Il termine "Pool" sta ad indicare "un gruppo di lavoro" composto da magistrati incaricati di seguire, nell'ambito di un Ufficio Giudiziario, un'unica, complessa inchiesta, mediante una suddivisione di compiti ed una collegialità di decisioni, comunque riferibili sempre alla responsabilità del Capo dell'Ufficio. Oggi, con il nuovo Codice di Procedura Penale, l'esistenza di questi gruppi di lavoro nelle più importanti Procure della Repubblica (in particolare, Milano, Firenze, Napoli, Reggio Calabria e Palermo) è un fenomeno diffuso e ricorrente, previsto e disciplinato dal Codice stesso. Così non era, invece, quando sorsero i primi "pool" presso alcuni Uffici istruzione (il nuovo codice, come è noto, ha abolito la figura del Giudice Istruttore), prima per le inchieste contro il terrorismo e poi per quelle relative ai delitti di mafia. Il Dr. Antonino Caponnetto ricorda qui appresso l'esperienza da lui vissuta dal novembre 1983 al marzo 1988 - nel costituire e coordinare il "pool antimafia" presso l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo (vedasi, per più precisi riferimenti, il suo libro "I miei giorni a Palermo", edito da Garzanti).
La scelta degli individui
Sin dal momento in cui il Consiglio Superiore della Magistratura accolse la mia domanda di lasciare la Procura Generale di Firenze e di andare a prendere il posto del compianto Rocco Chinnici, Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, barbaramente ucciso il 29 luglio 1983 dalla mafia per il suo coraggioso impegno contro la criminalità organizzata, iniziai a concepire il progetto di costituire, non appena fossi arrivato nel nuovo ufficio, un "pool" di quattro o cinque magistrati che si occupassero "a tempo pieno" ed in via esclusiva dei processi di mafia: ciò al duplice fine di frazionare i rischi personali mediante lo scambio e la circolazione delle informazioni e di assicurare una visione organica e completa del fenomeno mafia in tutte le sue manifestazioni delittuose. Naturalmente, nello scegliere i componenti del "pool", pensai subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio da lui già acquisiti: il processo contro le famiglie Spatola, Gambino ed Inzerillo, da lui istruito nel 1980 con particolare cura per le indagini bancarie e patrimoniali (elemento di novità questo per le inchieste di mafia), aveva retto a meraviglia al vaglio del dibattimento.
Un altro nome da inserire necessariamente nel "pool" mi parve quello di Giuseppe Di Lello, il pupillo di Rocco Chinnici, per l'approfondita conoscenza del fenomeno mafioso, da lui palesata in numerosi convegni e scritti. A questo punto la scelta vincente nel determinare la composizione del "pool" mi venne dal suggerimento di Falcone di "recuperare" - usò proprio questo termine - Paolo Borsellino, che egli mi descrisse come elemento di grandissimo valore. Erano cresciuti insieme e nessuno meglio di lui conosceva Paolo, che stava attraversando un periodo difficile, anche di avvilimento nel lavoro, perché gli venivano assegnati solo processi di routine e si sentiva escluso dai grandi processi di mafia, in cui riteneva (dopo le indagini sull'omicidio del Capitano dei carabinieri Emanuele Basile nel 1980), di poter ancora svolgere un ruolo di rilievo. Ho ripensato spesso, in questi ultimi anni, e non senza grave turbamento (e quasi con un senso di colpa) al peso che sul tragico destino di Paolo ha avuto quella mia decisione di dare ascolto a Giovanni Falcone. Non conoscendo sufficientemente gli altri giudici istruttori, ed essendoci fra loro qualcuno su cui non potevo fare affidamento, completai il gruppo di lavoro includendovi il giudice più anziano, Leonardo Guarnotta, secondo un criterio oggettivo che nessuno avrebbe potuto contestare e che si rivelò felice.
L'esperienza dei colleghi
Così nacque il "pool", nel novembre 1983, con un provvedimento meditato ed articolato, per il quale mi vennero in aiuto Giancarlo Caselli e Ferdinando Imposimato, cioè i magistrati che avevano già fatto esperienze analoghe con i processi di terrorismo negli Uffici Istruzione - rispettivamente - di Torino e di Roma. Chiesi loro in particolare, come fosse stato superato l'ostacolo di fondo costituito dal fatto che il codice di Procedura Penale del tempo configurava il "giudice istruttore" come Ufficio rigorosamente monocratico ossia non collegiale e non prevedeva la formazione di "gruppi di lavoro" tra giudici istruttori. I due colleghi furono gentilissimi e mi mandarono copia dei provvedimenti emessi nell'ambito delle rispettive inchieste. Li studiai e ne venne fuori un documento che prendeva un po' dall'uno e un po' dall'altro e col quale, in sostanza, da un lato assegnavo il procedimento a me stesso, così rispettando la monocraticità del Giudice istruttore, e nel contempo, in considerazione della complessità del procedimento della molteplicità degli atti da compiere, delegavo il compimento di singoli atti, anche collegialmente, ai quattro magistrati di mia fiducia, e ciò in applicazione, per la verità piuttosto estensiva e leggermente forzata, di una norma regolamentare che prevedeva il potere di "delega" a singoli giudici istruttori da parte del consigliere Istruttore. Mi precisò Caselli che il provvedimento adottato presso l'Ufficio Istruzione di Torino era stato impugnato dai difensori dei terroristi, ma aveva resistito al vaglio della Cassazione. Anche il mio provvedimento sul "pool" venne impugnato nelle varie fasi processuali, ma sempre riconosciuto legittimo. Nell'adottarlo mi ero reso perfettamente conto dell'importanza della decisione, della sua delicatezza e dei rischi cui andavo incontro per questo mi misi al fianco uomini di sicuro affidamento. Quasi ogni sera, quando il lavoro di ognuno lo consentiva, ci incontravamo, inizialmente nel mio ufficio. In seguito, per ragioni di sicurezza, venne attrezzato il "bunker" di Falcone, al piano ammezzato, e lì ci incontravamo. Queste riunioni, che non hanno mai conosciuto serie divergenze fra di noi, avevano lo scopo di tenerci reciprocamente informati sugli sviluppi dell'istruttoria e di individuare, di volta in volta, le principali direttive di lavoro.
L'efficacia dello strumento
Fu proprio la disponibilità di uno strumento agile ed affiatato quale il "pool" che ci consentì di utilizzare al meglio, a partire dal 1984, le dichiarazioni dei primi "collaboratori di giustizia", come Buscetta, Contorno, Sinagra ed altri (erano appena 54 i "collaboratori" da noi utilizzati, a supporto e convalida delle nostre indagini, nel primo "maxiprocesso", conclusosi - come è noto - innanzi alla prima sezione penale della Corte di Cassazione - Pres. Valenti - in udienza 30 gennaio 1992, col pieno riconoscimento sia della validità dell'impianto istruttorio sia della totale credibilità dei "collaboratori"). La composizione del nostro "pool" subì alcune variazioni nel corso degli anni 1986-1987, dapprima per la necessità di sostituire Paolo Borsellino (nel frattempo trasferito a Marsala come capo di quella Procura della Repubblica) ed in seguito per le accresciute esigenze di lavoro e per poter seguire con la necessaria cura gli sviluppi dell'istruttoria, racchiusa ormai in circa un milione di fogli processuali. Entrarono così a far parte del "pool" altri tre giudici istruttori, giovani e valenti: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte. Giova qui ricordare che i primi due sono oggi (1997 n.d.r.) tra i più preziosi collaboratori del Dr. Giancarlo Caselli nel "pool" istituito in seno alla direzione distrettuale antimafia operante presso la Procura della Repubblica palermitana essi rappresentano, in certo senso, la continuità tra il mio vecchio "pool" e quello attuale in funzione presso detta Procura, ed hanno concorso a trasferire nel nuovo gruppo di lavoro il rigore dei metodi di indagine a suo tempo introdotti e praticati presso l'Ufficio Istruzione.
La fine del Pool
La fine del "pool" da me creato, comunque destinato a cessare con l'avvento del nuovo codice di Procedura Penale (che, introducendo il rito accusatorio, ha abolito la figura del Giudice Istruttore), venne - di fatto - anticipata dalla nuova e discutibile "filosofia di lavoro" introdotta, dopo il mio ritorno a Firenze nel marzo 1988, dal nuovo consigliere istruttore dr. Antonino Meli, nominato a tale incarico nel gennaio 1988 in virtù della sua anzianità di servizio, che lo fece inspiegabilmente preferire a Giovanni Falcone in una drammatica seduta notturna del Consiglio Superiore della Magistratura in cui una improvvisata maggioranza non tenne in alcun conto la specifica competenza professionale e l'indiscusso prestigio internazionale che facevano di Falcone il mio naturale, insostituibile successore. Quella notte, come ho scritto altre volte, Giovanni Falcone "cominciò a morire", anche per la violenta campagna di delegittimazione attuata contro di lui, con ritmo sempre crescente, da diversi organi di stampa. Voglio qui ricordare come di fronte agli aperti contrasti, divenuti via via insanabili, tra Falcone e il suo nuovo capo e di fronte alla paralisi che si era venuta a creare nel funzionamento del "pool" presso l'Ufficio Istruzione, Paolo Borsellino, con la sua consueta generosità, sentisse il bisogno di lanciare un grido d'allarme da Marsala, peraltro non recepito dal Consiglio Superiore della Magistratura, mentre Di Lello e Conte decidevano di dimettersi dall'incarico. Nonostante questi ultimi, incresciosi avvenimenti rimane nel mio animo il ricordo di una esperienza esaltante ed irripetibile, anche se quel ricordo si accompagna oggi a profonda tristezza per i tragici eventi del 23 maggio e del 19 luglio 1992.
Antonino Caponnetto
Caponnetto nasce il 5 settembre 1920 a Caltanissetta, dal 1930 in poi risiede in Toscana, prima a Pistoia ed in seguito a Firenze. Nel 1954 diventa magistrato e svolge la sua attività soprattutto nella regione adottiva, fino al 1983. Nel novembre dello stesso anno Caponnetto, a sua domanda (presentata dopo l'uccisione per mano di Cosa Nostra di Rocco Chinnici, capo dell'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo), ottiene il trasferimento a quell'ufficio in prima linea nella lotta alla mafia. "La Sicilia ha pagato un alto tributo di sangue: spero che adesso ci lascino lavorare in pace" disse il giorno del suo insediamento. Iniziarono così cinque anni di trincea e di soddisfazioni professionali. Ispirato dalla strategia di Caselli ed Imposimato nella lotta contro il terrorismo, inventò, forzando le regole procedurali, e diresse il pool antimafia. L'idea fu quella di creare un gruppo di lavoro che si occupasse a tempo pieno e in via esclusiva dei processi di mafia, frazionando così i rischi e assicurando una visione organica e completa del fenomeno. Accanto a sé chiamò Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il lavoro del pool portò al primo maxiprocesso contro Cosa Nostra conclusosi con una raffica di condanne; ormai passate in giudicato. Agli atti, per la prima volta, finirono le dichiarazioni di pentiti come Tommaso Buscetta. Nel marzo 1988 Caponnetto lascia il Tribunale di Palermo per fare ritorno a Firenze (dopo quattro anni e quattro mesi di vita in caserma); indicando in Falcone il suo successore. Il Csm gli preferì Antonino Meli seguendo criteri di anzianità e Caponnetto non nascose la sua amarezza per questa decisione. Nel 1990 va in pensione col titolo onorifico di Presidente Aggiunto della Corte Suprema di Cassazione. Pianse al momento della morte di Falcone, ebbe un momento di sconforto ai funerali di Borsellino, disse che era "tutto finito", ma il suo impegno dal 1992 è stato continuo, nonostante l'età e i problemi di salute. Incontra i giovani di tutta Italia per trasmettere ad essi il culto della legalità e della solidarietà e per infondere nei loro animi fiducia, coraggio e speranza. L'impegno in politica con la Rete lo portò ad essere nel 1993 il candidato più votato alle amministrative di Palermo, dove per un breve periodo divenne presidente del consiglio comunale. Nel 1994 gli è stata conferita la laurea "honoris causa" in Scienze Politiche presso l'Università di Torino. Le mille interviste, la partecipazione e la promozione di convegni, la creazione di una fondazione intitolata a Sandro Pertini, da ultimo il sostegno per il movimento dei Girotondi. E' stato cittadino onorario di Palermo e Catania, per tre volte candidato a senatore a vita con raccolte di firme. A fargli gli auguri per i suoi 80 anni, anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Li festeggiò in famiglia, con la moglie, i tre figli, i cinque nipoti e nel cuore il ricordo di Falcone e Borsellino: "Li sento sempre vivi, più vivi che mai. Ho l'impressione che veglino dall'alto proprio su di me".
Il 6 dicembre 2002 muore in una clinica fiorentina dopo una lunga malattia.
La scelta degli individui
Sin dal momento in cui il Consiglio Superiore della Magistratura accolse la mia domanda di lasciare la Procura Generale di Firenze e di andare a prendere il posto del compianto Rocco Chinnici, Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, barbaramente ucciso il 29 luglio 1983 dalla mafia per il suo coraggioso impegno contro la criminalità organizzata, iniziai a concepire il progetto di costituire, non appena fossi arrivato nel nuovo ufficio, un "pool" di quattro o cinque magistrati che si occupassero "a tempo pieno" ed in via esclusiva dei processi di mafia: ciò al duplice fine di frazionare i rischi personali mediante lo scambio e la circolazione delle informazioni e di assicurare una visione organica e completa del fenomeno mafia in tutte le sue manifestazioni delittuose. Naturalmente, nello scegliere i componenti del "pool", pensai subito a Falcone per l'esperienza ed il prestigio da lui già acquisiti: il processo contro le famiglie Spatola, Gambino ed Inzerillo, da lui istruito nel 1980 con particolare cura per le indagini bancarie e patrimoniali (elemento di novità questo per le inchieste di mafia), aveva retto a meraviglia al vaglio del dibattimento.
Un altro nome da inserire necessariamente nel "pool" mi parve quello di Giuseppe Di Lello, il pupillo di Rocco Chinnici, per l'approfondita conoscenza del fenomeno mafioso, da lui palesata in numerosi convegni e scritti. A questo punto la scelta vincente nel determinare la composizione del "pool" mi venne dal suggerimento di Falcone di "recuperare" - usò proprio questo termine - Paolo Borsellino, che egli mi descrisse come elemento di grandissimo valore. Erano cresciuti insieme e nessuno meglio di lui conosceva Paolo, che stava attraversando un periodo difficile, anche di avvilimento nel lavoro, perché gli venivano assegnati solo processi di routine e si sentiva escluso dai grandi processi di mafia, in cui riteneva (dopo le indagini sull'omicidio del Capitano dei carabinieri Emanuele Basile nel 1980), di poter ancora svolgere un ruolo di rilievo. Ho ripensato spesso, in questi ultimi anni, e non senza grave turbamento (e quasi con un senso di colpa) al peso che sul tragico destino di Paolo ha avuto quella mia decisione di dare ascolto a Giovanni Falcone. Non conoscendo sufficientemente gli altri giudici istruttori, ed essendoci fra loro qualcuno su cui non potevo fare affidamento, completai il gruppo di lavoro includendovi il giudice più anziano, Leonardo Guarnotta, secondo un criterio oggettivo che nessuno avrebbe potuto contestare e che si rivelò felice.
L'esperienza dei colleghi
Così nacque il "pool", nel novembre 1983, con un provvedimento meditato ed articolato, per il quale mi vennero in aiuto Giancarlo Caselli e Ferdinando Imposimato, cioè i magistrati che avevano già fatto esperienze analoghe con i processi di terrorismo negli Uffici Istruzione - rispettivamente - di Torino e di Roma. Chiesi loro in particolare, come fosse stato superato l'ostacolo di fondo costituito dal fatto che il codice di Procedura Penale del tempo configurava il "giudice istruttore" come Ufficio rigorosamente monocratico ossia non collegiale e non prevedeva la formazione di "gruppi di lavoro" tra giudici istruttori. I due colleghi furono gentilissimi e mi mandarono copia dei provvedimenti emessi nell'ambito delle rispettive inchieste. Li studiai e ne venne fuori un documento che prendeva un po' dall'uno e un po' dall'altro e col quale, in sostanza, da un lato assegnavo il procedimento a me stesso, così rispettando la monocraticità del Giudice istruttore, e nel contempo, in considerazione della complessità del procedimento della molteplicità degli atti da compiere, delegavo il compimento di singoli atti, anche collegialmente, ai quattro magistrati di mia fiducia, e ciò in applicazione, per la verità piuttosto estensiva e leggermente forzata, di una norma regolamentare che prevedeva il potere di "delega" a singoli giudici istruttori da parte del consigliere Istruttore. Mi precisò Caselli che il provvedimento adottato presso l'Ufficio Istruzione di Torino era stato impugnato dai difensori dei terroristi, ma aveva resistito al vaglio della Cassazione. Anche il mio provvedimento sul "pool" venne impugnato nelle varie fasi processuali, ma sempre riconosciuto legittimo. Nell'adottarlo mi ero reso perfettamente conto dell'importanza della decisione, della sua delicatezza e dei rischi cui andavo incontro per questo mi misi al fianco uomini di sicuro affidamento. Quasi ogni sera, quando il lavoro di ognuno lo consentiva, ci incontravamo, inizialmente nel mio ufficio. In seguito, per ragioni di sicurezza, venne attrezzato il "bunker" di Falcone, al piano ammezzato, e lì ci incontravamo. Queste riunioni, che non hanno mai conosciuto serie divergenze fra di noi, avevano lo scopo di tenerci reciprocamente informati sugli sviluppi dell'istruttoria e di individuare, di volta in volta, le principali direttive di lavoro.
L'efficacia dello strumento
Fu proprio la disponibilità di uno strumento agile ed affiatato quale il "pool" che ci consentì di utilizzare al meglio, a partire dal 1984, le dichiarazioni dei primi "collaboratori di giustizia", come Buscetta, Contorno, Sinagra ed altri (erano appena 54 i "collaboratori" da noi utilizzati, a supporto e convalida delle nostre indagini, nel primo "maxiprocesso", conclusosi - come è noto - innanzi alla prima sezione penale della Corte di Cassazione - Pres. Valenti - in udienza 30 gennaio 1992, col pieno riconoscimento sia della validità dell'impianto istruttorio sia della totale credibilità dei "collaboratori"). La composizione del nostro "pool" subì alcune variazioni nel corso degli anni 1986-1987, dapprima per la necessità di sostituire Paolo Borsellino (nel frattempo trasferito a Marsala come capo di quella Procura della Repubblica) ed in seguito per le accresciute esigenze di lavoro e per poter seguire con la necessaria cura gli sviluppi dell'istruttoria, racchiusa ormai in circa un milione di fogli processuali. Entrarono così a far parte del "pool" altri tre giudici istruttori, giovani e valenti: Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli e Giacomo Conte. Giova qui ricordare che i primi due sono oggi (1997 n.d.r.) tra i più preziosi collaboratori del Dr. Giancarlo Caselli nel "pool" istituito in seno alla direzione distrettuale antimafia operante presso la Procura della Repubblica palermitana essi rappresentano, in certo senso, la continuità tra il mio vecchio "pool" e quello attuale in funzione presso detta Procura, ed hanno concorso a trasferire nel nuovo gruppo di lavoro il rigore dei metodi di indagine a suo tempo introdotti e praticati presso l'Ufficio Istruzione.
La fine del Pool
La fine del "pool" da me creato, comunque destinato a cessare con l'avvento del nuovo codice di Procedura Penale (che, introducendo il rito accusatorio, ha abolito la figura del Giudice Istruttore), venne - di fatto - anticipata dalla nuova e discutibile "filosofia di lavoro" introdotta, dopo il mio ritorno a Firenze nel marzo 1988, dal nuovo consigliere istruttore dr. Antonino Meli, nominato a tale incarico nel gennaio 1988 in virtù della sua anzianità di servizio, che lo fece inspiegabilmente preferire a Giovanni Falcone in una drammatica seduta notturna del Consiglio Superiore della Magistratura in cui una improvvisata maggioranza non tenne in alcun conto la specifica competenza professionale e l'indiscusso prestigio internazionale che facevano di Falcone il mio naturale, insostituibile successore. Quella notte, come ho scritto altre volte, Giovanni Falcone "cominciò a morire", anche per la violenta campagna di delegittimazione attuata contro di lui, con ritmo sempre crescente, da diversi organi di stampa. Voglio qui ricordare come di fronte agli aperti contrasti, divenuti via via insanabili, tra Falcone e il suo nuovo capo e di fronte alla paralisi che si era venuta a creare nel funzionamento del "pool" presso l'Ufficio Istruzione, Paolo Borsellino, con la sua consueta generosità, sentisse il bisogno di lanciare un grido d'allarme da Marsala, peraltro non recepito dal Consiglio Superiore della Magistratura, mentre Di Lello e Conte decidevano di dimettersi dall'incarico. Nonostante questi ultimi, incresciosi avvenimenti rimane nel mio animo il ricordo di una esperienza esaltante ed irripetibile, anche se quel ricordo si accompagna oggi a profonda tristezza per i tragici eventi del 23 maggio e del 19 luglio 1992.
Antonino Caponnetto
Caponnetto nasce il 5 settembre 1920 a Caltanissetta, dal 1930 in poi risiede in Toscana, prima a Pistoia ed in seguito a Firenze. Nel 1954 diventa magistrato e svolge la sua attività soprattutto nella regione adottiva, fino al 1983. Nel novembre dello stesso anno Caponnetto, a sua domanda (presentata dopo l'uccisione per mano di Cosa Nostra di Rocco Chinnici, capo dell'Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo), ottiene il trasferimento a quell'ufficio in prima linea nella lotta alla mafia. "La Sicilia ha pagato un alto tributo di sangue: spero che adesso ci lascino lavorare in pace" disse il giorno del suo insediamento. Iniziarono così cinque anni di trincea e di soddisfazioni professionali. Ispirato dalla strategia di Caselli ed Imposimato nella lotta contro il terrorismo, inventò, forzando le regole procedurali, e diresse il pool antimafia. L'idea fu quella di creare un gruppo di lavoro che si occupasse a tempo pieno e in via esclusiva dei processi di mafia, frazionando così i rischi e assicurando una visione organica e completa del fenomeno. Accanto a sé chiamò Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Il lavoro del pool portò al primo maxiprocesso contro Cosa Nostra conclusosi con una raffica di condanne; ormai passate in giudicato. Agli atti, per la prima volta, finirono le dichiarazioni di pentiti come Tommaso Buscetta. Nel marzo 1988 Caponnetto lascia il Tribunale di Palermo per fare ritorno a Firenze (dopo quattro anni e quattro mesi di vita in caserma); indicando in Falcone il suo successore. Il Csm gli preferì Antonino Meli seguendo criteri di anzianità e Caponnetto non nascose la sua amarezza per questa decisione. Nel 1990 va in pensione col titolo onorifico di Presidente Aggiunto della Corte Suprema di Cassazione. Pianse al momento della morte di Falcone, ebbe un momento di sconforto ai funerali di Borsellino, disse che era "tutto finito", ma il suo impegno dal 1992 è stato continuo, nonostante l'età e i problemi di salute. Incontra i giovani di tutta Italia per trasmettere ad essi il culto della legalità e della solidarietà e per infondere nei loro animi fiducia, coraggio e speranza. L'impegno in politica con la Rete lo portò ad essere nel 1993 il candidato più votato alle amministrative di Palermo, dove per un breve periodo divenne presidente del consiglio comunale. Nel 1994 gli è stata conferita la laurea "honoris causa" in Scienze Politiche presso l'Università di Torino. Le mille interviste, la partecipazione e la promozione di convegni, la creazione di una fondazione intitolata a Sandro Pertini, da ultimo il sostegno per il movimento dei Girotondi. E' stato cittadino onorario di Palermo e Catania, per tre volte candidato a senatore a vita con raccolte di firme. A fargli gli auguri per i suoi 80 anni, anche il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Li festeggiò in famiglia, con la moglie, i tre figli, i cinque nipoti e nel cuore il ricordo di Falcone e Borsellino: "Li sento sempre vivi, più vivi che mai. Ho l'impressione che veglino dall'alto proprio su di me".
Il 6 dicembre 2002 muore in una clinica fiorentina dopo una lunga malattia.
http://digilander.libero.it/inmemoria/pool_antimafia.htm
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