È bastato seguire per pochi minuti i talk-show, conditi di analisti politici, esperti militari e a vario titolo, giornalisti, che si sono succeduti sabato pomeriggio dopo la notizia che i Mirage francesi avevano preso il volo verso la Libia, per capire che l’attacco dei Paesi occidentali aveva poco o nulla a che fare con la salvaguardia dei civili colpiti dalla furia del dittatore di Tripoli. Vi si parlava dell’obiettivo della Francia di affermare una propria primazia nel Mediterraneo, degli Stati Uniti che, sorpresi dall’anticipo alle operazioni dato da Sarkozy, hanno lanciato poco dopo dalle loro navi 110 missili Tomahawk per far capire che rimangono comunque loro ad avere il bastone del comando, dell’interesse della Gran Bretagna a recuperare le posizioni perdute nel 1970 quando Gheddafi cacciò, oltre a 20 mila italiani che facevano, in genere, i ristoratori o i negozianti, anche le aziende petrolifere inglesi, della necessità che l’Italia assumesse “una parte attiva” nell’attacco per poi avere pari titolo a partecipare con gli altri al business della ricostruzione (che è il nuovo sport occidentale: distruggere un Paese per poi lucrare sugli affari che ne seguono, come è avvenuto in Afghanistan e in Iraq).
Dei civili libici si erano dimenticati tutti. Ogni tanto qualcuno, in un residuo di pudore, ne faceva cenno, ma si passava subito oltre. Le questioni interessanti erano altre. Uno scenario disgustoso che peraltro rifletteva quanto stava accadendo sul terreno. Una “no-fly zone”, ammesso che sia legittima, prevede che i caccia pattuglino il cielo per impedire che gli aerei militari del Paese colpito da questa sanzione si alzino in volo (che è quanto hanno fatto, finora, correttamente, i nostri Tornado e che, se dobbiamo dar credito a Berlusconi, e questa volta glielo vogliamo dare, continueranno a fare), non che vengano colpiti con dei missili mezzi di terra e tantomeno edifici militari o paramilitari. In Libia è in atto una guerra civile. Da una parte non c’è un dittatore isolato e dall’altra la stragrande maggioranza della popolazione. Da una parte c’è un dittatore che non ha solo aerei e tank ma evidentemente gode ancora di un vasto consenso e, dall’altra, c’è invece una parte della popolazione che non ne vuole più sapere di lui dopo 41 anni di regime. Nessuno ha l’autorità e il diritto di decidere come debba andare a finire questa partita. Deve essere il verdetto del campo di battaglia. E c’è anche il sospetto, non infondato, che su un indubbio malcontento popolare, soprattutto in Cirenaica, si siano inseriti degli agent provocateur occidentali, inglesi e francesi, per soffiare sul fuoco.
In Occidente molti intellettuali in buona fede sostengono che i rivoltosi libici vanno sostenuti “a prescindere” con le armi, anche rischiando di fare più vittime civili di quante ne abbia fatte e ne farebbe il raìs di Tripoli, perché Gheddafi è un dittatore e le dittature, prima o poi, vanno spazzate via, anche con la forza, per sostituirle con la democrazia. Un liberale che pretende che tutti siano liberali non è un liberale: è un fascista. Un Occidente che si dice democratico che pretende che tutti i Paesi lo siano non è, almeno verso l’esterno, democratico: è un sistema totalizzante e totalitario. Che non riesce più nemmeno a concepire un “altro da sé”, che possano esistere popoli che hanno storie, tradizioni, culture, valori, istituzioni diverse dalle sue. Spiace constatarlo ma le democrazie, dopo aver battuto i totalitarismi nazifascista e comunista, si stanno comportando più o meno come gli sconfitti. Dal 1990, cioè dal crollo dell’Urss, la Nato, sia pur con mascherature varie, ha inanellato cinque guerre d’aggressione: Iraq 1990, Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003 e, ora, la Libia. Tanto che se oggi si esita ad affidare il comando della missione libica alla base Nato di Capodichino, come vorrebbe Berlusconi, è perché si teme l’ostilità non solo della galassia arabo-musulmana, ma del mondo intero. Perché la Nato da sistema difensivo, quale era stata concepita alle sue origini, è diventata sinonimo di aggressione.
E questo, oltre a fomentare l’integralismo islamico, spingerà parecchi Paesi, fra cui l’Iran, a dotarsi davvero dell’Atomica per non essere completamente inermi davanti alle pretese e alle prepotenze occidentali. Non è un caso che la Corea del Nord, dove c’è un regime a paragone del quale quello di Gheddafi è una viola mammola, non venga toccata.
Infine in questa crisi la sinistra italiana ha dato la dimostrazione scientifica di essere cretina. Nella Commissione Esteri e Difesa la Lega si è astenuta sul voto che doveva dare il là alla partecipazione dell’Italia alla missione contro la Libia. Non lo ha fatto solo per il gretto timore di un’invasione di “migranti”. È una sua posizione storica nei confronti delle aggressioni della Nato. Nel 1999, mentre la Nato bombardava la Serbia facendo 5.500 vittime civili (di cui 500 fra gli albanesi che voleva proteggere), alcuni parlamentari leghisti si recarono a Belgrado a fare gli “scudi umani”, per protesta. E la Lega è stata sempre molto tiepida, od ostile, sulla missione in Afghanistan. Una rottura così clamorosa in un dibattito in cui non si decideva il destino della “sora Lella” ma una questione di fondamentale importanza avrebbe potuto provocare una grave crisi nella maggioranza e forse la caduta del governo. E che cosa fa invece il Pd, erede di un pacifismo a volte stomachevole (“meglio rossi che morti”)? Si improvvisa in un muscolare quanto improbabile guerriero, e corre in soccorso del Cavaliere. E allora, se siete così deficienti, vi meritate Berlusconi in saecula saeculorum.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2011)
Dei civili libici si erano dimenticati tutti. Ogni tanto qualcuno, in un residuo di pudore, ne faceva cenno, ma si passava subito oltre. Le questioni interessanti erano altre. Uno scenario disgustoso che peraltro rifletteva quanto stava accadendo sul terreno. Una “no-fly zone”, ammesso che sia legittima, prevede che i caccia pattuglino il cielo per impedire che gli aerei militari del Paese colpito da questa sanzione si alzino in volo (che è quanto hanno fatto, finora, correttamente, i nostri Tornado e che, se dobbiamo dar credito a Berlusconi, e questa volta glielo vogliamo dare, continueranno a fare), non che vengano colpiti con dei missili mezzi di terra e tantomeno edifici militari o paramilitari. In Libia è in atto una guerra civile. Da una parte non c’è un dittatore isolato e dall’altra la stragrande maggioranza della popolazione. Da una parte c’è un dittatore che non ha solo aerei e tank ma evidentemente gode ancora di un vasto consenso e, dall’altra, c’è invece una parte della popolazione che non ne vuole più sapere di lui dopo 41 anni di regime. Nessuno ha l’autorità e il diritto di decidere come debba andare a finire questa partita. Deve essere il verdetto del campo di battaglia. E c’è anche il sospetto, non infondato, che su un indubbio malcontento popolare, soprattutto in Cirenaica, si siano inseriti degli agent provocateur occidentali, inglesi e francesi, per soffiare sul fuoco.
In Occidente molti intellettuali in buona fede sostengono che i rivoltosi libici vanno sostenuti “a prescindere” con le armi, anche rischiando di fare più vittime civili di quante ne abbia fatte e ne farebbe il raìs di Tripoli, perché Gheddafi è un dittatore e le dittature, prima o poi, vanno spazzate via, anche con la forza, per sostituirle con la democrazia. Un liberale che pretende che tutti siano liberali non è un liberale: è un fascista. Un Occidente che si dice democratico che pretende che tutti i Paesi lo siano non è, almeno verso l’esterno, democratico: è un sistema totalizzante e totalitario. Che non riesce più nemmeno a concepire un “altro da sé”, che possano esistere popoli che hanno storie, tradizioni, culture, valori, istituzioni diverse dalle sue. Spiace constatarlo ma le democrazie, dopo aver battuto i totalitarismi nazifascista e comunista, si stanno comportando più o meno come gli sconfitti. Dal 1990, cioè dal crollo dell’Urss, la Nato, sia pur con mascherature varie, ha inanellato cinque guerre d’aggressione: Iraq 1990, Serbia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003 e, ora, la Libia. Tanto che se oggi si esita ad affidare il comando della missione libica alla base Nato di Capodichino, come vorrebbe Berlusconi, è perché si teme l’ostilità non solo della galassia arabo-musulmana, ma del mondo intero. Perché la Nato da sistema difensivo, quale era stata concepita alle sue origini, è diventata sinonimo di aggressione.
E questo, oltre a fomentare l’integralismo islamico, spingerà parecchi Paesi, fra cui l’Iran, a dotarsi davvero dell’Atomica per non essere completamente inermi davanti alle pretese e alle prepotenze occidentali. Non è un caso che la Corea del Nord, dove c’è un regime a paragone del quale quello di Gheddafi è una viola mammola, non venga toccata.
Infine in questa crisi la sinistra italiana ha dato la dimostrazione scientifica di essere cretina. Nella Commissione Esteri e Difesa la Lega si è astenuta sul voto che doveva dare il là alla partecipazione dell’Italia alla missione contro la Libia. Non lo ha fatto solo per il gretto timore di un’invasione di “migranti”. È una sua posizione storica nei confronti delle aggressioni della Nato. Nel 1999, mentre la Nato bombardava la Serbia facendo 5.500 vittime civili (di cui 500 fra gli albanesi che voleva proteggere), alcuni parlamentari leghisti si recarono a Belgrado a fare gli “scudi umani”, per protesta. E la Lega è stata sempre molto tiepida, od ostile, sulla missione in Afghanistan. Una rottura così clamorosa in un dibattito in cui non si decideva il destino della “sora Lella” ma una questione di fondamentale importanza avrebbe potuto provocare una grave crisi nella maggioranza e forse la caduta del governo. E che cosa fa invece il Pd, erede di un pacifismo a volte stomachevole (“meglio rossi che morti”)? Si improvvisa in un muscolare quanto improbabile guerriero, e corre in soccorso del Cavaliere. E allora, se siete così deficienti, vi meritate Berlusconi in saecula saeculorum.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2011)
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