martedì 1 giugno 2010

Non ci voleva mettere la faccia. È racchiuso tutto qui il “giallo” della firma della manovra da parte del presidente del Consiglio

Non ci voleva mettere la faccia. È racchiuso tutto qui il “giallo” della firma della manovra da parte del presidente del Consiglio: tentare in tutti i modi di far ricadere su qualcun altro – ovvero Tremonti, che ieri se l’è presa con i retroscenisti di Palazzo, augurandogli un “buon week end del 2 giugno” – la responsabilità di misure di correzione dei conti che lo stesso Gianni Letta ha descritto come “piene di sacrifici” e “lacrime e sangue”. E ci ha provato fino all’ultimo a tentare di sfuggire alle sue responsabilità. Si è persino presentato al Quirinale senza le carte, l’altra sera, proprio per avvalorare il fatto che lui non c’entrava nulla, che si era “occupato di tutto Tremonti” e che, dunque, lui non conosceva neppure bene alcuni dettagli del testo. Una bugia. “D’altra parte – avrebbe detto Berlusconi a Napolitano – io sono il presidente del Consiglio, ho delegato il ministro competente”.

Ecco, Napolitano è ormai avvezzo a sopportare queste piccinerie di Berlusconi, ma pare che l’altra sera la sua espressione si sia fatta particolarmente severa quando ha chiesto di vedere il testo della manovra e Berlusconi gli ha risposto “non ce l’ho”. C’è voluto un po’ prima che Napolitano capisse quali erano le vere intenzioni del premier, ovvero non firmare la manovra correttiva per non essere costretto a smentire, con i fatti, i suoi migliori slogan tipo “non metteremo le mani in tasca agli italiani” mentre la manovra ce le metterà eccome. Un esempio tra i più eclatanti: il taglio del 10 per cento agli enti locali con possibile reintroduzione di nuovi ticket sanitari a discrezione delle Regioni: se non è questo il “mettere le mani in tasca”, allora cosa? Ecco perché voleva scaricare tutto sulle spalle del ministro dell’Economia, evitando l’oscillazione verso il basso dei suoi sondaggi sul consenso che controlla in modo compulsivo negli ultimi tempi, ma Napolitano non gli ha dato tregua: non si è mai visto, avrebbe sottolineato con forza il capo dello Stato, che una manovra di bilancio non venga firmata dal premier. E comunque, ha poi minacciato, fino a quando il documento è senza firma, io non lo guardo, perché per me non esiste.

Ieri mattina, dunque, la sigla di gran fretta di Berlusconi sulla manovra e l’immediato invio al Quirinale. Che già aveva fatto trapelare preoccupazione rispetto alle voci su un nuovo condono edilizio (che Napolitano non avrebbe voluto) nonché ai nuovi tagli alla magistratura che hanno convinto l’Amn a scendere sul piede di guerra minacciando lo sciopero. Ora, comunque, è attesa la valutazione del Colle sull’articolato, anche se Napolitano ha ben pochi margini di intervento, trattandosi di una manovra fatta di tagli (dove, dunque, la copertura economica non è un elemento dirimente) e dove sarà difficile ravvisare elementi di incostituzionalità. Ma la preoccupazione resta. Perché, per dirla con Di Pietro, i tagli previsti sono tali e tanti da non far presagire nulla di buono sul fronte sociale: “Temo che le tensioni possano sfociare in un’autentica rivolta sociale”, ha infatti commentato il leader Idv.

Anche Bersani è stato durissimo: “Questa manovra è il frutto ingiusto di due anni di bugie, e di una politica economica dissennata, che ci ha ridotto gli investimenti e quindi abbassato la crescita; il Consiglio dei ministri non si sa bene che cosa abbia approvato, dopodiché queste carte finiscono in mano a non si sa chi, vengono rimaneggiate prima di essere portate alla presidenza della Repubblica; mi pare – accusa – che siamo ai limiti estremi del quadro costituzionale”. Insomma, un caos. Che spiega i timori di Berlusconi e il suo tentativo di sfuggire alle responsabilità di un correttivo dei conti che, per altro, è davvero “lacrime e sangue”.

Facendo conto dell’ultima bozza del testo, è previsto il blocco del rinnovo e degli aumenti contrattuali per i dipendenti pubblici con possibile blocco anche del turn over, la cancellazione per due anni di due finestre (oggi sono quattro) per il pensionamento di vecchiaia, tagli alla sanità e agli enti locali del 10 per cento, tagli del 10 per cento agli stipendi dei manager pubblici e a quello dei ministri “non parlamentari”: una misura che colpisce solo il leghista Galan, perché tutti gli altri ministri sono parlamentari. E poi, ancora, il “disboscamento” degli enti inutili con un “riordino” di quelli previdenziali”.

Tra le misure anche la riduzione dei costi della politica, con una sforbiciata del 10-15 per cento alle indennità dei parlamentari, ma non certo al loro stipendio base, una blanda lotta all’evasione fiscale e un’altrettanto leggera caccia ai falsi invalidi. Tutte cose che Bersani ha bollato come “spettacolo inverecondo” e che, invece, secondo il portavoce del governo, Paolo Bonaiuti, altro non sono che tagli alle spese che favoriscono lo sviluppo: “Altro che giochetti – ha chiosato – come dice il segretario del Pd”. Ne vedremo ancora delle belle, soprattutto all’interno della maggioranza, perché molti dei tagli previsti potrebbero rallentare drammaticamente l’avvio del federalismo fiscale e questo rende Bossi molto nervoso. E’ probabile che Napolitano renda noto il proprio parere agli inizi della prossima settimana, ma ormai la frittata è fatta. E si capisce perché Berlusconi non voleva metterci la faccia.

Sara Nicoli (Da il Fatto Quotidiano del 30 maggio 2010)


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