lunedì 18 luglio 2011

18 marzo 1876: Rivoluzione all'italiana

L'ultimo governo della Destra cadde alla Camera (242 voti contro 181) su un ordine del giorno che oggi apparterrebbe a un programma di sinistra: la statalizzazione delle ferrovie. Il partito che fu di D'Azeglio e Cavour se ne va per esaurimento della missione: unificare il Paese (con le armi e con le leggi) e mettere a posto i conti dello Stato. Proprio due giorni prima della fine, il Presidente del Consiglio Minghetti ha potuto annunciare il sospirato pareggio di bilancio. Impresa mastodontica, realizzata pur fra tanti errori da una classe dirigente che ha tassato sanguinosamente la popolazione, ma solo dopo essersi ridotta al minimo lo stipendio. Una pratica di cui si perderà presto memoria.
Certo, come in tutte le consorterie che rimangono per troppo tempo al potere, la corruzione si è annidata anche lì: in una seduta memorabile l'ex magistrato Tajani ha mostrato ai deputati le prove della convivenza del questore di Palermo con la mafia.
Ad accelerare la chiusura del ciclo contribuisce poi la crisi del libero scambio. Le ultime scoperte scientifiche hanno abbattuto i costi dei trasporti internazionali e rovesciato nell'Europa le derrate americane a basso prezzo, dirottando i rari capitali dall'agricoltura (non più conveniente) all'industria. E un'industria che nasce ha bisogno dei dazi per crescere e rafforzarsi. Ha bisogno, cioè, di una politica protezionista che la Destra non ha i titoli per svolgere.
Il capo dell'opposizione Agostino Depretis riceve dal Re l'incarico di formare il nuovo gabinetto. Ma la "rivoluzione parlamentare", come subito battezzano i giornali, sarà tutto tranne che rivoluzionaria. Al governo arrivano i notabili della Sinistra garibaldina, legati anch'essi alla borghesia conservatrice e alle clientele meridionali. Il loro programma è imperniato sulla moralità, l'istruzione elementare obbligatoria, l'abolizione della tassa sul macinato e il diritto di voto esteso a tutti i maschi in grado di leggere e scrivere. Lo realizzeranno solo in minima parte, pur rimanendo al potere per un ventennio, che in Italia non si nega a nessuno.
Rispetto ai fratelli siamesi della Destra si caratterizzeranno per la minore efficienza amministrativa, una politica estera più avventurosa e una certa propensione al populismo, che li espporrà talvolta, soprattutto con Crispi, a tentazioni autoritarie.
Quanto alla moralità, ecco cosa scriverà vent'anni più tardi Gaetano Salvemini: "Andati al potere, i sinistri mangiarono più che poterono. I destri avevano mangiato anch'essi, e appaiono onesti perchè non dovettero sbalzare nessuno dal posto occupato; ma i sinistri - va loro resa questa lode - Mangiarono molto di più".

Carlo Fruttero - Massimo Gramellini (La Patria bene o male - Almanacco essenziale dell'Italia unita - 2010 - Mondadori)

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