Il papello? Trovato cinque anni fa e rimesso a posto in cassaforte. Tutto “per ordini superiori”. Ma l’ufficiale dei carabinieri che se lo ritrovò tra le mani, nella peggiore tradizione dell’Arma, lo fotocopiò trattenendone la copia. Sono le clamorose rivelazioni di due militari, uno dei quali partecipò alla perquisizione a casa Ciancimino, acquisite agli atti del processo Mori e da ieri depositate e a disposizione delle parti. Protagonista è il capitano dei carabinieri Antonello Angeli che il 17 febbraio del 2005 diresse la perquisizione nella villa di Massimo Ciancimino, sul lungomare dell’Addaura, lasciandosi sfuggire il “papello” di Totò Riina.
L’ufficiale si sarebbe reso perfettamente conto che stava trascurando carte scottanti sulla trattativa tra Stato e mafia, ma avrebbe agito per “ordini superiori”. A rivelarlo ai pm di Palermo è un maresciallo, Saverio Masi, che dice di aver raccolto le confidenze dello stesso capitano poco dopo l’“anomala” perquisizione. Presentatosi spontaneamente ai pm di Palermo Nino Di Matteo e Paolo Guido, che indagano sulla “trattativa” tra Stato e mafia, il sottufficiale ha raccontato che fu lo stesso Angeli a rivelargli come avesse rinvenuto in un soppalco di quella villa dell’Addaura, “la documentazione relativa ai rapporti tra le istituzioni e Cosa Nostra” e in particolare il “papello redatto da Totò Riina”.
Secondo il maresciallo, il papello non fu toccato perché “dai superiori arrivò l’ordine di non procedere al sequestro”, in quanto si sarebbe trattato di “documentazione già acquisita”. Ma al maresciallo, Angeli avrebbe riferito infatti di aver fotocopiato di nascosto la documentazione ufficialmente sfuggita al suo controllo grazie all’aiuto di un collaboratore. Qualche tempo dopo, allo stesso maresciallo, Angeli avrebbe chiesto di contattare un giornalista per denunciare pubblicamente la storia del mancato sequestro. Obbedendo al suo capitano, il sottufficiale, in compagnia di un collega, incontrò l’inviato di un quotidiano nazionale che però rifiutò di pubblicare la notizia. Il giornalista, chiamato dai pm, ha confermato tutto, consegnando persino un biglietto su cui i carabinieri avevano scritto i propri nomi e recapiti. Di quella “strana” perquisizione nella villa all’Addaura da parte di carabinieri incredibilmente “distratti” che avevano messo la casa sottosopra, ma si erano lasciati sfuggire il documento di Totò Riina, aveva già parlato Massimo Ciancimino, sostenendo però che la cassaforte non era stata neppure aperta.
Oggi scopriamo che quel pezzo di carta che prova la trattativa tra la mafia e lo Stato (consegnato da Massimo Ciancimino ai pm di Palermo solo l’anno scorso) in realtà è nelle mani dei carabinieri e in particolare di Angeli, da cinque anni. Un’ulteriore conferma alle parole del maresciallo è arrivata, più recentemente, dal collaboratore di Angeli, Samuele Lecca, che materialmente fotocopiò il ‘’ papello’’, consegnandone la copia al capitano, direttamente in ufficio. Si tratta di un carabiniere semplice che faceva parte della squadra incaricata di perquisire la villa di Ciancimino jr in quel febbraio del 2005. Il militare, convocato nei giorni scorsi dai pm, ha raccontato che durante quel controllo in casa del figlio di don Vito il capitano Angeli gli chiese se conoscesse una copisteria dove potesse ‘’velocemente’’ fotocopiare alcuni documenti per poi riportarglieli in ufficio. Si trattava di numerosi fogli, alcuni a quadretti, molti dei quali scritti a penna e costellati di post it.
Il carabiniere rimase sospreso perché, per correre a fotocopiare quelle carte, dovette utilizzare la macchina di servizio, sottraendola ai colleghi che rischiavano di non poter tornare in caserma. Il militare, comunque, raggiunse in fretta una copisteria, fotocopiò le carte e riportò originali e fotocopie al suo capitano. Poi partecipò alla catalogazione dei documenti sequestrati in casa Ciancimino e notò che i documenti da lui fotocopiati non facevano parte dei materiali finiti sotto sequestro. Angeli, oggi colonnello dei carabinieri, per anni in servizio presso il Quirinale, è indagato a Palermo per favoreggiamento. È stato interrogato una prima volta nell’estate 2009 e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nuovamente convocato dai pm il 22 ottobre scorso, ha fatto sapere qualche giorno prima dell’interrogatorio, tramite il suo legale, l’avvocato Salvatore Orefice, di non voler rispondere. I magistrati hanno rinunciato a sentirlo. I due testimoni saranno interrogati in aula nel processo Mori.
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano del 30 ottobre 2010)
L’ufficiale si sarebbe reso perfettamente conto che stava trascurando carte scottanti sulla trattativa tra Stato e mafia, ma avrebbe agito per “ordini superiori”. A rivelarlo ai pm di Palermo è un maresciallo, Saverio Masi, che dice di aver raccolto le confidenze dello stesso capitano poco dopo l’“anomala” perquisizione. Presentatosi spontaneamente ai pm di Palermo Nino Di Matteo e Paolo Guido, che indagano sulla “trattativa” tra Stato e mafia, il sottufficiale ha raccontato che fu lo stesso Angeli a rivelargli come avesse rinvenuto in un soppalco di quella villa dell’Addaura, “la documentazione relativa ai rapporti tra le istituzioni e Cosa Nostra” e in particolare il “papello redatto da Totò Riina”.
Secondo il maresciallo, il papello non fu toccato perché “dai superiori arrivò l’ordine di non procedere al sequestro”, in quanto si sarebbe trattato di “documentazione già acquisita”. Ma al maresciallo, Angeli avrebbe riferito infatti di aver fotocopiato di nascosto la documentazione ufficialmente sfuggita al suo controllo grazie all’aiuto di un collaboratore. Qualche tempo dopo, allo stesso maresciallo, Angeli avrebbe chiesto di contattare un giornalista per denunciare pubblicamente la storia del mancato sequestro. Obbedendo al suo capitano, il sottufficiale, in compagnia di un collega, incontrò l’inviato di un quotidiano nazionale che però rifiutò di pubblicare la notizia. Il giornalista, chiamato dai pm, ha confermato tutto, consegnando persino un biglietto su cui i carabinieri avevano scritto i propri nomi e recapiti. Di quella “strana” perquisizione nella villa all’Addaura da parte di carabinieri incredibilmente “distratti” che avevano messo la casa sottosopra, ma si erano lasciati sfuggire il documento di Totò Riina, aveva già parlato Massimo Ciancimino, sostenendo però che la cassaforte non era stata neppure aperta.
Oggi scopriamo che quel pezzo di carta che prova la trattativa tra la mafia e lo Stato (consegnato da Massimo Ciancimino ai pm di Palermo solo l’anno scorso) in realtà è nelle mani dei carabinieri e in particolare di Angeli, da cinque anni. Un’ulteriore conferma alle parole del maresciallo è arrivata, più recentemente, dal collaboratore di Angeli, Samuele Lecca, che materialmente fotocopiò il ‘’ papello’’, consegnandone la copia al capitano, direttamente in ufficio. Si tratta di un carabiniere semplice che faceva parte della squadra incaricata di perquisire la villa di Ciancimino jr in quel febbraio del 2005. Il militare, convocato nei giorni scorsi dai pm, ha raccontato che durante quel controllo in casa del figlio di don Vito il capitano Angeli gli chiese se conoscesse una copisteria dove potesse ‘’velocemente’’ fotocopiare alcuni documenti per poi riportarglieli in ufficio. Si trattava di numerosi fogli, alcuni a quadretti, molti dei quali scritti a penna e costellati di post it.
Il carabiniere rimase sospreso perché, per correre a fotocopiare quelle carte, dovette utilizzare la macchina di servizio, sottraendola ai colleghi che rischiavano di non poter tornare in caserma. Il militare, comunque, raggiunse in fretta una copisteria, fotocopiò le carte e riportò originali e fotocopie al suo capitano. Poi partecipò alla catalogazione dei documenti sequestrati in casa Ciancimino e notò che i documenti da lui fotocopiati non facevano parte dei materiali finiti sotto sequestro. Angeli, oggi colonnello dei carabinieri, per anni in servizio presso il Quirinale, è indagato a Palermo per favoreggiamento. È stato interrogato una prima volta nell’estate 2009 e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Nuovamente convocato dai pm il 22 ottobre scorso, ha fatto sapere qualche giorno prima dell’interrogatorio, tramite il suo legale, l’avvocato Salvatore Orefice, di non voler rispondere. I magistrati hanno rinunciato a sentirlo. I due testimoni saranno interrogati in aula nel processo Mori.
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza (Il Fatto Quotidiano del 30 ottobre 2010)
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