giovedì 29 marzo 2012

Vorrei scrivere come Curzio Maltese

Non ho mai nascosto, scrivendo su questo e sull'altro blog, la mia passione per il giornalismo e per la comunicazione in generale. Fin da adolescente, invece di Topolino o Capitan Miki oppure dell'Intrepido o dei Fantastici Quattro, amavo leggere il Corriere della Sera e La Repubblica, L'Europeo e L'Espresso, La Stampa e Il Manifesto. I miei compagni dell'epoca mi guardavano tra lo scettico e il compassionevole, ma alla fine a me poco importava: l'importante era esaudire la mia famelica richiesta di lettura, ovviamente comprensiva di libri e fumetti. Da circa sei anni ho soddisfatto anche il mio ego, facendo vedere la luce ai miei blog, postando la bellezza di più di millesettecento articoli. Ma mai come l'altro giorno, lunedì 5 settembre, avrei voluto scrivere un pezzo come quello scritto da uno dei miei giornalisti preferiti, quel Curzio Maltese da me già citato in passato in altri post. L'articolo di Maltese, dedicato come sempre al Cavalier Pompetta alias Silvio Berlusconi, è secondo me da leggere tutto d'un fiato, un pò come si fa con un buon bicchiere di centerbe o di rhum: una sorta di schioppettata all'anima e al cervello, una splendida esortazione a riflettere e a capire come e chi ci sta portando alla rovina. Un ulteriore e sollecito invito, agli italiani e a tutti gli uomini di buona volontà, a svegliarsi una buona volta e a far sì che il nostro Paese venga al più presto deberlusconizzato. Per chi se lo fosse perso (spero vivamente non la maggioranza degli italiani) ripropongo integralmente ai miei lettori l'articolo di Curzio Maltese, dal titolo Il bancomat del ricatto. Buona lettura.
Agli insegnanti, agli operai, agli impiegati e ai pensionati che sopravvivono sul filo dei millecinquecento euro al mese farà certo piacere apprendere che il capo del Governo è stato per tutti questi anni un bancomat.
Un bancomat sempre aperto a una nutrita corte dei miracoli composta da prostitute e magnaccia, spacciatori, mafiosi, politici voltagabbana, faccendieri, sfaccendati e soprattutto sfaccendate.
Bastava inserire la carta di credito del ricatto e uscivano dalle casse del premier decine e centinaia di migliaia, milioni di euro. In cambio di nulla, si capisce, nè sesso, nè droga, nè voti. Per pura bontà di "papi" e ora "zio Silvio" che si descrive "fatto così, incapace di dire no a chi ha bisogno". Un benefattore, insomma. Sia pure soltanto per alcune curiose categorie. Mai una vecchina, un barbone, un orfano, un disoccupato, un terremotato, un bambino africano. Del resto quale uomo, di fronte alle fotografie delle Olgettine, ormai diffuse su tutti i giornali del mondo, non verrebbe mosso a compassione? Quale cuore di pietra, davanti alle difficoltà dei coniugi Tarantini o di un Lavitola, di Lele Mora e di Emilio Fede, incarnazioni stesse della fame nel mondo, non porterebbe la mano al portafogli? Per non parlare del partito dei responsabili capeggiato da Scilipoti, nei confronti del quale non è provata alcuna "liberalità", ma soltanto presunta. Da tutti.
I soldi per Berlusconi non sono mai stati un problema, a differenza che per qualche decina di milioni di connazionali. Gli sono piovuti dal cielo in valigioni fin dal principio della parabola, come nella celebre scena de Il Caimano. Ma la contabilità della vergogna certificata dalle intercettazioni, il bancomat del Cavaliere, pone alcune gravi questioni politiche e personali. Che nel suo caso, sono la stessa cosa.
Siamo anzitutto di fronte a un uomo disperato, braccato da un presente e da un passato inconfessabili, costretto a comprarsi ogni volta, da anni e quasi ogni giorno, una storia presentabile, oltre a tutto il resto. Amore, amicizia, fedeltà, ammirazione, onore. Aveva cominciato presto, fin dai tempi dello stalliere di Arcore, a comprarsi l'amico stalliere Mangano e gli amici dell'amico. Ma il precipizio degli ultimi anni è impressionante. Il gran seduttore di donne è ridotto a pagare centinaia di migliaia di euro per condurre alle sue "cene eleganti" torme di ragazze che lo disprezzano e poi moltiplicano le richieste non appena vengono convocate come testi dai magistrati. Il mitico capo, oggetto di culto delle masse, potentissimo e senza paure, è costretto a cedere alle richieste milionarie di un peracottaro come Lele Mora, con il devoto Emilio Fede a fare la cresta. Non può negarsi al telefono e neppure alle pressanti richieste di quattrini da parte di personaggi come Tarantini e Lavitola, che sembrano usciti da un cinepanettone andato a male. Il leader che doveva guidare la sesta potenza economica del pianeta verso un nuovo boom economico trascorre le giornata di qua e di là, con il libretto d'assegni in mano, per tappare le falle e le balle di un potere fondato sulla falsificazione quotidiana.
Sarebbe tutta da ridere, come fa la stampa internazionale, se non fosse il nostro quel Paese guidato da questo ricchissimo poveruomo. Se non toccasse a lui, per ironia della storia, chiedere oggi agli italiani di fare i sacrifici, stringere la cinghia, contare l'euro per la fine del mese. Al termine della storia Berlusconi, come tutti i personaggi del genere, non trova di meglio che offendere un Paese cui deve tanto, troppo. L'ultimo Mussolini scriveva che governare l'Italia non è difficile, ma inutile. Berlusconi consegna attraverso le intercettazioni il suo slogan finale, "via da questo Paese di merda". Magari su qualche cosa avrà pure ragione. Ma se prendesse tutta la sua corte dei miracoli di puttane e giornalisti, voltagabbana e spacciatori, e se ne andasse via davvero, potrebbe migliorarlo questo Paese. Sarebbe per lui la prima volta.

tpi-back (10 settembre 2011)

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