Cosa è la cultura?
Abbiamo definito «ignorante» chi non sa farsi capire dagli altri e non riesce a comprenderli, definizione che si attaglia bene anche a molti che hanno studiato tanto.
Luciano Luigi Pellicani, al corso di Sociologia, ci spiegava che «un uovo deposto dalla gallina è natura, cotto in padella è cultuta», intendendo che cultura è tutto ciò che viene trasformato dall’uomo e che quindi dell’uomo porta il segno, il tratto. Ovviamente è questa la definizione giusta, e ovviamente è sbagliata la definizione di uso corrente per cui è «cultura» tutto ciò che è alto, tutto ciò che è per pochi, tutto ciò che spesso risulta incomprensibile Al più. In realtà è impossibile sostenere che Gargantua su Rai Tre sia cultura mentre I Cesaroni su Canale 5 no: tutto quello che non esiste in natura ma viene trattato dall’uomo possiede un tratto culturale.
Questo libro non è un trattato di sociologia, e quindi ci limitiamo a dire che, per come la intendiamo noi, una persona colta non è una persona che sa tutto, ma è una persona che sa alcune cose e ha la capacità di godere di altre. Per esempio, un medico ha una preparazione da medico, un ingegnere padroneggia materie utili alla sua professione, ma (se sono persone colte) quando vanno al cinema sanno godersi un bel film, quando vanno allo stadio riescono a gustarsi una bella partita. La persona colta è chi sa ascoltare e capire qual è il problema, e riesce di volta in volta a trovare le soluzioni adeguate. Più capisce più vuol dire che ha strumenti per capire, quindi più cultura (e più esperienza).
Una persona colta ha una mente aperta e critica, pronta ad ascoltare le soluzioni che vengono da altrove e disponibile a correggere i propri errori. Una persona che sa argomentare le proprie tesi e che ha gli strumenti per capire gli altri.
Possiamo poi dire che la cultura di un Paese si stabilisce misurando le capacità di chi esce dalle scuole. Se scopriamo che i nostri laureandi non sanno argomentare una tesi, oppure che i nostri maturandi non sanno fare un riassunto, scopriamo che il nostro livello culturale è insoddisfacente.
Abbiamo definito «ignorante» chi non sa farsi capire dagli altri e non riesce a comprenderli, definizione che si attaglia bene anche a molti che hanno studiato tanto.
Luciano Luigi Pellicani, al corso di Sociologia, ci spiegava che «un uovo deposto dalla gallina è natura, cotto in padella è cultuta», intendendo che cultura è tutto ciò che viene trasformato dall’uomo e che quindi dell’uomo porta il segno, il tratto. Ovviamente è questa la definizione giusta, e ovviamente è sbagliata la definizione di uso corrente per cui è «cultura» tutto ciò che è alto, tutto ciò che è per pochi, tutto ciò che spesso risulta incomprensibile Al più. In realtà è impossibile sostenere che Gargantua su Rai Tre sia cultura mentre I Cesaroni su Canale 5 no: tutto quello che non esiste in natura ma viene trattato dall’uomo possiede un tratto culturale.
Questo libro non è un trattato di sociologia, e quindi ci limitiamo a dire che, per come la intendiamo noi, una persona colta non è una persona che sa tutto, ma è una persona che sa alcune cose e ha la capacità di godere di altre. Per esempio, un medico ha una preparazione da medico, un ingegnere padroneggia materie utili alla sua professione, ma (se sono persone colte) quando vanno al cinema sanno godersi un bel film, quando vanno allo stadio riescono a gustarsi una bella partita. La persona colta è chi sa ascoltare e capire qual è il problema, e riesce di volta in volta a trovare le soluzioni adeguate. Più capisce più vuol dire che ha strumenti per capire, quindi più cultura (e più esperienza).
Una persona colta ha una mente aperta e critica, pronta ad ascoltare le soluzioni che vengono da altrove e disponibile a correggere i propri errori. Una persona che sa argomentare le proprie tesi e che ha gli strumenti per capire gli altri.
Possiamo poi dire che la cultura di un Paese si stabilisce misurando le capacità di chi esce dalle scuole. Se scopriamo che i nostri laureandi non sanno argomentare una tesi, oppure che i nostri maturandi non sanno fare un riassunto, scopriamo che il nostro livello culturale è insoddisfacente.
I più ignoranti di tutti
La consapevolezza di non sapere è cultura. Quest’ultima non è definita solo dalle conoscenze specifiche, ma anche dalla capacità di riconoscere le abilità degli altri e di affidare alle persone giuste la soluzione dei problemi che incontriamo. Lo studio delle discipline non offre solo le conoscenze del campo specifico, ma anche una sorta di disciplina mentale nel sapersi riconoscere come ignoranti. Paradossalmente si studia per capire quante cose non si sanno.
«Davanti all’ignoranza siamo tutti uguali, perché l’ignoranza è infinita» spiega il filosofo Dario Antiseri, intervistato da Mercedes Vela Cossio. «Davanti all’infinito delle cose da sapere» continua Antiseri «uno è come mille: qualcuno può sapere alcune cose, l’altro ne può sapere altre... siamo tutti insegnanti, e siamo tutti ignoranti... La questione di fondo è che esistono conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo che sono disperse fra milioni e milioni di uomini.» Nessuno è in grado di sapere tutto quello che c’è da sapere: né su un argomento né su tutti gli argomenti. A chiunque sfuggirà sempre qualcosa, e quel qualcosa farà di lui un non sapiente, quindi un ignorante. Nessuno può ritenersi dotto di fronte a un’altra persona: quest’ultima saprà sempre qualcosa che io non so. «Noi siamo fallibili, e siamo tutti ignoranti» conclude Antiseri. «L’ignoranza è un tratto costitutivo dell’umanità, e colui che pensa di non essere ignorante crea solo danni a se stesso e agli altri. Il dogmatismo, la convinzione di conoscere la verità assoluta, di essere l’interprete legittimato di valori esclusivi, è la base del fondamentalismo, ed è persino alla base di ogni sistema totalitario.» La consapevolezza della propria relativa ignoranza è libertà, la convinzione di essere onniscienti è l’anticamera della dittatura.
La consapevolezza di non sapere è cultura. Quest’ultima non è definita solo dalle conoscenze specifiche, ma anche dalla capacità di riconoscere le abilità degli altri e di affidare alle persone giuste la soluzione dei problemi che incontriamo. Lo studio delle discipline non offre solo le conoscenze del campo specifico, ma anche una sorta di disciplina mentale nel sapersi riconoscere come ignoranti. Paradossalmente si studia per capire quante cose non si sanno.
«Davanti all’ignoranza siamo tutti uguali, perché l’ignoranza è infinita» spiega il filosofo Dario Antiseri, intervistato da Mercedes Vela Cossio. «Davanti all’infinito delle cose da sapere» continua Antiseri «uno è come mille: qualcuno può sapere alcune cose, l’altro ne può sapere altre... siamo tutti insegnanti, e siamo tutti ignoranti... La questione di fondo è che esistono conoscenze di situazioni particolari di tempo e di luogo che sono disperse fra milioni e milioni di uomini.» Nessuno è in grado di sapere tutto quello che c’è da sapere: né su un argomento né su tutti gli argomenti. A chiunque sfuggirà sempre qualcosa, e quel qualcosa farà di lui un non sapiente, quindi un ignorante. Nessuno può ritenersi dotto di fronte a un’altra persona: quest’ultima saprà sempre qualcosa che io non so. «Noi siamo fallibili, e siamo tutti ignoranti» conclude Antiseri. «L’ignoranza è un tratto costitutivo dell’umanità, e colui che pensa di non essere ignorante crea solo danni a se stesso e agli altri. Il dogmatismo, la convinzione di conoscere la verità assoluta, di essere l’interprete legittimato di valori esclusivi, è la base del fondamentalismo, ed è persino alla base di ogni sistema totalitario.» La consapevolezza della propria relativa ignoranza è libertà, la convinzione di essere onniscienti è l’anticamera della dittatura.
Giovanni Floris (La Fabbrica degli ignoranti - 2008 - Rizzoli)
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