Il capitalismo ci riduce a bestie da soma, anche il tempo libero è regolato da logiche di mercato. Nemmeno l’impegno sociale ci può salvare. Noi non siamo solo stufi di pagare le tasse. Siamo stufi di lavorare. Di essere, nella stragrande maggioranza,degli “schiavi salariati”, per dirla con Nietzsche, costretti a produrre per consumare. Stufi di essere dei tubi digerenti, dei lavandini,dei water attraverso i quali deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo. Adesso siamo arrivati addirittura all’estremo paradosso più nemmeno per consumare, ma dobbiamo consumare per produrre («Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione», vero?). Dobbiamo cacare in continuazione, come scimmie, ingoiare la nostra merda e dire anche che ne siamo felici. Siamo la “variabile dipendente” del meccanismo economico, il “terminale uomo”. Anzi non siamo più nemmeno uomini, siamo stati degradati, appunto, a “consumatori”. Non c’è cosa più beffarda,concretamente e linguisticamente,del cosiddetto “tempo libero”. È anch’esso un tempo obbligato, da consumare per nutrire l’onnipotente meccanismo che ci sovrasta. Se un gruppo consistente di italiani, poniamo,decidesse di botto di non far più le vacanze crollerebbe il sistema e arriverebbero gli sbirri ad arrestare i renitenti per boicottaggio. Quanto era felice il contadino Non è che a noi umani non piaccia lavorare in assoluto. Qualche volta ci piace anche. Certamente l’artigiano e il contadino dell’ancien régime traevano soddisfazione dal proprio mestiere(che, per altro, è un concetto diverso da quello di lavoro),perché era creativo, personale (oggi si direbbe “personalizzato”,ed è già tutto un programma) e dalla loro abilità dipendeva la loro sopravvivenza,soddisfazioni che dubito riguardino l’operaio industriale, l’operatore del terziario, i ragazzi del “call center” e infinite altre categorie di lavoratori. Noi siamo stufi di lavorare come muli, come bestie da soma, per un modello insensato e di essere tosati come pecore della cui lana non si sa poi che fare.Siamo stufi di lavorare per permettere a Bill Gates (o chi per lui) di accumulare enormi ricchezze delle quali,arrivato a cinquant’anni,comprende che potrà utilizzarne solo una minima parte e che mette in una qualche Fondazione pur di liberarsene. O perché Silvio Berlusconi possa comprarsi sempre nuove ville che nemmeno se vivesse cent’anni (cosa a cui costui aspira, povero vecchio, illuso “puer aeternus”) potrebbe mai abitare. O perché individui totalmente decerebrati facciano finta di divertirsi al “Billionaire”. I ricchi depressi fra alcol e droga Poveri ricchi. Fan pena. È fra di loro che si riscontrano le più alte percentuali di nevrosi,di depressione, di consumo di psicofarmaci, di alcol,di droga. Per trarre dal loro membro sempre più floscio una goccia di godimento,per provare un’emozione,devono farsi inchiappettare da un travesta e farsi ficcare il Rolex nel culo (che è un atto altamente simbolico:è come dire che i ricchi gadget che bramiamo e di cui ossessivamente ci circondiamo,per avere i quali lavoriamo, produciamo e ci consumiamo, non valgono nulla e devono far la fine che si meritano).Questo modello di sviluppo è riuscito nell’impresa,veramente miracolosa, di far star male anche chi sta bene. E poveri politici, mosche cocchiere che si illudono di governare una macchina che non risponde più a nessun comando, tantomeno ai loro, e che da tempo va per conto suo, auto potenziandosi e aumentando costantemente,a causa della propria e ineludibile dinamica interna, la sua velocità. Finché andrà trionfalmente asbattere da qualche parte.Costoro o sono dei truffatori - perché sono consapevoli di essere impotenti - o sono dei coglioni. Ma, forse, sono truffatori e coglioni insieme. Liberté, egalité, fraternité era il motto della Rivoluzione francese nata da quell’evento epocale, decisivo, che è stata la rivoluzione industriale,da cui inizia la Modernità ,e che ha partorito le ideologie e i modelli conseguenti:l’industrial-capitalismo e l’industrial-marxismo che non è che una variante,inefficiente, del primo. È stato un fallimento su tutta la linea. Completo. Clamoroso. Il falso libertarismo dell’Occidente A parte il fatto che appena inalberata quella bandiera egualitaria e libertaria le democrazie occidentali si sono messe a schiavizzare gli altri popoli (il colonialismo sistematico è dell’Ottocento), da allora le disuguaglianze nei paesi industrializzati non han fatto che aumentare,così come è aumentata enormemente la disuguaglianza fra Primo e Terzo mondo, non solo in senso relativo, cioè rispetto a noi,ma assoluto: quei popoli sono più poveri, e più miserabili,di quanto lo siano mai stati in passato. Fraternité, vale a dire solidarietà,può esistere solo fra vicini, perché, come spiega Esiodo ne “Le opere e i giorni”,nasce dalla necessità di una mutua assistenza. Noi non conosciamo nemmeno chi abita nel nostro stesso palazzo e se, incontrandolo, lo saluti, risponde, sorpreso,con un grugnito. Del resto, anche se non se n’è accorto, è già stato trasformato in un maiale da quella Circe moderna che è il meccanismo produzione consumo-produzione, come per i porci di lui si sfrutta tutto, anche il codino. La solidarietà non è una cosa astratta, che può essere imposta per diktat, religioso o politico. Non è solidarietà quella delle “due Simone”,delle Cantoni e altri simili protagonisti del volontariato esotico, è solo la pruriginosa ricerca di ritagliarsi qualche emozione fuori ordinanza sulle disgrazie, vere o presunte,altrui - sgozzatele pure - che, oltretutto, sono state quasi sempre causate proprio dagli stati cui appartengono queste “anime belle”,queste cugine delle cugine di Garlasco. Suore crudeli e vigili inetti. Né è solidarietà la bontà sanguinaria di Madre Teresa di Calcutta che si pasceva, da vera necrofora, del dolore («La sofferenza degli altri ci appaga, questa è la dura sentenza» scrive Nietzsche) e che per decenni ha rotto i santissimi con l’amor di Dio e non ci credeva e lo bestemmiava. Liberté. Le libertà sono state abolite. Da quelle di dettaglio (non si può più fumare, non si può più bere,non si può nemmeno pisciare di notte sui copertoni della propria macchina - cosa che dà, ammettiamolo,una certa soddisfazione - a 50 metri da una puttana senza che un vigile solerte fotografi il tutto e lo spedisca alla tua “compagna” - ma chi te lo dice, stronzo, che quella è la mia compagna? -non si può dare una pedata a un cane senza essere inseguiti da orde di animalisti,eccetera) a quella decisiva:disporre come ci pare del tempo che, come diceva Benjamin Franklin, è «il tessuto della vita» e di cui siamo stati espropriati. L’unica libertà che resta,sempre più illimitata, globale e oppressiva, è quella economica,cioè proprio quell’infernale meccanismo («Produci, consuma, crepa»per dirla con i Cccp) che ci sta strangolando tutti, poveri e ricchi. Questo è il Progresso, bellezza. Quando la gigantesca bolla finanziaria su cui si regge il capitalismo mondiale si sgonfierà, quando all’economia globalizzata fondata sul debito i creditori – cioè l’ecosistema sconquassato, le popolazioni ridotte alla miseria, i lavoratori costretti a lavorare sempre di più per avere sempre meno, giù giù fino ai remoti meandri del subconscio marcio e sclerotizzato del “consumatore unico mondiale” - chiederanno ciò che è loro dovuto, quando l’oro nero finirà di alimentare la macchina produttiva da cui siamo tutti dipendenti, quando tutto questo accadrà, forse ci sarà spazio per una vita più a misura d’uomo. Elogio della catastrofe? Siete fuori strada. Noi siamo già in piena catastrofe. Solo che non lo sappiamo, rimpinzati come siamo di consumi, televisione, finte zuffe fra politici collusi, overdose di informazioni inutili. Ci divertiamo, in questa parte di mondo in cui si vive l’acme della decadenza. Un bel libro di una ventina d’anni fa, ancora attualissimo, lo spiega molto bene fin dal titolo, estremamente indicativo: Divertirsi da morire. Spiega come l’elettrodomestico che teniamo in salotto, in cucina, nelle stanze da letto, ovunque ormai (a quando il bagno e il ripostiglio?), cioè il televisore, sia una vera e propria arma di distrazione di massa. Divertendoci, ossia spostando la nostra attenzione quotidiana su una serie di problemi e interessi confezionati a bella posta dal mezzo televisivo per risultare funzionale ai consumi e all’economia, ha contribuito in misura preponderante a plasmare il cittadino globale perfetto: senza altre passioni che non siano quelle accettate dall’ideologia unica del mercato, isterilito nella sua capacità di immaginare un futuro radicalmente diverso da quello propinato incessantemente dai megafoni dell’oligarchia dominante, tutto preso nella corsa ad accaparrarsi status symbol e merci massificate, egli non riesce a comprendere e distinguere quali siano i veri beni e quali i veri mali. Di conseguenza non ha più alcuna coscienza politica, sociale, civica. E’ un morto che consuma. Una via per resuscitarlo dalla comoda e divertente tomba che si è costruito con le sue stesse mani c’è. Pensare in piccolo. Ritrovare – non perché si sia estinto, ma perché è stato rimosso – il senso delle relazioni di vicinato, di città, di amicizia, di comunità. Riappropriarsi della natura ridandole lo spazio che presto o tardi si riprenderà da sola. Recuperare le ragioni del vivere in un dato posto e in un dato tempo. Stare fuori casa il più possibile, privilegiando le occasioni conviviali. Usare il televisore come un nemico da piegare a pochi e qualificati bisogni, come si fa con la tazza del water: indispensabile, ma non per questo ci si sta ore incollati sopra. E infine, last but not least, pensare a sé stessi come Aristotele, quella vecchia canaglia dispotica ma pur sempre greco-antica, definiva l’uomo: un animale politico. E quindi informarsi dei veri problemi del qui e ora, per elaborare idee e produrre ideali (che senso ha la vita, senza un’ideale?). Non per seguire e farsi abbindolare dai vomitevoli giochetti della politica tarocca, quella dei noti saltimbanchi manovrati dal pensiero unico degli industriali, dei banchieri e delle puttane da avanspettacolo.
Massimo Fini ( 31/08/2007)
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