giovedì 28 maggio 2009

Racconta brevemente il film che ti è piaciuto di più

Il film brevemente che mi è piaciuto di più l'ho visto proprio ieri, e si chiamava «Odissea». Ora io ve lo racconto. C'era una volta Ulisse, che aveva incendiato la città di Troia. Lui aveva usato lo stratagemma del cavallo legnoso, e così uccise tutti. Allora la guerra era finì, e lui doveva ritornarsene a casa. Casa sua si chiamava «A Itaca». Allora si mise in viaggio, e viaggiava, viaggiava, viaggiava sempre. Ora lui, d'ora in poi, passò tanti di quei guai, ma tanti di quei guai, che furono mille guai! Il primo guaio che passò fu Polifemo. Era una grotta grandissima, con un pettine grandissimo, un asciugacapelli grandissimo, un pezzo di formaggio grandissimo, un letto grandissimo. Entra Polifemo, un mostro gigante con un occhio solo. Lanciò un urlo grandissimo, poi vede ai compagni di Ulisse e se li mangiava. Ma nessuno voleva morire. Volevano vivere un altro po'. Uno gridava: «Polifemo, non mi mangiare, mangiati a quell'altro!», ma Polifemo proprio a lui se lo voleva inghiottire: l'aveva visto bene che era grassottelle! Allora Ulisse gli faceva bevere un vino stordito, e Polifemo cadeva dal sogno. Zitti zitti gli ammarrarono1 l'occhio, e se ne fuggono. Allora il gigante gridava, ma nessuno lo sentiva, e alla fine pure lo sentirono gli altri mostri, e gli dicevano: «Chi ti ha scavato quell'occhio?», e Polifemo diceva «nessuno» e gli altri dicevano allora sei scemo. E così Ulisse fuggì. Ma ci fu un altro guaio. Certe sirene mezze pesce e mezze donne cantavano, cantavano una bella canzona. E Ulisse ci fa mettere due tappi di sughero di butteglia nelle orecchie ai suoi amici, ma lui non se li fa mettere, e quando quei mezzi pesci cantano, lui si vorrebbe buttare nel mare, ma è legato, e nessuno se ne fotte di lui. Poi alla fine lo libberano, ma subbito passa un altro guaio. Lui incontrò il dio dei venti, che gli diede un sacchetto con i venti, ma i compagni aprono il sacchetto e la nave se ne va sotto sopra. Allora sbarcano dalla maga Circe, che è un altro guaio. La maga come li vede lì trasforma in porci, però no a Ulisse; Ulisse è più forte e non vuol diventare porco. Così libbera i suoi amici e saluta la maga Circe. Più tardi muoiono tutti, però Ulisse è ancora vivo. Torna a casa, torna, ma un angelo lo fa diventare vecchio come un vecchio, e gli dice di non dire niente chi è lui. Ma il cane Argo se ne accorge, e dopo trecento anni che l'aspettava muore. Torna a casa, torna, dice tutto al figlio che non mi ricordo come si chiama. Il figlio è furbo, dice: «Oipà, non ti preoccupare, ora li scanniamo come i piecori!». Allora si preparò un bel tranello, una specie di trabbocchetto. Era un arco duro, che nessuno sapeva far funzionare. Allora tutti i Porci tentavano, facevano i buffoni, facevano i guappi, si sparavano le pose!2 Ma nessuno ce la fece. Allora viene Ulisse, e tutti ridevano, lo chiamavano moscio moscio, ma lui ce la fa, e tutti corrono dalla paura, e Ulisse diventa giovane e duro, e le porte sono tutte chiuse, e Ulisse e il figlio uccidevano coi colpi in testa. Alla fine lavarono il pavimento di sangue con una specie di varrecchina, e se ne andarono a dormire.
1 Acciaccarono l'occhio.
2 Si davano delle arie.

Marcello D'Orta (IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO - Sessanta temi di bambini napoletani - 1990)

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