detesta i clowns e le ballerine. Per ricostruirla, abbiamo intervistato il russo Nicolai Bazarov, che col nome di Kamarinsky è stato uno dei più grandi pagliacci professionisti della storia. Ecco cosa ci ha raccontato.

Il racconto di Kamarinsky

Conobbi il giovane Berlusconi negli anni Sessanta. Era un periodo difficile per me. Ero stato cacciato da tutti i circhi della Russia con l’accusa di contrabbando di foche. In realtà mi ero inimicato il regime tentando di organizzare il primo sindacato degli artisti circensi. Insieme ad alcuni colleghi partii per l’Europa con una piccola troupe, cui diedi il nome di circo Popov. Eravamo due clowns, tre trapezisti, un lanciatore di coltelli e un domatore di leoni. Non potendo permetterci i leoni avevamo sei grossi cocker bielorussi: non erano feroci, ma avevano un alito molto pesante, e per mettere la testa nelle loro fauci ci voleva una certa dose di coraggio. Poi c’era Mitja, elefante e facchino, e Vladimir, un orango che ci faceva anche da amministratore. Avevamo anche un piccolo luna-park, un minizoo e un lucertolario.

Erano giorni duri, viaggiavamo su tre carrozzoni tirati da una vecchia Skoda, senza aria condizionata e con una sola vasca idromassaggi, spostandoci da una piazza all’altra. Il nostro chapiteau era un tendone usato del festival dell’Unità, dove era rimasta la scritta «Stasera Comizio con Pajetta», per cui noi clown avevamo dovuto cambiare nome: io avevo preso il nome di Comizio e il clown bianco si faceva chiamare Pajetta.

Una sera ci attendammo in una zona vicino ad Arcore. Stavamo preparando il nostro frugale pasto, il lanciatore di coltelli tagliava il pane in aria e Mitja faceva la maionese con la proboscide. Nella nebbia si presentò un ragazzo magro dall’aria spiritata. Disse che si chiamava Silvio e stava attraversando un periodo difficile. Insieme ad alcuni amici aveva intrapreso un attività finanziaria vendendo merende scadute nella scuola, ma i bidelli rossi avevano stroncato le sue riforme. Ci disse che il sogno della sua vita era di lavorare in un circo, perché adorava le luci della ribalta.

Notai subito che aveva un naso rotondo perfetto per fare il clown, bastava tingerlo di rosso. E inoltre non aveva nessun senso dell’umorismo: era l’ideale per fare la parte di quello che si incazza.

Lo riempimmo di fard e cerone (credo che lì abbia sviluppato la sua cipriodipendenza e l’ossessione di impiastricciarsi). Poi gli infilammo un paio di grosse scarpe e lo buttammo sul palco col nome di nano Berluk. Il suo ruolo era quello di prendere schiaffi, spruzzi d’acqua e sgambetti ogni sera. Questo per trenta sere al mese. Ma siccome era un po’ tonto, ogni sera ci chiedeva perché e si incazzava, e l’effetto comico era assicurato. Ricordo che piaceva molto al pubblico, specialmente ai bambini, anche se dopo lo spettacolo cercava sempre di vender loro torrone taroccato, con la ghiaia al posto delle nocciole. Avrebbe avuto un futuro, come spalla. Ma poi vide Uganska.
Uganska Sergèevna Volaltova era una splendida ballerina e trapezista ucraina. Veniva da una famiglia di grandi tradizioni circensi: suo padre era il leggendario Fjodor, il condor volante del Caucaso, e sua madre Irina Kolesterova, la mongolfiera di Minsk, centotrenta chili, ma tra i trapezi volava come una rondine. Uganska aveva volato fin da piccola. Appena uscita dall’utero, il medico l’aveva sollevata per darle lo schiaffetto e lei con un balzo si era attaccata al lampadario. È l’istinto del trapezista, aveva detto commossa mamma Irina. A sei anni Uganska sapeva già ballare sul filo come una cinciallegra, e al trapezio faceva già il triplo Mandelbaum e il carpiato Pachinski. A quattordici anni era già una stella.

Aveva tutto per essere felice: ma il mondo del circo è percorso da improvvise e violente passioni. Dovete sapere che i genitori di Uganska avevano entrambi un amante: lei un mangiatore di fuoco, lui una splendida tigre siberiana. Inutile dire che quando lei tornava a casa coi capelli abbrustoliti e lui graffiato a sangue, erano risse e scenate, finché un giorno il dramma, è il caso di dirlo, precipitò: i due coniugi si lanciarono dai rispettivi trapezi, lui non afferrò lei, lei non prese lui e si spiaccicarono al suolo. Io presi l’orfanella con me, come una figlia.
Quando il nano Berluk vide Uganska ballare leggera e gaia sul filo, si innamorò perdutamente. La sera stessa le fece trovare nel camerino un mazzo di azioni dell’Alitalia. Ogni notte le cantava Oci Ciornie e I found my love in Portofino, finché l’elefante Mitja non sporgeva la proboscide dalla gabbia e lo annaffiava (di acqua quando era di buonumore, di altro quando era incazzato). Berluk ripeteva a Uganska che per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche risolvere il suo conflitto di interessi (nel nostro piccolo luna-park era titolare della montagne russe ma aveva anche il monopolio della segatura asciuga-vomito). Uganska non se lo filava. Quell’italiano avido e noioso non le piaceva. In più, era innamorata del clown Pajetta, alias Vasilj Procharkin Bessonovic, un pierrot pallido e lunare che sapeva fare gli scorzotti con l’ascella, ma anche recitare Majakovsky a memoria. Inoltre, ultimo e illuminante particolare, Uganska era comunista.
Berluk fece di tutto per conquistarla. Si fece prestare da me tutti i libri di Lenin, Stalin e Cronin. Dopo un mese me li restituì dicendo «li ho letti ma non ci ho capito una parola». Io gli spiegai che forse prima avrebbe dovuto studiare i caratteri cirillici ma lui sbuffò. Lo ripeto, era un po’ tonto. Continuò a corteggiare tenacemente la bella ballerina: andava in giro con un enorme colbacco da cui spuntavano solo le ginocchia e ogni tanto durante lo spettacolo gridava «viva la grande rivoluzione proletaria sovietica». Capite come tutto questo, poi, si sia trasformato in odio inguaribile.

Una sera la bella Volaltova, esasperata dal suo assedio, gli disse: «Va bene, tovarish Berluk, se ti lancerai dal trapezio e sarai in grado di eseguire un un triplo salto mortale, ti sposerò». Anche a quei tempi, naturalmente, Silvio si credeva capace di tutto. Perciò si fece dare lezione di arrampicata prensile dall’orango Vladimir, imparò qualche capriola, e poi disse che era pronto.
«Non dovresti provare — gli dissi io — comunque, se proprio vuoi rischiare, metti sotto la rete di protezione.»

Alcune notti dopo, Mitja mi svegliò con un leggero barrito per segnalarmi che i due erano sotto il tendone. Li spiammo da lontano. Lei era più bella che mai, nel suo pigiamino ucraino; Berluk aveva un costume da Uomo ragno rubato a un bambino. Berluk salì, si attaccò al trapezio, iniziò a ondeggiare, poi spiccò un balzo, roteò come trottola e si schiantò al suolo. E la rete, direte voi? La rete c’era, ma era stesa per terra (lo ripeto, il ragazzo era un po’ tonto). Fortunatamente, come disse il medico, la massa cerebrale era così ridotta che il danno fu minimo. Ma Berluk si insaccò di brutto e da uno e sessanta che era, si abbassò ulteriormente.

La settimana dopo il clown Vasilj Pajetta e Uganska Volaltova convolarono a nozze. Poi una notte di pioggia, una macchina blu guidata da un ometto che si faceva chiamare «il Venerabile» passò a prendere Berluk, e non seppi più nulla di lui, finché non appresi dai giornali della sua fulminante carriera.
Per questo il vostro presidente del consiglio odia i clowns, le ballerine, i comunisti e i sindacalisti, e vorrebbe dimenticare quel periodo della vita in cui, oltre al potere e ai soldi, aveva qualche altro sogno.

Peccato: avrebbe potuto essere un buon clown, piuttosto che un modesto buffone. Ma il mondo del circo e quello della politica sono diversi: il nostro richiede talento, ed è immensamente più difficile e serio.


Stefano Benni (Tratto da "Il Manifesto" di venerdì 29 marzo 2002)


Tanti anelli

Quante vite in noi, 
con noi,
quante storie 
vissute nel tempo. 

Chiudere gli occhi 
e solo immaginare 
i tanti esseri 
che ci hanno preceduto, 

che ci accompagnano 
verso un eterno orizzonte 
che comunque 
permane lontano. 

E vedi 
una folla 
che non ha confini 
e tanti anelli 

di catene umane 
che continuano 
a rendere immortali 
fugaci tracce.

da Storie (L'Autore Firenze Libri - Ed. 2000)


Come Tremonti e Berlusconi hanno conquistato Piazzetta Cuccia e dintorni

Da quando Piazzetta Cuccia si chiama Piazzetta Cuccia per ricordare Enrico, il banchiere di origine siciliana che al vertice di Mediobanca guidò la finanza italiana per più di mezzo secolo, non c’è più il salotto buono. Ha perso lo charme e, soprattutto, i silenzi del Grande Arbitro dell’industria e della finanza italiane. Nel ’92 il mondo della finanza fu rivoltato come un guanto, il banking ebbe il sopravvento sull’industria, gli istituti di credito del sud scomparvero e l’aristocrazia industriale rimase improvvisamente senza soldi. Enrico Cuccia cercò di pilotare con alterne fortune la transizione, ma il passaggio di testimone dalla finanza laica a quella cattolica fu guidata dal governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, e da Cesare Geronzi. Enrico Cuccia non perdette il suo carisma, ma il salotto buono perdette i suoi protagonisti più prestigiosi. Per frequentarlo un tempo occorreva avere bon ton, soldi e due cognomi. O essere riconosciuti per il titolo di studio, come l’Avvocato. Il decennio “tosto” negli anni Novanta avrebbe cambiato tutto: l’intrigo fitto di patti di sindacato, una chiusura netta verso nuovi arrivi, l’arrivo dei furbetti del quartierino, finanziari d’assalt, presto messi a tacere. Allo tsunami del ‘92 sopravvissero in pochi, ma trovarono spazio gente come Tronchetti Provera o Cordero di Montezemolo. Due cognomi, per l’appunto. Mai e poi mai l’astro nascente della politica italiana, il tycoon della televisione commerciale italiana, Silvio Berlusconi, avrebbe potuto accedere ai piani alti della finanza italiana. Nonostante cinque anni di governo, il mondo della finanza continuò a tenerlo “fuori”. Ma le cose sono cambiate, e come. Una serie di circostanze favorevoli hanno fatto sì che Piazzetta Cuccia, laboratorio di ogni patto di sindacato, aprisse le porte a Marina Berlusconi, e che coloro i quali tirano le fila della finanza italiana dovessero tenere conto di Silvio Berlusconi. Morto l’Avvocato, sopito il rimpianto, lo scettro della finanza italiana è passato ad un paria, Silvio Berlusconi. E non certo perché il suo reddito superi di gran lunga quello di tutti gli altri messi insieme, ma perché molti devono girare attorno a lui per evitare di sprofondare nel baratro. La buona sorte c’entra fino a un certo punto, le circostanze hanno aiutato il Premier a conquistare i poteri forti, ma il merito va dato alla sapiente conduzione del governo. Le due crisi italiane – quella della compagnia di bandiera, l’Alitalia, e l’altra, provocata dai subprime statunitensi - sono state usate con sorprendente maestria dal Ministro del Tesoro e dal Presidente del Consiglio. Una partita in tre mosse vinta in breve tempo, che ha dello stupefacente. Il Ministro del Tesoro, Giulio Tremonti, ha fatto il ghigno duro, proponendo la Robin Tax: togliere agli strozzini del petrolio, che scippano dalle tasche esauste degli italiani quel poco che rimane alle pompe di benzina, per redistribuire reddito ai bisognosi. Come Robin Wood, né più né meno. E’ andata diversamente – i petrolieri hanno ritardato la riduzione del prezzo della benzina per tre mesi ed invece di impoverirsi si sono arricchiti ancora di più - ma non se n’è accorto nessuno: il pensiero è quello che conta, Giulio Tremonti si è schierato dalla parte dei deboli, senza danneggiare i petrolieri. Un autentico capolavoro. Poi è arrivata la spartizione dell’Alitalia in due fette, quella buona e la cattiva, spartizione necessaria per confezionare il pacco dono ai padroni di Piazzetta Cuccia e dintorni, qualunque fosse il loro colore politico. Il regalo è stato consegnato con il fiocco rosa a Corrado Passera e Roberto Colaninno, affidando al primo il compito di comporre la cordata dei salvatori di Alitalia destinatari del regalo, al secondo, quello di guidare la nuova compagnia aerea nata dalle ceneri dell’Alitalia. Terza mossa, geniale come la Yaris. Il fallimento dei colossi americani gettano nel panico le grandi banche, e Unicredit, la più internazionale delle nostre banche, viene colpita dal ciclone: Alessandro Profumo, l’amministratore delegato, come Passera e Colaninno vicino al centrosinistra, viene aiutato in modo disinteressato dal Cavaliere. Come? Il Capo del Governo fa sapere tre volte al giorno, che avrebbe dato le risorse occorrenti a Unicredit in caso di necessità, nessuna banca italiana sarebbe stata affondata dai subprime. Ma le banche italiane erano le meno esposte al mondo, e Unicredit non era poi così malandata. Profumo superò la crisi per conto suo, ma il governo continuò a fargli da custode “disinteressato”, ed ancora oggi è rimasto tale. Risultato: Piazzetta Cuccia non è più quella di una volta, il salotto buono si è trasferito ad Arcore. Come facciamo a dirlo? Cesare Geronzi è diventato il successore di Cuccia, senza averne i titoli e senza darlo a vedere, Giulio Tremonti ha sostituito Guido Carli nell’immaginario degli italiani, il Cavaliere ha oscurato il ricordo dell’Avvocato. Non basta? C’è dell’altro. Roberto Colaninno si lamenta con il PD (“questi non li capisco proprio…, non fanno che attaccarmi ogni giorno…”), e Corrado Passera giudica il Premier più bravo di Romano Prodi sull’affaire Alitalia. Va bene, penserete, il regalo l’ha confezionato lui, Corrado Passera, pensavate che non dovesse mostrare gratitudine? Giusto, ma chi glielo avrebbe fatto fare a compilare la pagella? Dandogli il voto alto per l’affaire Alitalia, è come se l’avesse dato su tutto il resto. O no?

di Salvatore Parlagreco (SiciliaInformazioni)

giovedì 13 novembre 2008

Dichiarazione di voto dell'Italia dei Valori alla legge finanziaria 2009

"Signor Presidente del Consiglio, anzi signor Presidente Videla, lei è proprio un capo di Governo modello Argentina. Lei ha umiliato e umilia ogni giorno il Parlamento con colpi di mano che violano ogni regola di democrazia parlamentare. Proprio pochi minuti fa, lei ha promosso e realizzato l'ultimo atto provocatore e promotore di una deriva antidemocratica, ovvero la nomina a presidente della Commissione di vigilanza RAI di una persona scelta dalla sua maggioranza. Lo dico a chi ci ascolta in diretta: questa maggioranza parlamentare ha avuto l'arroganza di scegliere anche chi deve rappresentare l'opposizione. Si tratta di un comportamento tipico, appunto, delle dittature argentine (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro).
Non è questo il solo trucco che è stato operato in questi giorni. Anche questa legge finanziaria 2009 viene votata con il trucco. Lo dico non tanto al Presidente del Consiglio, che non c'è, ma a chi ci ascolta. In molti casi, in questi giorni la maggioranza necessaria in Aula non c'era, in quanto molti parlamentari dello schieramento politico del Presidente del Consiglio hanno fatto come fa lui tutti giorni: non erano nemmeno presenti in Aula.
Eppure questi signori risultano aver votato, autentici imbroglioni che fanno questo per ottenere la diaria senza averne diritto, ed ancor più imbroglioni quei loro complici che hanno votato e votano tutti i giorni anche al loro posto, stravolgendo ed umiliando così, per trenta denari, il risultato democratico del voto parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Sa, signor Presidente del Consiglio che non c'è, anche per queste ragioni il bilancio dello Stato va a rotoli, come va a rotoli se accade quel che è successo ieri, quando è stato bocciato da tutta l'Assemblea, ad eccezione di Italia dei Valori che l'ha proposto, il nostro emendamento alla legge finanziaria che si prefiggeva di abolire il doppio rimborso elettorale ai partiti. Quella legge varata dalla sua maggioranza parlamentare, signor Presidente del Consiglio, con il concorso, purtroppo, di buona parte dell'opposizione, permette ai partiti di ottenere il rimborso elettorale per tutta la legislatura, anche se nel frattempo il Parlamento viene sciolto, come è avvenuto per il Governo Prodi, così che oggi ogni partito prende, ogni anno, due volte lo stesso rimborso elettorale, quello per la legislatura interrotta e quello per la nuova legislatura. Stiamo parlando di 300 milioni di euro - lo dico a chi ci ascolta - da qui al 2011: altro che bazzecole, come quei minimi aumenti che sono stati negati, con questa legge finanziaria, ai pensionati al minimo ed ai morti di fame (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!
Signor Presidente del Consiglio, se proprio aveva bisogno di soldi, invece di prenderli all'amministrazione della giustizia, come ha fatto, perché non li ha stornati dalla famigerata «legge mancia» che proprio lei e la sua maggioranza, nell'altra legislatura, avete emanato per una miriade di piccoli interventi di natura clientelare, sollecitati da questo o quel parlamentare per il proprio feudo elettorale? Anche in questo caso noi dell'Italia dei Valori abbiamo presentato un emendamento a questa legge finanziaria per recuperare circa 70 milioni di euro, ed anche in questo caso è stato bocciato. Sa, questi soldi potevano servire per comprare un po' di computer per i tribunali o per mettere un po' di benzina alle volanti e alle macchine dei carabinieri.
Insomma, signor Presidente del Consiglio che non c'è, questa legge finanziaria che lei ci ha proposto è proprio un imbroglio, ed è anche un sopruso, anzi il solito sopruso, perché ancora una volta ci è stata somministrata una pietanza bella e pronta senza alcuna possibilità, per il Parlamento, di modificarla.
A dire il vero, c'era poco da modificare in questa legge finanziaria: non ha previsto nulla per il rilancio dell'economia reale e per i bisogni dei più deboli, ha disposto solo un'infinità di proroghe di provvedimenti già presi, soprattutto dal precedente Governo. Dimenticavo, qualcosa con questa legge finanziaria è stata fatta: si è dimenticato totalmente di finanziare le infrastrutture e si sono ridotti ulteriormente gli investimenti, soprattutto quelli per l'agricoltura e per la tutela dell'ambiente.
Lei la deve smettere, signor Presidente del Consiglio che non c'è, di prendere in giro gli italiani con false promesse e bugie madornali facendo credere ciò che non è vero. Lei ed i suoi sodali di Governo ogni giorno andate in giro ad annunciare al mondo la realizzazione di grandi opere infrastrutturali faraoniche eppure, né in questa manovra, né in quella triennale di luglio è stato previsto alcun euro per investimenti infrastrutturali. La stessa legge obiettivo non prevede alcun euro, né per quest'anno, né per gli anni successivi. Avete utilizzato quei fondi per coprire l'ICI, e quindi avete ridotto i fondi per le infrastrutture, non li avete aumentati.
Con quali soldi, allora, volete far credere di realizzare grandi opere come la TAV o addirittura il ponte sullo Stretto, mentre ci sono tante cose più urgenti da fare, come il terzo valico, e, soprattutto, con quali soldi, dopo che li avete stornati, pensate di realizzare la Pedemontana, la Brebemi, la TEN, la Valsugana, la Val Trompia, le tangenziali di Varese e di Como (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori ) per le quali pure avevamo completato l'iter procedurale e che pure avevano trovato le loro risorse nelle nostre leggi finanziarie? E l'Expo 2015 con che lo facciamo? Con quali soldi? E tutte le strade provinciali interne del sud d'Italia i cui fondi avete stornato per l'ICI, con quali soldi le facciamo? Non ci racconti, signor Presidente del Consiglio, che le farete col prestito BEI: è solo una dichiarazione di intenti che non si può tramutare in alcun prestito se non viene previsto, come non è stato previsto in questa legge finanziaria, l'ammortamento delle rate di mutuo.
Certo, avete detto che al prossimo CIPE approverete interventi per 15-16 miliardi, ma anche questa è un'altra truffa, è un altro imbroglio colossale: le opere che dite di voler realizzare con il prossimo CIPE già sono state approvate, gli investimenti già sono stati previsti, le risorse sono già state stanziate nei CIPE precedenti.
Voi fate il gioco delle tre carte: prendete i soldi che abbiamo stanziato noi, rifate le cose che abbiamo fatto noi e dite che le avete fatte voi. Dalle mie parti si dice che fate come la mosca cavallina, che si mette sulla groppa del mulo, si fa portare a destinazione e poi, all'ultimo minuto, vola via e fa finta di arrivare prima. Truccatori, imbroglioni, succhiatori di sangue!
Lei, signor Presidente del Consiglio, ha detto sin dal primo giorno bugie madornali e falsità colossali, anche con riferimento alla vicenda Alitalia. Aveva detto di avere a portata di mano, come compratori, un gruppo di ardimentosi patrioti italiani, e invece la compagnia è fallita. Lei ha affermato di avere italiani pronti a comprarla, e invece aveva solo un manipolo di amici suoi, per lo più incalliti e recidivi speculatori finanziari, che hanno comprato, con quattro soldi, tutte le poste attive della compagnia, mentre i debiti e le passività, compresi i 300 milioni di prestito-ponte che oggi dovrebbe pagare la vecchia compagnia - e quindi noi - devono pagarli tutti i cittadini italiani. Noi crediamo che tutto ciò sia una volgarità e una menzogna, di cui è bene che il Paese venga a conoscenza. Lei sta criminalizzato i lavoratori di Alitalia semplicemente perché alcuni di loro chiedono di non essere mandati a casa, solo perché si tratta di donne in gravidanza o perché hanno bambini piccoli o sono portatori di handicap. Questa è un'altra delle ingiustizie sociali che il Governo sta portando avanti (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Lei sa perché Alitalia è stata valutata così poco? Sì che lo sa, sono tutti amici suoi! Perché chi doveva stimare il valore di Alitalia e della Banca Leonardo ha come socio amministratore anche i soci amministratori di CAI, ossia proprio la società acquirente. Insomma, se la sono valutata e se la sono comprata, al prezzo che hanno voluto loro, mentre lei è rimasto a guardare. Non so se è stato solo a guardare, in verità, perché poi queste società fanno tutte capo a Mediobanca, dentro la quale lei ci sta alla grande, sia con le sue società sia con la sua famiglia.
Insomma, a me pare che, anche in questo caso, ossia nella vicenda Alitalia, un altro grande conflitto di interessi la avvolga, come in tante altre vicende della politica e dell'imprenditoria italiana. In definitiva, signor Presidente del Consiglio, lei sta facendo proprio quel che direbbe Crozza: piano piano, poco poco, sta togliendo ai poveri per dare ai ricchi e questa legge finanziaria, unitamente alla precedente manovra triennale, lo dimostra.
Proprio ieri, il Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti ha annunciato che, in caso di fallimento, i manager devono andare a casa o in galera. Ma non dite bugie. Voi avete presentato una proposta di legge parlamentare in cui prevedete ancora una volta la norma salva-manager, che ancora una volta andrà a favore dei bancarottieri di Cirio, Parmalat e Giacomelli (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). E voi? Questo è il suo modo di governare, signor Presidente del Consiglio: una continua prevaricazione e provocazione.
Per questo motivo, dopo che ha messo il bavaglio sull'informazione ed ha umiliato il Parlamento, non si aspetti da noi il voto di fiducia né il voto per l'approvazione di questo disegno di legge finanziaria. Noi le neghiamo tutto questo, perché riteniamo che lei, signor Presidente del Consiglio, debba scendere giù dal pero. L'Italia non è una sua creatura, né un giocattolo con il quale fare ciò che vuole.
Nel nostro Paese vi sono milioni di cittadini che stanno morendo, perché non hanno lavoro e non hanno da mangiare. Concludo: signor Presidente del Consiglio, in queste condizioni lei non può continuare a comportarsi come quella caricatura di Hitler che tanto interpretava Chaplin, quando lo raffigurava tutto intento a giocherellare con il mappamondo, come se fosse una palla da gioco. Lei non può continuare a giocare con la pelle degli italiani, illudendoli ogni giorno che tutto va bene, mentre il Paese va in fiamme (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati del gruppo Partito Democratico)."


http://www.antoniodipietro.com/

Legge “Ammazzablog”

E’ un uragano di protesta contro “l’ammazza-blog”. Eccolo: un gruppo su Facebook “Salva i Blog, contro il disegno di legge anti blog alla Camera” che in tre giorni raccoglie più di 1000 iscritti e lancia una petizione. Un articolo-denuncia del sito specializzato Punto Informatico che riassume la vicenda e cita l’urlo del blog di Di Pietro che parla di “disobbedienza civile” se questa legge dovesse passare e già promette assistenza legale per i disobbedienti. C’è perfino chi rispolvera il meritato sberleffo del Times di Londra che l’anno scorso parlò di “geriatria” all’attacco dei blog nel sistema politico italiano, a quel tempo presidente del consiglio era Romano Prodi.

Il rischio è reale - Insomma c’è chi vuole - sostiene questo movimento - applicare ai blog quella forma di censura particolarmente odiosa che consiste nel registrarsi presso l’istituendo Registro deli Operatori della Comunicazione (ROC). Basta conoscere un minimo la rete per capire che questo obbligo sarebbe deterrente per chiunque volesse mettersi ad esporre le sue idee su internet. E non è che ci sia da star tranquilli: in questo paese è stato condannato per “stampa clandestina” un blogger singolo, un privato cittadino, da un giudice che evidentamente guarda al mondo di oggi con gli occhi degli anni ‘30 e che ignora che un blog semplicemente non è un giornale ma una forma diversa e nuova di esercizio della libertà d’espressione. Insomma l’aria non è buona e il senso di allarme dei blogger è motivato. Ma stavolta…. Uno pensa: un altro decreto con carattere d’urgenza che passerà a camere blindate? Un altro “graffio” alla costituzione tipo che se butti una lavatrice in strada a Torino ti multano e a Napoli ti sbattono in galera?

La libertà non muore in commissione VII - Non sembra che le cose stiano così: se si leggono con pazienza sia la premessa che l’articolato (sono 30 pagine, ebbene sì) della proposta di legge presentata in commissione VII dal deputato Levi, già collaboratore di Prodi, si vede che nel quadro di un disegno di legge molto ampio a un certo punto si esclude espressamente che l’obbligo di registrazione possa riguardare il singolo cittadino-blogger. Il testo si può leggere sul sito della Camera , anche se va detto che lo stesso deputato aveva presentato nel 2007 un testo analogo in cui questa specificazione era assente, fatto che procurò un’ondata di proteste molto forte e assai giustificata.

La zona grigia - Il comma 3, nel quale Levi ha esentato i blogger singoli dalla registrazione, non esaurisce, secondo i suoi critici, il problema. Si fa presente che poiché la registrazione sarebbe richiesta a chiunque realizzi con un gruppo di lavoro e con continuità dei profitti anche minimi sulla rete (con Google adsense c’è chi guadagna 100 euro al mese), questo aspetto potrebbe frenare lo sviluppo di tutta quella vasta “zona grigia” che sta fra il semplice blogging e i notiziari: le raccolte di contenuti tematici, si è detto perfino le “barzellette”. E si teme comunque che il peso deterrente dell’obbligo di registrazione finisca per pesare sulla forma d autoaggregazione libera che i blog intepretano.

Registriamo anche l’Onda? - Se non è ancora chiaro il problema, pensate a cosa sarebbe successo se il movimento degli studenti di queste settimane avesse dovuto porsi, prima di esprimersi, un problema di registrazione del blog. E in effetti - e questo è parere di questo blog che state leggendo - l’idea di inserire internet dentro una sistemazione generale dei media è bizzarra, votata all’insuccesso e potenzialmente pericolosa per la libertà di espressione in questo paese. Anche perché ormai i “mezzi” di internet non sono solo i blog: cosa fareste con i gruppi su Facebook o con twitter? Lasciare la rete fuori dalle “sistemazioni” generali sarebbe una buona e necessaria idea.

La libertà è una sola e la rete può pesare meglio - E però una cosa va detta anche al “movimento” che nasce in questi giorni. In realtà il nocciolo della faccenda qui sta in parte nella rischio “diffamazione” e dall’altra nel rischio “soldi” - visto che il disegno di legge si occupa anche di “sistemare” un quadro di soggetti che potrebbero accedere a finanziamenti pubblici. Ora stiamo al timore che qualcuno “ammazzi i blog”. Una proposta di legge non è un decreto che passa a camere blindate in sette giorni e nove minuti. Tra una proposta di legge in una commissione e un colpo di mano del governo c’è una differenza. Con il cammino istituzionale di un disegno di legge un’opinione pubblica nuova e informata può interloquire e far pesare la sua voce. Ma a patto di capire qual è la posta in palio . Ora gran parte degli opinionisti della rete ha taciuto in modo paradossale quando sono state discusse le norme sulla diffamazione dov’era in ballo il carcere per i giornalisti. Facile capire perché: “quelle riguardano il mainstream” si è pensato. Questa idea che ci sia una libertà dei giornalisti e una dei blogger è cieca e non vede il pericolo reale, che oggi sta in un “metodo” di decisione che sottrae ad ogni pubblico esame la decisione politica. La libertà non muore in VII commissione. E anche questo agitarsi senza mai leggere un testo originale, senza andare mai alla fonte, non è una gran botta di autorevolezza. Seguire una discussione istituzionale è noioso, certo, più facile firmare una petizione on line: poi siamo tutti più liberi. Con un click.

"Scene Digitali" di Vittorio Zambardino (La Repubblica del 13 novembre 2008)

Gli stipendi della mafia

"L'attività imprenditoriale delle mafie ha prodotto un'organizzazione interna tipicamente aziendale con tanto di manager, dirigenti, addetti e consulenti". Lo sottolinea l'undicesino Rapporto Sos Impresa presentato oggi dalla Confesercenti. "Oggi, i clan più potenti agiscono in un universo completamente diverso -si legge nel Rapporto- Prima di tutto, le attività criminali da casuali diventano permanenti, quotidiane. La gestione delle estorsioni, dell'usura, dell'imposizione di merce, dello spaccio di stupefacenti, necessita di un organico in pianta stabile, che ogni giorno curi la riscossione del 'pizzo', allarghi la 'clientela', diversifichi le 'opportunita'', conosca e tenga 'a bada' la concorrenza, salvaguardi regolare la sicurezza dell'organizzazione dai componenti 'infedeli' o dal controllo delle forze dell'ordine, gestisca e reinvesta il patrimonio". "Per questo gli affiliati sono inseriti con mansioni ben precise, percependo un stipendio: la 'mesata', che varia in base all'inquadramento, al livello di responsabilita' ed alla floridita' economica del clan di appartenenza. Quindi, è del tutto naturale che clan diversi riconoscano 'mesate' diverse per lo stesso lavoro svolto, a cominciare dagli stessi capi", afferma ancora il Rapporto che quantifica le 'mesate' in base ai ruoli, con una 'forbice' che va dai 10mila-40mila euro del capo clan, di fatto un amministratore delegato, fino ai 1.000 euro del gradino più basso della scala gerarchica, quello rappresentato dagli spacciatori minorenni. Al di sotto del capo clan si collocano i capo zona remunerati ciascuno con 7mila-10mila euro, i loro vice che guadagnano 'mesate' di 5mila-6mila euro, quindi gli esattori, gli spacciatori maggiorenni e le sentinelle che incassano tra i 1.500 ed i 2mila euro. "Il gruppo di comando si comporta come un qualsiasi Consiglio di Amministrazione. Il capo cosca -esemplifica il Rapporto- funge da Amministratore delegato e deve rendere conto periodicamente ai 'soci' dell'andamento economico e finanziario dell'azienda-clan, e discutere con essi le strategie 'aziendali', condividere le operazioni e gli investimenti più rilevanti, nonché risolvere le questioni interne all'azienda-clan, che potrebbero minarne la compattezza e la solidità. Solo in questo modo si spiega il ritrovamento di numerosi 'libri mastri', ora con l'elenco delle imprese sottoposte al racket, ora con il numero degli affiliati e la 'mesata' percepita. Si è così scoperto che i clan, attenti alle proprie 'risorse umane', riconoscono premi di produzione ai 'picciotti' ed, in alcuni casi, pagano addirittura gli straordinari". "Non è solo un modo di tenere aggiornato l'elenco dei 'clienti pagatori', ma di avere una aggiornata contabilita' delle entrate e delle uscite per informare i 'soci' sugli affari del clan. Oggi -conclude a questo proposito il Rapporto- alla luce di questi ritrovamenti, siamo in grado di quantificare con maggiore precisione il giro d'affari delle mafie, ma soprattutto conoscere meglio l'organizzazione interna, il modus operandi dei diversi clan e le regole interne".

Fonte: adnkronos

http://www.siciliainformazioni.com/giornale/cronacaregionale/34278/ecco-stipendi-della-mafia-mesate-vanno-mila-euro-1000-minorenni.htm


sabato 8 novembre 2008

Visita in Myanmar

Bombardati giornalmente da notizie, più o meno amplificate dai media, spesso ci si dimentica delle tragedie o di problematiche importanti o, peggio ancora, si rimane nell'indifferenza, come per la recente guerra fratricida in corso nel Congo della quale pochi danno conto.
L'amico Marco, di ritorno dal Myanmar (ex Birmania) scrive nel suo blog un articolo che condivido in pieno e che credo meriti attenzione:


"L'anno scorso durante un incontro con un sindalista birmano in esilio ebbi una lunga discussione sul boicottaggio del turismo in Myanmar, cosa su cui non mi trovavo assolutamente d'accordo in quanto la storia dimostra che solo l'apertura al turismo ha permesso l'emergere di un'opinione pubblica a conoscenza del problema del Tibet, però non potevo che dare maggior ascolto a chi lì ci vive. Certo il turismo rappresenta una voce del bilancio del famigerato regime che comanda il Myanmar con il pugno di ferro (repressione, torture, lavori forzati, traffici illeciti, corruzione altissima, ecc.ecc.) ma a mio parere non è certo una delle voci più importanti di un bilancio in cui trovano una posizione ben più importante gas naturali, rubini, legno pregiato, eroina, ecc.ecc. materiali di cui si servono anche ben note aziende italiane. Torno in questo paese dopo 14 anni in cui avevo sempre avuto il desiderio di rivisitare questa magnifica terra e l'interesse era aumentato dopo i drammatici episodi dell'anno scorso. Certo non è facile capire cosa è successo , non si possono certe fare domande liberamente ma le occasioni per capire qualcosa arrivano, l'importante è non mettere mai in pericolo l'interlocutore. I monaci hanno subito una repressione durissima, molti sono stati spediti in galera e probabilmente sottoposti a torture e utilizzati nei lavori forzati (uno dei motivi per cui stare attenti alla scelta degli hotel ed evitare con accuratezza i campi da golf, che sembrano tutti costruiti con questo metodo economicamente risparmioso ed eticamente criminoso), i più fortunati sono stati rispediti ai villaggi natii o vagano solitari per le città con alcuni evidenti segni di percossa e lo sguardo triste e deluso (le città implicate nella "famosa" ribellione dei monaci sono state in particolare Yangon, Mandalay e la regione del Rakhine); in alcuni monasteri importanti l'esercito ha fatto irruzione la notte distruggendo e picchiando ma soprattutto nascondendo giornali pornografici, preservativi e anticoncezionali per una successiva perquisizione della polizia che cercava così di convincere la gente che questi non erano veri monaci, e per concludere adesso c'è il forte sospetto che ci siano un sacco di infiltrati sotto le rosse vesti dei monaci. Oltre alla protesta dei monaci con successiva repressione che tutto il mondo ha potuto seguire per qualche giorno, niente si sa di massacri periodici come quello avvenuto in un paesino vicino a Mandalay mentre stava passando in mezzo alla gente una donna esponente del partito di opposizione, occasione per un improvviso attacco dell'esercito che secondo l'opposizione ha causato circa 400 morti e secondo il governo solo tre feriti, ma testimoni oculari raccontano di poliziotti e militari impegnati per ore a razziare vestiti, oggetti e motorini tra i corpi delle vittime ... come sapere se questa notizia è più o meno vera, non c'è possibilità ma la sensazione di essere molto vicini alla verità è decisamente forte.
Approfitto della mia visita birmana per portare due sacchi di medicinali ad una persona che già conoscevo e che sicuramente ne farà un ottimo uso, gli portiamo anche dei soldi ma è meglio per lui nasconderli da un amico prima di tornare al villaggio, lungo la strada passerebbe da almeno 6 check-point e la possibilità di vedersi sequestrare i soldi sarebbe decisamente molto alta. La gente è adesso ad uno stato di povertà notevole, tantissime le persone che vivono e dormono per strada, le rive dell'Irrawaddy assomigliano a delle baraccopoli e non manca di vedere scene cittadine di bambini piccolissimi che si arrangiano per sopravvivere ... il governo non ha un piano economico malgrado sul giornale di regime siano sempre riportati in bella vista i 12 punti nevralgici dello pseudo programma e quindi le possibilità di sviluppo sono pochissime, questo fa preoccupare anche perchè non mancano i conflitti etnici con ben 10 gruppi armati che fronteggiano il governo, tanta voglia di vendetta nelle classi più povere e malfamate per cui un'eventuale improvviso crollo del governo potrebbe lasciare il posto ad un conflitto sul tipo yugoslavo, questo è uno dei motivi per cui i più moderati sperano in una crescita economica precedente ad un cambio di potere, cosa che però non sembra di facile accadimento. La zona shan è molto militarizzata malgrado da anni tenga una tregua tra questa numerosa minoranza e il governo, però tutte le famiglie con due maschi ne danno uno all'esercito shan che rifiuta di amalgamarsi in quello ufficiale, il famigerato Tatmadaw, ed è sempre pronto ad un eventuale conflitto, grazie anche alle armi provenienti dal vicino confine cinese. Nella zona di Taungyy mi capita di vedere un immenso complesso carcerario in cui pare soggiornino 3000 prigionieri politici, una cifra assurda e inverificabile. Lungo le poche strade accessibili anche ai turisti non mancano i tanti check-point, e spesso l’autista passa senza fermarsi ma sporgendo dal finestrino l’immancabile banconota. Molte sono le nuove zone aperte al turismo ma non mancano grosse difficoltà per gli spostamenti ... tanti i divieti per trasferimenti terrestri, quindi bisogna affidarsi agli aerei con voli interni spesso cancellati all'ultimo secondo o anticipati o posticipati per cui non mi manca di incontrare turisti bloccati da giorni nello stesso posto, il tutto malgrado il fatto che il turismo sia ripreso da pochi mesi e conti pochissime unità. Se ci fosse un milione di turisti che visita il Myanmar come farebbe il governo a controllare, come potrebbe non esserci un'influenza culturale verso la popolazione? Nel frattempo la grande mamma Cina fa i suoi interessi e porta avanti l'importante progetto di un oleodotto in territorio birmano che farebbe sì che per il suo approvvigionamento energetico non abbia più bisogno di pagare tasse a Singapore o alla Malesia o ad altri paesi. Solo nei grandi alberghi ogni tanto è possibile vedere CNN o BBC, gli internet cafè funzionano anche se spesso con lentezza ma è impossibile l'accesso a molti siti, tutti bloccati i blog ... ma in tutti i bar è possibile seguire il calcio, in particolare quello inglese, agli incroci i ragazzini che vendono quotidiani concedono tre scelte ma sono tre diversi magazine calcistici, l'oppio dei popoli è sempre molto utile!
Inutile dirlo, il mio consiglio è quello di andare in Myanmar, di utilizzare soprattutto privati e di non organizzare tutto con le agenzie turistiche, spesso in joint venture con il governo così da creare il più indotto possibile, come ho fatto io organizzando un viaggio per
Avventure nel mondo, e adesso il mio obbiettivo è di tornarci ancora magari per un Burma tribale, un viaggio che mi consenta finalmente di visitare Mrauk-U ma anche di camminare tra le tante interessantissime etnie di questo favoloso e sfortunato paese. Ho cercato di fare due passi in University Road davanti alla casa di Aung San Suu Kie ma per gli occidentali è impossibile e inoltre davanti alla casa stazionano due mezzi della Croce Rossa, ma sono pieni zeppi di militari armati e non di infermierine!
Tra le curiosità ho notato uno smisurato uso di elmetti tedeschi con tanto di svastica al posto dei caschi, ma considerando che molti non sanno nemmeno che gli americani sono sbarcati sulla luna, è solo un caso, o meglio c'è qualcuno che sfrutta l'ignoranza per fare commerci e vendere caschi inutili in caso di incidente. Vanno sempre di moda i grilli, piatto prelibatissimo. E tornando al tema turistico tanti sono i posti di grande interesse e bellezza che possono essere una buona motivazione per visitare questo meraviglioso paese, dimenticandosi che spesso si pagano dollari di admission fee rendendo impossibile il non sovvenzionamento del governo ma è anche impossibile non comprare qualche oggetto dalle simpatiche bambine che stazionano attorno ai templi, per cui famiglie sopravvivono dignitosamente grazie proprio al turismo. Come dimenticare la sensazione di camminare in silenzio tra gli stupa di Kakku pur assorbiti nel tinntinnio eterno delle tante campanelle.
No, io resto contro il boicottaggio turistico che serve solo a rafforzare un sistema già chiuso! Però consiglio fortemente prima di partire di informarsi bene e di ragionare leggendosi tutto il capitolo sulle ragioni del boicottaggio o meno su una guida importante come quella pubblicata dalla Lonely Planet."


Marco Cavallini (http://marcaval.blogspot.com/)