Ogni volta che muore un soldato italiano in Afghanistan ci chiediamo “Che cosa ci stiamo a fare lì?”. Ma c’è un’altra domanda da farsi: cosa abbiamo fatto in Afghanistan e all’Afghanistan?
Altro che peace keeping - Dismesse le pelose giustificazioni che siamo in Afghanistan per regalare le caramelle ai bambini, per “ricostruire quel disgraziato Paese“, per imporre alle donne di liberarsi del burqa, perché, con tutta evidenza, quella in Afghanistan, dopo dieci anni di occupazione violenta, non può essere gabellata per un’operazione di “peace keeping“, ma è una guerra agli afghani, l’unica motivazione rimasta agli Stati Uniti e ai loro alleati occidentali, per legittimare il massacro agli occhi delle proprie opinioni pubbliche e anche a quelli dei propri soldati, demotivati perché a loro volta non capiscono “che cosa ci stiamo a fare qui”, è che noi in Afghanistan ci battiamo “per la nostra sicurezza” per contrastare il “terrorismo internazionale”. È una menzogna colossale. Gli afghani e quindi anche i talebani, non sono mai stati terroristi. Non c’era un solo afghano nei commando che abbatterono le Torri gemelle. Non un solo afghano è stato trovato nelle cellule, vere o presunte, di al Qaeda. Nei dieci, durissimi, anni di conflitto contro gli invasori sovietici non c’è stato un solo atto di terrorismo, tantomeno kamikaze, né dentro né fuori il Paese. E se dal 2006, dopo cinque anni di occupazione si sono decisi ad adottare contro gli invasori anche metodi terroristici è perché mentre i sovietici avevano almeno la decenza di stare sul campo, gli occidentali combattono quasi esclusivamente con i bombardieri, spesso Dardo e Predator senza equipaggio, ma comandati da Nellis nel Nevada. Contro un nemico invisibile che cosa resta a una resistenza?
Bin Laden non c’è più - Nel 2001 in Afghanistan c’era Bin Laden. Ma Osama costituiva un problema anche per il governo talebano, tanto è vero che quando nel 1998 Clinton propose ai talebani di farlo fuori, il Mullah Omar si disse d’accordo purché la responsabilità dell’assassinio del Califfo saudita se la prendessero gli americani. Ma Clinton all’ultimo momento si tirò indietro (documento del Dipartimento di Stato dell’agosto 2005). Comunque sia oggi Bin Laden non c’è più e in Afghanistan non ci sono più nemmeno i suoi uomini. La Cia ha calcolato che su 50 mila guerriglieri solo 359 sono stranieri. Ma sono ubzechi, ceceni, turchi, cioè non arabi, non waabiti, non appartenenti a quel jihad internazionale che odia gli americani, gli occidentali, gli “infedeli” e vuole vederli scomparire dalla faccia della terra. Agli afghani e quindi ai talebani, interessa solo il loro Paese. E sarà pur lecito a un popolo o a una parte di esso esercitare il legittimo diritto di resistere a un’occupazione straniera, comunque motivata. L’Afghanistan, nella sua storia, non ha mai aggredito nessuno e armato rudimentalmente com’è non può costituire un pericolo per nessuno.
La guerra civile - Per avere un’idea delle devastazioni di cui siamo responsabili in Afghanistan bisogna capire perché i talebani vi si sono affermati agli inizi degli anni ‘90. Sconfitti i sovietici i leggendari comandanti militari che li avevano combattuti (i “signori della guerra”), gli Ismail Khan, gli Heckmatjar, i Dostum, i Massud, diedero vita a una sanguinosa guerra civile e, per armare le loro milizie, si trasformarono con i loro uomini in bande di taglieggiatori, di borseggiatori, di assassini, di stupratori che agivano nel più pieno arbitrio e vessavano in ogni modo la popolazione. I talebani furono la reazione a questo stato di cose. Con l’appoggio della popolazione, che non ne poteva più, sconfissero i “signori della guerra”, li cacciarono dal Paese e riportarono l’ordine e la legge. Sia pur un duro ordine e una dura legge, quella coranica, che peraltro non è estranea alla cultura di quella gente.
a) Nell’Afghanistan talebano c’era sicurezza. Vi si poteva viaggiare tranquillamente anche di notte come mi ha raccontato Gino Strada che vi ha vissuto e vi ha potuto operare con i suoi ospedali. Gli occidentali gli ospedali li chiudono come è avvenuto a Lashkar Gah.
b) In quell’Afghanistan non c’era corruzione. Per la semplice ragione che la spiccia ma efficace giustizia talebana tagliava le mani ai corrotti. Ancora oggi, nella vastissima realtà rurale dell’Afghanistan, la gente, per avere giustizia, preferisce rivolgersi ai talebani piuttosto che alla corrotta magistratura del Quisling Karzai dove basta pagare per avere una sentenza favorevole.
c) Nel 1998 e nel 1999 il Mullah Omar aveva proposto alle Nazioni Unite il blocco della coltivazione del papavero, da cui si ricava l’oppio, in cambio del riconoscimento internazionale del suo governo. Nonostante quella di boicottare la coltivazione del papavero fosse un’annosa richiesta dell’Agenzia contro il narcotraffico dell’Onu la risposta, sotto la pressione degli Stati Uniti, fu negativa. All’inizio del 2001 il Mullah Omar prese autonomamente la decisione di bloccare la coltivazione del papavero. Decisione difficilissima non solo perché su questa coltivazione vivevano moltissimi contadini afghani, a cui andava peraltro un misero 1% del ricavato, ma perché il traffico di stupefacenti serviva anche al governo talebano per comprare grano dal Pakistan. Ma per Omar il Corano, che vieta la produzione e il consumo di stupefacenti, era più importante dell’economia. Aveva l’autorità e il prestigio per prendere una decisione del genere che fu così efficace da far crollare la produzione dell’oppio quasi a zero (prospetto del Corriere della Sera 17/6/2006).
Insomma il talebanismo era la soluzione che gli afghani avevano trovato, almeno momentaneamente, per i propri problemi. Noi abbiamo preteso di sostituire a una storia afghana una storia occidentale. Con i seguenti risultati.
Il Paese più insicuro - Oggi l’Afghanistan è il Paese più insicuro del mondo. E, con tutta evidenza, è la presenza delle truppe straniere a renderlo tale. Incalcolabili sono le vittime civili provocate, direttamente o indirettamente dalla presenza delle truppe occidentali. Vorrei anche rammentare, in queste ore di pianto per i nostri caduti, che anche gli afghani e persino i guerriglieri talebani hanno madri, padri, mogli e figli che non sono diversi dai nostri. Inoltre in Afghanistan sono tornati a spadroneggiare i “signori della guerra” alcuni dei quali siedono nel governo del Quisling Karzai. La corruzione, nel governo, nell’esercito, nella polizia, nelle autorità amministrative è endemica. Ha detto Ashraf Ghani, un medico, terzo candidato alle elezioni farsa di agosto e il più filoccidentale di tutti: “Nel 2001 eravamo poveri ma avevamo una nostra moralità. Questo profluvio di dollari che si è riversato sull’Afghanistan ha distrutto la nostra integrità”. Infine oggi l’Afghanistan “liberato” produce il 93% dell’oppio mondiale. Ma c’è di peggio. Armando e addestrando l’esercito e la polizia del governo fantoccio di Karzai, noi abbiamo posto le premesse, quando le truppe occidentali se ne saranno andate, per una nuova guerra civile. La sola speranza è il buon senso degli afghani prevalga. Qualche segnale c’è. Shukri Barakazai, una parlamentare che si batte per i diritti delle donne afghane, ha detto: “I talebani sono nostri connazionali. Hanno idee diverse dalle nostre, ma se siamo democratici dobbiamo accettarle”. Da un anno, in Arabia Saudita sotto il patrocinio del principe Abdullah, sono in corso colloqui fra emissari del Mullah Omar e del governo Karzai. Ma prima di iniziare una seria trattativa ufficiale Omar, di fatto vincitore sul campo, pretende che tutte le truppe straniere sloggino. Non ha impiegato trenta dei suoi 48 anni di vita a combattere per vedersi imporre una “pax americana“.
E allora perché rimaniamo in Afghanistan e anzi il ministro della Difesa Ignazio La Russa, un ripugnante prototipo dell’”armiamoci e partite”, vuole dotare i nostri aerei di bombe? Lo ha spiegato, senza vergognarsi, Sergio Romano sul Corriere del 10/10: perché la lealtà all’”amico americano” ci darà un prestigio che potremo in futuro sfruttare nei confronti degli altri Paesi occidentali. Gli olandesi e i canadesi se ne sono già andati, stufi di farsi ammazzare e di ammazzare, per questioni di prestigio, gli spagnoli se ne andranno fra poco. Rimaniamo noi, sleali, perché fino a poco tempo fa abbiamo pagato i talebani perché ci lasciassero in pace, ma fedeli come solo i cani lo sono. Gli Stati Uniti spendono 100 miliardi di dollari l’anno per questa guerra insensata, ingiusta e vigliacchissima (robot contro uomini). L’Italia spende 68 milioni di euro al mese, circa 800 milioni l’anno. Denaro che potrebbe essere utilizzato per risolvere molte situazioni, fra cui quelle di disoccupazione o di sottoccupazione che affliggono alcune regioni da cui partono molti dei nostri ragazzi per guadagnare qualche dollaro in più e farsi ammazzare e ammazzare senza sapere nemmeno perché.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2010)
Altro che peace keeping - Dismesse le pelose giustificazioni che siamo in Afghanistan per regalare le caramelle ai bambini, per “ricostruire quel disgraziato Paese“, per imporre alle donne di liberarsi del burqa, perché, con tutta evidenza, quella in Afghanistan, dopo dieci anni di occupazione violenta, non può essere gabellata per un’operazione di “peace keeping“, ma è una guerra agli afghani, l’unica motivazione rimasta agli Stati Uniti e ai loro alleati occidentali, per legittimare il massacro agli occhi delle proprie opinioni pubbliche e anche a quelli dei propri soldati, demotivati perché a loro volta non capiscono “che cosa ci stiamo a fare qui”, è che noi in Afghanistan ci battiamo “per la nostra sicurezza” per contrastare il “terrorismo internazionale”. È una menzogna colossale. Gli afghani e quindi anche i talebani, non sono mai stati terroristi. Non c’era un solo afghano nei commando che abbatterono le Torri gemelle. Non un solo afghano è stato trovato nelle cellule, vere o presunte, di al Qaeda. Nei dieci, durissimi, anni di conflitto contro gli invasori sovietici non c’è stato un solo atto di terrorismo, tantomeno kamikaze, né dentro né fuori il Paese. E se dal 2006, dopo cinque anni di occupazione si sono decisi ad adottare contro gli invasori anche metodi terroristici è perché mentre i sovietici avevano almeno la decenza di stare sul campo, gli occidentali combattono quasi esclusivamente con i bombardieri, spesso Dardo e Predator senza equipaggio, ma comandati da Nellis nel Nevada. Contro un nemico invisibile che cosa resta a una resistenza?
Bin Laden non c’è più - Nel 2001 in Afghanistan c’era Bin Laden. Ma Osama costituiva un problema anche per il governo talebano, tanto è vero che quando nel 1998 Clinton propose ai talebani di farlo fuori, il Mullah Omar si disse d’accordo purché la responsabilità dell’assassinio del Califfo saudita se la prendessero gli americani. Ma Clinton all’ultimo momento si tirò indietro (documento del Dipartimento di Stato dell’agosto 2005). Comunque sia oggi Bin Laden non c’è più e in Afghanistan non ci sono più nemmeno i suoi uomini. La Cia ha calcolato che su 50 mila guerriglieri solo 359 sono stranieri. Ma sono ubzechi, ceceni, turchi, cioè non arabi, non waabiti, non appartenenti a quel jihad internazionale che odia gli americani, gli occidentali, gli “infedeli” e vuole vederli scomparire dalla faccia della terra. Agli afghani e quindi ai talebani, interessa solo il loro Paese. E sarà pur lecito a un popolo o a una parte di esso esercitare il legittimo diritto di resistere a un’occupazione straniera, comunque motivata. L’Afghanistan, nella sua storia, non ha mai aggredito nessuno e armato rudimentalmente com’è non può costituire un pericolo per nessuno.
La guerra civile - Per avere un’idea delle devastazioni di cui siamo responsabili in Afghanistan bisogna capire perché i talebani vi si sono affermati agli inizi degli anni ‘90. Sconfitti i sovietici i leggendari comandanti militari che li avevano combattuti (i “signori della guerra”), gli Ismail Khan, gli Heckmatjar, i Dostum, i Massud, diedero vita a una sanguinosa guerra civile e, per armare le loro milizie, si trasformarono con i loro uomini in bande di taglieggiatori, di borseggiatori, di assassini, di stupratori che agivano nel più pieno arbitrio e vessavano in ogni modo la popolazione. I talebani furono la reazione a questo stato di cose. Con l’appoggio della popolazione, che non ne poteva più, sconfissero i “signori della guerra”, li cacciarono dal Paese e riportarono l’ordine e la legge. Sia pur un duro ordine e una dura legge, quella coranica, che peraltro non è estranea alla cultura di quella gente.
a) Nell’Afghanistan talebano c’era sicurezza. Vi si poteva viaggiare tranquillamente anche di notte come mi ha raccontato Gino Strada che vi ha vissuto e vi ha potuto operare con i suoi ospedali. Gli occidentali gli ospedali li chiudono come è avvenuto a Lashkar Gah.
b) In quell’Afghanistan non c’era corruzione. Per la semplice ragione che la spiccia ma efficace giustizia talebana tagliava le mani ai corrotti. Ancora oggi, nella vastissima realtà rurale dell’Afghanistan, la gente, per avere giustizia, preferisce rivolgersi ai talebani piuttosto che alla corrotta magistratura del Quisling Karzai dove basta pagare per avere una sentenza favorevole.
c) Nel 1998 e nel 1999 il Mullah Omar aveva proposto alle Nazioni Unite il blocco della coltivazione del papavero, da cui si ricava l’oppio, in cambio del riconoscimento internazionale del suo governo. Nonostante quella di boicottare la coltivazione del papavero fosse un’annosa richiesta dell’Agenzia contro il narcotraffico dell’Onu la risposta, sotto la pressione degli Stati Uniti, fu negativa. All’inizio del 2001 il Mullah Omar prese autonomamente la decisione di bloccare la coltivazione del papavero. Decisione difficilissima non solo perché su questa coltivazione vivevano moltissimi contadini afghani, a cui andava peraltro un misero 1% del ricavato, ma perché il traffico di stupefacenti serviva anche al governo talebano per comprare grano dal Pakistan. Ma per Omar il Corano, che vieta la produzione e il consumo di stupefacenti, era più importante dell’economia. Aveva l’autorità e il prestigio per prendere una decisione del genere che fu così efficace da far crollare la produzione dell’oppio quasi a zero (prospetto del Corriere della Sera 17/6/2006).
Insomma il talebanismo era la soluzione che gli afghani avevano trovato, almeno momentaneamente, per i propri problemi. Noi abbiamo preteso di sostituire a una storia afghana una storia occidentale. Con i seguenti risultati.
Il Paese più insicuro - Oggi l’Afghanistan è il Paese più insicuro del mondo. E, con tutta evidenza, è la presenza delle truppe straniere a renderlo tale. Incalcolabili sono le vittime civili provocate, direttamente o indirettamente dalla presenza delle truppe occidentali. Vorrei anche rammentare, in queste ore di pianto per i nostri caduti, che anche gli afghani e persino i guerriglieri talebani hanno madri, padri, mogli e figli che non sono diversi dai nostri. Inoltre in Afghanistan sono tornati a spadroneggiare i “signori della guerra” alcuni dei quali siedono nel governo del Quisling Karzai. La corruzione, nel governo, nell’esercito, nella polizia, nelle autorità amministrative è endemica. Ha detto Ashraf Ghani, un medico, terzo candidato alle elezioni farsa di agosto e il più filoccidentale di tutti: “Nel 2001 eravamo poveri ma avevamo una nostra moralità. Questo profluvio di dollari che si è riversato sull’Afghanistan ha distrutto la nostra integrità”. Infine oggi l’Afghanistan “liberato” produce il 93% dell’oppio mondiale. Ma c’è di peggio. Armando e addestrando l’esercito e la polizia del governo fantoccio di Karzai, noi abbiamo posto le premesse, quando le truppe occidentali se ne saranno andate, per una nuova guerra civile. La sola speranza è il buon senso degli afghani prevalga. Qualche segnale c’è. Shukri Barakazai, una parlamentare che si batte per i diritti delle donne afghane, ha detto: “I talebani sono nostri connazionali. Hanno idee diverse dalle nostre, ma se siamo democratici dobbiamo accettarle”. Da un anno, in Arabia Saudita sotto il patrocinio del principe Abdullah, sono in corso colloqui fra emissari del Mullah Omar e del governo Karzai. Ma prima di iniziare una seria trattativa ufficiale Omar, di fatto vincitore sul campo, pretende che tutte le truppe straniere sloggino. Non ha impiegato trenta dei suoi 48 anni di vita a combattere per vedersi imporre una “pax americana“.
E allora perché rimaniamo in Afghanistan e anzi il ministro della Difesa Ignazio La Russa, un ripugnante prototipo dell’”armiamoci e partite”, vuole dotare i nostri aerei di bombe? Lo ha spiegato, senza vergognarsi, Sergio Romano sul Corriere del 10/10: perché la lealtà all’”amico americano” ci darà un prestigio che potremo in futuro sfruttare nei confronti degli altri Paesi occidentali. Gli olandesi e i canadesi se ne sono già andati, stufi di farsi ammazzare e di ammazzare, per questioni di prestigio, gli spagnoli se ne andranno fra poco. Rimaniamo noi, sleali, perché fino a poco tempo fa abbiamo pagato i talebani perché ci lasciassero in pace, ma fedeli come solo i cani lo sono. Gli Stati Uniti spendono 100 miliardi di dollari l’anno per questa guerra insensata, ingiusta e vigliacchissima (robot contro uomini). L’Italia spende 68 milioni di euro al mese, circa 800 milioni l’anno. Denaro che potrebbe essere utilizzato per risolvere molte situazioni, fra cui quelle di disoccupazione o di sottoccupazione che affliggono alcune regioni da cui partono molti dei nostri ragazzi per guadagnare qualche dollaro in più e farsi ammazzare e ammazzare senza sapere nemmeno perché.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 ottobre 2010)
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