mercoledì 1 luglio 2009

Il giudice Mazzella scrive a Berlusconi "Siamo oggetto di barbarie"


ROMA - "Caro Silvio, siamo oggetto di barbarie ma ti inviterò ancora a cena", firmato Luigi Mazzella. Il giudice costituzionale, dopo le polemiche, scioglie le riserve e sceglie la strada dello scontro aperto con i critici. Motivo del contendere una cena a casa del giudice costituzionale, cui hanno partecipato Silvio Berlusconi, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, insieme ad un altro giudice costituzionale, Paolo Maria Napolitano, e al senatore Carlo Vizzini che ha scatenato polemiche feroci sull'opportunità che due giudici dell'Alta Corte si incontrino alla viilia di una importante decisione sul Lodo Alfano che la Consulta dovrà giudicare a settembre. E la lettera arriva nel giorno dello scontro il Aula fra Antonio Di Pietro e il ministro Sandro Bondi a colpi di "vergogna". Il leader dell'Udc: "Mazzella è reo confesso si dimetta".

La lettera. "Caro Presidente, caro Silvio, ti scrivo una lettera aperta perché sto cominciando seriamente a dubitare del fatto che le pratiche dell'Ovra (la polizia segreta fascista, ndr) siano definitivamente cessate con la caduta del fascismo". "Ho sempre intrattenuto con te - scrive Mazzella - rapporti di grande civiltà e di reciproca e rispettosa stima. Vederti in compagnia di persone a me altrettanto care e conversare tutti assieme in tranquilla amicizia non mi era sembrato un misfatto. A casa mia, come tu sai per vecchia consuetudine, la cena è sempre curata da una domestica fidata (e basta!). Non vi sono cioè possibili 'spioni', come li avrebbe definiti Totò. Chi abbia potuto raccontare un fantasioso contenuto delle nostre conversazioni a tavola inventandosi tutto di sana pianta - è sottolineato nella lettera - resta un mistero che i grandi inquisitori del nostro Paese dovrebbero approfondire prima di lanciare accuse e anatemi. La libertà di cronaca è una cosa, la licenza di raccontare frottole ad ignari lettori è ben altra! Soprattutto quando il fine non è proprio nobile".

"Caro Silvio, a parte il fatto che non era quella la prima volta che venivi a casa mia e che non sarà certo l'ultima fino al momento in cui un nuovo totalitarismo malauguratamente dovesse privarci delle nostre libertà personali, mi sembra doveroso dirti per correttezza che la prassi delle cene con persone di riguardo in casa di persone perbene non è stata certo inaugurata da me ma ha lunga data nella storia civile del nostro Paese. Molti miei attuali ed emeriti colleghi della Corte Costituzionale hanno sempre ricevuto nelle loro case, come è giusto che sia, alte personalità dello Stato e potrei fartene un elenco chilometrico".

"Caro presidente - conclude la lettera -, l'amore per la libertà e la fiducia nella intelligenza e nella grande civiltà degli italiani che entrambi nutriamo ci consente di guardare alla barbarie di cui siamo fatti oggetto in questi giorni con sereno distacco. L'Italia continuerà ad essere, ne sono sicuro, il Paese civile in cui una persona perbene potrà invitare alla sua tavola un amico stimato. Con questa fiducia, un caro saluto".

La polemica. "Non si è parlato di Lodo Alfano", ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, durante il question time alla Camera, rispondendo così ad un'interrogazione del leader dell'Idv. "Tranquillizzo gli onorevoli interroganti: le iniziative del governo in materia di Giustizia - conclude Vito - saranno rispondenti al programma presentato al corpo elettorale e che gli elettori hanno premiato".

Eppure le polemiche non si placano e la spiegazione non convince l'opposizione, mentre crescono le adesioni - un migliaio di email sono arrivate a Repubblica - all'appello che circola su Internet per le dimissioni dei due giudici costituzionali. Il Pd continua a definire "gravissimo" l'incontro nella residenza privata del giudice Mazzella. "Può dire ciò che vuole, ma io trovo che decisamente non stia bene invitare qualcuno a casa propria, sul quale si è chiamati a decidere. Un magistrato, soprattutto se sta alla Corte Costituzionale, non dovrebbe mai farlo'', dice Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Partito Democratico. E il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, illustrando alla Camera la sua interpellanza, parla di toghe spregiudicate che con la loro condotta hanno "infangato la sacralità della Corte Costituzionale" e giudica la risposta di Vito "insoddisfacente e inaccettabile". Poi, presa visione della lettera, il capo dell'Idv è ancora più duro: "Se ne deve andare". ''Con la sua lettera Mazzella è reo confesso. Infatti - afferma dice Di Pietro - egli ammette di essere un amico di vecchia data e di avere rapporti di frequentazione e di intimità con il plurimputato Silvio Berlusconi, senza rendersi conto che egli e' anche giudice della Corte Costituzionale che deve esprimersi sulla legittimità del Lodo Alfano, cioé proprio su quella legge che Berlusconi si e' confezionare per non farsi processare. Anche uno studente di giurisprudenza capirebbe l'abnormità di questo caso, e lo stesso Mazzella non può non capirlo. Insistiamo con la richiesta di dimissioni e ci appelliamo al presidente della Corte Costituzionale e al presidente della Repubblica affinché intervengano su un fatto così grave che mortifica la credibilità, la sacralità e l'autonomia della Consulta''.

La Repubblica (1 luglio 2009)

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