giovedì 10 marzo 2011

C’è un Paese che ce l’ha fatta

L’Italia è ancora un grande Paese. Ricordiamocelo, soprattutto ora che siamo a un bivio decisivo e non possiamo permetterci di sbagliare. Oggi che dobbiamo fare appello a tutte le forze sane, a chi ha conservato la passione civile e magari sta perdendo la speranza di poter cambiare le cose. Questo si propone adesso Il Fatto: raccontare, con l’aiuto delle segnalazioni dei lettori, le storie di chi nella sua vita quotidiana prova a costruire un Paese diverso. Domani, sul giornale, il primo reportage dall’Italia che va, poi toccherà a voi mandarci le segnalazioni (da venerdì sarà attivo l’indirizzo di posta elettronica italiacheva@ilfattoquotidiano.it).

Il nostro giornale è nato come quotidiano di inchiesta. Questa è l’essenza del lavoro di cronista. Come diceva Joseph Pulitzer: “Un’opinione pubblica ben informata è la nostra corte suprema. Perché a essa ci si può appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli orrori del governo”. Le inchieste sul malaffare sono indispensabili. Se noi e i lettori abbiamo seguito con tanta attenzione i mali dell’Italia non è stato per disfattismo o, peggio, per scarso attaccamento al nostro Paese. È vero il contrario: raccontare gli scandali provoca nei giornalisti – e, immaginiamo, anche nei lettori – dolore e disagio profondi. Ma è necessario per cambiare.

Denunciare è la prima metà del nostro lavoro. Per ritrovare lo slancio e voltare pagina occorre, però, anche ricordarci chi siamo. Non è un caso se l’Italia è ancora uno dei paesi più civili e vivibili del mondo. No, non è merito della politica, di uno dei peggiori Parlamenti della nostra storia. Ci sono, sparsi in ogni regione, dal Nord al Sud, milioni di persone che fanno il loro dovere di cittadini e qualcosa di più. È uno sforzo doppiamente difficile perché, dopo anni di crisi morale, la mentalità del Paese sta cambiando nel profondo. Proviamo a pensarci: è difficile trovare nel panorama pubblico una figura che possa essere presa a esempio di passione civile.

È per questo, forse, che i protagonisti di queste storie sono spesso sconosciuti. È grazie a loro se noi tutti viviamo meglio e oggi possiamo sperare in una svolta che ci riporti a costruire uno Stato degno delle nostre speranze. Sono medici e infermieri di ospedali che trascorrono giorni e notti in corsia, magistrati e poliziotti che sfidano la criminalità, insegnanti che credono ancora in una scuola dove crescono le generazioni di domani, imprenditori che pagano le tasse e trattano i lavoratori con rispetto, vigili urbani che si battono per la sicurezza stradale, volontari che aiutano gli emarginati senza chiedersi se sono italiani o immigrati, associazioni che si occupano degli anziani lasciati soli, ricercatori rimasti senza mezzi che proseguono la loro attività, architetti che consultano i cittadini per realizzare i progetti. E anche politici, perché no, capaci di prendere decisioni coraggiose per proteggere le istituzioni, o salvare l’ambiente e migliorare la sicurezza dei loro cittadini.

Anche le storie positive devono diventare una notizia. No, non per riempire una paginetta di episodi edificanti da libro Cuore, non per bilanciare lo squallore che emerge dalle inchieste sul malaffare. È dovere del cronista dare conto della vita di un Paese in tutti i suoi aspetti. Ma soprattutto se vogliamo ritrovare le forze per uscire dall’ombra dobbiamo renderci conto delle grandi cose che siamo ancora capaci di fare insieme. Dobbiamo riscoprire la nostra comunità superando la tentazione di individualismi e rassegnazione.

Chiamatela con il nome di una città, di una regione, chiamatela Italia. La comunità è il luogo cui siamo legati perché vi ritroviamo la nostra vita (ci siamo nati o vi abbiamo cercato un avvenire). Ma è molto di più: ci accoglie e noi vi lasciamo un contributo, una traccia. È il nostro passato, la nostra identità, ma anche il presente e soprattutto il futuro. Perfino, verrebbe da dire, può rappresentare sogni e ideali. È il nostro destino comune. Per il nostro giornale abbiamo scelto un nome non casuale: Il Fatto. Un sostantivo, doveva ricordare che noi vogliamo raccontare gli avvenimenti. Tutti, senza reticenze. Ma “fatto” è anche il participio del verbo fare. Ecco, tanto è “già fatto” e “ben fatto”, ci sono piccole e grandi conquiste realizzate da singoli individui, associazioni, paesi. Da qui bisogna ripartire per voltare pagina, da una chiamata a raccolta delle forze sane dell’Italia; un po’ come era successo negli anni in cui è nata la Costituzione, e il paragone non è casuale.

Ricordare queste esperienze, ascoltarle può aiutare tutti. Farà sentire meno solo chi non si vuole piegare e ha conservato intatto l’orgoglio, ma rischia magari di scivolare nella rassegnazione. “Resistere, resistere, resistere”, diceva Francesco Saverio Borrelli. Ma la resistenza si fa costruendo insieme qualcosa. Si fa con la speranza. Il Fatto ha deciso di andare a cercare in Italia queste storie. Ma per farlo ha bisogno dell’aiuto dei lettori che le scovino e ce le segnalino. Noi proveremo a raccoglierle, a dare loro voce. Il nostro lavoro sarà stato davvero utile se queste forze si incontreranno, faranno rete per unirsi.

Un’altra Italia è possibile.

Il Fatto Quotidiano, 9 marzo 2011


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