mercoledì 13 giugno 2012

I voltagabbana di Silvio Berlusconi

Marco Travaglio raccontava qualche giorno fa degli ‘antemarcia’ cioè, flaianamente parlando, degli specialisti nel salire, all’ultimo momento, sul carro del vincitore. Fenomeno che da noi ha una lunghissima tradizione che risale alla nascita dell’Italia unitaria. Si cominciò col garibaldinismo. Se tutti quelli che dicevano di aver partecipato alla spedizione dei Mille l’avessero fatta, i Mille non sarebbero stati mille, ma qualche milione.

Si è continuato con gli ‘antemarcia’ propriamente detti, i fascisti che millantavano di aver partecipato alla peraltro ridicola ‘Marcia su Roma’. Il 25 aprile 1945 si assistette al miracolo gaudioso: gli italiani da tutti fascisti, o quasi, che erano stati, erano diventati, in un sol giorno, tutti antifascisti. Arturo Tofanelli, il fondatore di “Tempo illustrato”, il primo rotocalco italiano, mi raccontò che quel giorno stava tornando in treno da Torino a Milano. Affacciato al finestrino vedeva brillare, a centinaia, dei cerchietti ma, a causa del riflesso, non capiva cosa fossero. A una sosta del treno ne raccolse uno: era il distintivo del Pnf di cui gli italiani si stavano sbarazzando.

I ‘retromarcia’ sono una variante degli ‘antemarcia’. È gente troppo pubblicamente compromessa con l’antico regime per poter salire subito sul carro del vincitore. Hanno bisogno di fare prima un po’ di retromarcia che consiste nello sparare sul Capo che hanno caninamente servito per anni, ricavandone ogni sorta di prebende. Martelli adversus Craxi.

Adesso è l’ora di Berlusconi. Il 23 maggio ho aperto il Corriere e ho letto questa dichiarazione: “Il Cavaliere è un leader finito”. Di chi era? Di Di Pietro, di Vendola o almeno di Bersani? Era di Marcello Pera. Berlusconi sarà anche un uomo finito, ma Pera non è mai esistito. Presidente del Senato dal 2001 al 2006 di lui si ricorda solo una memorabile confessione: “In casa mi piace stare in mutande” (davanti a Berlusconi invece se le calava).

Pera fa parte di quel gruppo di ‘professori’, si fa per dire, di cui il Cavaliere, ignorante come una scarpa, amò circondarsi all’inizio della sua avventura politica (sbagliando perché gli intellettuali sono i più infìdi, i primi a lasciare la nave che affonda e non per nulla Bossi non ne ha mai voluto sapere).

Nelle riunioni di Forza Italia poi Pdl, i ‘professori’ si distinguevano più degli altri, ed è tutto dire, negli applausi scroscianti a ogni cazzata che diceva il Capo. La cosa era talmente bulgara che una volta che Saverio Vertone si dimenticò di battere le mani fu preso da Berlusconi letteralmente per le orecchie, che divennero rosse di vergogna.

Adesso è la volta di Schifani, un’altra ameba: “Il governo di Berlusconi è caduto per gli errori del Pdl”. Ho l’impressione che fra poco dovremo cominciare a difendere il nano di Arcore. Perché Berlusconi è quello che è, ma in quello che fa ci mette tutta la sua enorme energia. Alla fine degli anni 80 lo intervistai ad Arcore sul calcio (Fu una cosa divertente. A un certo punto il Berlusca si indispettì per le mie domande e pretendeva di farsele lui – come dopo la sua ‘discesa in campo’ sarebbe regolarmente avvenuto. Gli risposi: “Presidente, le domande spettano a me, a lei le risposte”).

Comunque in quell’intervista mi raccontò che quando, ragazzo, aveva messo su, con Confalonieri e altri amici di gioventù, una squadretta di calcio, era lui, alle nove di mattina, a tracciare col gesso le linee del campo, dell’area di rigore, di quella del portiere, eccetera. Gli altri, per questi lavori di bassa manovalanza, se la squagliavano. Credo fosse sincero. Berlusconi è quello che è. Ma i Pera, gli Schifani, i Cicchitto, i Bonaiuti e gli infiniti altri sono dei saprofiti, dei parassiti, delle zecche che gli hanno succhiato il sangue. E se Berlusconi può fare, o aver fatto paura, questi fanno solo schifo.

Massimo Fini per “Il Fatto Quotidiano”


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