Una lettera di Indro Montanelli al suo collega americano Edmund Stevens scritta a metà degli anni '50. Il Fatto ricorda così la scomparsa del più grande giornalista italiano avvenuta dieci anni fa
Caro Edmund, il tuo richiamo agli scandali che da qualche anno rallegrano la vita italiana è per lo meno superfluo. Montagna, Anna Maria Caglio eccetera sono infatti, con la Lollobrigida e Sofia Loren, gli unici personaggi italiani su cui i tuoi compatrioti siano perfettamente informati e di cui parlino con competenza. Sanno tutto di loro: molto più di me, che non so quasi nulla. Ignorano un particolare soltanto: che questi scandali, nel nostro paese, sono una novità assoluta, e non ne rappresentano assolutamente il costume. E appunto per questo fanno tanto rumore. L’Italia non è un paese moralmente rigoroso. Al contrario, è un paese indulgente, dove il Peccato circola liberamente ed è accolto anche nelle famiglie più virtuose. Il Vizio, no. Ed è questo che nell’affare Montagna ha indignato gl’italiani, popolo di peccatori, sì, ma sani e gagliardi. Per meglio spiegarti il clima morale in cui noialtri, italiani medi, siamo stati educati, ti racconterò un piccolo aneddoto di famiglia.
Sulla tomba di mio nonno, che fu per tanti anni sindaco di una piccola città toscana, Fucecchio, c’è un epitaffio che, come usa da noi, ne ricorda tutti i meriti e fra le altre cose lo presenta come “esempio di domestiche virtù”. Fu infatti un buon marito dell’unica moglie che ebbe e un eccellente padre dei suoi sette figli. E fu considerato un “esempio” non perché non cedette mai alla tentazione di qualche infedeltà coniugale, ma semplicemente perché nessuno seppe mai con chi le consumò. Solo dopo la sua morte si scoprì ch’egli aveva avuto una relazione con una di quelle che oggi si chiamano “ragazze-squillo” e vengono regolarmente perseguitate dalla polizia democristiana. Era una “cucitrice in bianco”, cioè una piccola sarta che, appena conosciuto mio nonno, emigrò da Fucecchio e comprò, con il denaro del suo nuovo amico, un piccolo negozio a Empoli. Era là, in una decorosa e discreta casetta, che l’esempio di domestiche virtù andava a visitarla con una frequenza che decrebbe col crescere dei suoi anni. Mio nonno era un laico, anzi un massone. Non voleva preti per casa, ma era contento che sua moglie e i suoi figli andassero ogni domenica a messa. Per Natale mandava sempre al Vescovo un paio di capponi accompagnati da una lettera di auguri e di ossequio, e quando lo incontrava per strada si toglieva per primo il cappello, ma non gli baciava l’anello. E massonico e laico era anche il concetto ch’egli aveva della virtù, che per lui consisteva non nel rifiuto pregiudiziale del Peccato, ma nell’obbligo di mantenerlo nella sua “sede”, che nella fattispecie consisteva nella decorosa e discreta casetta di Empoli, molto lontana da quella in cui stavano sua moglie e i figli.
Tu sei americano, caro Edmund, e come tale, anche se non lo sai e non lo vuoi hai un fondo puritano che forse trasalirà d’indignazione all’idea che un simile marito sia passato, agli occhi dei suoi concittadini, come un “esempio di domestiche virtù”. Ma per noi, italiani cattolici e laici, che della moralità abbiamo un concetto scettico e umano, questa pratica di vita coniugale rappresenta proprio un “optimum” e costituisce un “esempio”, come sta scritto sull’epitaffio.
Probabilmente sbagliamo, anzi sbagliamo certamente, a misurarci sul metro della Virtù Assoluta. Ma nella vita italiana già vecchia di millenni gli Assoluti sono stati messi in congedo permanente da parecchi secoli. Noi ci contentiamo del Relativo. E nel Relativo una moralità come quella di mio nonno faceva “esempio”.
Poi son venuti i democristiani, con un’altra moralità di sigillo clericale e confessionale. Essi hanno chiuso i bordelli. Essi hanno perseguitato le ragazze-squillo. Essi sono rappresentati da Ministri e da Deputati con mogli virtuose e acide e con sterminate figliolanze che i preti educano nella paura dell’Inferno. Essi hanno proibito l’esposizione della “Venere” di Botticelli perché mette in mostra “le vergogne”. E il risultato di questa gran ventata moralistica eccolo qui: l’affare Montagna, Capocotta, la crescente inflazione di cocaina e la sostituzione delle “vergogne” di Sofia e di Gina a quelle della “Venere” di Botticelli. Gl’italiani, a proibir loro il Peccato, cadono nel Vizio. Io che sono cresciuto nell’età delle “cucitrici in bianco” e dei bordelli sotto un esempio come quello di mio nonno (e di mio padre che molto gli somiglia) non ho bisogno di questi surrogati. La mia educazione sessuale, identica a quella di tutti gli altri miei coetanei, non ha fatto certamente di me un uomo virtuoso; ma ne ha fatto un uomo sano, perfettamente normale, senza complessi, che in mezzo a tutti i Montagna da cui siamo afflitti ha il diritto di sentirsi “modello di domestiche virtù”.
Io non so se nello scandalo di Anna Maria Caglio e Wilma Montesi ci siano delle omertà governative. Non so nemmeno se e fino a che punto siano colpevoli Montagna e Piccioni. So soltanto che nell’Italia laica scandali di questo genere non succedevano. Il tipico scandalo italiano era l’adulterio con la fuga dell’infedele e la sua uccisione da parte del marito offeso. Non dico che fossero belle cose. Non dico che fosse giusto il costume dei nostri tribunali di assolvere o di condannare a lievi pene l’uccisore. Dico soltanto che il vizio, la cocaina, il sospetto di complicità governative non c’entravano. Nei Paesi in cui non c’è il divorzio, l’adulterio è quasi obbligatorio. Ma oggi, nella moralità che cercano di introdurre questi nuovi Robinson Crusoè che sono i democristiani, convinti di ricreare il mondo da capo, ecco a cosa siamo arrivati: ai cadaveri in cerca d’autore dimenticati sulle spiagge e a un’ondata di inversioni sessuali che in Italia fin qui erano sempre state un fenomeno di quasi esclusiva importazione forestiera.
Il guaio, caro Edmund, è che questa nuova classe dirigente clericale è arrivata al potere quando era già vecchia. Per vent’anni il fascismo la obbligò a vivere in provincia, con pochi mezzi e in forzata austerità. Il peggiore di tutti i rimorsi, quello dei peccati non commessi, la ossessionava quando giunse a Roma, sulle baionette dei vostri soldati. Ora ch’eran padroni della barca, vollero riguadagnare il tempo perduto, ma purtroppo avevano già i reumatismi e il diabete. Per procurar loro quei paradisi che noi ci eravamo procurato a vent’anni nei bordelli e nella più assoluta normalità, occorrevano la cocaina, le minorenni, le pornografie, le partite a tre, a quattro, a cinque. Ecco com’è nata l’ondata di scandali, di cui Capocotta è diventata ormai il simbolo. Io non ho molta simpatia per i fascisti, lo sai. Ma debbo riconoscere che al loro tempo queste cose non succedevano. Essi giunsero a Roma quasi direttamente dalle trincee del Carso e avevano venticinque o trent’anni. Fecero tutto – guerra, rivoluzione e amore – al momento giusto. Sul piano morale, la Liberazione ha sostituito una classe dirigente di piccoli viziosi a una di grandi peccatori. Non ci abbiamo guadagnato.
Tutte queste cose io non posso spiegarle ai tuoi concittadini, quando m’interrogano sull’affare Montagna, perché qui il clima morale è completamente diverso. Nella stessa New York, per quanto sia una grossa baracca cosmopolita, il “caso Jelke” (ricordi?) fece scandalo. Tu mi dirai che di Jelke probabilmente ce ne sono molti altri. È possibile. Ma nulla e nessuno riuscirà a farmi credere che la vita americana sia minacciata, come quella nostra, dall’immoralità. Per una ragione molto semplice, caro Edmund: che mio nonno, quello che ha insegnato a vivere a me, era quell’esempio di domestiche virtù che ti ho descritto, mentre il nonno tuo, quello che ha insegnato a vivere a te, era un pioniere che doveva seguire la regola stretta e austera dell’accampamento.
Io non prendo per oro colato quello che i cineasti di Hollywood ci raccontano nei loro WESTERN (dei quali sono grande amatore). Ma un certo “clima morale”, come lo vediamo riprodotto in quei film, dev’esser vero. Voi, senza il puritanismo e senza la fede nel trionfo del Bene sul Male, non avreste fatto nemmeno un centesimo di quello che avete fatto. Senza una fede religiosa non si costruisce una cosa come l’America. Senza una fede religiosa non si compie nulla di grande: nemmeno i delitti. Questa fede religiosa in voialtri americani è viva; e lo si vede dal continuo sorgere di nuove sètte. Segno che la vostra discussione con Dio è sempre aperta. E chi discute con Dio ha il peccato difficile e seguito dal rimorso e dalle crisi di coscienza. Non tutti i frequentatori di Wall Street si fermano ad ascoltare predicatori – bianchi, neri, gialli – che, sul marciapiede, li mettono in guardia dai castighi che l’Inferno riserba ai seguaci di Mammone. Mammone, certo, seguita a fare gli affari suoi. Ma solo in una società a forte sustrato religioso è concepibile la pacifica coesistenza di Mammone col Vangelo. T’immagini cosa succederebbe se nella Borsa di Roma o di Milano si presentasse uno di quei predicatori. Cioè, non sforzarti a immaginarlo. Leggi la storia di Gerolamo Savonarola che, se rinascesse oggi in America, sarebbe lì anche lui, a Wall Street, a descrivere l’Inferno; ma nessuno lo brucerebbe.
Come nipote di quel tale nonno, io, capirai, non posso avere molte simpatie per il puritanismo. Lo invidio al tuo Paese senza augurarlo al mio. Perché è inutile cercare di trapiantarlo, come stanno tentando di fare i democristiani, in un terreno dove non trova nutrimento. In America il puritanismo sta benissimo, anzi ne costituisce la vera forza. Si potrà deprecarne e moderarne gli eccessi. Ma esso è nell’anima e nel sangue degli americani, della cui Storia è la chiave. Da noi si risolve in una grossa menzogna, in una colossale ipocrisia, e serve a spiegare soltanto il Marchese Montagna, Capocotta, la farsa della “Venere” di Botticelli e tutti gli altri indecenti foruncoli in cui scoppia, regolarmente, il sangue di un popolo avvelenato da una moralità da sacristia che non gli è congeniale.
Caro Edmund, noi cattolici italiani abbiamo faticato duemila anni per fabbricarci un Dio sulla nostra misura umana, cordiale, tollerante e pieno di indulgenza per i nostri peccati. Nel nostro Paradiso c’è perfino una stakanovista dell’adulterio, Maria Maddalena, e un professionista del furto, Ranieri, per dare speranza a chi cade in queste colpe e procurargli il perdono. Tutto ciò potrà fare a pugni con la Teologia, ma va benissimo d’accordo col nostro carattere.
E ora, ecco qui, i preti ce lo stanno rovinando. Ma che cattolici sono, i preti cattolici, perdio?
Sinceramente tuo
Indro Montanelli
Da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2011
Sulla tomba di mio nonno, che fu per tanti anni sindaco di una piccola città toscana, Fucecchio, c’è un epitaffio che, come usa da noi, ne ricorda tutti i meriti e fra le altre cose lo presenta come “esempio di domestiche virtù”. Fu infatti un buon marito dell’unica moglie che ebbe e un eccellente padre dei suoi sette figli. E fu considerato un “esempio” non perché non cedette mai alla tentazione di qualche infedeltà coniugale, ma semplicemente perché nessuno seppe mai con chi le consumò. Solo dopo la sua morte si scoprì ch’egli aveva avuto una relazione con una di quelle che oggi si chiamano “ragazze-squillo” e vengono regolarmente perseguitate dalla polizia democristiana. Era una “cucitrice in bianco”, cioè una piccola sarta che, appena conosciuto mio nonno, emigrò da Fucecchio e comprò, con il denaro del suo nuovo amico, un piccolo negozio a Empoli. Era là, in una decorosa e discreta casetta, che l’esempio di domestiche virtù andava a visitarla con una frequenza che decrebbe col crescere dei suoi anni. Mio nonno era un laico, anzi un massone. Non voleva preti per casa, ma era contento che sua moglie e i suoi figli andassero ogni domenica a messa. Per Natale mandava sempre al Vescovo un paio di capponi accompagnati da una lettera di auguri e di ossequio, e quando lo incontrava per strada si toglieva per primo il cappello, ma non gli baciava l’anello. E massonico e laico era anche il concetto ch’egli aveva della virtù, che per lui consisteva non nel rifiuto pregiudiziale del Peccato, ma nell’obbligo di mantenerlo nella sua “sede”, che nella fattispecie consisteva nella decorosa e discreta casetta di Empoli, molto lontana da quella in cui stavano sua moglie e i figli.
Tu sei americano, caro Edmund, e come tale, anche se non lo sai e non lo vuoi hai un fondo puritano che forse trasalirà d’indignazione all’idea che un simile marito sia passato, agli occhi dei suoi concittadini, come un “esempio di domestiche virtù”. Ma per noi, italiani cattolici e laici, che della moralità abbiamo un concetto scettico e umano, questa pratica di vita coniugale rappresenta proprio un “optimum” e costituisce un “esempio”, come sta scritto sull’epitaffio.
Probabilmente sbagliamo, anzi sbagliamo certamente, a misurarci sul metro della Virtù Assoluta. Ma nella vita italiana già vecchia di millenni gli Assoluti sono stati messi in congedo permanente da parecchi secoli. Noi ci contentiamo del Relativo. E nel Relativo una moralità come quella di mio nonno faceva “esempio”.
Poi son venuti i democristiani, con un’altra moralità di sigillo clericale e confessionale. Essi hanno chiuso i bordelli. Essi hanno perseguitato le ragazze-squillo. Essi sono rappresentati da Ministri e da Deputati con mogli virtuose e acide e con sterminate figliolanze che i preti educano nella paura dell’Inferno. Essi hanno proibito l’esposizione della “Venere” di Botticelli perché mette in mostra “le vergogne”. E il risultato di questa gran ventata moralistica eccolo qui: l’affare Montagna, Capocotta, la crescente inflazione di cocaina e la sostituzione delle “vergogne” di Sofia e di Gina a quelle della “Venere” di Botticelli. Gl’italiani, a proibir loro il Peccato, cadono nel Vizio. Io che sono cresciuto nell’età delle “cucitrici in bianco” e dei bordelli sotto un esempio come quello di mio nonno (e di mio padre che molto gli somiglia) non ho bisogno di questi surrogati. La mia educazione sessuale, identica a quella di tutti gli altri miei coetanei, non ha fatto certamente di me un uomo virtuoso; ma ne ha fatto un uomo sano, perfettamente normale, senza complessi, che in mezzo a tutti i Montagna da cui siamo afflitti ha il diritto di sentirsi “modello di domestiche virtù”.
Io non so se nello scandalo di Anna Maria Caglio e Wilma Montesi ci siano delle omertà governative. Non so nemmeno se e fino a che punto siano colpevoli Montagna e Piccioni. So soltanto che nell’Italia laica scandali di questo genere non succedevano. Il tipico scandalo italiano era l’adulterio con la fuga dell’infedele e la sua uccisione da parte del marito offeso. Non dico che fossero belle cose. Non dico che fosse giusto il costume dei nostri tribunali di assolvere o di condannare a lievi pene l’uccisore. Dico soltanto che il vizio, la cocaina, il sospetto di complicità governative non c’entravano. Nei Paesi in cui non c’è il divorzio, l’adulterio è quasi obbligatorio. Ma oggi, nella moralità che cercano di introdurre questi nuovi Robinson Crusoè che sono i democristiani, convinti di ricreare il mondo da capo, ecco a cosa siamo arrivati: ai cadaveri in cerca d’autore dimenticati sulle spiagge e a un’ondata di inversioni sessuali che in Italia fin qui erano sempre state un fenomeno di quasi esclusiva importazione forestiera.
Il guaio, caro Edmund, è che questa nuova classe dirigente clericale è arrivata al potere quando era già vecchia. Per vent’anni il fascismo la obbligò a vivere in provincia, con pochi mezzi e in forzata austerità. Il peggiore di tutti i rimorsi, quello dei peccati non commessi, la ossessionava quando giunse a Roma, sulle baionette dei vostri soldati. Ora ch’eran padroni della barca, vollero riguadagnare il tempo perduto, ma purtroppo avevano già i reumatismi e il diabete. Per procurar loro quei paradisi che noi ci eravamo procurato a vent’anni nei bordelli e nella più assoluta normalità, occorrevano la cocaina, le minorenni, le pornografie, le partite a tre, a quattro, a cinque. Ecco com’è nata l’ondata di scandali, di cui Capocotta è diventata ormai il simbolo. Io non ho molta simpatia per i fascisti, lo sai. Ma debbo riconoscere che al loro tempo queste cose non succedevano. Essi giunsero a Roma quasi direttamente dalle trincee del Carso e avevano venticinque o trent’anni. Fecero tutto – guerra, rivoluzione e amore – al momento giusto. Sul piano morale, la Liberazione ha sostituito una classe dirigente di piccoli viziosi a una di grandi peccatori. Non ci abbiamo guadagnato.
Tutte queste cose io non posso spiegarle ai tuoi concittadini, quando m’interrogano sull’affare Montagna, perché qui il clima morale è completamente diverso. Nella stessa New York, per quanto sia una grossa baracca cosmopolita, il “caso Jelke” (ricordi?) fece scandalo. Tu mi dirai che di Jelke probabilmente ce ne sono molti altri. È possibile. Ma nulla e nessuno riuscirà a farmi credere che la vita americana sia minacciata, come quella nostra, dall’immoralità. Per una ragione molto semplice, caro Edmund: che mio nonno, quello che ha insegnato a vivere a me, era quell’esempio di domestiche virtù che ti ho descritto, mentre il nonno tuo, quello che ha insegnato a vivere a te, era un pioniere che doveva seguire la regola stretta e austera dell’accampamento.
Io non prendo per oro colato quello che i cineasti di Hollywood ci raccontano nei loro WESTERN (dei quali sono grande amatore). Ma un certo “clima morale”, come lo vediamo riprodotto in quei film, dev’esser vero. Voi, senza il puritanismo e senza la fede nel trionfo del Bene sul Male, non avreste fatto nemmeno un centesimo di quello che avete fatto. Senza una fede religiosa non si costruisce una cosa come l’America. Senza una fede religiosa non si compie nulla di grande: nemmeno i delitti. Questa fede religiosa in voialtri americani è viva; e lo si vede dal continuo sorgere di nuove sètte. Segno che la vostra discussione con Dio è sempre aperta. E chi discute con Dio ha il peccato difficile e seguito dal rimorso e dalle crisi di coscienza. Non tutti i frequentatori di Wall Street si fermano ad ascoltare predicatori – bianchi, neri, gialli – che, sul marciapiede, li mettono in guardia dai castighi che l’Inferno riserba ai seguaci di Mammone. Mammone, certo, seguita a fare gli affari suoi. Ma solo in una società a forte sustrato religioso è concepibile la pacifica coesistenza di Mammone col Vangelo. T’immagini cosa succederebbe se nella Borsa di Roma o di Milano si presentasse uno di quei predicatori. Cioè, non sforzarti a immaginarlo. Leggi la storia di Gerolamo Savonarola che, se rinascesse oggi in America, sarebbe lì anche lui, a Wall Street, a descrivere l’Inferno; ma nessuno lo brucerebbe.
Come nipote di quel tale nonno, io, capirai, non posso avere molte simpatie per il puritanismo. Lo invidio al tuo Paese senza augurarlo al mio. Perché è inutile cercare di trapiantarlo, come stanno tentando di fare i democristiani, in un terreno dove non trova nutrimento. In America il puritanismo sta benissimo, anzi ne costituisce la vera forza. Si potrà deprecarne e moderarne gli eccessi. Ma esso è nell’anima e nel sangue degli americani, della cui Storia è la chiave. Da noi si risolve in una grossa menzogna, in una colossale ipocrisia, e serve a spiegare soltanto il Marchese Montagna, Capocotta, la farsa della “Venere” di Botticelli e tutti gli altri indecenti foruncoli in cui scoppia, regolarmente, il sangue di un popolo avvelenato da una moralità da sacristia che non gli è congeniale.
Caro Edmund, noi cattolici italiani abbiamo faticato duemila anni per fabbricarci un Dio sulla nostra misura umana, cordiale, tollerante e pieno di indulgenza per i nostri peccati. Nel nostro Paradiso c’è perfino una stakanovista dell’adulterio, Maria Maddalena, e un professionista del furto, Ranieri, per dare speranza a chi cade in queste colpe e procurargli il perdono. Tutto ciò potrà fare a pugni con la Teologia, ma va benissimo d’accordo col nostro carattere.
E ora, ecco qui, i preti ce lo stanno rovinando. Ma che cattolici sono, i preti cattolici, perdio?
Sinceramente tuo
Indro Montanelli
Da Il Fatto Quotidiano del 21 luglio 2011
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