mercoledì 3 giugno 2009

Dio non ama ciò che pensa la scienza

Claude Allègre, ministro francese della Pubblica istruzione e della Ricerca nel governo Jospin, nonché geochimico e professore all'università di Parigi VII, ha pubblicato un libro sul conflitto tra scienza e religione, tradotto in Italia da Raffaello Cortina con il titolo Dio e l'impresa scientifica (pagg. 218, lire 35.000). Punto di partenza è la constatazione che un centinaio d'anni fa quando gli uomini interpretavano se stessi e il mondo a partire dalla nozione di Dio, un pugno di uomini lottò per far posto alla scienza. Oggi, si chiede Allègre, di fronte alle conquiste della scienza e al successo della tecnica, c'è ancora posto per Dio? Oppure il Signore dell' Universo si è ritirato in qualche remota piega, peraltro irreperibile dello spazio- tempo einsteniano? Il problema è antico e la soluzione sarebbe semplicissima se la religione si attenesse nei limiti della fede e la scienza nei limiti della ragione. Ma perché questi limiti possano essere rispettati è necessario che la religione rinunci a considerare la ragione subordinata alla fede e quindi scardini un fondamento della sua tradizione che pensa la filosofia (qui assunta nella sua accezione generale di "procedura della ragione") ancella della teologia.
Questa rinuncia, le religioni e le Chiese che le rappresentano non l'hanno mai fatta. E questa è l'origine prima del fondamentalismo che possiamo assumere come il tratto tipico di ogni religione, anche della più laicizzata come è la religione cristiana, costretta da ormai quattro secoli a fare i conti con la scienza nata in Occidente, ossia nello spazio geografico in cui la religione cristiana si è diffusa.
Anche le recenti riabilitazioni di Giovanni Paolo II delle figure di Galileo e in parte di Darwin non significano un bel nulla in termini di apertura all'universo scientifico, perché non costa niente concedere credito di verità a un sapere divenuto patrimonio comune e per giunta anche un po' obsoleto come può essere appunto la fisica di Galileo o la biologia di Darwin. Crederemmo a un'apertura del mondo religioso al mondo scientifico e quindi a un nuovo atteggiamento rispetto a quello tradizionale, che ha sempre visto la religione opporsi alle scoperte della scienza, se il Papa, invece di riconoscere la rudimentale fisica di Galileo o la biologia altrettanto rudimentale di Darwin, riconoscesse e aprisse una linea di credito di verità a quelle nuovissime scienze che sono la biologia molecolare, la genetica e le neuroscienze, dove in gioco non è la costituzione dell'universo, ma l'intima costituzione dell' uomo.
È bastata una piccola pratica scientifica come la fecondazione eterologa per fare assumere alla Chiesa cattolica gli stessi atteggiamenti assunti nel Seicento nei confronti delle scoperte astronomiche, quando al povero Galileo (allora la Chiesa era più forte di oggi e poteva permetterselo) fece firmare un'abiura che tra l'altro recita: "Sono stato giudicato vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e immobile, e che la Terra non sia centro e si muova; pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d'ogni fedel christiano questa vehemente sospitione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie, et generalmente ogni et qualunque altro errore, heresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l'avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simile sospitione; ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo denontiarò a questo Santo Offitio, o vero all'Inquisitore o Ordinario del luogo dove mi trovarò".
Nel 1757, centotrent'anni dopo la condanna, papa Benedetto XIV autorizza la lettura simbolica della Bibbia intorno al Sole, senza che la cosa abbia una particolare risonanza, fino al 1835 quando i libri di Copernico e Galileo vengono tolti dall' Indice dei libri proibiti, per poi arrivare al 31 ottobre 1992 quando Giovanni Paolo II riabiliterà Galileo davanti all'Accademia Pontificia delle Scienze.
Se questo fu l'atteggiamento della Chiesa nei confronti della fisica galileiana, non dissimile, anche se meno chiassoso fu l'atteggiamento degli uomini di religione nei confronti della fisica degli atomi, a cui il mondo occidentale era già giunto intuitivamente all'epoca dei Greci con Democrito e Leucippo, subendo poi, con l'avvento del Cristianesimo, un arresto di duemila anni, per riapparire nel secolo scorso con Avogadro (1776-1856), Gay Lussac (1778-1850), Schrödinger (1887-1961) e De Broglie (1892-1987). La teoria atomica portava con sé, come tutti sanno, concetti difficili da ammettere per la Chiesa, quali il vuoto, le leggi del caso e l'infinità dell'Universo, per non parlare dell'eucarestia e della transustanziazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo, che non può essere accolta dalla teoria degli atomi anche a quel livello elementare in cui questa teoria era conosciuta da Guglielmo di Occam (1285-1359), Ruggero Bacone (1214- 1292), Giordano Bruno (1548-1600), Gassendi (1592-1655), Boyle (1627-1691), Newton (1642-1727). Che dire? Un bel ritardo nello sviluppo di una conoscenza per non sopprimere il senso letterale di un passo evangelico.
Se queste furono le peripezie della fisica nell'Occidente cristiano, non da meno furono le difficoltà incontrate dalla geologia giudicata una scienza sacrilega perché, come scriveva Bossuet (1627-1704) "la creazione è descritta nel Genesi. Volerne dimostrare il meccanismo è una curiosità sacrilega". Quando Buffon (1707-1788), sulla base di esperimenti condotti in laboratorio sul raffreddamento delle sfere metalliche, ipotizza, come età della terra duecentomila anni, anche se a Diderot confessava in privato una datazione di milioni di anni, la Chiesa reagisce immediatamente con le ricerche condotte dall'arcivescovo James Ussher, per confermare la datazione biblica di 4000 anni, fino a fissare il giorno della creazione in un 26 ottobre alle 9 di mattina. Fu allora che il re di Francia Luigi XVI, nonostante fosse molto credente, intervenne con un perentorio: "Non importunate il grande Buffon". Le cose non vanno meglio con la biologia dove il conflitto con la religione si colloca sul piano della medicina, perché per la religione cattolica il corpo è sacro, la dissezione è sospetta, gli organi genitali proibiti. Nel 1131 si vieta ai chierici (che erano poi all'epoca gli unici studiosi) la pratica della medicina, essendo la malattia o una punizione divina per i peccati, o un modo di cui Dio si serve per chiamare a sé gli eletti. Questa posizione assunta nel medioevo continuerà fino all'inizio del secolo scorso, quando la Chiesa condannerà la vaccinazione. Nulla da dire contro la biologia di Linneo (1707-1778) che si limitava a inventariare l' opera creatrice di Dio, ma strali e fulmini contro Lamarck (1744-1829) e Darwin (1809- 1882) che avevano ipotizzato la nascita dell'uomo per via evolutiva dalla scimmia.
Nel 1860 la teoria evoluzionista viene condannata nel concilio di Colonia, mentre Pio IX mobilita i preti-scienziati contro "la diabolica teoria". Anche i gesuiti, tradizionalmente favorevoli alla scienza, reagiscono con grande vigore a quella che considerano una provocazione, e Darwin che, come ci ricorda Marx, alla domenica non perdeva una messa, fu condannato e scomunicato. Oggi la Chiesa, con le solite posizioni di compromesso che nascono quando non si può negare quello che a tutti risulta palese, è disposta ad accettare la teoria dell'evoluzione purché si ammetta che sia "orientata" e "diretta" da Dio in almeno tre momenti: la creazione della vita (con buona pace del Dna a doppia elica, la molecola portatrice dell'informazione biologica), l'orientamento dell'evoluzione e la creazione dell'uomo o perlomeno della sua "anima" che, tra l'altro, è una nozione greca che non appartiene alla tradizione giudaico-cristiana, se è vero come è vero che i cristiani, nel loro atto di fede, il Credo, dicono di credere non all'immortalità dell'anima, ma alla resurrezione dei corpi.
Che cosa dobbiamo aspettarci oggi che le scienze biologiche intervengono nella sfera del sesso e della riproduzione? O che le neuroscienze minacciano di risolvere, quel che fino ad oggi abbiamo chiamato "anima" o "coscienza" nell'apparato neuronale dove le conoscenze sono in rapido progresso? Le cronache di oggi ci autorizzano a non aspettarci dal mondo religioso niente di diverso da quello che abbiamo sempre visto: un'opposizione dura che però, a differenza di quanto è accaduto in passato quando la Chiesa era molto più forte di oggi, non è più in grado di arrestare il progresso scientifico. E allora le domande di Claude Allègre: che ne sarà della Chiesa e del Dio in nome del quale essa parla? Che ne sarà della fede e del suo storico conflitto con la ragione? Se accettiamo la posizione di Allègre secondo cui: "La fede non scaturisce dalla ragione, ma salvo che negli schizofrenici puri, non può opporsi a essa", se accettiamo anche quell'altra affermazione secondo cui: "Gli scienziati non hanno bisogno della religione per incontrare i misteri", possiamo concludere dicendo che il conflitto religione-scienza dipende solo dalla religione, dalla sua prepotenza, dalla sua pervasività e incapacità di stare, a differenza della scienza, nei propri limiti. E quali sono questi limiti?
Alla scienza i limiti sono noti fin dal tempo di Ippocrate che a proposito del "Male sacro" scriveva: "Circa il male cosiddetto sacro questa è la realtà. Per nulla - mi sembra - è più divino delle altre malattie o più sacro, ma ha struttura naturale (physin) e cause razionali (prophasin): gli uomini tuttavia lo ritennero in qualche modo opera divina per inesperienza (apeiries) e stupore (thaumasiotetos), giacché per nessun verso assomiglia alle altre. E tale carattere divino viene confermato per la difficoltà che essi hanno a comprenderlo".
Dunque la scienza, fin dalle sue origini, si propone l'incremento del sapere su basi razionali e la lotta contro le paure che nascono dall'ignoranza. Nulla di più. Che senso abbia la vita dell'uomo in un universo di miliardi di galassie? Che cosa ci faccia il nostro cervello con i suoi miliardi di neuroni persi nell' immensità del cosmo? Che ne sarà di noi dopo la nostra morte? Sono domande a cui la scienza non risponde e non intende rispondere perché non rientrano nelle sue competenze, e la scienza stessa non intende farle rientrare per non sbancare i propri metodi di indagine razionale. Se poi una certa tribù dell' umanità, quella occidentale, che ha trasformato il tempo ciclico della natura (che non si propone alcun fine) in storia fornita di un senso, perché alla fine si realizzerà ciò che all'inizio era stato annunciato, se l'umanità cresciuta in questa persuasione sembra non possa vivere se non reperendo nella propria vita un senso, ben vengano le religioni, con il loro apparato simbolico e la loro richiesta di fede, a dar risposte a queste domande a cui la scienza non risponde e non intende rispondere. Il problema dunque si scioglie se ciascuno sta nei suoi limiti: se la scienza spiega come siamo fatti noi e come è fatto il mondo, e se la religione, a chi lo richiede, risponde perché siamo al mondo e che senso ha questo nostro esserci. Gli scenari del sapere e della fede sono davvero separati e il conflitto nasce solo quando uno dei due invade il campo dell'altro. Ma siccome non si è mai visto un sapere scientifico che dice se dobbiamo o no credere in Dio, o se la nostra vita ha o no un senso, così gradiremmo che la fede non solo non ostacoli come ha sempre fatto, ma neppure venga a dire come deve procedere il sapere scientifico, perché sarebbe assurdo che a guidare la scienza che si occupa delle cose che si vedono fosse la fede che, per sua stessa ammissione, si occupa degli invisibilia, cioè delle cose che non si vedono, e quindi che non si sanno, e proprio perché non si sanno, si credono. Non è che anche in questo campo sarebbe bene che la Chiesa facesse tesoro dell'insegnamento di Gesù Cristo là dove dice: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"?


UMBERTO GALIMBERTI



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