mercoledì 17 dicembre 2008

IN ATTESA DI PROSSIMI FUNERALI IMMANI (ELOGIO ALLA COMMEMORAZIONE DA VIVI)

Basta commemorare i morti! Commemoriamo i vivi! Crogioliamoci nelle loro doti e nelle loro grandezze (se le hanno), prima che diventino grandezze e doti obbligatorie (perchè soprattutto morti e magari mai le hanno avute). Mi riferisco al comune uomo della strada (anche nel senso di investito), ma anche e specialmente, all’uomo pubblico, all’artista e compagnia. Appena morti si specializzano, si lavano, si innalzano, migliorano a vista di corteo o di omelia, e il ricordo fa’ il resto. La cara e bella e sconosciuta memoria comincia il suo lavoro, ma con la morte che gli punta l’arma alla tempia: lavora coatta, coartata, impura, impaurita. I ricordi privati o meglio privi, cominciano a diventare pubblici, comuni, e sbocciano cosi’ gli arrotondamenti per eccesso, le virtù indotte, le inesistenti curiosità se si e’ vivi, che diventano inestimabili bellezze se si e’ morti….Il rosa e’ rosso, ma il nero e’ grigio, o addirittura non esiste nemmeno più come colore (diventa dolore?): ci si raccoglie intorno a una idea di morto e di morte, più che a quel morto; si piange il pianto, si cerca di cercare, si fa le manicure all’anima, che forse in certi casi non ha nemmeno unghie o dita, si parla della vita, più che di “quella” vita, chissà morta da quando (nel migliore dei casi). I preti, si sa, preticano standard, il più delle volte, avvolti nella giusta scusa calda, se non altro giustificati dal fatto che più o meno, un morto vale l’altro, perchè tutti uguali davanti al divino; ma gli uomini non preti? Come si fa a non accorgersi dell’omologazione (non piace neanche a me questa parola), del tepore sdolcinato, rispettosamente sussieguioso un pò debole o, spesso vile e povero, travestito da pietà o compassione (pietà e compassione che se fosse vera pietas e vero patire con allora sì meriterebbero d’essere!). Certo che devo e voglio lasciare a chi era legato da legami di sangue, ogni tipo di parole pensieri e azioni; mi spiego meglio: certo che lascio ai cosi’ detti parenti, agli amati amanti, ai figli veri, e cosi’ sia, certo che lascio dicevo tutta la ricreazione possibile per far tornare in mente il defunto, ma gli altri, i passanti, i conosciuti sconosciuti, gli apparenti, i dovuti e i risarcenti, gli eravamo identici, gli eccoci qui raccolti, tutti gli altri noi? Che c'entrano e cosa vogliono centrare? Perché non lo fanno in vita, con il “morirà” invece che con “l’appena morto”? Cosa sono tutte quelle esternazioni salvifiche, sdoganate anche dal fatto che il morto non può più sbagliare? E se ha sbagliato e molto, possibile che per contratto di contrizione ci sia totale sparizione, a cui subentra spesso ma volentieri sproloquiante esaltazione? (Che persona, che classe, che sensibilità, che unicità, che onesta’, che irreprensibilità che simpatico anonimo, che dolce cattivo, che superbo generoso, che insensibile birichino, che bel brutto, ecc ecc). Non voglio mettere in discussione le varie sincerità dei sentimenti (comunque un giorno mi piacerebbe farlo), sto solo pensando come sarebbe bello fare tutto questo rito incensatorio quantomeno prima, se la persona e’ qualcosa di talmente ricordabile, da piangergli davanti mentre ti dice grazie di quello che pensi, o addirittura mentre gli dici che ti manca anche quando c’è? E allora dai, piangiamo nostro padre dalla gioia dell’esserci, del fare, e del dire mentre può accadere ancora o mentre sta avvenendo: allocco chi aspetta di perderlo, per averlo perso; spettatori, pubblico, gente, tutti, scendiamo nelle piazze di chi conta e raccontiamogli il piacere di viverlo prima del dispiacere di averlo perso! Facciamo assembramenti per gli imperdibili e speciali parenti viventi, per i buoni orafi, benzinai esercenti, poliziotti, operai, dame, e demoni, per gli emergenti, industriali abbaglianti, scrittori scriventi, personalità illuminanti; facciamo contento lui prima che muoia che tristi e soli noi dopo la loro morte……Cerchiamo di non ipotecare come sarebbe aumentata la sua grandezza se non fosse morto, ma di stare adesso a parlare di quello che rappresenta di alto o di basso, di unico o di irripetibile….. Tutto questo prima di diventare “parenti che gli si stringono attorno come si sente dire orrendamente con dignità compostezza e signorilità” (come se poi chi davanti alla morte invece si scompone e urla strazio, perdesse signorilità! Quale? E chi può parlare di stile? Un giornalista che deve pur terminare un articolo? Lo stilista del dolore? Il famoso di turno che non vuole perdere l’ennesimo turno per essere sempre più famoso? Perché si deve parlare di educazione e galateo del ceto dei parenti?). Al diavolo l’angelico morto se era già angelo da vivo e noi non glielo abbiamo mai saputo cantare in nessun “funerale da vivo”. Cominciamo a commemorare i vivi, viva i cortei preventivi, le omelie per i non ancora andati! Piangiamoli di bene se vale la pena davvero che siano vivi! Se dobbiamo “morire” facciamolo da vivi!

ALESSANDRO BERGONZONI

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