Il viaggio del Papa, le paure dell' India LE RAGIONI DEGLI ALTRI Una delle principali ragioni dei conflitti e, al limite, delle guerre e' che chi si trova da una parte non capisce le ragioni di quelli che sono dall'altra. La situazione si aggrava quando chi, trovandosi a raccontare quei conflitti o quelle guerre, si schiera con gli uni o con gli altri, ne rinforza così i pregiudizi e con ciò contribuisce a rendere ancor più irriconciliabili le due posizioni. La visita del Papa in India, col seguito di giornalisti che parlano solo con i suoi portavoce o con alcuni rappresentanti dei cristiani di qui, è un caso tipico di rappresentazione parziale della situazione: da un lato ci sarebbero le vittime, le suore, i sacerdoti e i missionari, dall'altro i boia, le masse urlanti dei “fondamentalisti indù", per l' occasione stranamente messi nello stesso fascio dei loro più acerrimi nemici, i fondamentalisti islamici. Le ragioni percui i cristiani qui si sentono ora minacciati e perseguitati sono ben descritte. Ma le ragioni degli altri? Nessuno sembra troppo preoccuparsene. Forse è perchè da cinque anni vivo in India e faccio un punto di stabilire dei rapporti con “gli altri", che mi e' stata recapitata una lettera originariamente indirizzata al Papa, ma molto probabilmente persasi per strada e non fatta arrivare nelle mani del destinatario. La lettera è scritta da Swami Dayananda Saraswati, un noto monaco indiano, rifondatore dell' insegnamento vedantico ed uno degli ideologi - il più moderato - del movimento di rinascita induista. La lettera in due paginette rispettose e concilianti spiega appunto le “ragioni" degli altri e cerca di attirare l'attenzione del Pontefice sul nocciolo del conflitto così come esso è visto dagli induisti. I punti della lettera sono questi: - l'India è un Paese di antica civiltà e con una cultura religiosa che non ha difficoltà ad accettare le varie tradizioni religiose arrivate qui attraverso i secoli; - la Chiesa con il Vaticano Secondo ha sì riconosciuto il valore delle varie religioni, ma solo come mezzi per preparare al Cristo, e questo preoccupa milioni di indù perchè implica una teologia di conversione; - le religioni si distinguono fra quelle che convertono, come il Cristianesimo e l' Islam, e quelle che non convertono, come l'Induismo, l'Ebraismo e lo Zoroastrismo. Le prime sono necessariamente “aggressive", le seconde no; - le conversioni sono una intrusione nel profondo di una persona e tendono a distruggere comunità e culture vecchie di secoli. Le conversioni sono una forma di violenza e come tali generano violenza; la libertà di praticare la propria religione è un diritto naturale di tutti, ma libertà di religione non può significare aver un programma di conversioni, perchè un tale programma è un' aggressione nei confronti della libertà religiosa altrui; - ogni religione ha una sua bellezza ed il mosaico delle diverse religioni non fa che arricchire l' insieme dell' umanità . La lettera al Papa conclude: “Durante gli anni del Suo pontificato, Lei ha notevolmente contribuito a cambiare certi atteggiamenti della Chiesa. In nome delle religioni non aggressive del mondo e delle religioni locali dei vari Paesi, io Le chiedo di bloccare le conversioni e di creare le condizioni in cui tutte le culture religiose possano vivere e lasciar vivere". L' appello, già formulato due anni fa in occasione di una conferenza interreligiosa organizzata dalle Nazioni Unite, alle quali si chiedeva ugualmente di intervenire in questo senso per evitare l'acuirsi dei conflitti religiosi nel mondo, è chiaro e deve essere capito nel contesto di una cultura, come quella indiana, che, pur non volendo isolarsi dal resto del mondo, cerca a suo modo di mantenere, ed oggi - con il Bjp (Partito nazionalista indiano) al governo - di rafforzare, la sua identità. La religione ne è una parte fondamentale e la parola “conversione" è un anatema perchè suscita ricordi di umiliazioni e sconfitte subite dagli indiani secoli fa quando gran parte del Paese venne sopraffatto dagli invasori musulmani. Centinaia di migliaia di indù vennero allora convertiti a fil di spada all' Islam e centinaia di templi indù vennero abbattuti per essere rimpiazzati da moschee. Furono quelle conversioni a creare le condizioni percui al momento dell'indipendenza dall'Inghilterra il Paese venne arbitrariamente spaccato in due tronconi: il Pakistan, a maggioranza musulmana, e l'India, a maggioranza indù. Sono state quelle conversioni di quasi 500 anni fa e quella spaccatura del 1947 a dare origine al più grande conflitto interno che ancor oggi indebolisce e di tanto in tanto insanguina il Paese. Il Cristianesimo non è mai stato in questo senso una minaccia paragonabile a quella musulmana: non solo perchè la percentuale di cristiani sull' intera popolazione è insignificante, ma perchè il Cristianesimo, con la sua presenza qui di quasi duemila anni, è diventato a suo modo una delle tante religioni indiane ed una in cui gli indiani riconoscono vari aspetti della loro. Il fatto che quella religione sia poi stata complice del colonialismo non la rende particolarmente invisa in un Paese in cui le tracce di quel tempo sono ancora dovunque e dove i “colonizzatori" sono generosamente ricordati come “parte della nostra storia". La preoccupazione nei confronti delle conversioni cristiane ha a che fare con la progressiva introduzione nel Paese di tutto ciò che la modernizzazione, vista soprattutto come occidentalizzazione, comporta. Nuovi prodotti, nuove idee, nuovi valori stanno lentamente mutando il modo di vivere e di pensare degli indiani, specie quelli urbanizzati. Da qui la reazione di quelli - e sono ancora tantissimi - che cercano di impedire all'India di diventare un Paese “globalizzato", un Paese come tutti gli altri. Per questo i politici di qui simbolicamente non si vestono, come ormai fanno i dirigenti cinesi, con giacca e cravatta. Per questo qualcuno si chiede giustamente perchè si debba presto celebrare anche qui la fine di un secondo millennio, calcolato secondo un calendario fondato sulla nascita di Cristo, il cui nome non sarebbe che una variazione del dio Krishna nato in India molto prima e la cui capitale, ora sotto il mare, è appunto oggetto di grandi scavi archeologici per essere riportata alla luce.
Terzani Tiziano - lunedi , 08 novembre 1999
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