FATE SCHIFO
Siccome
non c’è limite alla vergogna, ieri il Coniglio Superiore della
Magistratura, già organo di autogoverno della medesima e ora manganello
politico per mettere in riga i “divisivi” che disturbano l’inciucio, ha
condannato alla “censura” il pm minorile di Milano Anna Maria Fiorillo.
Ha insabbiato un’indagine? È andata a cena con un inquisito? È stata
beccata al telefono con un politico che le chiedeva un favore? No,
altrimenti l’avrebbero promossa: ha raccontato la verità sulla notte del
27 maggio 2010 alla Questura di Milano, quando Karima el Marough in
arte Ruby, minorenne marocchina senza documenti né fissa dimora fu
fermata per furto e trattenuta per accertamenti. Quella notte, per sua
somma sfortuna, era di turno la Fiorillo che, per sua somma sfortuna, è
un pm rigoroso che osserva la Costituzione, dunque non è malleabile né
manovrabile. Al telefono con l’agente che ha fermato la ragazza, dice di
identificarla e poi affidarla a una comunità di accoglienza, come
prevede la legge. Mentre l’agente la identifica e cerca una comunità (ce
n’erano parecchie con molti posti liberi), viene chiamato dal
commissario capo Giorgia Iafrate, a sua volta chiamata dal capo di
gabinetto Pietro Ostuni, a sua volta chiamato dal premier Berlusconi
direttamente da Parigi. L’ordine è di “lasciar andare” subito la ragazza
perché è “nipote di Mubarak” e si rischia l’incidente diplomatico con
l’Egitto. Così la Questura informa la pm che Ruby è stata affidata a
tale Nicole Minetti, “di professione Consigliere Ministeriale Regionale
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri” (supercazzola
testuale). “Ciò – annoterà la Fiorillo nella sua relazione – suscitò in
me notevoli perplessità che esternai con chiarezza, sottolineando in
modo assertivo l’inopportunità di un affidamento a persona estranea alla
famiglia senza l’intervento dei servizi sociali. Non ricordo di aver
autorizzato l’affidamento della minore alla Minetti”. Cioè, spiegherà la
pm, “ricordo di non averlo autorizzato”. Appena la cosa finisce sui
giornali, il procuratore Bruti Liberati si precipita a difendere gli
agenti con una nota molto curiale, anzi quirinalesca: “La fase
conclusiva della procedura d’identificazione, fotosegnalazione e
affidamento della minore è stata operata correttamente”. Cioè anticipa
l’esito di un’indagine in corso. Il Pdl esulta: visto? Il caso Ruby non
esiste. Il ministro dell’Interno Maroni si presenta in Parlamento e
mente spudoratamente: che Ruby fu affidata alla Minetti “sulla base
delle indicazioni del magistrato”. La Fiorillo, sbugiardata dal bugiardo
su tutti i giornali e tv senza che nessun superiore la intervenga, si
difende da sola e dichiara: “Le parole del ministro che sembrano in
accordo con quelle del procuratore non corrispondono alla mia diretta e
personale conoscenza del caso. Non ho mai dato alcuna autorizzazione
all’affido della minore“. Poi chiede al Csm di aprire una “pratica a
tutela” non solo sua, ma della magistratura tutta, contro le menzogne
del governo. Ma il Csm archivia la pratica in tutta fretta senza neppure
ascoltarla: non sia mai che, con le sue verità “divisive”, turbi il
clima di pacificazione nazionale. Al processo Ruby, forse per non
smentire il procuratore, né l’accusa né la difesa chiedono di sentirla
come teste. Provvede il Tribunale. Ma intanto il Pg della Cassazione
Gianfranco Ciani, lo stesso che convocò il procuratore nazionale Grasso
su richiesta di Napolitano e Mancino per far avocare l’inchiesta sulla
trattativa Stato-mafia, avvia contro di lei l’azione disciplinare per
aver “violato il dovere di riserbo”. Cioè per aver osato dire la verità.
Ieri infatti il Pg Betta Cesqui che sosteneva l’accusa e ha chiesto la
sua condanna non ha potuto esimersi dal dire che “la verità sulla
condotta del magistrato è stata stabilita ed è stata data piena ragione
alla sua ricostruzione dei fatti”. Dunque il plotone di esecuzione del
Csm l’ha punita con la censura. Guai a chi dice la verità, in questo
paese di merda.
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