domenica 20 giugno 2010

Culo

Sembra in leggera ripresa: infatti, specialmente in Emilia, si organizzano serate per eleggere Miss Culetto. L'attrice Ornella Muti, protagonista del film L'amante bilingue, confessa: Mi piacevano le mie labbra, gli occhi, le mani. Ma non avevo mai pensato che il mio sedere potesse essere tanto attraente. Nei più aggiornati manuali della seduzione, la parola d'ordine è: esibire anche l'orlo dei glutei, che per tanto tempo vennero trascurati a favore delle gambe e del seno. Pare, secondo gli storici, che la decadenza del culo (si parla sempre, come è ovvio, di quello femminile) sia cominciata con la Rivoluzione francese, che esaltava gli sviluppi lineari e umiliava le curve. Ma è provato che i grandi uomini lo hanno sempre considerato con molto rispetto e si narra che una delle mogli di Maometto, Aisha, lo aveva enorme, e la saggezza indiana consigliava allo scapolo che cercava moglie: Bada che essa abbia l'andatura graziosa di un giovane elefante. In certi posti del Sahara, infatti, si procede, ancora oggi, alla vigilia delle nozze, all'ingrasso, con dosi massime di latte e di burro, e nel Sudan variano la dieta: molta polenta e molta carne. Il grande pittore Rubens esalta la rotondità e i sintomi della cellulite, per arrivare alle foto di Playboy e ai modelli classici: Jean Harlow, Marilyn, Sofia Loren. Non va trascurata la testimonianza dei poeti: dal veneziano Giorgio Baffo (1694-1768): Oh caro culo/Oh macchina stupenda, a Gabriele d'Annunzio: Forma che così dolce t'arrotondi/dove si inserta l'arco delle reni. La scienza, poi, cerca di definire i caratteri analizzando la parte inferiore della schiena: quello normale, rotondo ma non appariscente, significa temperamento estroverso e sicurezza di sé; i1 fondo schiena prorompente, vanità; i glutei a pera sottintendono personalità; quelli nervosi, impazienza, sbalzi di umore. Che culo! è espressione che può anche essere intesa come Che fortuna!. A Bologna, per esortare alla rassegnazione nella cattiva sorte, si dice: Quando uno deve prenderlo nel culo, il vento gli tira su la camicia.

Enzo Biagi (“I” come italiani 1993)

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