L'anteprima (rispetto al voto referendario di oggi e di domani) si è svolta ad "Annozero" di giovedì scorso. È stata l'ultima apparizione di questo "talk show" televisivo dove, per l'occasione, Michele Santoro aveva convocato i ministri Brunetta e Castelli da un lato e Bersani e Di Pietro dall'altro. Sullo schermo apparivano poi i cancellieri del Tribunale di Milano e i figli dei magistrati uccisi dalle Brigate rosse trent'anni fa, i cui ritratti campeggiano sulla facciata del palazzo di giustizia milanese. C'era anche il figlio dell'avvocato Ambrosoli, ucciso dalla mafia su commissione di Michele Sindona. Travaglio aveva letto il suo intervento sul legittimo impedimento con il racconto di quanto avviene nelle democrazie "serie" nei rapporti tra magistratura e politica e quanto avviene in Italia. Il confronto è devastante. C'era stata anche l'apparizione di Beppe Grillo che - dopo il suo consueto attacco contro la casta politica - incitava i suoi grillini a partecipare al voto referendario.
Dopo l'esordio di Santoro sui suoi rapporti con la Rai, lo spettacolo - perché di grande spettacolo si è trattato - è cominciato con le riprese sulla riunione dei "Servi liberi" promossa da Giuliano Ferrara martedì scorso al cinema Capranica di Roma. Comparivano i volti e si ascoltavano le frasi dei direttori dei giornali berlusconiani e soprattutto di Ferrara, della Santanché e di Alessandra Mussolini.
Non è stato un rilancio ma un funerale del berlusconismo la riunione del Capranica officiata dai suoi più ferventi seguaci. Basta averli ascoltati per arrivare a questa conclusione. Ma alla stessa conclusione si è arrivati seguendo ad "Annozero" il dibattito tra i due ministri e i due oppositori. Brunetta e Castelli sembravano due maschere buffe del teatro napoletano trasportate al Nord. Bersani e Di Pietro hanno avuto facile gioco. Chi avesse avuto dubbi su come è stata ridotta la democrazia italiana dopo 17 anni di berlusconismo non può averne più: quel dibattito è un documento e dopo averlo ascoltato riesce inconcepibile concepire che quei due personaggi siano due ministri della Repubblica.
Fine dell'anteprima. Chi non l'ha vista se ne procuri la registrazione, ne vale la pena.
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Oggi e domani si vota sui quattro quesiti referendari. Si vota "sì" oppure "no" oppure non si vota affatto con l'intenzione di far fallire i referendum.
Bisognerà a tempo debito riformare la legislazione referendaria introducendo il referendum propositivo accanto a quello abrogativo e togliendo il "quorum". Se una legge vigente non piace o se un gruppo consistente di cittadini vuole proporre una legge, il "quorum" non ha senso come non avrebbe senso per le elezioni politiche e amministrative dove infatti non è previsto.
Ma questo riguarda il futuro. Al momento il "quorum" è previsto e chi vuole che vinca il "sì" deve come prima condizione fare quanto può perché sia raggiunto. Chi punta sull'astensione sa che si gioverà dell'astensionismo fisiologico che oscilla da sempre tra il 15 e il 20 per cento. Basterà dunque che l'astensione attiva sia del 35 per cento per vanificare la massa dei "sì". Così avvenne anche per la procreazione assistita.
I "sì" e i "no" che vanno a votare giocano dunque con un braccio legato rischiando di perdere con un 50 contro un 35. Sarà questo il risultato? Noi crediamo e speriamo di no perché crediamo che i quattro quesiti meritino il "sì". Ed anche per gli effetti politici che una vittoria referendaria potrà provocare.
Dopo la sconfitta al primo turno delle amministrative e quella ancor più cocente nei ballottaggi, l'ottenimento del quorum e la vittoria dei sì completerebbe la serie con effetti imprevedibili. Escludo le dimissioni di Berlusconi, ma non escludo l'implosione sia del Pdl sia della Lega. Implosione già in corso in entrambi quei partiti, resa ancor più acuta dalla situazione economica, dalla precarietà dei mercati finanziari, e dalle richieste dell'Europa ai paesi con bassa crescita ed elevato debito pubblico.
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In entrambi questi due dati di fatto - bassa crescita ed elevato debito pubblico - l'Italia è in testa rispetto a tutti gli altri paesi dell'Unione europea, preceduta soltanto dalla Grecia, dal Portogallo e dall'Irlanda. E qui, sulla politica economica e fiscale, campeggia la personalità di Giulio Tremonti. Anzi il problema Tremonti, perché negli ultimi mesi e in particolare dopo la batosta delle amministrative, il ministro dell'Economia è diventato un problema sia per Berlusconi sia per Bossi. Un problema pressoché irrisolvibile.
Sia Berlusconi sia Bossi hanno bisogno, per tener compatti i loro seguaci, di alleviare la pressione fiscale che grava sulle fasce medio-basse e sulle imprese medio-piccole. Tremonti si dichiara disposto a questi alleggerimenti ma li colloca nel 2014. Nel frattempo preannuncia l'esatto contrario: dovrà prelevare dai contribuenti 40 miliardi di denaro fresco per portare in pareggio il deficit e il bilancio. Ha deciso di spalmare questo prelievo su quattro esercizi: 3 miliardi quest'anno, 8 nel 2012 e 15 in ciascuno dei due anni successivi.
La crescita? Aspetterà. Gli sgravi? Aspetteranno oppure concederà qualche briciola tra un anno purché avvenga a costo zero.
Il termine costo zero significa dare con una mano e recuperare con l'altra. Dare in basso e recuperare in alto, esattamente il contrario di quanto desidera il Cavaliere. Il quale tuttavia qualche cosa ha ottenuto: potrà proclamare che entro il prossimo luglio il governo (Tremonti consenziente) approverà la legge di delega fiscale per attuare una riforma orientata all'abbassamento delle tasse.
Vero? No, falso. Tremonti ha accettato la delega fiscale che però procederà di pari passo con la manovra di 40 miliardi e degli sgravi a costo zero e Berlusconi e Bossi hanno dovuto fare buon viso a questa condizione. I decreti delegati procederanno dunque a passo di lumaca a cominciare dal 2012 e non produrranno alcun beneficio sui consumi, sui redditi medio-bassi, sulla condizione dei giovani e del Mezzogiorno. Ma neppure nel Nord. Nessun beneficio, anzi nel Nord semmai qualche onere maggiore.
Il solo beneficio per B. e B. sarà di carattere lessicale: potranno dire e proclamare che si approverà immantinente la delega fiscale per abbassare le tasse sperando che il colto popolo e l'inclita guarnigione siano composti da imbecilli. Questa è la loro speranza. Piuttosto esile. Nemmeno i "Servi liberi" ci crederanno. Ormai la gente vuole fatti e poiché i fatti saranno addirittura di segno contrario la gente sarà sempre più arrabbiata.
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Come si risolve il rebus della crescita senza abbandonare il rigore? Che significa "costo zero" in linguaggio concreto?
Non è un rebus di impossibile soluzione; basterebbe ridurre equamente le diseguaglianze e stipulare un patto sociale e generazionale; tutelare la sicurezza del lavoro flessibile ma non precario; portare la tassazione delle rendite a livello europeo e detassare i redditi medio-bassi e le imprese medio-piccole.
Passare gradualmente dalla tassazione sul reddito personale a quella sulle cose è una buona filosofia fiscale e Tremonti fa bene a indirizzare la sua riforma su questa strada, ma non è aumentando l'Iva che ci si arriva. L'Iva colpisce i consumi e genera inflazione, mentre i consumi dovrebbero essere rilanciati per poter rilanciare anche gli investimenti.
Per tassare le cose invece delle persone bisogna scegliere la via delle imposte reali completandole con una patrimoniale ordinaria a bassa aliquota (per molti anni fu dell'1 per cento quando Luigi Einaudi ne scriveva negli anni Venti dell'altro secolo) allo scopo di mantenere la progressività delle imposte che rischierebbe di perdersi passando dalle persone alle cose.
Su questi pilastri si può costruire il patto sociale e generazionale ed in questo quadro il federalismo acquista un senso nazionale e cementa l'unità del Paese combinando efficienza e solidarietà. La condizione affinché questa rinascita avvenga è che abbia termine al più presto l'ubriacatura populista e sia ripristinata la legalità.
L'appuntamento referendario di oggi e domani costituisce una tappa importante di questo cammino. Questa volta non è mancato l'incitamento della Chiesa a partecipare al voto. Nelle ultime ore quell'incitamento esplicito lanciato dal Papa è stato diffuso dalle parrocchie, dalle Comunità e dai monasteri soprattutto femminili. I giovani dal canto loro hanno usato in massa gli strumenti delle tecnologie. C'è stata una mobilitazione intensa e capillare e questo è di per sé motivo di conforto e di speranza. Se il risultato sarà positivo un grande passo avanti sarà stato compiuto.
Eugenio Scalfari (La Repubblica - 12 giugno 2011)
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