lunedì 31 gennaio 2011

Ma libertà non è cambiare padrone.

"E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari e infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana e astratta. E' dire, senza timore, E' MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. E' vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato e così sempre sarà" (Carmine Crocco, Come divenni Brigante).

Tratto da "Il sangue del sud" di Giordano Bruno Guerri (Mondadori 2010)

La morale della favola: "Accettare l’inaccettabile"

Uno degli aspetti peggiori del berlusconismo è di aver abbassato la soglia morale per la vita pubblica al punto che azioni che avrebbero distrutto la carriera di qualsiasi politico in un altro contesto passano come se nulla fosse nell’Italia di oggi. Pensiamo al caso di Nicole Minetti, l’iginesta dentale/ex soubrette/consigliere regionale, che è una figura chiave dello scandalo Rubygate. La Minetti è indagata per il suo ruolo nella gestione dell’harem personale del primo ministro ed è accusata di aver procurato prostitute per Berlusconi e in particolare di induzione alla prostituzione minorile nel caso di Ruby, che aveva diciassette anni al momento del suo arresto. Ma passa quasi senza commento – se non qualche sorriso ironico – il fatto che Berlusconi abbia dato un seggio nel Consiglio Regionale della Lombardia – un posto che vale circa 120.000 euro all’anno – a una ragazza di 25 anni senza alcun’esperienza politica solo perché ha partecipato ai festini bunga bunga del premier e perché si occupava delle altre ragazze della vita notturna di Berlusconi. La giustizia italiana deciderà se si trattasse di prostituzione o no, ma il ruolo della Minetti nella vita di Berlusconi è molto chiaro. È lei che Berlusconi chiama con urgenza la notte dell’arresto di Ruby chiedendole di sottrarre la giovane marocchina dalle mani della giustizia italiana. (Altro particolare sconvolgente: Berlusconi viene informato dell’arresto durante una visita di Stato in Francia da una prostituta brasiliana. In un altro Paese, il fatto che una prostituta abbia il numero di telefono riservato del primo ministro l’avrebbe costretto alle dimissioni, ma in Italia è solo un dettaglio gustoso in un racconto più grande e lurido). Si sa dalle varie intercettazioni che la Minetti era presente ai festini del presidente: parla perfino del suo “culo flaccido”che evidentmente avrà visto e secondo vari testimoni fa lo spogliarello per il divertimento dell’imperatore. Ma non è grave, gravissimo, che una persona, per questi servizi, venga pagata non con i soldi dell’uomo più potente del paese ma con i soldi del contribuente? Stranamente, l’unica persona che sembra rendersi conto dell’importanza del fatto è un altro membro dell’harem, Barbara Faggioli, la quale al telefono con la Minetti, dice: “A lui gli fa comodo mettere te e me in Parlamento perché dice, bene me le sono levate dai coglioni, lo stipendio lo paga lo Stato”. La Minetti risponde: “Sì brava! Brava! Sì sì».

Dunque Berlusconi usa i soldi dei cittadini per pagarsi le ragazze, facendosi beffe di istituzioni apparentemente democratiche come il Consiglio Regionale della Lombardia e il Parlamento italiano. Ma rispetto all’induzione alla prostituzione minorile, questo sembra un fatto minore. Si rende accettabile l’inaccettabile.

In un altro paese, è impensabile che l’avvocato personale del primo ministro, che lo difende nei suoi processi penali, sia anche un membro del Parlamento che disegna leggi che potrebbero beneficiare il suo cliente più importante. Sarebbe ritenuto scandaloso che questo signore prenda tutti i mesi uno stipendio molto lauto dai contribuenti italiani ma in Parlamento rappresenti soprattutto gli interessi del suo cliente privato da cui il suo studio legale riceve molto, ma molto di più. Ma nell’universo berlusconiano – dove si comprano sentenze e si viene condannati per collusione con la mafia – questo sembra un fatto quasi irrelevante anche se, in realtà, è un esempio della distorsione totale della democrazia.

Alexander Stille (La Repubblica - 31 gennaio 2011)


Passaparola: "L'Italia è una repubblica fondata sulla mafia"

Testo:

Buongiorno a tutti, oggi usciamo dai Bunga Bunga, tanto ormai quello che c’era da capire l’abbiamo capito fin troppo bene, gli stessi berlusconiani ormai sono rassegnati al fatto che gli italiani hanno capito, tant’è che l’unica cosa che riescono a dire è che la competenza non è del Tribunale ordinario di Milano, ma del Tribunale dei Ministri, naturalmente Berlusconi mentendo dice che lui si presenterà al suo giudice naturale che è il Tribunale dei Ministri, a parte che l’abbiamo già spiegato la settimana scorsa, la competenza è del Tribunale ordinario in quanto il reato di concussione e tanto più quello di favoreggiamento della prostituzione minorile, non può certamente essere stato commesso nell’esercizio delle funzioni di Presidente del Consiglio, anche perché il Presidente del Consiglio non ha tra le sue funzioni quello di chiamare le questure per dire chi deve uscire, chi deve entrare né tanto meno ha il compito di pagare minorenni perché vadano a Arcore a fare quello che sappiamo.

Anni '80, la crisi tra mafia e Democrazia Cristiana - Ma in ogni caso Berlusconi mentre sul fatto che non vede l’ora di presentarsi al Tribunale dei Ministri perché lui non vuole presentarsi neanche al Tribunale dei Ministri, perché non è un Tribunale composto da Ministri, è un Tribunale composto da magistrati del Tribunale ordinario di Milano estratti a sorte in una sezione che si forma quando c’è da giudicare un reato ministeriale, perché allora vuole il Tribunale dei Ministri?
Semplice, perché se il reato è di natura ministeriale, prima di approdare al Tribunale dei Ministri, il caso deve andare in Parlamento per la necessaria autorizzazione a procedere e lui sa in questo momento di avere la maggioranza e quindi sa che quando si voterà pro o contro l’autorizzazione a procedere, la sua maggioranza voterà contro e quindi lui non finirà mai davanti al Tribunale dei Ministri, questa è la ragione per cui chiede il Tribunale dei Ministri, per non andare davanti al Tribunale dei Ministri e a nessun altro Tribunale, come sempre. Ma lasciamo da parte questa vicenda perché ormai i fatti sono sufficientemente chiari, ne ritorneremo a parlare quando tra breve la Procura di Milano chiederà al G.I.P. il rito immediato per poter processare subito Berlusconi, la Minetti, Fede, Lele Mora e gli altri eventuali indagati di cui ancora non si sa. Parliamo invece di una questione che abbiamo seguito e che ogni tanto dobbiamo riacciuffare per fare un po’ di riepilogo, la questione delle trattative tra Stato e mafia negli anni delle stragi durante la crisi della Prima Repubblica e la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica. Ormai c’è un mosaico di fatti accertati, accertati grazie alle rivelazioni di Ciancimino che hanno innescato, l’abbiamo detto anche questo più volte un recupero di memoria da parte di persone che per 20 anni avevano taciuto, si sono scoperte tutta una serie di cose che ormai compongono queste puzzle che vanno messi nelle per formare il mosaico, il modo migliore per capire quello che si è accertato fino adesso e fare un po’ di cronologia in modo da avere tutti i fatti in successione diretta e si possa capirne la concatenazione e la collocazione temporale per poi vedere che razza di processo potrà venire fuori perché è chiaro che se questi fatti configureranno dei reati, reati commessi al tempo o reati commessi oggi da persone che magari rendono testimonianze false o soltanto parzialmente veridiche, può diventare una specie di processo di Norimberga sul passaggio tra la prima e la seconda repubblica e quindi è una vicenda che è destinata a occupare per molti mesi futuri, le cronache dei giornali. La cronologia delle trattative, allora voi sapete, almeno chi si occupa di queste cose che a metà degli anni 80, ben prima di Tangentopoli il rapporto tra la mafia e la politica entra in crisi e entra in crisi quando Falcone e Borsellino, il pool di Falcone e Borsellino alza il tiro e dal maxiprocesso ai capi della cupola, comincia a occuparsi anche di politici Vito Ciancimino e i cugini Salvo, da quel momento si capisce che la politica che aveva garantito impunità, non solo alla mafia militare ma anche alla mafia dei colletti bianchi, sta perdendo colpi di fronte all’offensiva della Magistratura che finalmente sta dando una ripulita ai piani alti del potere e quindi c’è la crisi 85/86/87 tra la mafia e la Democrazia Cristiana, tant’è che nel 1987 alle elezioni la mafia vota per i socialisti e per agganciare i socialisti c’è il famoso attentato alla Villa di Berlusconi in Via Rovani proprio per cercare di agganciare Craxi o qualcuno dei suoi tramite Berlusconi e Dell’Utri che hanno rapporti con loro e anche con i mafiosi. Berlusconi quindi per la prima volta si tenta di utilizzarlo da parte della mafia come cavallo di Troia per entrare direttamente in rapporto con la politica, non solo con Andreotti che già aveva rapporti con la politica fin dagli anni 70, ma anche con i nuovi, con i socialisti, c’è tutta una serie di vicende che dimostrano lo stop and go nei rapporti tra Stato e mafia, una volta si usano i socialisti, poi si torna un po’ ai democristiani, finché si arriva al 1991 quando la mafia alle elezioni regionali appoggia di nuovo la Democrazia Cristiana, fa eleggere un candidato andreottiano Gianmarinaro all’assemblea regionale, ma nel 1992 con la sentenza del maxiprocesso il rapporto tra la mafia e la DC entra definitivamente in crisi perché la Cassazione per la nota vicenda per cui Carnevale non presiede il collegio nella prima sezione che segue quel processo, la Cassazione conferma a sorpresa le condanne del maxiprocesso e lascia in galera tutti i capi mafia che speravano invece di uscire in base a un impegno preciso che Salvo Lima sappiamo, aveva preso con le cosche, c’è la reazione di Totò Riina naturalmente che uccide Salvo Lima, poi ucciderà anche Ignazio Salvi, intanto lo scandalo Tangentopoli sta demolendo dalle fondamenta quella classe politica che non ha più le forze per mantenere neanche i rapporti con la mafia, ci sono ipotesi secessioniste, c’è Riina che addirittura parla di Lega Nord perché ci sono alcuni leghisti che hanno rapporti con persone che in quel momento stanno dando vita a leghe meridionali in varie regioni del sud legate ai boss, l’ipotesi secessionista approda alla nascita un anno dopo del partito Sicilia Libera come vedremo tra un attimo, c’è il progetto stragista che comincia dopo Lima a alzare il tiro fino a Andreotti, la strage di Capaci elimina Giovanni Falcone proprio il giorno prima che Andreotti sia eletto Capo dello Stato. Andreotti si mette da parte e come sappiamo viene eletto Scalfaro, quest’ultimo appena arriva al Quirinale nomina Presidente del Consiglio Giuliano Amato perché Craxi ormai è alla vigilia del suo primo avviso di garanzia e negli stessi giorni Marcello Dell’Utri avvia il progetto Botticelli incaricando un consulente di Publitalia, Cartotto di studiare un partito della Fininvest, quindi mafia e Dell’Utri si occupano entrambi di trovare un qualcuno, un qualcosa che sostituisca la classe politica che ormai è data per morta. A giugno del 1992 il Capitano De Donno del Ros aggancia il figlio di Ciancimino durante un viaggio aereo e poi a De Donno subentra il Generale Mori, suo superiore, vicecomandante del Ros in quel periodo, mentre il figlio di Ciancimino naturalmente porta i Ros dal padre Don Vito e si avvia così la trattativa tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, Riina è tutto contento, Brusca riferisce che in quel periodo Riina ripete “si sono fatti sotto, gli abbiamo fatto un papello così” Riina mette giù il papello con le richieste della mafia allo Stato. L’arma di scambio naturalmente è la fine delle stragi in cambio del soddisfacimento delle richieste contenute nel papello. A giugno si insedia il nuovo governo, il nuovo Governo Amato, Scotti e Martelli che sono la coppia dei Ministri che hanno fatto molto contro Cosa Nostra, Scotti Ministro dell’Interno e Martelli Ministro della Giustizia devono, secondo gli ordini dei rispettivi partiti, saltare, Martelli resiste e riesce a farsi confermare invece Ministro della Giustizia, salta Scotti e gli viene preferito Nicola Mancino che diventa il nuovo Ministro dell’Interno. Tra il 17 e il 19 giugno 1992 tramite una sua collaboratrice al Ministero, Liliana Ferraro Magistrato, il Ministro Martelli fa avvertire Paolo Borsellino del fatto che sono iniziati questi contatti, questi colloqui, questa trattativa tra i Ros e Vito Ciancimino e pochi giorni dopo verso la fine di giugno c’è questo famoso incontro tra il Generale Mori e Borsellino in una caserma dei Carabinieri, la caserma di Via Carini, nella quale secondo Mori non si parlò della trattativa, è abbastanza improbabile che non se ne sia parlato anche perché Borsellino aveva appena saputo da Liliana Ferraro che c’era questo contatto tra Mori e Ciancimino, quindi immaginatevi se Borsellino non aveva la curiosità di saperne di più del diretto interessato.
Craxi beato, Berlusconi salvato - Il primo luglio Borsellino è a Roma per interrogare uno dei primissimi pentiti che hanno deciso di parlare di mafia, politica e istituzioni, Gaspare Mutolo e è il famoso incontro durante il quale mentre Borsellino sta facendo l’interrogatorio, Mutolo lo sta preannunciando di cosa intende parlare e tra questi obiettivi di cui intende parlare ci sono Bruno Contrada, c’è un giudice ritenuto colluso, il Giudice Signorino e altri, Borsellino viene convocato al Viminale dove sicuramente incontra il capo della Polizia Parisi, dove quasi sicuramente ha incontrato Bruno Contrada, del quale Mutolo gli stava parlando fino a pochi minuti prima e dove risulta assolutamente accertato che è arrivato fin dentro l’ufficio del nuovo Ministro dell’Interno Mancino, il quale poi sapete dice che non se lo ricorda.E’ la fase questa nella quale Riina, che si era illuso sul fatto che lo Stato fosse già pronto a venire a patti, adesso si è reso conto che la trattativa batte un po’ in testa, forse a causa del cambio del Ministro, c’è stato uno stallo, per cui Riina dice, riferisce Brusca in quei giorni: dobbiamo dare un altro colpettino, il colpettino è proprio l’uccisione di Paolo Borsellino che, evidentemente, informato della trattativa, la stava ostacolando e chissà che non l’abbia fatto sapere proprio quel giorno in cui è stato convocato al Viminale, ci vuole una nuova prova di forza di Cosa Nostra e il 19 luglio c’è la strage di Via D’Amelio con tutto il depistaggio che poi è oggi oggetto del procedimento per la revisione del processo di Via D’Amelio perché naturalmente Via D’Amelio viene immediatamente addossata a alcuni quaquaraqua abbastanza improbabili a cominciare da Vicenzo Scarantino che si assumono la responsabilità diretta di Via D’Amelio mentre poi invece Spatuzza ci spiegherà che loro non c’entrano niente, si sono fatti condannare ingiustamente per coprire lui e evidentemente qualcun altro. Il primo agosto, 12 giorni dopo la strage di Via D’Amelio viene convertito in legge il Decreto Martelli che dopo la strage di Capaci era stato barato dal Governo, ma imboscato dal Parlamento che non l’aveva convertito in legge e la strage di Via D’Amelio invece, a furor di popolo costringe il Parlamento a rifare i conti con quel decreto e a approvarlo, è il Decreto che praticamente consacra il 41 bis, il carcere duro per i mafiosi nelle isole, proprio davvero perché dopo la strage di Via D’Amelio vengono prelevati nella notte decine e decine di boss e portati a Pianosa e Asinara. L’estate – autunno del 1992 continuano le trattative che hanno come tramite il figlio di Ciancimino e come protagonisti il padre di Ciancimino che riferisce a Riina e a Provenzano e dall’altra parte Mori e De Donno, Riina però comincia a essere considerato poco affidabile perché la sua strategia stragista sta continuando e quindi evidentemente lo Stato, quelli che rappresentano lo Stato e che stanno dietro al Ros e dietro a Ciancimino cercano altri referenti più affidabili per trattare e infatti viene individuato, ci sono varie trattative in quel momento, c’è anche la trattativa fatta da un certo Bellini che utilizza come assaggio una nuova collaborazione la possibilità di restituire opere d’arte che sono state rubate, ma il referente più affidabile di Riina viene individuata in Bernardo Provenzano e nello stesso periodo infatti è Provenzano che di fatto secondo le ipotesi di accusa sempre più accreditate si vende Totò Riina, consegnando ai Carabinieri del Ros le mappe dei vari nascondigli nei quali Riina trascorreva la latitanza, in uno dei quali poi è quello dove di lì a poche settimane Riina verrà arrestato. A metà dicembre c’è l’arresto di Ciancimino il quale ha immediatamente la sensazione di essere diventato inutile, ormai la trattativa ha portato all’individuazione del covo di Riina e quindi lui può essere impacchettato, infatti gli arriva un bel mandato di cattura, derivante dal fatto che si dice che lui potrebbe scappare all’estero perché ha chiesto il passaporto, in realtà da quello che si è scoperto recentemente, pare che quel passaporto siano stati i Carabinieri a dirgli di chiederlo e naturalmente la richiesta del passaporto allerta il Ministro Martelli che fa sapere al Procuratore Generale di Palermo che bisogna negare il passaporto a Ciancimino e così i magistrati sollecitati dal Ministero della Giustizia per questa storia del passaporto, mettono in galera Vito Ciancimino che quindi esce di scena come referente della trattativa tra Stato e mafia e siamo al 1993. Il 15 gennaio 1993 arriva Caselli a Palermo come nuovo Procuratore e lo stesso giorno gli fanno trovare impacchettato Totò Riina arrestato dagli uomini del Ros poco distante dal covo di Via Bernini, c’è la storia della mancata perquisizione che naturalmente resta un buco nero ma che diventa molto significativa, anche questa mancata perquisizione potrebbe far parte di una trattativa, ci consegnate Riina ma noi vi lasciamo le carte di Riina, la possibile cassaforte sicuramente se conteneva prove del papello o della trattativa i Carabinieri non la toccano perché non entrano neanche nel covo, prima ci entrano i mafiosi, gli uomini di Pagarella a portare via tutto.A febbraio c’è l’esplosione finale, il salto di qualità ultimo di tangentopoli con la consegna di Silvano Larini l’uomo che inguaia Craxi definitivamente, c’è Licio Gelli che inguaia Claudio Martelli nello scandalo del conto protezione, Martelli viene indagato e si dimette da Ministro della Giustizia il 10 febbraio e al suo posto dentro al governo Amato come Ministro della Giustizia subentra il Prof. Giovanni Conso. Il 12 febbraio 1993 c’è una riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e qui racconterà Nicolò Amato che è il capo del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria), il direttore delle carceri, pare che il Capo della Polizia Vincenzo Parisi abbia detto che bisogna alleggerire il 41 bis perché lui ha delle riserve sull’eccessiva durezza del trattamento carcerario inflitto ai mafiosi nelle carceri di Pianosa e Asinara dopo le stragi, in realtà nei verbali di questo comitato che Parisi abbia detto questo cosa non risulta, risulta invece che è stato Nicolò Amato, socialista, Avvocato di Craxi a sollecitare un alleggerimento del 41 bis, sta di fatto che le lor versioni divergono e Nicolò Amato è vivo, può parlare ancora, Parisi è morto e quindi non si può difendere, ma in quella sede per la prima volta viene ventilata l’ipotesi di alleggerire il 41 bis che era proprio uno dei punti del papello, l’alleggerimento del trattamento carcerario per i boss, soprattutto dopo naturalmente la strage di Via D’Amelio quando, come abbiamo detto, tutti i mafiosi detenuti vengono portati via dalle carceri in giro per l’Italia e concentrati nelle isole lontano dai parenti, dagli Avvocati e dalle possibilità di comunicare. Nel frattempo Tangentopoli ormai sta radendo al suolo tutti i partiti, escluso il Caso Greganti, ci sono le tangenti rosse in prima fila, c’è il tentativo disperato del Governo Amato tramite il Ministro Conso con il Decreto Conso – Amato di depenalizzare il finanziamento illecito per cancellato il reato più diffuso dello scandalo di Tangentopoli e salvare la classe politica, Decreto che Scalfaro non firma e quindi non entra in vigore, il governo è delegittimato, anche perché oltre a Martelli ci sono molti altri Ministri indagati e infatti a aprile arrivano le dimissioni del Governo Amato, subito dopo il referendum di Segni contro il finanziamento pubblico dei partiti e sulla nuova legge elettorale, il finanziamento pubblico dei partiti viene cancellato dal voto popolare con una maggioranza, se non erro, del 90%, la Legge elettorale è quella che spinge in senso maggioritario un sistema che invece era sempre stato proporzionale, è una cesura tra il sistema della Prima Repubblica e quello che verrà dopo.
La mafia si fa un partito, poi arriva Forza Italia - Nello stesso periodo, aprile, sappiamo da Cartotto il consulente di Dell’Utri che da quasi un anno sta lavorando al nuovo partito di Berlusconi, che c’è ai primi di aprile la riunione a Arcore tra lui, Cartotto, Berlusconi e a un certo punto arriva anche Craxi in cui Berlusconi scioglie le riserve e decide di entrare in politica con un suo movimento che non si sa ancora se sarà capeggiato direttamente da lui, oppure se sarà sponsorizzato da lui ma capeggiato da qualcun altro. Intanto il Governo Ciampi si insedia al posto del Governo Amato e per quanto ci riguarda conferma al Ministero dell’Interno Mancino e al Ministero della Giustizia Giovanni Conso, il governo tecnico è un tentativo disperato di dare un po’ di prestigio alle istituzioni sputtanate a causa dello scandalo di Tangentopoli e la mafia decide di screditare immediatamente questo governo tecnico e di dare un altro colpetto, come avrebbe detto Riina se non fosse in carcere, ma c’è comunque a sostituirlo un suo parente stretto, Luca Pagarella che insieme ai fratelli Graviano concepisce il 14 maggio l’attentato di Via Fauro contro Maurizio Costanzo e vengono pianificate le stragi poi dell’estate. Intanto subito nei giorni di Via Fauro c’è la revoca di 140 provvedimenti del 41 bis, perché Nicolò Amato oggi dice che gliel’aveva chiesto Parisi, ma il 6 marzo, mentre stava morendo il Governo Amato ha ufficialmente chiesto di revocare il 41 bis che erano stati disposti dopo le stragi in nome dell’uscita dall’emergenza antimafia e subito dopo viene esaudito dal Ministro Conso che non rinnova 140 decreti di 41 bis sono tutti o quasi personaggi minori quelli che non stanno più nel 41 bis ma tornano al trattamento carcerario normale, a firmare il provvedimento è il vice del Direttore delle Carceri Amato, un certo Fazione. Alla fine di maggio, dopo il celebre avvertimento di proiettile di mortaio fatto ritrovare nel giardino di Boboli a Firenze con una telefonata che annuncia questo avviso di attentato, telefonata che non viene capita o non la si vuole capire, c’è la strage di Via dei Georgofili nella torre dei Pulci che è attigua al Museo degli Uffizi, ci sono i morti, i feriti, naturalmente a differenza di Via Fauro, purtroppo, il 2 giugno c’è un’altra bomba inesplosa in Via dei Sabini a Roma, rivendicata dalla sigla della falange armata che è una sigla che compare spesso in quei e è un’emanazione dei servizi segreti deviati, nel mese di giugno Nicolò Amato viene rimosso dalla direzione delle carceri, lui dice che fu per ordine di Parisi, tramite l’allora Presidente della Repubblica Scalfaro e il suo braccio destro il consigliere del Quirinale Giffuni e Conso al suo posto viene nominato un certo Capriotti, il cui vice che ha molto più peso specifico è il Giudice Francesco Di Maggio. Sembra ci sia un segnale in controtendenza da questo avvicendamento, quando Nicolò Amato va via dal Dap, a metà luglio vengono prorogati 240 provvedimenti di 41 bis, ma alla fine di luglio ci sono le stragi, nella notte del 27/28 luglio le stragi di Milano in Via Palestro e Roma alle basiliche del velabro e del laterano, c’è il black out a Palazzo Chigi che fa pensare un golpe al Presidente del Consiglio Ciampi perché i telefoni non funzionano nella notte, il giorno dopo c’è il suicidio di un personaggio chiave delle stragi del 92 Gioè che si uccide o viene suicidato, non si è mai capito, in carcere e l’11 agosto Sandokan, il boss della camorra, Francesco Schiavone detto Sandokan scrive a Scalfaro una lettera per chiedere la revoca del suo 41 bis, a dimostrazione del fatto che mafia, camorra e ‘ndrangheta stanno continuamente mandando messaggi sempre su questo 41 bis, che sembra essere non il punto più importante, ma il più urgente tra i punti contenuti nel papello. Il 21 settembre c’è la bomba dimostrativa sul treno della freccia dell’Etna e nel mese di ottobre c’è la nascita ufficiale di Sicilia Libera, Tullio Cannella fonda a Palermo questo partito secessionista che è l’ultimo venuto di una lunga serie di leghe meridionali nate in quel periodo da soggetti strani, legati in parte ai servizi, legati in parte all’eversione nera, in parte alla mafia e ci sono anche alcuni personaggi che si interessano a questo in vista di un gemellaggio, che arrivano dal nord come emissari della Lega Nord, è una delle opzioni della mafia, quella di portare alle elezioni che sono ormai alle porte, saranno all’inizio del 1994, queste leghe meridionali per ricattare con i voti la politica nazionale. Il 17 ottobre la Corte d’Appello di Napoli toglie il 41 bis a Sandokan, proprio come aveva chiesto lui, Francesco Schiavone in quella lettera al Capo dello Stato, alla fine di ottobre c’è lo scandalo del Sisde, si indaga su vari funzionari e dirigenti del Sisde perché si sono messi in tasca miliardi di fondi riservati e questi gentili signori, ritengono bene, nella logica del muoia Sansone con tutti i filistei di tirarsi dietro tutti i Ministri dell’interno degli ultimi 20 anni, dicono che a parte Fanfani, tutti i Ministri dell’Interno hanno intascato ogni mese una busta con 100 milioni, non giustificati di spese riservate che insinuano poi i Ministri spesso si mettevano in tasca, naturalmente uno dei Ministri dell’Interno è l’attuale in quel periodo Ministro dell’Interno Mancino e un altro è addirittura il Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro che quando scopre la manovra di questi signori ladri che si sono messi in tasca i soldi che vogliono tirarsi dietro le massime cariche dello Stato, fa il famoso discorso dove dice “non ci sto”, non dice non ci sto non voglio essere processato, dice non ci sto a consentire a questi ladri di polli, di dire ce io ho fatto queste cose e infatti poi finito il suo settennato la Procura di Roma indagherà sulla sua posizione e la archivierà come peraltro erano archiviate le posizioni di tutti gli altri Ministri perché è vero che ricevevano i fondi riservati, ma non è vero che se li mettevano in tasca, sono i fondi riservati che vengono usati dal Viminale per pagare i confidenti, le spese non giustificabili in quanto bisogna tenere coperte alcune fonti e alcune spie. Scalfaro però in quel “non ci sto” fa un accenno e dice: prima hanno provato con le bombe e ora con lo scandalo, cosa vuole dire? Che c’è una strategia complessiva, golpista da parte di strane forze alleate con chi ha messo le bombe per destabilizzare le istituzioni e lasciare un vuoto enorme che poi qualcuno arriverà a riempire, è il 3 novembre 1993 e mancano 4 mesi alle elezioni politiche anticipate, la legislatura finirà con lo scioglimento delle Camere a capodanno. Il 5 novembre scadono altri 340 provvedimenti di 41 bis che devono essere rinnovati dal Ministero della Giustizia, altrimenti i relativi destinatari, 340 mafiosi usciranno dal 41 bis e verranno trattati come dei detenuti normali, il Ministro Conso non li rinnova questi 340 provvedimenti del 41 bis, quindi dopo che ne sono già decaduti 140, ne vengono meno altri 340, ma mentre quelli non rinnovati a maggio erano personaggini, mezze tacche, quaquaraqua, questi sono in parte riguardanti personaggi molto importanti.
Fine della trattativa, fine delle stragi, Seconda Repubblica - Ora sappiamo, l’ha scritto Il Corriere della Sera l’altro giorno che prima di rinnovarli o di revocarli questi 340 41 bis, il Dap, la direzione delle carceri, il direttore nuovo Capriotti aveva chiesto un parere alla Procura di Palermo e quest’ultima aveva risposto che era inopportuno modificare l’attuale regime carcerario e quindi esprimeva parere favorevole alla sua proroga, firmato i procuratori aggiunti di Caselli, Vittorio Aliquò e Luigi Croce, perché il Dap e il Ministero ignorano questo parere che loro stessi hanno chiesto e anzi fanno il contrario di quello che dice la Procura di Palermo? Questo è il mistero, sta di fatto che prima il Dap chiede che fare alla Procura di Palermo, quest’ultima dice: prorogate tutti i 41 bis e il Ministero diretto da Giovanni Conso contravviene a questa indicazione che lui stesso, il suo Ministero ha sollecitato e annulla di fatto i 41 bis. Evidentemente questo Capriotti, Direttore del Dap era in buonafede, qualcun altro al Dap o Ministero aveva ricevuto input diversi, anche se Conso continua ostinatamente a dire che ha deciso tutto lui e che nessuno gli ha detto niente, che strano, prima Amato Nicolò, poi Conso e intanto questa manovra per depotenziare il 41 bis ha i suoi effetti a novembre e guarda caso da novembre in avanti non ci sono più stragi. Non ci sono più stragi perché poi viene annullata quella di gennaio del 1994 prevista allo Stadio Olimpico di Roma come forse qualcuno di voi ricorderà, naturalmente nel papello non c’era solo il 41 bis, quindi non è che la mafia si può accontentare che siano saldati i 41 bis per dire: adesso ci va bene chiunque vinca le elezioni, la mafia deve ancora ottenere tutto il resto, la ciccia vera, ma con la revoca dei 41 bis, intanto è riuscita a far stare meglio i suoi detenuti in carcere e fin qui Berlusconi non c’entra, perché in quel periodo al governo c’era il vecchio centro-sinistra che attenzione non ha niente a che fare con il nuovo centro-sinistra, era poi sostanzialmente il pentapartito o il quadripartito, la sinistra non c’era, si chiamava centro-sinistra perché c’erano pure i socialisti, ma il Pds in quel momento non era al governo, avrebbe dovuto appoggiare il governo Ciampi, poi invece aveva rifiutato di appoggiarlo quando a aprile il Parlamento aveva negato alcune autorizzazioni a procedere contro Craxi. Per arrivare alla conclusione qui finisce la trattativa dell’ultimo governo della Prima Repubblica con la revoca dei 41 bis, quello è il massimo che riescono a dare, la mafia però sta aspettando il resto, via l’ergastolo, via i pentiti, via il sequestro dei beni, revisione delle condanne del maxiprocesso , le leggi che poi abbiamo visto approvare o proporre negli anni successivi, quasi tutte per iniziativa del centro-destra, anche se poi colpevolmente quelle che sono state votate, sono spesso state votate anche da gente del centro-sinistra e quindi qui c’è la saldatura con l’altra trattativa, proprio nel novembre del 1993, mentre vengono revocati i 41 bis dal governo Ciampi tramite il Ministro Conso, ci sono quei famosi due appuntamenti tra Mangano e Dell’Utri che solo la Corte d’Appello di Palermo ha potuto ritenere che si riferiscano a un altro Mangano, a un caso di omonimia, dopo che neanche Dell’Utri fino all’ultimo periodo, si era mai sognato di negare che quel Mangano fosse davvero il Vittorio Mangano, abbiamo le confessioni di Giuffrè che dicono che proprio in quel periodo, fine 1993 Provenzano rassicurò i clan e garantì che si poteva tranquillamente scaricare il partito di Sicilia Libera un paio di mesi dopo che era nato, perché Dell’Utri dava grandi garanzie e quindi abbiamo la mobilitazione di Cosa Nostra per votare Forza Italia. Il figlio di Ciancimino ricorda che suo padre era convinto che dal momento in cui lui fu arrestato alla fine del 1992, di lì a poco si preparavano mafia e Stato a nominare un nuovo mediatore per le loro trattative e questo mediatore secondo Massimo Ciancimino Don Vito lo indicò nella persona di Dell’Utri, tant’è che Ciancimino era furibondo perché diceva: ma Berlusconi e Dell’Utri cosa hanno fatto di diverso rispetto a me? Allora io perché sono finito in galera e loro invece sono finiti nelle istituzioni? Ma su questa parte di trattativa siamo ancora abbastanza indietro, almeno sappiamo ancora poco di quello che stanno scoprendo i magistrati, sulla prima parte invece con gli interrogatori dei vari Ciampi, Scalfaro, Nicolò Amato e di funzionari del Dap, sappiamo già molto, voi capite che se le cose verranno confermate si farà un processo perché si scoprirà che ci sono reati e ci sono già molti indagati o per falsa testimonianza o addirittura per avere favorito la mafia e quindi per concorso esterno oppure addirittura per una sorta di attentato alle istituzioni con le tresche segrete con Cosa Nostra.
Ce n'è abbastanza per promuovere una specie di processo di Norimberga e forse non è casuale che lo si possa celebrare in un periodo che sembra segnare la fine della Seconda Repubblica, alla fine della Seconda Repubblica avremo finalmente le forze, gli elementi e le informazioni per processare quelli che sono all’origine della nascita della Seconda Repubblica, passate parola e buona settimana!

Marco Travaglio (Passaparola del 31 gennaio 2011)

Arnoldo Foà, confessione di una sconfitta

Il sorriso conserva l'innocenza disarmante di un bambino. E la voce è sempre quella, sembra uscire da una caverna preistorica. «La mia voce? - dice - Non me ne frega niente. Eppure ha avuto il suo successo. Non l'ho scoperta io, l'hanno scoperta gli altri. In casa, nessuno ha mai detto di ammirare la mia voce. Non mi ricordo. Mia moglie sì...». Anna ricambia il sorriso: «La voce? No, non è stata la prima cosa, direi di no...». Seduto alla sua scrivania, la pipa accesa tra le dita di una mano, il manico del bastone nell'altra, Arnoldo Foà sfoglia la sua Autobiografia di un artista burbero (Sellerio). «Perché burbero? Sono buono come il pane. Burbero è uno che anche quando dovrebbe comportarsi dolcemente si comporta con cattiveria. Sono burbero?». Anna lo guarda con dolcezza.

Non è un tipo facile, Foà. Non è facile intervistarlo. Gli piace mostrarsi scontroso per poi sorridere, sbuffare, magari mandarti a quel paese. A 95 anni (compiuti la scorsa settimana), può permetterselo. Suo padre lo guarda severo da una grande fotografia appesa a una parete dello studio: «Papà mio è... lassù, c'è un ritratto, e io me lo guardo con grande affetto. Mia mamma amava tanto mio fratello Piero e poco me, non so perché... Una volta che decise di andarsene con Piero, mi disse: tu sei figlio di tuo padre, resta con lui!». Il piccolo Arnoldo si aggrappò alla sua gonna per non farla partire e ricevette uno schiaffo. «Papà era un uomo, non lo chiamerei in un altro modo, bello, simpatico. Gli piacevano le donne e l'amore di mamma per papà non era una gran cosa».

Foà abbassa lo sguardo alla pipa e aggiusta il tabacco con la punta annerita delle dita. Ricorda quando da ragazzo, a Firenze, lavorava nel negozio di ferramenta di suo padre: «Papà non era molto brillante negli affari, ma lavorare in un negozio significa conoscere l'umanità, conoscere la vita e io da ragazzo la vita l'ho conosciuta abbastanza presto. Altre cose da chiedere?». Quanto conta la psicologia per la recitazione? Nietzsche diceva che se provasse davvero il sentimento che esprime, l'attore sarebbe perduto. «È tutto, l'uomo si esprime psicologicamente con la sua sostanza, per quello che è. L'incontro con un personaggio, come con una persona, ti obbliga a una comprensione profonda. Ma lei tanto non capisce niente...». Risata. I personaggi in cui si è riconosciuto di più? Pausa di riflessione. «Tutti, perché quando faccio un personaggio sono lui, in un modo talmente profondo che non si esprime solo con le parole, ma anche con gli sguardi, i gesti, i rapporti con gli altri».

Le amicizie forse sono un po' la stessa cosa. Richiedono comprensione, e la comprensione richiede conoscenza. Amici nell'ambiente teatrale? «Nessuno. Con Gassman abbiamo avuto un rapporto amichevole, non proprio di amicizia. Vittorio era una cara persona la quale aveva un tale amore per se stesso da lasciare un po' in osservazione gli altri. Con Mastroianni, grande stima, era un bravo attore». Rivolto ad Anna: «Tu ti ricordi qualcosa?». Anna non può ricordarselo, giovane com'è. Ma fa i nomi di Amedeo Nazzari e di Alberto Lupo, e gli occhi di Foà si illuminano. E poi Rina Morelli: «Adoravo la sua semplicità, la grazia, la freschezza. Non era un'attrice. Era lei dentro il personaggio. Che bella che era, Rina!». Giorgio Strehler è il ricordo lontano di un litigio: «Mi tagliò una battuta e gli dissi che non ero d'accordo. Rispose: il regista sono io. Quando poi voleva restaurarla, gli dissi di no: perché io sono l'attore... A distanza di anni, disse: ho un debito con Foà».

Anche con Luchino Visconti le cose non andarono troppo bene: Foà fece tre spettacoli con la sua regia. Era da tempo che non si vedevano e incontrandolo un giorno sul Tevere, Visconti gli chiese: «Perché non mi telefoni mai». Risposta: «Tu hai il mio numero, se hai una parte da offrirmi puoi chiamarmi». Passarono cinque o sei anni di silenzio e si rividero a Londra, una sera, dopo la prima de Le notti bianche. Luchino chiese un parere ad Arnoldo e la risposta fu franca al punto che lì si chiusero per sempre i rapporti tra il regista e l'attore. Non è un tipo facile, Foà. Burbero? Qualcosa del genere.

Nel libro racconta di essere fuggito di casa giovanissimo, poi ricorda il tempo delle leggi razziali che lo costrinsero, giovane ebreo, a lasciare il Centro sperimentale di cinematografia e a recitare con lo pseudonimo nel Giulio Cesare diretto da Giovacchino Forzano a Verona. Quando il regista gli sentì recitare le prime battute nel provino, si commosse: «Ma tu sei Bruto!», esclamò. Ricorda Foà: «Alla prima, essendo ebreo, mi fu proibito di uscire per raccogliere l'applauso. Fu per me uno dei momenti di tragedia, ma la gente impazzita veniva nel camerino a congratularsi». Dopo la guerra, Paolo Grassi gli disse di aver visto, qualche anno prima, un paio di bravissimi attori, vecchi e giovani, che non conosceva: era sempre Foà, che recitava sotto falso nome per le leggi razziali. Racconta che ancora adesso gli capita di sognare Mussolini e di svegliarsi prestissimo ricordando di averlo visto, da ragazzo, fiero e impettito a cavallo. Come ha vissuto la discriminazione razziale? «Con un misto di consapevolezza e di incapacità di capire. Poi, studiando le colpe, sono arrivato a giudicare. Ho dovuto soffrire, questo sì, perché non ho mai negato di essere ebreo. Ma lei non capisce...».

Tanti amori, quattro mogli, cinque figlie, Annalisa morta giovane. Un bilancio: ha prevalso il dolore o l'amore? «Direi che ha prevalso l'amore, sì. Ho una tendenza all'amore, non fisico con una donna, ma l'amore per le persone, per gli spiriti, per le personalità, che sono le cose più belle sulla faccia della terra, perché sono diverse l'una dall'altra. Lei è diverso da me. Per fortuna. Mia, ovviamente». Ovvio. Amore tutto terreno, si direbbe, se è vero che la dimensione trascendentale non è mai entrata nel suo panorama mentale, spirituale, neanche in vecchiaia: «L'ateismo non l'ho maturato, mi sentivo ateo fin da ragazzino. Mio padre era religiosissimo quando le cose gli andavano bene, molto meno quando gli andavano male».

Il passaggio da figlio a padre? «Da padre ho capito di essere debole e di non essere importante come avrei dovuto. Me ne vergogno. Non sono stato autoritario. Mi è mancato tutto, non sono un padre, sono un fratello delle mie figlie, un compagno. Non è bello». La fuga alle Seychelles per quattro anni, con il primo governo Berlusconi, è stata raccontata come un esilio politico: dopo aver sofferto il fascismo, gli ex fascisti tornavano al potere... «In realtà decisi di rimanerci, più che di andarci. Mentre l'Europa è un'espressione della civiltà, le Seychelles sono un'espressione della natura, gli uomini somigliano alle piante, agli animali, agli uomini, è un modo di vivere naturale. In Europa si vive artificialmente, devi pensare a chi sei, a cosa pensi, a chi credi. Belle le Seychelles, belle! Ho fatto un quadro in cui ci sono un uomo e una donna nudi che parlano, non c'è altro, sono veri, tranquilli, non c'è desiderio, parlano... Faglielo vedere, Anna, tiralo giù, che ci vuole?».

Negli anni Sessanta Foà fu consigliere comunale per il Partito radicale. La politica oggi? «Mi ha sempre interessato pochissimo. Interessa agli imbecilli, la politica. Se è fatta bene, non chiamiamola politica. Vederla in televisione, poi... mi dà fastidio». Risata. «Adesso ancora più di prima». Nuova risata. «A parte l'amore che ho per Silvio, per quest'uomo meraviglioso, stupendo. Un attore? No, no, c'è una differenza, l'attore cambia, fa diversi personaggi, lui purtroppo ne fa uno solo». Pipa, tosse, nuova risata. «Adesso basta, mi faccia l'ultima domanda e basta». Eccola, l'ultima.

Quanto pesa la vecchiaia? «L'età non mi pesa, la vita sì. Non mia moglie, non il passato. Mi pesano i minori interessi che ho adesso e che prima erano tanti, la pittura, la scultura, la poesia. Per fortuna c'è la musica, Beethoven mi piace da morire. E poi leggo... i libri di Foà... Poesie non ne scrivo più. Anzi, ne ho scritta una bellissima che dice: "Gli anni li compi, ahimè, una volta sola...". E adesso basta». Rimpianti? «Avere accettato questa intervista».

Paolo Di Stefano (Corriere della Sera - 31 gennaio 2011)


Quelli che si "curano" via internet, una pratica in crescita in Italia

Il vaccino contro l'influenza, un farmaco per il mal di testa o l'ultima ricerca scientifica per combattere il tumore. Se per avere una risposta dal medico, bisogna prenotare la visita e a volte aspettare giorni, su internet bastano un clic e pochi minuti. Gli italiani divorano le informazioni sulla salute on line: otto utenti del web su dieci si affidano alla rete per cercare informazioni, mentre uno su due naviga per l'autodiagnosi. Ma tutto questo cercare nomi di malattie o farmaci sui motori di ricerca ha qualche controindicazione: tre persone su quattro non controllano l'attendibilità delle fonti, rischiando così di trovare in contenuti poco affidabili.

I dati emergono dal Bupa Health Pulse 2010 1, la ricerca internazionale della London School of Economics sui servizi sanitari. L'indagine ha monitorato le abitudini degli internauti di 12 paesi tra i quali l'Italia.

La febbre del web. L'Italia sembra presa dalla febbre del "Dottor internet". Il 65% dei cibernauti italiani cerca in rete informazioni sui farmaci; il 47% naviga per effettuare un'autodiagnosi; il 42% si informa su ospedali o cliniche; il 26% cerca notizie sui medici; il 13% ricorre ai social media come Facebook per commenti e domande o approfondimenti. Due terzi dei cibernauti dichiara invece di richiedere prescrizioni on line e altrettanti vorrebbero poter accedere alla cartella clinica sul web. Meno del 10% ha risposto a questionari su internet per valutare il proprio stato di salute. Quando non si sentono bene o un familiare sta male, le donne italiane consultano il web più degli uomini (83% contro 78%), ma il picco massimo di ricerche legate alla salute, indipendentemente dal sesso, si registra tra i giovani dai 25 ai 34 anni (87%). Inoltre quando si tratta di contattare il proprio medico con una email o un sms per trovare qualche informazione, i più propensi risultano gli uomini (27% contro il 21%).

Boom in Russia, Cina e India. Più degli italiani (81% di internauti), a cercare notizie sulla salute nel web sono russi, cinesi, indiani e messicani (rispettivamente al 96%, 92%, 90 e 89%). Secondo una recente ricerca del Censis, il 34% della popolazione italiana cerca notizie di medicina su siti web, senza interpellare il proprio medico (una percentuale che sul totale dei navigatori abituali, che nel 2009 erano stimati in 23 milioni, sale al 75%). Il fenomeno è in crescita. I ricercatori inglesi sono sicuri che l'interesse per questi argomenti subirà ulteriori impennate, anche con l'incremento delle vendite di smartphone e ipad previsto entro il 2012.

Informazioni non sempre affidabili. Dall'ultima dieta alla moda fino alle notizie sulle malattie rare, online si trova di tutto. Ma in giornali, blog e forum possono nascondersi insidie. "Se online si reperiscono delle informazioni inaffidabili - ha commentato Sneh Khemka, direttore medico di 'Bupa International' - le conseguenze possono essere serie. Da una parte le persone possono sentirsi falsamente rassicurate da sintomi potenzialmente pericolosi, dall'altra un'informazione imprecisa può portare la gente a preoccuparsi per nulla".

I consigli. Tra i consigli per chi si affida alla rete, gli esperti ricordano di essere molto specifici nell'inserire le parole chiave e di scegliere scrupolosamente i siti che forniscono informazioni sulla salute. "E' sufficiente controllare che il sito che si sta consultando abbia esposto un marchio di qualità rilasciato da appositi enti certificatori, come il noto HonCode 2 rilasciato dalla Health On the Net Foundation - spiega Eugenio Santoro, responsabile del laboratorio di Informatica medica dell'Istituto Mario Negri di Milano - . In assenza di tale marchio è importante controllare chi c'è dietro al sito, nella sezione 'Chi siamo', preferendo nella fase di consultazione i siti web di società scientifiche, associazioni di pazienti e organismi istituzionali; e se ogni articolo è firmato e datato. Poi è importante chiedersi se esistono possibili conflitti di interesse tra quanto indicato nei siti web e la natura della organizzazione che ci sta dietro o degli autori chiamati a redigerli. Infine - conclude Santoro - occorre fare molta attenzione alle informazioni raccolte su Facebook o su altri social network/media e applicazioni del web 2.0 come Wikipedia o i blog, poiché i loro contenuti sono frutto della collaborazione di persone che raramente hanno specifiche competenze in sanità o sono medici".

Proprio per facilitare l'individuazione di siti web medici affidabili, l'Istituto Mario Negri ha sviluppato uno strumento basato su 10 semplici quesiti, chiamato Misurasiti 3. Comunque, indipendentemente dagli strumenti usati per controllare le fonti, è comunque consigliabile rivolgersi al proprio medico e discutere con lui il materiale raccolto.

Valeria Pini (La Repubblica - 24 gennaio 2011)