venerdì 30 settembre 2011

Referendum, oltre un milione di firme "E' un miracolo popolare"

E' "un miracolo popolare": il comitato referendario consegna oggi alle 12 in Cassazione 200 scatoloni contenenti 1.210.466 firme, raccolte in soli due mesi, per chiedere l'abrogazione dell'attuale legge elettorale, il cosiddetto porcellum. Quota ben oltre le 500mila richieste e ben oltre le 700mila considerate la soglia di sicurezza, al netto delle possibili contestazioni in Cassazione. Il presidente del comitato, Andrea Morrone, nel corso di una conferenza stampa alla Camera, festeggia per il risultato, ma ricorda che è "solo l'inizio".

Il via libera della Cassazione arriverà entro il 10 dicembre, poi ci sarà il passaggio alla Corte costituzionale, che valuterà l'ammissibilità senza poter far riferimento a precedenti referendum sulla legge elettorale, quindi sarà il momento della campagna referendaria e il voto si terrà la prossima primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno, sempre che le camere non vengano sciolte anticipatamente. Marrone spiega che questo, quanto a firme raccolte, è "il secondo risultato in assoluto nella storia del referendum". Ringrazia il "gruppo unito" delle forze del comitato e ricorda che "il 10 per cento delle firme è dovuto al contributo dei comuni".

Anche Arturo Parisi non nasconde il proprio entusiasmo ed esalta "il lavoro corale" - di Pd, Idv, Sel, Partito liberale, Popolari (ex asinello) e Rete referendaria di Segni sono stati i promotori dell'iniziativa - parlando di firme sottoscritte dai cittadini "con rabbia e indignazione", ma anche di "speranza" per il futuro. Nessuno ormai "difende più il porcellum", continua l'ex ministro, quindi il prossimo Parlamento non deve essere rieletto con l'attuale elegge elettorale. Infine, Antonio Di Pietro esorta la politica a cambiare la legge elettorale: l'Idv pone tre condizioni: "incandidabilità per i condannati; chi è sotto processo non può ricoprire ruoli di governo e chi fa il parlamentare deve sospendere la propria attività professionale".

Il messaggio che viene dai cittadini è "netto e incontrovertibile" ed ha un "valore civile prima ancora che politico: i cittadini vogliono contare, non intendono lasciare una delega in bianco ad una classe politica chiusa in Palazzo sempre più screditato" commenta Nichi Vendola presidente di Sel. "La democrazia nel nostro Paese" aggiunge, "non può più essere umiliata come è successo finora".

(La repubblica - 30 settembre 2011)


D'Avanzo, Berlusconi e la vertigine dell'onnipotenza

Un documento speciale: un'intervista video a Giuseppe D'Avanzo, giornalista sempre esposto ma che non amava apparire, morto all'improvviso a 58 anni due mesi fa. In questa registrazione del dicembre 2001 parla alla tv olandese Rtl e analizza il secondo governo Berlusconi, insiediatosi sei mesi prima. Leggi ad personam, giudici nemici e processi milanesi, progetti per riforme incostituzionali: è già l'Italia del Cavaliere

di Paulina Valkenet e Francesco Viviano



L'opera di S.

L'opera di S.

S: ♪fa ♪re ♪sol ♪do ♪fa ♪re ♪sol ♪do
I ministri: ♪mi ♪fa ♪fa ♪re ♪sol ♪do ♪mi ♪fa ♪fa ♪re ♪sol ♪do
Le ministre: ♪si ♪la ♪do ♪si ♪la ♪do ♪si ♪la ♪do
Il giudice: ♪si ♪fa ♪la minore ♪si ♪fa ♪la minore


martedì 27 settembre 2011

Bagnasco: “Grave questione morale, bisogna bonificare l’aria”

Il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco: “In Italia bisogna purificare l’aria ammorbata dai comportamenti licenziosi”, “la questione morale non è un’invenzione mediatica”, “la piovra della corruzione va combattuta al pari dei comitati d’affari”: parole nette e inequivocabili quelle pronunciate dal cardinale Angelo Bagnasco nella prolusione del consiglio permanente dei vescovi. Si è trattato di un intervento che il mondo cattolico (ma anche quello laico) aspettava da tempo, specie dopo le ultime critiche per i lunghi silenzi della Cei. E non è un caso che l’uscita allo scoperto sia arrivato a distanza di quattro giorni dalla presa di posizione di Benedetto XVI, che dalla Germania aveva auspicato al più presto un serio “rinnovamento etico”. Il presidente della Conferenza episcopale italiana non ha nominato direttamente il soggetto a cui era rivolta la sua reprimenda, ma i troppi riferimenti all’attualità hanno un solo significato; Bagnasco, infatti, ha parlato al potere politico e il potere politico, in Italia, ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi.

Un intervento a tutto tondo quello del cardinale, che ha toccato molti temi di questi giorni e li ha legati attraverso un unico, comune denominatore: la necessità di un cambiamento radicale. A 360 gradi. “I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà – ha detto Bagnasco – . Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune”. Poi la stoccata: “C’è da purificare l’aria, perché le nuove generazioni, crescendo, non restino avvelenate” ha attaccato il presidente della Cei, che poi ha sottolineato come la questione morale non sia “un’invenzione mediatica”, pur segnalando sulle inchieste in atto “l’ingente mole di strumenti di indagine”, “la dovizia delle cronache a ciò dedicate” e la presenza di “strumentalizzazioni”. Ciò non significa, secondo il cardinale, che ci possano essere equivoci, perché la questione morale “è un’evenienza grave”.

Partendo da questo dato di fatto, l’alto prelato ha sottolineato il ruolo della storia: “Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale – è stato il giudizio di Bagnasco – , allora non ci sono nè vincitori nè vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto”. Il cardinale, inoltre, non ha risparmiato considerazioni di tipo politico, sostenendo che “al punto in cui siamo è essenziale drenare tutte le risorse disponibili, intellettuali, economiche e di tempo, verso l’utilità comune: solo per questa via si può salvare dal discredito generalizzato il sistema della rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati contro la ‘piovra’ della corruzione e delle clientele, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta”. Quasi un appello al cambiamento della legge elettorale, quindi, a cui Bagnasco ha fatto seguire un attacco ancor più veemente contro la corruzione, sostenendo come “non si capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i comitati d’affari che si autoimpongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica”. Le conseguenze per Bagnasco sono devastanti: “Il loro maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti, nell’intermediazione appaltistica, nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni”.

Proprio il crollo di credibilità della rappresentanza politica ha offerto al presidente della Cei l’occasione per un annuncio che farà molto discutere: ”Sta lievitando una partecipazioneche si farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte – ha anticipato – la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica, che, coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita, sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie nè ingenue illusioni”.

Il quadro, per Bagnasco, è di una gravità assoluta, così come le conseguenze che essa potrà avere: “Se non si riescono a far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per siglare un patto intergenerazionale che, considerando anche l’apporto dei nuovi italiani, sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come volano un’efficace politica per la famiglia, l’Italia non potrà invertire il proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di pochi, ma si prosciugherà il destino di un popolo”.

L’Italia, infatti, per Bagnasco “non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della propria situazione”. E le misure studiate dal governo non sono all’altezza, tanto che i vescovi sono rimasti colpiti dalla “riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità”. Nell’occhio del ciclone, neanche a dirlo, la politica: ”Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonchè la reciproca, sistematica denigrazione, poiché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico – ha detto Bagnasco – . Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui, mentre si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”. In conclusione d’intervento, l’appello del cardinale al ritorno di “misura, sobrietà, disciplina, onore” a cui è tenuto chi “sceglie la militanza politica”.

Un attacco su tutta la linea, quindi, che forse traccia la nuova linea strategica della Cei: stop alla stagione della tolleranza, avanti con l’impegno diretto. Nella vita sociale e, perché no, anche in politica.

Il Fatto Quotidiano – 26 settembre 2011

giovedì 15 settembre 2011

"Vediamoci in piazza". Con questo slogan il comitato referendario per l'abrogazione dell'attuale sistema elettorale, il Porcellum

"Vediamoci in piazza". Con questo slogan il comitato referendario per l'abrogazione dell'attuale sistema elettorale, il Porcellum, 1 invita tutti alla mobilitazione negli ultimi dieci giorni di raccolta firme, dal 15 al 25 settembre.

Quando alla scadenza ufficiale per la presentazione delle liste in Cassazione mancano meno di due settimane, le firme raccolte sono 435mila su 500mila necessarie.

Per Arturo Parisi, tra i principali sostenitori della campagna referendaria: "L'idea che un mese fa veniva considerata poco più che una pazzia oggi è diventata possibile e a portata di mano". Ma aggiunge: "Non è ancora fatta. Servono molte più firme per essere sicuri che arrivino tutte a Roma e siano tutte valide". Obiettivo dell'esponente Pd è "arrivare almeno a 600mila".

Se da un lato prevale l'ottimismo - Parisi ha detto di aver ricevuto richieste per 128mila moduli e aggiunto che le 400mila firme sono state raccolte in 20 giorni - dall'altro il comitato referendario sa "di non poter sprecare nè un giorno, nè un'ora". Da qui l'idea di lanciare un'iniziativa straordinaria dal 15 al 25 settembre, "I dieci giorni per la democrazia". L'invito rivolto alle sei organizzazioni promotrici - Pd, Idv, Sel, liberali, quelli dell'Asinello, Unione popolare e Rete referendaria di Segni - è di allestire, nelle piazze e per le strade di tutta Italia, banchetti dove i cittadini favorevoli al referendum potranno porre la loro firma. Nelle sede dei democratici di piazza Santi Apostoli, Parisi si dice fiducioso sull'accoglimento del quesito da parte della Corte Costituzionale: "Non siamo apprendisti stregoni, esiste un margine di incertezza come è normale ma abbiamo sentito il parere di un numero consistente di costituzionalisti, tra i quali Andrea Morrone, professore all'università di Bologna, che è anche nel comitato promotore".

Per il referendum che vuole il ritorno al sistema maggioritario, il vecchio Mattarellum, hanno già firmato, tra gli altri, Romano Prodi, Piero Fassino, Carlo De Benedetti, Alessandro Profumo, don Luigi Ciotti ed Ermanno Olmi.

La repubblica - 15 settembre 2011


Paese di m…? Per forza, c’è Berlusconi

L’Italia è un Paese di m…. Capisco che il presidente della Repubblica, che pur ogni giorno ci rompe i timpani con la retorica dell’Unità d’Italia, abbia le mani legate perché quell’espressione Berlusconi l’ha usata in una conversazione privata, peraltro con uno di quegli avanzi di galera di cui il premier italiano ama circondarsi. Capisco, per gli stessi motivi, il silenzio del presidente della Camera e del Parlamento oltre che la dovuta inerzia della Magistratura. Ma mi aspettavo un sussulto, un soprassalto di dignità da parte degli italiani, che a differenza delle cariche istituzionali non hanno obblighi di forma. Non per un malinteso senso di orgoglio nazionale, ma perché quella frase, privata o meno, offende tutti noi, uomini e donne, singolarmente presi, dandoci dei ‘pezzi di m…’.
Mi aspettavo quindi che gli italiani scendessero in strada, non per il solito e inutile sciopero politico alla Camusso, ma per dirigersi, con bastoni, con randelli, con mazze da baseball, con forconi verso la villa di Arcore o Palazzo Grazioli o qualsiasi altro bordello abitato dall’energumeno per cercare di sfondare i cordoni di polizia e l’esercito di guardie private da cui è difeso, e dirgli il fatto suo. Invece la cosa è passata come se nulla fosse. Encefalogramma piatto. A parte un articolo sul Fatto del solito Travaglio, che ha trattato l’argomento, se così vogliamo chiamarlo, con la consueta, magistrale ironia. Ma non è più il tempo dell’ironia, che depotenzia la gravità dei fatti.
Sono 17 anni che costui delegittima, di volta in volta, impunemente tutte le Istituzioni dello Stato: il presidente della Repubblica, il presidente della Camera, la magistratura ordinaria, la Corte costituzionale, la Cassazione, la magistratura civile, la Corte dei conti, il Tar, il governo (quando non c’è lui), il Parlamento (quando non ne ha il controllo) e adesso, in blocco, il popolo italiano. Sono 17 anni che costui insulta tutti impunemente: “Pm eversivi”, “Pm sovversivi”, “Pm peggio della criminalità”, “i magistrati milanesi come la mafia”, “magistratura metastasi”, “magistratura cancro della società”, “i giudici sono antropologicamente dei pazzi”, “l’opposizione è criminale”, “i giornali sono criminali”.
E non è che un florilegio minimo di un repertorio che va avanti da 17 anni. Fino a quando tollereremo che questo mitomane schizoide, questa faccia di bronzo, questa faccia di palta, questo corruttore di magistrati (nessuno crederà, sul serio, che Previti abbia pagato in nome proprio il giudice Metta perché ‘aggiustasse’ il Lodo Mondadori a favore della Fininvest), corruttore di testimoni (Mills), corruttore della Guardia di Finanza, concussore della polizia (caso Ruby), creatore di colossali ‘fondi neri’, campione, attraverso decine di società ‘offshore’, di quell’evasione fiscale che oggi dice di voler combattere (proprio lui che incitò gli italiani a ‘eludere’ le tasse)?
Democraticamente non c’è difesa quando esiste una maggioranza parlamentare che, in spregio a ogni principio di uguaglianza, sforna a raffica leggi ‘ad personam’ ed è persino disposta ad avallare la tesi che la marocchina Ruby fosse creduta nipote del presidente egiziano Mubarak. E se oggi “l’Italia è un Paese di m…” è perché abbiamo permesso a questo inqualificabile individuo, con la complicità dei suoi sgherri e ‘servi liberi’, di cacarci sopra per 17 anni.

Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2011)

mercoledì 7 settembre 2011

L'altrove del narcisista

Forse, se vogliamo capire un poco quel che accade in Italia, bisogna pensare alle guerre, ai tabù che esse infrangono. Clausewitz, ad esempio, diceva che le guerre napoleoniche avevano "abbattuto le barriere del possibile, prima giacenti solo nell'inconscio", e che risollevarle era "estremamente difficile". Non dissimile è quel che ci sta succedendo.

Un capo di governo ci s'accampa davanti, e passa il tempo a distribuire soldi perché cali il silenzio su verità che lo riguardano. Non qualche soldo, ma tanti e sfacciati. Sfacciati perché la stessa persona dice che verseremo "lacrime e sangue", per riparare una crisi che per anni ha occultato, non sentendosene responsabile. Mentre noi faticosamente contiamo quello che pagheremo, lui sta lì, in un narcisistico altrove, e dice che i soldi li elargisce a persone bisognose, disperate, a lui care: i coniugi Tarantini, Lele Mora, Marcello dell'Utri, e parecchi altri.

Abbondano i diminutivi, i vezzeggiativi, nelle intercettazioni sempre più nauseabonde che leggiamo: si parla di regalini, noccioline, problemini. I diminutivi sono spesso sospetti, nella lingua italiana: nascondono infamie. Nel caso specifico nascondono la cosa più infame, che è il ricatto: sto zitto e ti sono amico, ma a condizione che paghi. Amico? Piuttosto "complice in crudeltà", come diceva La Boétie nella Servitù Volontaria. Dice la moglie di Tarantini, sul mensile di 20.000 euro che il premier elargì per anni ai coniugi che spedivano escort a Palazzo Grazioli: "Ci servivano tutti quei soldi perché abbiamo un tenore di vita alto". Dovevano andare a Cortina, precisa. Chissà perché: dovevano. Questa è la disperazione che Berlusconi incrocia passeggiando. Uno sciopero, immagino non gli dica nulla su chi dispera.

Ricattare un uomo è peggio di sfruttarlo. È conoscerne i misfatti e racimolando prove guadagnarci. Le conversazioni fra Tarantini e il faccendiere Lavitola sono istruttive: il premier va "tenuto sulla corda"; messo "con le spalle al muro"; "in ginocchio". È insultare il bisogno chiamarli bisognosi. La giustizia accerterà, ma già sappiamo parecchio: il premier è ricattabile, non padrone di sé. È una marionetta, manovrata da burattinai nell'ombra. Si è avuta quest'impressione, netta, quando Dell'Utri commentò, il 29-6-2010, la sentenza che lo condannò in appello per concorso esterno in associazione mafiosa. Ancora una volta glorificò Mangano, il tutore-stalliere distaccato a Arcore dalla mafia che mai nominò Berlusconi. Poi aggiunse, singolare postilla: "Io non l'avrei fatto. Forse non avrei resistito a quello cui ha resistito lui". La frase non era buttata lì; pareva un pizzino: "Stai in guardia, posso parlare, io non sono un eroe".

Uno che accetta d'esser ricattabile pensa di dominare ma è dominato; sproloquia di un Paese che ama ma lo considera "di merda". La guerra distorce gli animi a tal punto. Come può governare, se è ostaggio di uomini e donne che lo spremono? Come, se la sua vulnerabilità al ricatto diventa un male banale, un'ordinaria abitudine omertosa, e questo nell'ora in cui dagli italiani si esige una ripresa, morale oltre che economica, e una solidarietà con i poveri, i giovani derubati di pensione e futuro, i precari che la Banca d'Italia chiede di tutelare (comunicazione al Parlamento del vicedirettore Ignazio Visco, 30-8-11) e che la manovra ignora? Non è solo Berlusconi, il sequestrato. La cultura estorsiva secerne i suoi habitués, per contaminazione. Fra essi potrebbe esserci Tremonti, il così imprudente, così stupidamente spavaldo uomo-chiave della crisi.

Gli stava vicino un ometto tracotante e avido, Marco Milanese: ma proditoriamente. Accusato di associazione a delinquere, corruzione, rivelazione di segreto, si spera che il Parlamento ne autorizzi l'arresto. Milanese aveva anche dato al ministro un appartamento al centro di Roma che Tremonti pagava in parte e senza fattura. Il perché resta oscuro. Il ministro ha detto che la Guardia di finanza lo spiava: cosa strana per chi della Gdf è capo. Più la faccenda s'annebbia, più cresce il sospetto che anch'egli sia ricattato da un "complice in crudeltà".

Ma c'è di più: la debolezza di Berlusconi accresce negli italiani il disprezzo, l'odio della politica. Proprio lui, che entrò in scena vituperando i politici di professione ed esaltando meriti e competenze, incarna ora la politica quando si fa putrescente. La sua è una profezia che si autoavvera: aveva dipinto la separatezza teatrale del politico, e l'immagine s'è fatta iper-realtà. Al posto dei partiti le cerchie, le cosche: più che mai i cittadini sono tenuti all'oscuro. Per questo è così vitale raccogliere le firme per abolire tramite referendum la legge elettorale che ha potenziato le cosche. Disse ancora Dell'Utri, nel 2010, che mai avrebbe voluto fare il ministro: "Voglio scegliere i ministri". Ecco lo scopo delle cosche: scegliere, ma dietro le quinte. Berlusconi accusa tutti, di debilitare il premier: costituzione, Parlamento, oppositori, giornali. Non accusato è solo chi amichevolmente lo irretisce in permanenti ricatti.

Non si creda che basti toglierlo di scena perché tutto torni a posto. Che basti sostituirlo con altri spregiatori della politica, magari invischiati come lui in conflitti d'interesse. Se tante barriere sono cadute, abbassando la soglia del fattibile, è perché da 17 anni la sinistra ingoia i conflitti d'interessi, e si irrita quando qualche stravagante parla di questione morale. Perché anch'essa custodisce sue cerchie. Altrimenti avrebbe capito un po' prima che a Milano e Napoli montava una rivolta della decenza che infine ha incensato, ma di cui non fu l'iniziatrice. Altrimenti si getterebbe ora nella raccolta di firme sulla legge elettorale. Altrimenti elogerebbe ogni giorno l'opera di Visco e Prodi contro l'evasione fiscale. Il male di Berlusconi contagia: è "dentro di noi", come scrisse Max Picard di Hitler nel '46. Come spiegare in altro modo l'incuria, l'impreparazione, davanti ai tanti scandali che assillano il Pd: da Tedesco a Pronzato e Penati?

Certo la sinistra non è Berlusconi: rispetta la giustizia, e non è poco. Ma una cosa rischia di accomunarli: il virus viene riconosciuto solo quando i magistrati lo scoperchiano, non è debellato in anticipo da anticorpi presenti nei partiti. Le condotte di Penati non erano ignote. Fin dal 2005 fu sospettato d'aver acquistato a caro prezzo azioni dell'autostrada Serravalle, quand'era Presidente della provincia a Milano, nonostante la società fosse già pubblica: per ottenere forse dall'imprenditore Gavio, cui comprò le azioni, contributi alla scalata di Bnl. Poi vennero le tangenti per l'ex Area Falck di Sesto San Giovanni. Nel 2007 il giornalista Gianni Barbacetto scrisse su questo un libro (I compagni che sbagliano). Prudenza avrebbe consigliato l'allontanamento da Penati. Invece niente. Passano soli due anni, e nel 2009 Bersani nomina proprio Penati capo della sua segreteria. Era "l'uomo del Nord", scrive Nando Dalla Chiesa sul Fatto, e il Nord s'espugna con i figli del berlusconismo.

Si racconta che un giorno i discepoli di Confucio gli chiesero: "Quale sarà la prima mossa, come imperatore della Cina?". Rispose: "Comincerei col fissare il senso delle parole". È quello di cui abbiamo bisogno anche noi, è la via aurea che s'imbocca quando - finite le guerre - urge rialzare le barriere del fattibile. Rimettere ordine nelle parole è anche smettere gli smorti totem che ci assillano: parole come riformismo, o centrismo. Ormai sappiamo che riformista è chi si accredita conservando lo status quo, facendo favori a gruppi d'interesse, Chiesa compresa. Liberare l'Italia da mafie e ricatti non è considerato riformista. Sbarazzarsi di Berlusconi servirà a poco, in queste condizioni. Gli elettori sono disgustati dalla politica come nel '93-'94. Cercheranno un nuovo Berlusconi.

Barbara Spinelli (La Repubblica - 07 settembre 2011)