domenica 20 settembre 2009

L’ultimo show del ministro Brunetta: troppo rapido nei proclami


Salvate Brunetta da Brunetta. Ecco cosa viene in mente, a leggere le schioppettate sparate dal ministro a Cortina contro le «élite di merda» e «irresponsabili che stanno preparando un vero e proprio colpo di Stato» e contro esponenti della Chiesa che «giocano al massacro» e sono «portatori di una ideologia politica con la tonaca» e contro la «sinistra permale» che dovrebbe andarsene «a morire ammazzata». Uno si chiede: perché?

Questi strilli continui, quotidiani, bellicosi sono utili al Paese, al gover­no, a lui stesso? «Io, povero, non bel­lo e non ricco, ho fatto il culo al mon­do e sono la Lorella Cuccarini del go­verno Berlusconi», disse tempo fa, gongolando per i sondaggi secondo i quali era «il più amato dagli italiani». E aveva davvero buoni motivi per es­sere fiero. Applausi scroscianti a ogni appari­zione pubblica. Urla di «bravo! bra­vo! » appena si avvicinava a un micro­fono. Spettatori in delirio al palaten­da di Cortina. Ascolti alti quando si af­facciava in televisione. Una marcia trionfale, per uno parti­to dai quartieri popolari di Venezia che aveva dovuto guadagnarsi metro per metro la sua scalata culturale, so­ciale, politica. Il Cavaliere, quando di­ce d’«essere nato povero» (con un pa­pà direttore di banca) giochicchia col passato. Lui no. Povero lo è nato dav­vero: «Sono uno del popolo, lo sanno tutti che mio papà vendeva souvenir sulla bancarella a Venezia, che ho vis­suto in 90 metri quadri in nove perso­ne. Che ho studiato con sacrifici».

Per anni e anni, prima a sinistra poi a destra, lo avevano trattato come un giocatorino di riserva. Di quelli che dici: bravo, ma leggerino. Una specie di Giovinco economico. Anni e anni di panchina. A spiegare agli altri l’economia, disegnare per gli altri le tabelle, studiare per gli altri le leggi. E poi convegni, convegni, con­vegni... E tutti a dire: che intelligenza, Renato! Al momento di schierarlo in campo, però... Ministro no, governa­tore del Veneto no, sindaco di Vene­zia no... Quando finalmente andò a giurare al Quirinale come responsabile della Funzione Pubblica era raggiante. E fu­rono in tanti, e non solo della sua par­te politica, ad applaudire le sue rottu­re, le sue accelerazioni, la sua cocciu­tissima volontà di venire a capo di una battaglia, quella contro i fannullo­ni, che andava fatta. Una battaglia me­ritoria. Per restituire efficienza alle amministrazioni statali, regionali, co­munali incrostate dal calcare della bu­rocrazia. Restituire dignità ai dipendenti perbene che in quegli uffici vengono giorno dopo giorno umiliati da colle­ghi lavativi che scaricano il lavoro su­gli altri. Restituire ai cittadini l’idea che lo Stato c’è e sa farsi sentire. Certo, la voglia di portare a casa su­bito dei risultati gli tirò addosso una serie di critiche per certe storture co­me quella dei donatori di sangue, ini­zialmente «puniti» come assenteisti anche per quei gesti di generosità. «Sviste. Solo semplici sviste da rime­diare », dissero al ministero.

Come si poteva non essere d’accordo, al di là di certi toni aggressivi, con chi cerca­va di raddrizzare un sistema del pub­blico impiego che aveva visto negli anni episodi allucinanti come quello del celeberrimo «Professor M.» che riusciva far segnare anche il 72% di as­senze? O di quello spazzino ubriaco­ne licenziato dopo che aveva fatto due settimane di assenza senza man­co presentare un certificato medico e fatto riassumere dalla magistratura perché, essendo ciucco, non poteva ri­cordarsi di presentarlo? Proprio per­ché la battaglia era sacrosanta e anda­va fatta, però, è un peccato che sia sta­ta spesso così drogata dai proclami («Il Paese è con me! Sto cambiando tutto!») da fare risaltare, oltre ai buo­ni risultati, i fallimenti. Come quello rivelato giorni fa da ItaliaOggi secon­do il quale, dopo un anno e mezzo, su 30 mila enti della pubblica ammini­strazione quelli che hanno messo on-line gli stipendi dei dirigenti sono 409: poco più dell’1%. Ed è un pecca­to se si sia risolta spesso in una sfida muscolare che ha finito per danneg­giare tutti: la battaglia, i dipendenti pubblici, i rapporti sindacali, il dibat­tito politico e lui, Brunetta. Che si è andato via via avvitando in una raffi­ca di sortite bellicosissime manco fos­se il re di Frisia della Commedia del­­l’arte che come «un fulmine ove pas­sa / ciò che tocca arde, abbatte, apre e fracassa». Contro il federalismo delle regioni a statuto speciale «bastardo, spreco­ne, piagnone» dovuto «alla dabbenag­gine, alla stupidità, alla captatio bene­volentiae dello Stato». Contro le don­ne di sinistra perché nessuno «ha mai visto una donna brutta in una Ferrari» dato che le belle che aspira­no a salire «puntano a Forza Italia che funge da 'ascensore sociale'». Contro i ragazzi dell’Onda «che sono dei guerriglieri e come tali verranno trat­tati ». Contro i registi appartenenti a quel «culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa senten­ze contro il proprio Paese ed è quello che si vede in questi giorni alla Mo­stra del Cinema di Venezia». Contro i poliziotti sovrappeso («Lo erano an­che Joe Petrosino e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa», fu la risposta di un alleato, il leghista Piergiorgio Stiffoni) perché «non si può mandare in strada il poliziotto 'panzone' che ha fatto solo il passacarte...».

E poi contro i magistrati che do­vrebbero essere «controllati con i tor­nelli». E contro la Cgil che non firma il contratto del pubblico impiego: «E chi se ne frega della Cgil!». E contro i medici mediocri: «Stiamo attentissi­mi a yogurt e succhi di frutta, ma an­diamo in ospedale e ci facciamo ope­rare dal primo venuto, senza sapere se è bravo o è un macellaio. E sappia­mo che negli ospedali i macellai non sono pochi». Contro i pessimisti della crisi, liquidati con un articolo sul So­le24ore fin dal 9 agosto 2008 con un pezzo dal titolo rassicurante: «Ma il peggio è già passato». Tutte cose che magari avevano un senso e meritavano di essere appro­fondite ma venivano buttate lì con pa­role e modi così spicci da tirargli ad­dosso non solo gli insulti degli avver­sari ma perfino le dissociazioni degli alleati. Un caso per tutti? Quello di Ro­berto Fiore che, neofascista e nemico mortale di «rossi», il giorno in cui il ministro si era avventurato a dipingere un paese popola­to di fannulloni soprattutto di sinistra sbottò: «Qualifi­care milioni di italiani come fannulloni di sinistra oltre a essere ridicolo, semplicistico e falso, è una categorizzazio­ne da osteria». Per non dire del capolavoro: mettere d’ac­cordo, nella trincea avversaria, due galli in lite perenne come Guglielmo Epifani e Raffaele Bo­nanni. Il quale sul nostro è arri­vato a dirne di cotte e di crude: «prolisso», «showman», «pallo­ne mediatico», «politico male educato democraticamente» e «demagogo» che rischia di «far ta­gliare a fette il Paese dal qualun­quismo ».

Insulti perfino garbati rispetto ad altri incassati negli anni. Dalla qualifica di «mini-ministro» usata da Furio Colombo (che si sarebbe scusato: «Intendevo che la politica di Brunetta è mini») a quella di «energu­meno tascabile» cucitagli addosso da Massimo D’Alema fino a «ministro di Topolinia» del democratico France­sco Sanna. Per non dire della battutac­cia di Francesco Storace: «Il ministro spilungone...». Offese brutte. Pesanti. Inaccettabili. Come tantissime altre vomitate in Internet da migliaia e mi­gliaia di anonimi teppisti («ebreo», «bastardo», «nano») che impongono una piena, totale, assoluta solidarietà col ministro. Solidarietà che Brunetta renderebbe più corale e affettuosa se ogni tanto, per il bene delle sue batta­glie, ricordasse un vecchio consiglio del Carosello: «Cala cala Trinchet­to... ».

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