Facciamo finta che B. avesse coronato il suo sogno e il nostro incubo: diventare presidente della Repubblica. E si fosse messo subito all’opera, trascinando la Procura di Palermo che indaga sulla trattativa Stato-mafia dinanzi alla Corte costituzionale con un conflitto di attribuzioni mai visto, dopo aver tentato invano di depotenziare l’indagine su richiesta di un politico coinvolto. E che subito dopo, per fare cosa gradita, il Csm avesse avviato una pratica per trasferire il Pg di Caltanissetta, reo di aver puntato il dito in via D’Amelio, commemorando Borsellino, contro i politici che trattarono con la mafia. E che, animata dallo stesso trasporto, la Procura generale della Cassazione avesse avviato un’azione disciplinare contro il procuratore di Palermo e contro uno dei pm titolari dell’inchiesta, colpevole di aver rilasciato addirittura un’intervista per spiegare le scelte giuridiche della sua Procura.
Oggi, nonostante la canicola, avremmo le piazze giustamente piene di gente che grida all’allarme democratico, scandendo slogan tipo “giù le mani dalla Procura di Palermo”, “la legge è uguale per tutti”, “con la mafia non si tratta”, “processo alla trattativa, se non ora quando?”, col contorno di titoloni sulla stampa progressista e sul Tg3, appelli, manifesti, petizioni, raccolte di firme, catene umane, allarmi di gruppi, associazioni, comitati, movimenti, intellettuali, giuristi e costituzionalisti democratici, Anm, reduci della guerra partigiana, sindacalisti e naturalmente politici di centrosinistra schierati come un sol uomo dalla parte dei pm attaccati concentricamente da Quirinale, Governo, Consulta, Csm, Procura della Cassazione e Avvocatura dello Stato.
Invece niente: al Quirinale c’è un altro, dunque tutto tace. L’ordine regna a Varsavia, anzi a Roma. Facciamo finta che B. fosse ancora al governo e se ne andasse in gita in Germania a lagnarsi dell’esistenza dei parlamenti nelle democrazie parlamentari, inutili impacci che impediscono ai governi di fare come pare a loro. E che giustamente venisse criticato da giornali tedeschi, politici tedeschi e infine dalla cancelliera tedesca. Oltre alle piazze piene eccetera, dal Quirinale partirebbe un vibrante e sacrosanto monito terra-aria sui valori della Costituzione, l’importanza del Parlamento e la divisione dei poteri, mentre l’incauto premier verrebbe crocifisso da giuristi, costituzionalisti, sindacalisti, intellettuali, partigiani e politici di centrosinistra che gli insegnerebbero i fondamentali della democrazia parlamentare. Invece niente: a Palazzo Chigi c’è un altro, dunque tutto tace. Anzi, Bersani e Letta jr. attaccano i tedeschi che osano criticare il Caro Premier, amorevolmente assistiti sulla fu Unità dal vignettista Staino (“La stampa tedesca contro l’antidemocratico Monti”. “E chi si credono di essere, Idv e Lega?”). L’ordine regna a Varsavia, anzi a Roma. Dal Colle intanto partono bordate contro Di Pietro, che s’è azzardato a rammentare ciò che di Napolitano disse Craxi al processo Cusani: “Nuoviartifizi provocatori in un crescendo aggressivo”.
Ohibò, ma non fu proprio Napolitano, due anni fa, a riabilitare Craxi con una lacrimevole lettera alla vedova, in cui lamentava che l’esule-martire fu trattato dai giudici “con una durezza senza eguali”? Vuole forse l’esclusiva? O la sua era una riabilitazione selettiva? Facciamo poi finta che il governo B., tuttora imperversante, si schierasse con gli avvelenatori assassini dell’Ilva, spalleggiandoli nella guerra al gip che ha sequestrato gli impianti inquinanti e nelle pressioni ricattatorie (e per fortuna vane) sui giudici del Riesame perché annullino l’ordine del gip. Avremmo piazze piene e moniti à gogò. Invece l’unica piazza piena è quella di Taranto, gremita di lavoratori costretti da un governo regionale e nazionale imbelli e complici a scegliere fra la vita e il lavoro. Per il resto, siccome al governo non c’è B. e nemmeno al Quirinale, tutto tace. E la chiamano ancora democrazia.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 8 agosto 2012)
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