lunedì 29 giugno 2009

Il sosia

Fu il terzo giorno dalla scoperta della Stanza che me lo vidi apparire all'improvviso, come se fosse un fantasma. Mi somigliava in modo impressionante: aveva un po' di pancetta, gli occhi azzurri e i capelli grigi. Avesse avuto anche la barba avrei detto che ero io allo specchio. Tra l'altro era vestito come me: aveva i jeans celesti e la sahariana bianca a maniche corte, quella che mi aveva regalato il mio amico Federico quando era tornato dalla Malesia. All'inizio mi spaventai. Poi, siccome mi venne incontro con un bel sorriso, capii di avere a che fare con una persona gentile e lo stetti a sentire. Provo a raccontare l'incontro e, volutamente, da questo momento in poi, almeno nei dialoghi, userò sempre il presente. "Ciao" mi dice e si siede su una delle seggioline. "Come hai fatto a entrare?" chiedo io. "Non sono entrato, sono apparso". "Che vuol dire 'sono apparso'?" "Che mi sono materializzato." "Ancora non capisco. Vorrei sapere, però, chi sei e che vuoi da me." "Io sono te". "In che senso?" "Nel senso che ti sono uguale in tutto e per tutto, a eccezione della barba ovviamente. Ti dirò, anzi, che il giorno in cui decidesti di fartela crescere anch'io ci feci sopra un pensierino. Poi ebbi paura che m'invecchiasse e ci rinunziai. Tra l'altro vorrei convincerti a tagliartela. Staresti meglio senza". "E secondo te perché me la sono fatta crescere?" "Boh? Vallo a capire. Forse per sembrare più intellettuale. Forse per piacere alla critica..." "Ho capito: mi somigli, ma non mi conosci. Se c'è una cosa che desidero evitare è proprio l'aspetto dell'intellettuale. Mi travestirei da barbone analfabeta se solo servisse a comunicare meglio col prossimo. Sia nel modo di scrivere, infatti, che in quello di conversare, cerco sempre di essere il più comune possibile. È una scelta che feci a suo tempo e non me ne sono mai pentito". "Che intendi per 'comune'?" "Adesso con esattezza non te lo saprei dire, posso però farti degli esempi. Tutti quelli che conosco, e che nella vita hanno avuto un successo fuori misura, prima o poi hanno finito col pagare questo successo in termini di felicità. Una volta ridevano e scherzavano dalla mattina alla sera, oggi ridono e scherzano molto di meno. Dove pensi che stia in questo momento Roberto Benigni?" "Dove?" "Sta a casa sua agli arresti domiciliari. È costretto a stare davantial televisore per non essere aggredito per strada. Vent'anni fa,invece, ai tempi dell' 'Altra domenica', era una persona normale. Arbore, la sera, usciva con la chitarra a tracolla e si andava tutti a mangiare da Candido. A fine cena Roberto cantava e improvvisava monologhi in versi: era un essere comune che più comune non si può. Poi sono arrivati il successo, la celebrità e l'Oscar. Oggi, se lo vuoi vedere, lo puoi trovare a Parigi, sotto forma di statua, nel Museo delle cere. Più difficile, invece, incontrarlo in carne ed ossa in una trattoria. Risultato finale: si è tolto il nome dal citofono, ha la segreteria telefonica sempre innestata ed è estremamente difficile, per non dire impossibile, comunicare con lui". "Sì, d'accordo, ma non mi hai ancora spiegato che vuol dire 'comune' ". "Te lo ricordi il mito di Er, quello che Platone racconta nel libro X della Repubblica?" "No, non me lo ricordo: chi era questo Er?" "Era un soldato greco ferito in battaglia che, caduto in coma e creduto morto dagli dèi, fu inviato per errore nell'aldilà, dove finì per assistere a una specie di Giudizio universale. Ebbene, il disgraziato vide le anime dei suoi commilitoni morti, prima giudicate e poi inviate, a seconda dei casi, o nell'alto dei cieli, o in un baratro sottoterra". "E tutto questo che c'entra con l'essere comune?" "Ci arrivo subito. Er a un certo punto vide riemergere migliaia e migliaia di anime che avevano appena terminato la loro pena, o goduto il loro riposo, e che dovevano reincarnarsi. A queste ultime le Moire, le dee del Destino, gettarono dei sassi su ognuno dei quali avevano scritto in precedenza un tipo di vita. Ogni anima poteva scegliersi l'esistenza che più avrebbe gradito. E così Er vide Aiace Telamonio accaparrarsi la vita di un leone, Tamiri quella di un usignolo, Atalanta quella di un atleta olimpionico, e per ultimo Ulisse quella di un uomo comune. Ebbene, dice Platone, fu proprio Ulisse a vivere poi la vita più felice". "L'avrà pure detto Platone, ma io non ci credo. E anche volendo, come si fa a diventare comuni?" "Innanzi tutto dubitando del proprio successo. In secondo luogo non perdendo di vista gli amici. Detto in altre parole, riuscendo a prendere le distanze da se stessi. Devi sapere, infatti, che tutti quelli che superano un certo livello di notorietà finiscono prima o poi col diventare vittime dell'ipertrofia dell'ego". "L'ipertrofia dell’ego? Che cos'è? È una malattia?" "È uno stato psichico che ti fa credere di essere unico al mondo: si comincia con l'autoreferenzialità e si finisce con l’autoammirazione". "L'autoreferenzialità, l'autoammirazione... tutte parole che non conosco. Di che si tratta?" "Dell'incapacità di fare un qualsiasi discorso, o di scriverlo, senza ficcarci dentro un qualcosa di sé". "E tu cosa pensi di essere diventato: uno scrittore di successo? Un grande pensatore? Un filosofo? Un opinion leader? Su, coraggio, dammi un giudizio obiettivo di te stesso". "Ho capito: mi vuoi incastrare, ma io non ci casco. Cominciamo col dire che penso di essere stato fortunato. Sono convinto, ad esempio, che in Italia ci siano tanti, ma proprio tanti scrittori. Molti anche bravi. Alcuni di loro, però, non sono stati sorteggiati dall'angelo degli scrittori e resteranno per sempre sconosciuti, o quanto meno lo resteranno fino al giorno della morte. Basti pensare ai vari Kafka, Morselli e Tomasi di Lampedusa, per capire quanto si può soffrire facendo questo mestiere: sono passati tutti e tre a miglior vita senza avere la soddisfazione di essere stati mai letti da qualcuno. Io, invece, ho la sensazione di aver vissuto almeno due vite. Mi sono reincarnato alla bella età di quarantotto anni. Nella prima vita ho fatto l'ingegnere, mi sono sposato e ho avuto una figlia. Nella seconda ho fatto lo scrittore, il regista e l'uomo di spettacolo". "E in quale delle due vite ti sei più realizzato? Nella seconda immagino..." "... sì, nella seconda, ma non perché fare lo scrittore sia più gratificante del fare l'ingegnere, bensì solo perché sono diventato più vecchio, e diventare vecchio vuol dire diventare più sensibile, più attento a quello che ti circonda. Io oggi mi commuovo per un nonnulla. Tu non ti commuovi mai?" "Certo che mi commuovo. Per chi mi hai preso, per uno zombi?" "A proposito: non ti sei ancora presentato. Com'è che ti chiami?" "Chiamami come vuoi. Chiamami Sosia, Alter ego, Copia, Fotocopia, Luciano due, Doppio, Duplicato, Idem, Controfigura... Insomma, scegli tu il nome che più ti fa comodo". "Mi piacerebbe chiamarti Taleequale. Che ne pensi?" "Per me va benissimo. Sempre, però, fatta eccezione per la barba".

Luciano De Crescenzo (Tale e quale)

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