mercoledì 30 marzo 2011

Delitto perfetto

1) Sulla guerra lunga contro la Libia no. Incapace e irresponsabile, Silvio Berlusconi non è in grado di "metterci la faccia". Ma sulla guerra-lampo contro i magistrati sì. Feroce e inesorabile, il Cavaliere la faccia ce la mette. Il blitzkrieg sul processo breve è la drammatica conferma di un lucido progetto di destrutturazione del sistema giurisdizionale. L'unica cosa che davvero conta, per il presidente del Consiglio, è ora e sempre fermare la macchina dei processi che lo riguardano. E così, nell'ombra della Camera oscurata per un giorno dai riflettori spostati su Lampedusa, il premier consuma il delitto perfetto. Lunedì la scena madre a Milano, con il predellino bis davanti al Palazzo di Giustizia trasformato in un qualsiasi palaforum da campagna elettorale: colossale finzione propagandistica, per dimostrare al suo popolo che lui ai processi ci va, nonostante la "persecuzione giudiziaria" di questi diciassette anni perpetrata dai soliti comunisti. Oggi, nel retroscena di Montecitorio, l'accelerazione improvvisa sul disegno di legge che contempla tra l'altro l'accorciamento dei tempi di prescrizione per gli incensurati: ultimo e definitivo "salvacondotto", per mettersi al riparo entro l'estate dalla probabile condanna nel processo Mills.

Come sempre, quando la posta in gioco del Cavaliere è la giustizia non si sbaglia mai: conviene scommettere sul peggio. Perché il peggio, puntualmente, arriva. A dispetto dei finti ingenui dell'opposizione, che ancora credono alle menzogne del premier o ai bluff del suo Guardasigilli. In un giorno solo, il governo fa piazza pulita dell false promesse che hanno accompagnato la presunta "riforma Alfano": mai più norme ad personam, ma leggi nell'interesse dei cittadini. In un giorno solo, la maggioranza con il processo breve fa due passi avanti sul terreno dell'arbitrio legislativo, dopo aver simulato un passo indietro sull'emendamento per la responsabilità civile dei giudici. È la tattica collaudata in un quasi Ventennio. Con una mano, esibita al pubblico plaudente, ti porgo il ramoscello d' ulivo. Con l'altra mano, nascosta dietro la schiena, mi preparo a colpirti col bastone. Adesso ci risiamo. Con un'aggravante in più. Per salvare il premier con la norma tagliata a misura per la sua prescrizione, passa una legge che rischia di azzerare circa 100 mila processi, tra cui molti di quelli su reati comuni gravissimi (dalla violenza sessuale alla rapina), oltre a quelli su Thyssen, Parmalat, Antonveneta, e la Casa dello Studente dell'Aquila. È il prezzo, carissimo, messo da Berlusconi sul conto degli italiani: per garantire la sua impunità, devono rinunciare alla loro giustizia. Questa è la vera "riforma" del centrodestra.

Massimo Giannini (La repubblica - 30 marzo 2011)


2) A LAMPEDUSA il colpo di teatro e la demagogia promozionale, a Roma il colpo di mano e la macelleria costituzionale. Diciassette anni dopo il suo primo trionfo elettorale del 29 marzo 1994, Silvio Berlusconi regala all'Italia un altro mercoledì nero della democrazia. L'ultimo strappo si è dunque compiuto. Con un atto di forza, tecnicamente eversivo e politicamente distruttivo, la destra inverte l'ordine dei lavori, e impone alle Camere l'approvazione immediata della legge sul processo breve e sulla prescrizione "corta" per gli incensurati. Cioè la trentottesima legge ad personam dell'era berlusconiana.

Eccola, la vera "riforma epocale" della giustizia che il presidente del Consiglio ha sempre avuto nel cuore e nella testa. Non è il disegno di legge di revisione costituzionale di Alfano, spacciato tre settimane fa dal guardasigilli al Capo dello Stato e all'opinione pubblica come una "svolta storica". L'epifania di una nuova era, nella quale la destra rinunciava alle leggi tagliate a misura per i bisogni di un solo imputato, per tutelare quelli di tutti i cittadini. E su questa piattaforma proponeva una fase di pacificazione, chiedendo alla magistratura di scendere alle barricate, e all'opposizione di aprirsi al dialogo.

Non abbiamo mai avuto dubbi. Ma ora abbiamo la "smoking gun". Quello è stato solo un inganno istituzionale e un tranello comunicazionale. Fabbricato ad arte, insieme alla guerra non guerreggiata contro la Libia e all'emergenza profughi sbandierata e non gestita, per distrarre l'attenzione. Mentre armava malvolentieri i nostri caccia in volo verso Tripoli e le nostre navi in rotta verso Lampedusa, in realtà il Cavaliere militarizzava la sua maggioranza in vista dell'unica battaglia che gli sta a cuore: quella contro la procura di Milano. Una battaglia che lo deve vedere a tutti i costi vincitore, e dunque finalmente e definitivamente libero da tutte le sue pendenze giudiziarie.

Il blitzkrieg sul processo breve è la conferma di un lucido progetto di destrutturazione del sistema giurisdizionale ad uso privato. Tutti i passi compiuti in quest'ultimo mese sono stati funzionali all'obiettivo. Lunedì la scena madre a Milano, con il predellino bis davanti a un Palazzo di Giustizia trasformato in palaforum da campagna elettorale: colossale finzione propagandistica, per dimostrare alla sua gente la "persecuzione giudiziaria" dei soliti comunisti. Ieri, nel retroscena di Montecitorio, al riparo dai riflettori concentrati sull'imbarazzante televendita approntata nella nostra povera Ellis Island del Mar di Sicilia, il "delitto perfetto" sul processo breve. Ultimo e tombale "salvacondotto", per mettersi al riparo entro l'estate dalla probabile condanna nel processo Mills.

Così, in un giorno solo, il Cavaliere torna Caimano. Cioè quello che, in fondo, non ha mai smesso di essere. A dispetto di tutte le dissimulazioni, alle quali hanno creduto alleati agguerriti e avversari spauriti. E confusi dalla tattica collaudata in un quasi Ventennio. Con una mano, esibita al pubblico plaudente, ti porgo un ramoscello d'ulivo. Con l'altra mano, nascosta dietro la schiena, mi preparo a colpirti con un bastone. Adesso c'è un'aggravante in più. Per salvare il premier, passa una legge che azzera migliaia di processi, e manda impuniti reati comuni gravissimi, dalla rapina alla violenza sessuale. È il prezzo, intollerabile, messo da Berlusconi sul conto degli italiani: per garantire la sua impunità, devono rinunciare alla loro giustizia.

Questa è dunque la vera "riforma" del centrodestra. Non c'è da gridare allo scandalo, se di fronte a questo nuovo abuso di potere mezzo Parlamento si sia sollevato, per gridare "vergogna". Quello che stupisce, semmai, è che interi pezzi di una destra che una volta fu legalitaria si adeguino. Dalla Lega agli ex di An. Gente che negli anni di Mani Pulite agitava nell'emiciclo i cappi davanti alla Prima Repubblica (come Bossi, un ministro ormai chiaramente impresentabile) e che oggi difende, perché li incarna, i privilegi della Seconda. Gente che sfilava in piazza per i magistrati (come La Russa, un ministro ormai palesemente inadeguato) che per difendere l'indifendibile insulta a viso aperto il presidente della Camera Fini.

Si grida allo scandalo, invece, perché fuori dal Palazzo tornano le folle che contestano e lanciano monetine, come all'epoca di Craxi davanti al Raphael. Ogni forma di protesta violenta va stigmatizzata. Ogni forma di deriva anti-politica va arginata. Il berlusconismo si supera solo con la fatica della politica e con la pazienza della democrazia. Ma manifestare il proprio dissenso, di fronte a quanto accade, è lecito e doveroso. E al premier e ai suoi cantori, che oggi lamentano il "clima", verrebbe da dire: chi semina anti-politica, raccoglie anti-politica. Le scorciatoie populiste non corrono sempre nella stessa direzione. Capita che si muovano all'inverso, e generino populismi uguali e contrari.

Su questa linea del fronte, la destra accusa "Repubblica". Usando strumentalmente l'articolo 68 della

Costituzione, appellandosi alla sovranità del voto popolare, invocando il ripristino dell'immunità parlamentare e deprecando la bocciatura dello scudo per le alte cariche dello Stato. Ma farebbe bene a ricordare una verità elementare. Storica e politica. Quando scrissero quelle norme, i padri costituenti e i legislatori lo fecero in astratto, e su casi indistinti. Era la grundnorm di Hans Kelsen, concepita per regolare un sistema, non per proteggere un singolo.

La questione odierna è totalmente diversa. Qui si vara una legge che, mentre altera e snatura il sistema, entra nella carne viva di una specifica vicenda processuale e strappa una persona (proprio "quella" persona) al suo giudice naturale. In qualunque democrazia occidentale sarebbe inutile rammentare questa abissale differenza, a chi finge di non vederla e non vuol farla vedere ai cittadini elettori. Ma nell'Italia di oggi è doveroso: per rompere la nube tossica di mistificazione politica e di manipolazione semantica che l'egemonia culturale della destra berlusconiana sparge a piene mani sul Paese.


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