mercoledì 27 aprile 2011

I due pescatori

La morte andò a trovare il vecchio. Ci andava quasi ogni giorno, ormai. Sedeva insieme a lui sulla riva e lo guardava pescare. Quando il vecchio prendeva un pesce e lo rimetteva in acqua, la morte scuoteva la testa. Il vecchio annusava l'odore delle alghe portate a riva dalle onde. Diceva ridendo:
- Sono morte, ma respirarle fa bene ai polmoni.
- Ridi pure, vecchio - diceva la morte, e si riparava dal sole con un cappellaccio di paglia sfondata.
Il pescatore osservava i colori del mare pennellati dal vento, una striscia chiara di bonaccia e laggiù una striscia indaco di maestrale, e pensava alle isole che aveva visitato. La morte pensava ai galeoni inabissati, agli scheletri che li abitavano, e ad antiche battaglie. La lenza vibrava sottile, quasi invisibile, sospesa tra due mondi.
- Le onde sono tutte diverse - diceva il vecchio. - Se ascolti bene, quando si infrangono a riva, non sentirai mai due volte lo stesso suono. Il mare è un grande musicista. E anche i pesci sono uno diverso dall'altro. Ci sarà sempre un riflesso, un ricamo sulla pinna, la miniatura di una squama che non avevi mai visto prima.
- Anche i soldati sembrano tutti uguali - disse cupa la morte.
- Bisogna averne visti morire molti per capire la differenza.
Una nuvola coprì il sole, e il vecchio rabbrividì.
- È ora che tu venga con me, vecchio - disse severa la morte.
- Hai tanti anni, ormai fai fatica a vedere la lenza, i pesci ti scappano. E quando li prendi, li lasci andare, perché pensi che ti assomigliano. Perché vuoi vivere ancora? Che speranza hai?
- Magari mi succederà ancora qualcosa di bello. Mi passi un verme?
La morte infilò il verme sull'amo, con maestria. Poi disse:
- Cosa vuoi che ti succeda ancora? Passi i tuoi giorni tra malattia e insonnia, e non fai altro che ricordare. Vivi solo nel passato, ormai.
- Forse hai ragione - disse il vecchio.
Il vento cambiò e le barche all'ormeggio cominciarono a girarsi, come in una danza. Il vecchio catturò un pesciolino d'argento col colletto nero e lo ributtò in acqua.
- Ti ho mai raccontato di quell'aragosta che scappò dalla cesta, e camminò fino al mare? Correva come un gatto, te lo giuro.
- Me lo hai raccontato almeno dieci volte. E io ti ho raccontato di quello che mi è successo con Rasputin?
- Almeno dieci volte anche tu. E tanto tempo che ci conosciamo, morte.
- Sì, molto. Da quando morì il tuo cane.
- No, - disse il vecchio - non fu allora. Fu tristissimo, avevo solo sette anni. Ma pensai che Billy non era morto, aveva semplicemente fatto un salto troppo lungo. Era un gran saltatore, aveva spiccato un balzo oltre il mondo. Per molto tempo ci giocai insieme, gli parlavo e lui mi seguiva. Tu non c'eri ancora.
- Non ricordo - disse la morte.
- Ricordi benissimo - disse il vecchio. - Ti ho conosciuto l'anno dopo, quando ho visto sul letto mio fratello, pallido e con la fronte fasciata. Allora mi sei venuta vicino. E da allora, a nessun pensiero sono stato fedele come al tuo.
- Grazie - disse la morte con un inchino.
- E anche tu mi sei fedele - disse il vecchio. - Vai in giro per il mondo, ma so che ti ricordi sempre di me.
Il mare ora era calmo e trasparente. La lenza era una freccia infissa nel mare, immobile e argentata. Il silenzio sembrò troppo anche alla morte.
- Tu pensi che io sia ingiusta, vecchio?
- Ingiusta, inutile, crudele.
- E perché parli con me?
- Cos'altro posso fare?
- Forse potrei non essere ingiusta - disse la morte. - Ma se fossi giusta, allora anche la vita dovrebbe cambiare, non credi? Pensare a me sarebbe diverso, niente potrebbe essere come prima. Niente di quello che c'è rimarrebbe. E non sarebbe una morte anche questa?
- Parli troppo, morte, mi spaventi i pesci.
- Già. Sai, anche per loro la morte è ingiusta.
- Sì, lo so. È un pensiero che qualche volta non mi fa dormire.
Il vecchio sembrò di colpo immensamente triste.
- Qual è il momento più felice che ricordi, vecchio?
- Oh, sono tanti - rispose il pescatore.
- Il primo che ti viene in mente.
- Tanti anni fa, in un giorno d'estate come questo, io e mio figlio andammo a pescare. Lui aveva otto anni. Camminando verso la spiaggia, incontrammo un campo di girasoli. Era sterminato, saliva su una collina come un'onda e poi la scavalcava e scendeva, tutto il mondo sembrava d'oro. Entrammo nel campo. Nuotavamo in un mare frusciante, pieno d'odori e insetti. A ogni folata di vento, i fiori si muovevano tutti insieme, come fanno i banchi di pesci, nessuno dava l'ordine, sapevano dove andare. Ogni girasole era diverso dall'altro. Come le onde, e come i soldati. Io e mio figlio stavamo vicini. Io proteggevo lui e lui proteggeva me. Salimmo fino in cima alla collina e vedemmo un oceano grande, assetato di sole. Poi ritornammo indietro. Un amico ci aveva visti. Perciò ho una foto di quel giorno. La guardo ogni volta che sono triste.
- Bel ricordo, - disse la morte - ma cosa c'entra con la speranza? Tuo figlio è grande ormai. Il campo di girasoli forse non esiste più. Il tuo amico è morto. E tu non sai più pescare, sei quasi cieco, non riconosci un dentice da un'orata.
- E tu non riconosci più i soldati dai bambini - disse il vecchio.
Il sole stava calando, i lampioni del lungomare si accesero e illuminarono le chiome delle palme. Lontano si vide il balenare di un faro.
- Anche i segnali dei fari sono tutti diversi - disse il vecchio.
- Quello laggiù, per esempio...
- Non cambiare discorso - disse la morte, sfiorandolo con la mano. - Allora, cosa speri per il tuo misero futuro, vecchio?
Il vecchio guardò lontano.
- Spero di tornare ancora, insieme a mio figlio, in quel campo di girasoli - rispose.
- Ma non succederà, - disse la morte, spazientita - morirai e non succederà!
- Non ti arrabbiare - rise il vecchio. - Io morirò, è vero. Ma non puoi convincermi che non succederà. Non puoi niente contro questa speranza. Non c'entra la fede, né la paura. Neanche tu, qui vicino a me sulla Terra, sai cosa succederà.
La morte restò in silenzio.
- E bada, - continuò il vecchio - anche se io decidessi di morire, se mi togliessi la vita, neanche allora mi avresti tolto la speranza. Tornerò in quel campo, con mio figlio.
La morte rise amaramente e tirò un sasso nell'acqua. Il sasso affondò senza rumore. Poi si alzò in piedi, e il vento le fece volare via il cappellaccio. Era piena di rughe, assomigliava al pescatore.
- Ci vediamo domani, vecchio testardo. Ho lavoro sull'autostrada, stanotte.
- Vacci piano - disse il vecchio.
- Andate piano voi - disse la morte. Riprese il cappello, se lo calcò in testa e guardò il mare. Sospirò. Sembrava non avesse voglia di andarsene.
- E dov'è questo campo di girasoli? - chiese.
- Domani ti porto - disse il vecchio.

Stefano Benni (La Grammatica di Dio - Storie di solitudine e allegria - 2007 - Feltrinelli)

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