lunedì 1 giugno 2009

Berlinguer Enrico (1922-1984)

Se Togliatti era il Migliore, Enrico Berlinguer è il più rimpianto. Lo avevano battezzato il sardo-muto, perché era nato a Sassari e perché parlava poco. L'ho intervistato una volta sola: e tra la domanda e la risposta c'era il tempo per andare a prendere il caffè. Non incoraggiava né i discorsi né l'aneddotica: casa e ufficio, e qualche rara apparizione ai festival dell'Unità. Diceva un amico: E’ nato vecchio. E un altro: Se gli viene da ridere, pare quasi che si vergogni. Era uscito dal liceo per entrare nel partito. Circolava una celebre battuta di Pajetta: Giovanissimo si iscrisse alla segreteria del Pci. Non aveva concluso l'università, ma conosceva profondamente i teorici del marxismo e i classici della politica. Dicevano che, per esempio, non sapeva quasi nulla dei poeti. E aveva percorso tutta la carriera senza scosse e, credo, anche senza intrighi. Mi confidò qualcosa della sua vita, con linguaggio attento e pudico. La ribellione comincia quando è ancora ragazzo, ma nella sua nobile famiglia, che figura anche nel Libro d'oro della nobiltà italiana, si contesta quasi per tradizione. Ha alle spalle un bisnonno repubblicano, un nonno che va con Garibaldi e un padre che è contro Mussolini. L'adolescente Enrico discute tutto: Stato e religione, frasi fatte e usi mondani. Nella libreria di uno zio trova il Manifesto di Marx, ma la suggestione maggiore la esercitano gli operai che, nel 1921, hanno seguito Bordiga. Il 23 luglio 1944, a Salerno, conosce Palmiro Togliatti. E’ appena arrivato da Mosca. Parlava alla radio, una voce lontana e disturbata, con il nome di Ercole Ercoli o di Mario Correnti. Alla mensa del ministero delle Finanze, dove all'ora dei pasti, dato che non esistono ristoranti, si ritrovano i collaboratori di Badoglio per sfamarsi con terribili pappette americane e carne in scatola, lo presentano a Benedetto Croce. E ciò che lo colpisce maggiormente è il buon appetito che dimostra il filosofo. A differenza di Gramsci e di Togliatti, che a scuola erano molto bravi, lui è stato un allievo normale: molti 6, qualche 7, pochi 8. Mentre lo ascoltavo, dava una sensazione di distacco, ma anche di grande sincerità. A tanti anni dal nostro colloquio, rileggendo le note di allora, trovo che nelle sue misurate dichiarazioni c'era già il senso di quello che avrebbe fatto. Rievocava gli entusiasmi del 1945, la fede nell'Urss e in Stalin, i dirigenti al di sopra di ogni critica, poi si sono poste delle questioni e si sono discusse. Infine lo scossone del XX Congresso. Ma non vedeva più l'Unione Sovietica come un Paese fuori da ogni sospetto: “Non nascondiamo la nostra simpatia, ma neppure la nostra posizione, che non esclude il dissenso. In ogni caso il tipo di socialismo che si può e si deve costruire da noi è tutto diverso. Ci sono stati gli errori, che bisogna ammettere, perché non basta la ragione storica a spiegare certe limitazioni a un regime di democrazia. Alcune libertà, come quella di stampa, hanno un valore assoluto. Ma bisogna che ci siano anche i mezzi per renderle effettive”. Mi è capitato raramente di ascoltare un politico che mantiene quello che dice: un altro era Willy Brandt. Gli feci un'obiezione scontata, gli raccontai quella barzelletta che recitava Totò. Gli annunciavano l'arrivo di un russo e lui aveva paura: “Ma è un russo buono diceva l'attore che faceva da spalla. E lui: “Sempre russo è”. E l'altro insisteva: “Ma è un russo bianco”. “Sempre russo è.” E non è sempre comunista? Non esiste nessun partito, disse che per definizione sia alieno dal prendere tutto il potere. Ma perché la Democrazia cristiana, avendone la possibilità, non ha instaurato la sua dittatura? Non posso dire: Dio sa che sono sincero. Perché? chiesi. Perché non sono credente. Lo è sua moglie; e il compromesso storico lo aveva realizzato in famiglia. Aveva voluto che i figli facessero liberamente le loro scelte. Quell'uomo taciturno, dalla faccia scavata e dai capelli grigi, aveva sfidato i fulmini di Mosca. Si era staccato dal modello sovietico per cercare una terza via, tra i socialdemocratici e le esperienze di Oltrecortina. Credo gli siano costati fatica e dolore dovere dire ai suoi che lo spirito della Rivoluzione del 1917 non bastava e che molte delusioni lo avevano soffocato. Ha scritto Isaak Babel': Vedevamo il mondo come un prato di maggio, un prato su cui vanno e vengono donne e cavalli. Quegli idealisti crudeli, quegli apostoli armati, sono stati sconfitti.

Enzo Biagi (I come italiani
- 1993 Nuova Eri, Roma / RCS Rizzoli libri S.p.A., Milano)



1 commento:

  1. oggi abbiamo avuto lo stesso pensiero... sono andata anch'io in cerca di scritti, articoli che riguardano Enrico Berlinguer.

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