martedì 31 marzo 2009

E' la teorìa che determina ciò che osserviamo (Albert Einstein)

La questione è, contemporaneamente, più semplice e più complessa e per spiegare quello che intendo dire prenderò a prestito una famosa frase di Albert Einstein. La frase, se non ricordo male, suona più o meno così: è la teorìa che determina ciò che osserviamo. Cosa significa? Significa che se abbiamo una teoria, una teoria che ci piace, che ci soddisfa, che ci sembra buona, tendiamo ad esaminare i fatti attraverso quella teoria. Piuttosto che osservare obbiettivamente tutti i dati disponibili, cerchiamo solo conferme a quella teoria. La nostra stessa percezione è fortemente influenzata, determinata dalla teoria che abbiamo scelto. Appunto, come diceva Einstein, che parlava di scienza, la teoria determina ciò che riusciamo ad osservare. In altri termini: vediamo, sentiamo, percepiamo quello che conferma la nostra teoria e, semplicemente, tralasciamo tutto il resto. C'è un detto cinese che esprime in forma diversa lo stesso concetto. Dicono i cinesi: due terzi di quello che vediamo, è dietro i nostri occhi. Tutti noi abbiamo fatto qualche esperienza di come la nostra stessa percezione sia determinata da ciò, che per le più varie ragioni è nella nostra testa o, come direbbero i cinesi, dietro i nostri occhi. "Avete mai comprato una nuova macchina e improvvisamente, mentre la guidate ne notate decine dello stesso tipo, sulle strade ? Dove erano prima ? Filtri percettivi, li chiamano gli psicologi. Parafrasando Einstein, che suppongo si starà rivoltando nella tomba per questa mia intrusione, potremmo dire: è l'ipotesi investigativa che determina quello che gli inquirenti osservano. Ma non solo. Determina quello che cercano, determina il modo in cui agiscono con i testimoni, determina le domande che fanno. Determina il modo in cui scrivono i verbali. Senza che tutto questo abbia in alcun modo a che fare con la malafede. Lasciatemelo ripetere. Tutto quello di cui sto parlando può produrre errori nelle indagini, e il processo serve per correggerli, ma non ha niente a che fare con la malafede. Semmai, in un caso come questo, ci troviamo di fronte ad un eccesso di buona fede. Dunque torniamo a quello che stavamo dicendo qualche minuto fa. Gli investigatori vogliono risolvere questo caso orribile. Vogliono farlo per le migliori ragioni e con le migliori intenzioni. Vogliono farlo per ansia di giustizia. Vogliono farlo presto, perché l'autore di un fatto così orribile rimanga libero, e in grado di nuocere ancora, per il minor tempo possibile. In questo stato d'animo scoprono una pista e individuano un possibile sospetto. Attenzione. Non fantasie o ipotesi pretestuose. Era una buona pista e gli elementi di sospetto a carico di Abdou Thiam erano plausibili. Sulla base di questa buona pista gli inquirenti si lanciano alla caccia di quello che considerano il probabile colpevole. Da quel momento in poi i carabinieri ed il pubblico ministero hanno una teoria che, come ci insegna Einstein, determinerà quello che osserveranno, come agiranno con i testimoni, cosa chiederanno loro, come e addirittura cosa verbalizzeranno. In perfetta buona fede e per ansia di giustizia. Voi capite adesso il perché di quelle domande del difensore al maresciallo dei carabinieri, sulle modalità di verbalizzazione. Perché se io verbalizzo in forma integrale, cioè con la registrazione, la stenotipia eccetera, non esiste il problema di capire cosa è successo durante l'audizione. E tutto registrato, domande, risposte, pause, tutto, e basta rileggersi la trascrizione o anche ascoltare la registrazione. Se l'investigatore ha influenzato involontariamente il testimone, è possibile verificarlo semplicemente leggendo. E poi ognuno fa le sue valutazioni. Se il verbale è riassuntivo, questo controllo è impossibile. E se il verbale riassuntivo riguarda proprio il primo contatto fra gli investigatori e il teste, il rischio di inquinamenti involontari delle dichiarazioni e degli stessi ricordi del testimone, è altissimo. Volete un piccolo esempio di come questo può accadere ? Io sono l'investigatore e mi trovo davanti a quello che potrebbe essere un teste importante, forse un teste decisivo. Ho dei fortissimi sospetti su un soggetto, Abdou Thiam. Chiedo al teste: conosci Abdou Thiam? Il nome non mi dice niente, se mi fate vedere qualche foto. Ecco la foto, lo conosci? Sì, sì. È uno di quei negri che si fermano spesso davanti al bar. Che danno un sacco di fastidio. Lo hai visto passare davanti al bar il giorno della scomparsa del bambino? Pausa del testimone, che ci pensa su. Gli investigatori sentono di essere vicini alla soluzione. Pensaci bene, il pomeriggio della scomparsa del bambino. È una settimana fa. Mi sembra di sì. Sì, deve essere passato. Mi sembra che era proprio lui. A questo punto il maresciallo detta a verbale, perché vuole fissare per iscritto, prima che il testimone cambi idea. Il che purtroppo succede spesso. Detta a verbale, all'appuntato che scrive al computer. Detta a verbale e usa il suo linguaggio burocratico, non le espressioni usate dal testimone. Presi dalle mie carte la copia del primo verbale di Renna e lessi. Nel verbale di cui stiamo parlando si trovano espressioni del tipo: "sono coadiuvato, nella conduzione del prefato esercizio commerciale..." eccetera. Ovviamente non sono espressioni del teste Renna. Ovviamente non sappiamo quali domande siano state rivolte al Renna. Non lo sappiamo perché viene utilizzata la burocratica, comoda formula: a domanda risponde. Quale domanda? Quali domande sono state rivolte al testimone. Sono domande che lo hanno influenzato ? Sono domande che hanno suggerito le risposte ? Sono domande che hanno costruito, involontariamente, un ricordo ? Non ci vuole la malafede. Basta avere una teoria da confermare, il nostro cervello fa tutto da solo, percependo, rielaborando, verbalizzando in modo da adattare i fatti alla teoria. Creando, anzi direi: assemblando il falso ricordo. Dico falso non perché il Renna abbia inventato qualcosa o i carabinieri gli abbiano dolosamente suggerito una storia falsa da raccontare. Semplicemente nel corso della prima audizione i ricordi del Renna sono stati riprogrammati alla luce della teoria investigativa che era stata scelta e per la quale non si cercavano verifiche obbiettive, ma solo conferme. Sono stati riprogrammati e come ciò sia avvenuto in concreto non lo potremo sapere mai più. Perché l'interrogatorio di questo signore non è stato registrato ed è stato solo verbalizzato. Nel modo che abbiamo visto. Volete sapere quanto è possibile influenzare la risposta di un testimone e addirittura modificare il suo ricordo, semplicemente porgendo la domanda in un modo o in un altro? Lasciate che vi racconti di un'altra ricerca, italiana questa volta. A tre gruppi di studenti di psicologia, non bambini, non sprovveduti, ma studenti di psicologia che sapevano di essere sottoposti ad un test scientifico, fu mostrato un filmato. In questo filmato si vedeva una signora che usciva da un supermercato con un carrello; alle spalle della signora si avvicinava un giovane che afferrava una borsetta posta sul carrello e poi scappava. Ai tre gruppi di studenti, con domande diverse, fu chiesto di raccontare cosa avevano visto. Al primo gruppo fu posta questa domanda: "il ladro ha urtato la signora?. Al secondo gruppo: "in che modo l'aggressore ha spinto la signora?. Agli studenti del terzo gruppo fu semplicemente chiesto di raccontare cosa avevano visto. Inutile dire che nel filmato non c'era nessun urto e nessuna spinta. Io credo che voi abbiate già intuito quale fu il risultato dell'esperimento. Fra gli studenti del terzo gruppo, quello cui era stato chiesto semplicemente di raccontare i fatti, solo il 10%, o poco più parlò di un urto o comunque di un contatto fisico fra vittima e aggressore. Fra gli studenti del primo gruppo solo il 20% parlò di un urto. Fra gli studenti del secondo gruppo, quello cui era stata posta la domanda più fortemente suggestiva, ci fu quasi un 70% di risposte in cui si parlava dell'inesistente urto. Come nel caso dell'esperimento dei bambini poi, tutti quelli che parlavano dell'urto arricchivano il racconto di particolari sulle modalità, la violenza, la direzione di questo inesistente urto. Bisogna aggiungere altro? Dobbiamo sprecare altre parole per spiegare quanto il modo di condurre un interrogatorio può influire non solo sulle risposte, ma sulla stessa ricostruzione dei ricordi dell'interrogato? Non credo. Abbiamo compreso quanto sia vitale sapere quali domande, e in che sequenza, e con che ritmo, e con che tono, siano state poste ad un testimone, nella sua deposizione più importante, cioè la prima. In questo caso questa informazione vitale ci viene negata, perché nel verbale dei carabinieri c'è semplicemente scritto: a domanda risponde. A domanda risponde. Quale domanda? Quali domande?. Alzai un poco la voce. Non faceva parte delle mie abitudini, ma i giudici cominciavano ad essere stanchi e invece mi stavo avvicinando al punto cruciale. Dovevo tenerli svegli. Abbiamo detto che se non sappiamo qual è la domanda non possiamo dire se la risposta è genuina o è stata influenzata, o addirittura manipolata. Non lo potremo dire mai più perché di quell'esame, di quel primo esame del teste Renna, ci resta solo questo succinto verbale riassuntivo. Possiamo solo fare delle congetture. Ma nel farle non possiamo trascurare un fatto. Che si è verificato davanti ai nostri occhi, in udienza, in questo processo. E quel fatto è il controesame di Renna. Nel corso del quale abbiamo appreso una serie di cose molto importanti per valutare l'attendibilità di questo teste. Che non significa: valutare se il teste mente o dice la sua soggettiva verità. Significa verificare qual è il grado di rispondenza del suo racconto al reale svolgimento dei fatti. Sintetizzo queste cose. Al signor Renna non piacciono gli extracomunitari e vorrebbe che le forze dell'ordine si occupassero di loro. Il signor Renna non conosce poi così bene Abdou Thiam se, avendo sottomano ben due sue fotografie, e trovandosi nella stessa aula di udienza, non riesce a riconoscerlo. Il signor Renna, infine e conseguentemente, non è molto fisionomista e non gli risulta facile distinguere fra un cittadino extracomunitario ed un altro. Dal suo punto di vista sono tutti negri, per adoperare testualmente la sua risposta ad una domanda del difensore. Stavo per lanciare uno degli attacchi decisivi, e allora mi fermai di nuovo e lasciai ai giudici almeno una ventina di secondi. Dovevano chiedersi per quale motivo avessi smesso di parlare e darmi tutta l'attenzione di cui erano capaci, dopo tante ore di udienza. Ripresi con un tono di voce più alto. Doveva essere chiaro che eravamo arrivati al punto. E sulle dichiarazioni di questo signore, su queste dichiarazioni di origine incerta, per tutto quello che abbiamo detto a proposito del primo verbale davanti ai carabinieri, il pubblico ministero chiede che voi applichiate la pena del carcere a vita. Ricordate che per applicare non l'ergastolo, ma anche un solo giorno di carcere voi non dovete utilizzare i criteri della verosimiglianza, non dovete utilizzare i criteri della probabilità. Ammesso che in questo caso e con riferimento al contenuto della deposizione di Renna si possa parlare di verosimiglianza o di probabilità. Voi dovete applicare i criteri della certezza. Certezza! Si può parlare di certezza nella ricostruzione di un fatto, quando ogni altra ipotesi alternativa è implausibile e quindi va respinta. È questo il caso? È implausibile pensare, per esempio, che il Renna abbia visto qualcun altro, non Abdou Thiam, quel pomeriggio, visto che per lui i negri sono tutti uguali? È implausibile pensare che, in qualche modo, questo testimone si sia sbagliato? Questo testimone che, badate, fallisce clamorosamente, sotto i vostri occhi il riconoscimento fotografico. Non può esser si sbagliato? Potete affidare serenamente tutta la vostra decisione, e tutta la vita di un uomo sulle dichiarazioni di un soggetto la cui fallibilità si è manifestata sotto i vostri occhi?. Pausa. Sette, otto secondi. E attenzione. Anche se, contro ogni evidenza, voleste ritenere che il racconto di Renna è attendibile, questo non significherebbe la prova della responsabilità dell'imputato. Perché gli altri indizi a suo carico sono poco più che carta straccia. Passai ad esaminare le dichiarazioni dei due senegalesi, i risultati della perquisizione e tutti gli altri elementi di prova. Parlai dei tabulati. Anche a voler accettare che si parlasse di verosimiglianza, dissi, la ricostruzione del pubblico ministero comunque non reggeva. Anzi era quasi grottesca. Il pubblico ministero diceva che l'imputato era rientrato da Napoli in preda a un raptus e si era diretto a Capitolo con la folle determinazione di sequestrare, violentare, uccidere il piccolo Francesco ? Era pazzo, allora. Perché solo la pazzia poteva giustificare un comportamento così assurdo. E allora perché non era stato sottoposto a nessuna perizia psichiatrica ? Se per spiegare i suoi comportamenti era necessario rinviare alla malattia mentale, allora questa malattia andava accertata. Diversamente quel riferimento rimaneva solo un tentativo di suggestionare la corte. Dissi tutte queste cose ma senza parlare troppo. I giudici erano stanchi e io ero convinto che al momento di decidere avrebbero discusso soprattutto della testimonianza di Renna. Allora, come si dice, mi avviai a concludere. Concludere dal punto in cui si è cominciato da l'idea del senso compiuto e rende più forte una argomentazione. Credo. Verosimiglianza o verità, signori giudici. Probabilità o certezza. La scelta non dovrebbe essere difficile. Invece lo è. Perché se da un lato c'è la percezione, noi tutti la condividiamo, ne sono certo, che questo processo non ha fornito nessuna risposta, dall'altro lato c'è il senso di sgomento che deriva dall'idea che un crimine orrendo possa rimanere impunito, senza un autore. È un'idea insopportabile ed è un'idea che porta con sé un rischio gravissimo. In quel momento rientrò in aula Cervellati. Si sedette al suo posto e appoggiò la testa alla mano destra, usandola come una specie di barriera. Fra me e lui. Lo sguardo era ostentatamente diretto in un punto dell'aula, in alto a sinistra. Dove non c'era nulla. Era la posizione più simile al darmi le spalle che fosse fisicamente consentita dalla disposizione dei banchi, paralleli, e delle sedie. Pensai che era uno stronzo e andai avanti. Il rischio è quello di cercare di liberarci da questa angoscia trovando non il colpevole, ma un colpevole. Uno qualunque. Uno che ha avuto la sfortuna di rimanere impigliato nel processo. Senza, avere, fatto, niente. Lasciatemelo ripetere: senza, avere, fatto, niente. Qualcuno potrebbe non condividere il tono categorico della mia affermazione. Mi sta bene. È legittimo avere dubbi. Io sono il difensore e, per molti motivi, sono convinto dell'innocenza del mio assistito. Voi avete il diritto di non condividere questa certezza. Avete diritto ai vostri dubbi. Avete il diritto di pensare che Abdou Thiam potrebbe essere colpevole, nonostante quello che dice il suo avvocato. Potrebbe essere colpevole. Nonostante l'assurdità della ricostruzione proposta dalla pubblica accusa, avete diritto di pensare che l'imputato potrebbe essere colpevole. Potrebbe. Modo condizionale. Le sentenze però non si scrivono, non si possono scrivere, al modo condizionale. Si scrivono all'indicativo, affermando certezze. Certezze. Potete fare affermazioni di certezza ? Potete dire che certamente il teste Renna non si è sbagliato ? Potete dire che alla fine di questo processo non esiste un dubbio ragionevole? Se potete dire tutto questo, allora condannate Abdou Thiam. Avevo alzato la voce e mi resi conto che non stavo recitando, questa volta. Condannatelo all'ergastolo, e a niente di meno. Se potete dire che non esiste nemmeno un dubbio, se siete assolutamente certi, voi dovete condannare quest'uomo a rimanere in carcere per sempre. Dovete avere il coraggio di farlo. Molto coraggio. Per un tempo indefinito rimase tutto sospeso. Fino a quando non sentii di nuovo la mia voce. Bassa ora, e incrinata. Se però non avete questa certezza, allora vi serve ancora più coraggio. Per non soffocare i vostri dubbi nel nome della giustizia sommaria, e quindi per assolvere, ci vorrà un enorme coraggio. Sono sicuro che lo avrete. Grazie di avermi ascoltato.

Gianrico Carofiglio (Testimone Inconsapevole - Ed. Sellerio)

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