“Io vi prometto di combattere tutti i pregiudizi”, afferma solennemente il Presidente degli Stati Uniti d’America davanti ai giovani che nella sede dell’Università del Cairo lo acclamano. “Ho fatto una passeggiata nel centro di Milano ed ho visto che il 60 per cento delle persone che ho incontrato sono stranieri. Mi è sembrato di essere in Africa. Non è questo che vogliono gli italiani, ne sono sicuro”, afferma nelle stesse ore, senza solennità, ma con lucida determinazione, il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. Obama rivela che il suo Paese è una delle più grandi nazioni musulmane e allunga la mano al mondo arabo, creando le condizioni per una pacifica convivenza di etnie, religioni e ideologie nel pianeta; il Presidente del Consiglio italiano scopre che la sua Milano è affollata di stranieri, tutti di pelle scura, tanto da fargli sembrare di trovarsi in una città africana, e si propone di adoperarsi perché le facce di coloro che passeggiano in piazza Duomo siano di colore bianco. L’uno bandisce i pregiudizi dal confronto e volta pagina per realizzare pace e concordia fra i popoli, l’altro rinfocola i pregiudizi, li suscita, li stimola. C’è un abisso fra i due capi di governo. Un abisso culturale, ideologico, politico. Non sarà una passeggiata, in senso metaforico, riguadagnare i valori perduti nel nostro Paese inquinato dalle paure, dai pregiudizi e dal bisogno incontenibile di aumentare consensi, costi quel che costi. Silvio Berlusconi ha saltato sul predellino nel salotto buono di Milano per proclamare la nascita del Popolo della Libertà. Non c’erano facce di uomini di colore? L’Africa non era arrivata nel centro della capitale lombarda? Era già arrivata, ma nel frattempo è accaduto dell’altro, che la Lega Nord calcasse la mano sull’immigrazione, gli stranieri, i diversi, pretendesse respingimenti, nuove leggi, ronde. Il pugno duro, insomma. E grazie a queste pretese, ripagate con una crescita di consensi nei sondaggi, insidiassero il voto del PDL e facessero paventare un sorpasso della Lega sul PDL. Questa rincorsa sul terreno del “respingimento” – culturale e morale prima che giudiziario – ha provocato la voragine nel cuore e nella mente degli italiani. Al punto da suggerire una legge per vietare il kebab nelle strade lombarde. L’Italia postbellica – povera ma gentile – non c’è più. L’Italia del boom economico – spregiudicata ma generosa - è scomparsa. Non ne è rimasto nemmeno il ricordo. Dove sono i segni della generosità, il costume dell’accoglienza, la voglia di dare una mano a chi non ce la fa, il disprezzo della discriminazione e dell’odio razziale? Dove sono i sentimenti di eguaglianza e giustizia sociale? L'Italia sognava il new deal di Martin Luther King, amava "Chi viene stasera a cena", l'ispettore Tibbs che caccia i razzisti, e scendeva in piazza contro il segregazionismo in Sud Africa e il Ku Klux Klan negli USA. L’Italia partecipava con il cuore e con la testa alle battaglie per l'integrazione dei neri d'America. S'indignava che in qualche bar tedesco o svizzero ci fosse il cartello che vievata l’accesso ai cani ed ai nostri connazionali. L’Italia cantava con la Joan Baez per Nicola e Bart. gli italiani finiti sulla sedia elettrica per odio razziale, negli USA. E dopo avere visto “Il soldato blu”, si schierava dalla parte degli indiani e contro la violenza dei colonizzatori. Quell’Italia è stata distrutta. Non dal destino avverso ma dalla paura, l’ignoranza, l’arroganza, l’egoismo e dai silenzi delle agenzie educative. Se non si fosse pregato nelle chiese contro gli ebrei, Mussolini avrebbe dovuto pensarci sopra molte volte prima di introdurre le leggi razziali in Italia. Se nelle famiglie italiane e nelle scuole italiane, si fosse dato maggior peso ai valori della democrazia e dell’eguaglianza, dei diritti umani e della dignità della persona, sarebbe stato ben più difficile la Marcia su Roma, la dittatura e l’odio razziale. Le responsabilità di chi sta in Alto sono enormi. Non c’è scuola che tenga, quando i nostri giovani ricevono messaggi come quelli che giornalmente manda agli italiani chi ha responsabilità di governo. Messaggi irresponsabili inviati da chi ha il carisma per essere creduto, messaggi che alimentano fobie, pregiudizi, sfiducia nelle istituzioni democratiche. Sfiducia verso la giustizia, presidiata da giudici inaffidabili, verso il Parlamento, abitato da perditempo, verso l’informazione mendace e miserabile, verso l’opposizione colpevole di dinigrare il Paese, verso i leader di Paesi stranieri invidiosi delle ricchezze del Premier. Messaggi ignobili che trasformano l’Italia in un ghetto, l’apartheid alla rovescia, promettono il migliore dei mondi possibili come realtà indiscutibile e rappresentano il Capo del Governo come uomo della provvidenza, infallibile e custode dellla felicità comune. Si è abbattuto sull’Italia, senza che se ne abbia piena coscienza, un cupo oscurantismo, a causa di quotidiane crociate contro l’avversario politico, inqualificabile nemico, e contro le istituzioni democratiche, svantaggiose per il Paese. Chi può fermare questa deriva culturale, politica, sociale? Come farà l’Italia a scrollarsi questa pesante cappa di piombo? Questo sarcofago della libertà, costruito in nome della libertà? Stiamo correndo verso il passato e viviamo un presente inquietante. E’ realistico auspicare una inversione di tendenza che nasca dall’interno degli schieramenti, a cominciare dal Popolo della Libertà? Ci sono ovunque, anche nel PDL, uomini e donne che possono assumersi il fardello di una svolta. Non è facile scrollarsi di dosso il peso di un capo assoluto, ma c’è chi finora ci ha provato con dignità. Si possono non condividere uomini e donne di governo, come Giulio Tremonti e Stefania Prestigiacomo, Angelino Alfano, e rappresentanti delle istituzioni come il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ma costituiscono indubbiamente un’alternativa alla spaventosa irresponsabilità ed alla perdita di riferimenti politici, ideali, culturali. Uscire dal bunker dei pregiudizi – non tutto ciò che è buono si trova da una parte e ciò che è cattivo dall’altra – è l’unico modo di salvare il Paese dall’illiberalità, e ricostruire le buone ragioni della convivenza civile, del rispetto per gli altri. Ci viene fatto credere che sicurezza ed accoglienza non possano andare d’accordo. Falso. E’ accaduto anche in passato che s’inventassero le incompatibilità. Che si spiegasse l’impossibilità di creare un ambiente salubre e far crescere l’industria, che si potesse dare qualcosa di più a chi ha bisogno senza danneggiare l’economia, che non si dovessero intaccare i patrimoni finanziari senza mettere in crisi il Paese. Tutte storielle buone per lasciare le cose come stavano: ricchi sempre più ricchi, privilegiati sempre più privilegiati, poveri ancora più poveri. Ciò che va preteso ora e subito è un’etica della responsabilità. Non è necessario saltare steccati, cambiare bandiera, è necessario scegliere uomini e donne che sappiano ragionare con la loro testa e parlino alla gente con parole di verità. Sappiamo bene che la verità non è una sola, ma sappiamo anche che essa è riconoscibile perché viene pronunciata e raccomandata da chi possiede alcuni requisiti: l’onestà intellettuale, i riferimenti morali, la buonafede, lo spirito di servizio. Il compito di capire quando e dove questi requisiti siano presenti spetta a tutti. Non esiste un manuale per apprendere e riconoscere chi sta dalla parte giusta. Non basta una tessera di partito, né la collocazione politica: la sinistra, la destra o il centro. Ma il compito non può essere demandato ad alcuno, può semmai essere aiutato dalle istituzioni, da coloro che hanno il dovere di “educare” il Paese con le parole, i gesti, gli atteggiamenti, le iniziative, le scelte. I fatti concreti, insomma.
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