Nell’Europa delle frontiere aperte e dei voli low cost,
per molti giovani italiani andare a lavorare all’estero non è più
un’opportunità, ma una strada obbligata. Se fino a qualche anno fa la
fuga oltreconfine era una scelta, un’esperienza di vita che poteva
durare pochi mesi o decine di anni, adesso una società vecchia, dagli
ingranaggi arrugginiti, infestata dal malcostume e incapace di crescere
offre poche alternative alla generazione più giovane: rimanere è un
rischio che molti non si sentono di correre.
Alcuni invece hanno deciso di scommettere proprio sull’Italia: sono i ragazzi, in gran parte provenienti dai collettivi universitari, che si sono raccolti intorno al movimento Io voglio restare – Le risposte di una generazione che non si arrende. Non sono bamboccioni né choosy,
bensì membri a vario titolo di quella che è stata efficacemente
definita ‘la generazione perduta’, ma che rifiutano una sconfitta che
sembra già scritta.
E dopo una sintetica, ma esauriente
descrizione delle ‘macerie’ da cui “in tanti hanno deciso di scappare” –
condita dalle cifre preoccupanti sulla disoccupazione giovanile – i
ragazzi si chiedono: “Perché mai dovremmo restare in Italia,
se qui non è possibile vivere con dignità, dare corpo alle nostre
aspirazioni, mettere in gioco le nostre competenze? Eppure noi crediamo
di essere una risorsa. Se questo Paese va ricostruito, noi sappiamo di
poterlo e doverlo fare. Per riuscirci però abbiamo bisogno di un
cambiamento qui e ora, che ci permetta di restare: non vogliamo il posto
di qualcun altro, vogliamo costruire il nostro”. Perché anche scegliere
di restare deve essere un diritto.
L’appello, in poche settimane, ha raccolto circa milletrecento adesioni: lo hanno sottoscritto studenti universitari,
dottorandi e ricercatori, ma anche giornalisti precari e praticanti
avvocati, operai e attivisti. Un universo variegato, un “gruppo
abbastanza rappresentativo delle condizioni sociali attuali, che vuole
proporre alternative all’obbligo di emigrare: un tema che non ci sembra
abbia cittadinanza nel dibattito politico”, spiega a ilfattoquotidiano.it Lorenzo Zamponi, uno degli organizzatori.
La campagna verte intorno a quattro temi principali: conoscenza e saperi, welfare
e reddito, lavoro e precarietà, innovazione e nuova occupazione. Il
primo incontro ‘fisico’ dei sottoscrittori è in programma sabato 10
novembre alla Fortezza da Basso di Firenze, nell’ambito del forum internazionale Firenze 10+10, che si svolge a 10 anni dal Social Forum Europeo.
“Nell’assemblea discuteremo di alcuni degli spunti che abbiamo lanciato
in questi giorni a proposito della questione sociale – racconta Zamponi
– Rivendichiamo misure per sopperire alla mancanza di lavoro e di
risorse da destinare al sapere; un welfare adeguato alle esigenze del
mercato del lavoro temporaneo; provvedimenti per il reddito minimo
garantito. Se riuscissimo a ottenere queste condizioni minime di
dignità, andare all’estero diventerebbe un’opportunità e non un
obbligo”.
Il cambiamento che chiedono i ragazzi di Io voglio restare
passa anche dal loro impegno concreto. “Vogliamo proseguire nella
campagna di sensibilizzazione, avanzare le nostre proposte alla
politica, a tutti i livelli, e sostenere attivamente le campagne, come
quella sul reddito minimo, che non sono partite da noi ma che rispondono
alle nostre richieste”. Il movimento non vuole riconoscersi in una forza politica
specifica: “Tra noi ci sono persone con opinioni e sensibilità diverse,
ma nessuno con incarichi rilevanti di partito – spiega Zamponi – Non
vogliamo farci strumentalizzare in tempi di campagna elettorale, ma se
qualche esponente politico vorrà farsi carico dei nostri temi, per noi
va bene”.
Una fuga di cervelli al contrario, che
segue lo slogan “Cambiare il paese per non cambiare paese”: agire in
prima persona per uscire dal pantano: “Nel momento difficile che sta
attraversando l’Italia, ci sono energie e potenzialità
che non si possono sfruttare se non ci sono le condizioni per farlo”,
commenta Zamponi. E l’appello online si chiude con queste parole:
“Sappiamo che fuggire può essere la strada più semplice, sappiamo che
spesso è necessario ed inevitabile, ma noi vogliamo restare qui e
sappiamo che l’alternativa alla fuga dipende da noi”.
Chiara Merico (Il Fatto Quotidiano - 9 novembre 2012)
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