mercoledì 30 settembre 2009

Non bisognerebbe mai dimenticare che quando parliamo del fascismo parliamo di noi.

«Siamo l’unico paese moderno in cui un sistema politico, il fascismo, dato per morto e sepolto il 25 aprile 1945, ha visto tornare al governo nel 1994 un partito neo o postfascista che ne ha ereditato direttamente idee, costume, forme. Qualcosa di molto diverso dai movimenti di estrema destra del resto d’Europa, degli Stati Uniti, dei paesi ex comunisti. Fascismo perenne comparso in Italia nel 1919 e continuato per settantasei lunghissimi anni, rimasto come brace sotto la cenere anche nei giorni della sconfitta e dell’esecrazione.

Credo proprio che allora quello che più piaceva del fascismo a uno come me fosse il suo relativismo, il suo non essere scienza come il marxismo, il suo essere qualcosa che italicamente si adattava al giorno per giorno. Andava bene alla nostra anarchia intruppata. Alla nostra angoscia di contadini inurbati perché procedeva per semplicismi. Il debito pubblico si ingrossava a valanga? Lui, il duce, lo consolidava Poi per tutta la durata del regime nessuno straniero avrebbe più sottoscritto uno dei nostri buoni del tesoro, ma lui non lo diceva, i giornali non lo dicevano.

Per quelli che l’hanno vissuto, un dentro-fuori ancor oggi irrisolvibile. Vent’anni rimossi o aggiustati nei successivi cinquanta, un continuo chiedersi: “Ma possibile? E io dov’ero?”. Per quelli che per mezzo secolo hanno cercato di cancellare o di riaggiustare le memorie, il dentro-fuori è diventato, oggi, autoanalisi: ma davvero ti sentivi tiranneggiato, soffocato, umiliato o lo hai detto quando ne sei uscito? Davvero quella tirannia ti schiacciava o “era un’abitudine, una realtà magari importuna della quale si poteva brontolare o ridere, volta per volta, ma che nessuno avrebbe pensato seriamente di mettere in discussione”?

Oggi il neofascismo italiano è un morto presunto, un fu Mattia Pascal, anche lui guadagnato alla semantofobia, cioè all’arte di cancellare le parole che evocano fantasmi e pregiudizi, sostituendole con dei sinonimi paravento come Alleanza nazionale. Fino al dicembre ’94 il Movimento sociale italiano affermava la sua fedeltà al fascismo perenne, a un progetto: fare in qualche modo rivivere il fascismo mussoliniano, la terza via, il superamento della democrazia corrotta e inetta, le giuste gerarchie, lo stato autoritario. Al congresso di Fiuggi sui “valori indiscutibili” è calata la una cortina nebbiosa, si è parlato solo di democrazia, in termini ambigui ma comunque laceranti, eretici per i camerati vecchi e nuovi.

L’Italia incivile, bestiale c’era prima del fascismo e ci sarà dopo, perché l’Italia civile o incivile che fosse è stata dentro il fascismo. Non bisognerebbe mai dimenticare che quando parliamo del fascismo parliamo di noi.»


Giorgio Bocca ("Il filo nero" - 1995 - Mondadori)


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