lunedì 20 settembre 2010

L'eterno ritorno dal trasformismo

Viviamo tempi di grande cambiamento. Di grande trasformazione. Anzi: trasformismo. E dunque di grande continuità, nel Paese di Depretis, del Gattopardo, della Dc e del "consociativismo". Dove da settimane si assiste al tentativo di formare un nuovo gruppo parlamentare, che entri nella maggioranza di governo. Il reclutatore è l'onorevole Nucara, (sedicente) repubblicano (col tempo, si sa, le antiche sigle, anche le più gloriose, perdono significato), su incarico del premier.
Il quale, per primo, aveva sollecitato la transumanza di parlamentari di altri gruppi verso la maggioranza. Garantendo riconoscenza e ricchi premi. Cioè, la ricandidatura e la rielezione. Magari qualche carica di sotto-governo. Alcuni parlamentari contattati parlano di altri incentivi, più concreti e diretti. Insomma, si è aperto una sorta di mercato. Anzi, forse esiste da sempre, visto che pressioni del genere pare ce ne siano state anche al tempo del governo Prodi. Il premier, riferendosi alle nuove reclute, ha obiettato che non si tratterebbe di pentimento - o di trasformismo. Le conversioni più numerose, infatti, riguarderebbero parlamentari già eletti con la maggioranza. In questo caso, però, non si capirebbe perché vi sia bisogno di reclutarli. Se non perché nel centrodestra sono confluiti gruppi locali e personali, uniti da interessi puramente elettorali. Oggi, però, il gruppo dei "responsabili" - così si definiscono, con molta autoironia inconsapevole, i convertiti - è divenuto utile, per neutralizzare l'azione di Fini e Fli. I quali appaiono, al premier, "irresponsabili". Anzi: "dissennati", come li ha definiti sabato. Anche se sono alleati del Pdl e di Berlusconi. Fino a prova contraria.
Insomma, siamo in uno "Stato di confusione". Fondato sul "voto di scambio". Così, Arturo Parisi e Gianfranco Pasquino, oltre 30 anni fa, definirono la conquista - e l'acquisizione - degli elettori attraverso l'offerta di benefici individuali. Solo che oggi il "voto di scambio" si è trasferito dalla società al Parlamento, dove si pratica e si professa apertamente. Non vogliamo, in questa sede, fare esercizio di sdegno. Peraltro utile e salutare, in tempi nei quali lo sdegno sembra divenuto un atteggiamento démodé. Ci interessa invece indicare, succintamente, i fattori che hanno accelerato la trasformazione trasformista del Parlamento.
1. La prima causa riguarda, ovviamente, il sistema politico italiano. Incapace di generare maggioranze stabili, in grado di governare. E opposizioni forti, in grado di proporre e garantire l'alternativa. La coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi ha conquistato la maggioranza parlamentare più ampia nella storia della seconda Repubblica. Non è bastato, se due anni dopo è alla caccia di nuovi deputati e senatori. Per bilanciare Fini, peraltro eletto nel partito di maggioranza relativa, il Pdl, che non c'è più. Non lo dice solo Fini. La pensa così circa un terzo dei suoi elettori, secondo i quali sarebbe meglio tornare ai partiti di prima: Forza Italia e An (Sondaggio Demos, 7-10 settembre, 1176 casi).
2. Il premier, peraltro, non ha intenzione di aprire la crisi. Teme che si formino altre maggioranze a sostegno di altri governi (cosiddetti tecnici). Ma soprattutto teme il voto anticipato. Così, invece di ri-conquistare gli elettori, preferisce conquistare nuovi parlamentari. Con il voto di scambio.
3. Ovviamente, questo gioco è reso possibile dalla debolezza dell'opposizione. Non riesce a fare opposizione a questa iniziativa e, in genere, all'azione di governo. Nella fase di maggior divisione del Pdl e di Berlusconi, non trova di meglio che dividersi a sua volta.
4. Tra i fattori più importanti di questa degenerazione c'è, sicuramente, l'assenza del principio di "responsabilità" degli eletti. I quali non sono e non saranno mai chiamati a "rispondere" direttamente e personalmente del proprio operato. Questa legge elettorale ha abolito ogni tipo di legame fra eletti ed elettori. Non ci sono le preferenze, non ci sono collegi uninominali, dove il rapporto con il territorio e la società è diretto. Il destino dei parlamentari è in mano ai leader e alle segreterie nazionali. A cui spetta la costruzione delle liste. Naturalmente bloccate.
5. È, inoltre, difficile dimenticare la debolezza dei valori, dei programmi, dei progetti su cui si fondano i partiti. Ridotti, perlopiù, a oligarchie distanti dalla società. O ad aggregati al servizio di un leader. Privi di fondamento dal punto di vista sociale, territoriale e dell'identità. Per chi ne fa parte, i vincoli etici e di rappresentanza rischiano di contare meno degli interessi e delle convenienze personali.
Questa fase di trasformazione trasformista produce alcune conseguenze significative. Ne indichiamo due.
a. La prima agisce sul piano civico e sociale. Gli italiani: non hanno mai avuto grande fiducia nella politica e nei politici, nello Stato e nelle istituzioni. Questa deriva trasformista non fa che accentuare questo atteggiamento. Non ci si scandalizza quasi più di nulla. In particolare, si è affermata la convinzione che tutto sia lecito, pur di governare. Che le maggioranze si possano fare e disfare a piacimento. È solo questione di prezzo. Che le elezioni non servano. Tanto poi, in Parlamento, tutto si fa e si disfa. Maggioranze e partiti. Al di fuori di ogni responsabilità politica e personale. È solo questione di prezzo.
b. La seconda richiama direttamente l'ambito politico. Questo mercato dei parlamentari, nel caso il governo dovesse cadere, giustifica la ricerca di maggioranze diverse. Magari a sostegno di governi tecnici e di emergenza. (Lo ha affermato anche Casini a Sky, intervistato da Maria Latella.)
Infine, una considerazione. Se il Parlamento rappresenta i cittadini, se la maggioranza di governo rappresenta la "volontà popolare". E se la rappresentanza, in fondo, è come uno specchio. Allora è meglio che lo specchio vada in mille pezzi. In altri termini: occorre cambiare questa legge elettorale, che alimenta l'irresponsabilità degli eletti. Con ogni mezzo. Per non perdere gli occhi e l'anima guardandosi allo specchio.

Ilvo Diamanti (La Repubblica - 20 settembre 2010)

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