"Caro
Zaccagnini,
ecco,
sono qui per comunicarti la decisione cui sono pervenuto nel corso di questa
lunga e drammatica esperienza ed è di lasciare in modo irrevocabile la
Democrazia Cristiana. Sono conseguentemente dimissionario dalle cariche
di membro e presidente del Consiglio Nazionale e di componente la Direzione
Centrale del Partito. Escludo ovviamente candidature di qualsiasi genere
nel futuro. Sono deciso a chiedere al Presidente della Camera, appena potrò,
di trasferirmi dal Gruppo Parlamentare della D.C. al Gruppo Misto. E' naturale
che aggiunga qualche parola di spiegazione. Anzi le parole dovrebbero
essere molte, data la complessità della materia, ma io mi sforzerò di ridurle
al minimo, cominciando, com'è ovvio, dalle più semplici. Non avendo mai
pensato, anche per la feroce avversione di tutti i miei familiari, alla
Presidenza della Repubblica, avevo immaginato all'inizio di legislatura di
completare quella in corso come un vecchio al quale qualche volta si chiedono
dei consigli e con il quale si ama fare un commento sulle cose, che l'età ed il
personale disinteresse rendono, forse, obiettivo. Come più volte ti ho
detto, fosti tu a deviare questo corso delle cose, mentre furono ancora tuoi amici
che fecero riserve, sempre nell'illusione che io dovessi dare ancora qualche
cosa al Partito, non appena si accennò ad una presidenza di Assemblea, per
concludere in tal modo la mia attività politica. Così mi sono trovato in
un posto difficile e ambiguo, che dava all'esterno la sensazione di un
predominio (inesistente) della D.C. ed all'interno creava imbarazzi, gelosie,
equivoci, timori. Essendoci lasciati in ottima intesa la sera del
martedì, già pochi giorni dopo, qui dove sono, avevo la sensazione di avervi in
qualche modo liberato e che io costituissi un peso per voi non per il fatto di
non esserci, ma piuttosto per il fatto di esserci. E questo per ragioni
obiettive, perché non c'è posto, accanto al Segretario Politico eletto dal
Congresso, per un Presidente del Partito che abbia rispetto di sé e delle
cose. E se il vostro profondo pensiero coincideva con quello che io avevo
fatto valere, perché non accontentarci tutti in una volta? Aggiungerò poi
(e questo va al di là della Presidenza del Consiglio Nazionale di cui abbiamo
parlato sin qui) che io non ho compreso e non ho approvato la vostra dura
decisione, di non dar luogo a nessuna trattativa umanitaria, anche limitata,
nella situazione che si era venuta a creare. L'ho detto cento volte e lo dirò ancora,
perché non scrivo sotto dettatura delle Brigate Rosse, che, anche se la lotta è
estremamente dura, non vengono meno mai, specie per un cristiano, quelle
ragioni di rispetto delle vittime innocenti ed anche, in alcuni casi, di
antiche sofferenze, le quali, opportunamente bilanciate e con il presidio di
garanzie appropriate, possono condurre appunto a soluzioni umane. Voi
invece siete stati non umani, ma ferrei, non attenti e prudenti, ma
ciechi. Con l'idea di far valere una durissima legge, dalla quale vi
illudete di ottenere il miracoloso riassetto del Paese, ne avete decisa
fulmineamente l'applicazione, non ne avete pesato i pro e i contro, l'avete
tenuta ferma contro ogni ragionevole obiezione, vi siete differenziati, voi
cristiani, dalla maggior parte dei paesi del mondo, vi siete probabilmente
illusi che l'impresa sia più facile, meno politica, di quanto voi immaginate,
con il vostro irridente silenzio avete offeso la mia persona, e la mia
famiglia, con l'assoluta mancanza di decisioni legali degli organi di Partito
avete menomato la democrazia che è la nostra legge, irreggimentando in modo
osceno la D.C., per farla incapace di dissenso, avete rotto con la tradizione
più alta della quale potessimo andar fieri. In una parola, l'ordine
brutale partito chissà da chi, ma eseguito con stupefacente uniformità dai
Gruppi della D.C., ha rotto la solidarietà tra noi. In questa (cosa
grossa, ricca di implicazioni) io non posso assolutamente riconoscermi, rifiuto
questo costume, questa disciplina, ne pavento le conseguenze e concludo,
semplicemente, che non sono più democratico cristiano. Essendo scontata
in ogni caso dal momento del mio rapimento (e della vostra mistica inerzia) il
mio abbandono della Direzione e del Consiglio Nazionale, restava, se il vostro
comportamento fosse stato diverso e più costruttivo, la possibilità della mia
permanenza senza alcun incarico nella famiglia democratica cristiana e che è
stata mia per trentatré anni. Oggi questo è impossibile, perché mi avete
messo in una condizione impossibile. E perciò il mio ritiro da semplice
socio della D.C. è altrettanto serio, rigido ed irrevocabile quanto lo è il mio
abbandono dalle cariche nelle quali avevamo creduto di poter lavorare
insieme. Tutto questo è finito, è assolutamente finito. Ed ora che
posso parlare, senza che nessuno pensi ad una pretesa di successione, a parte
il mio durissimo giudizio sul Presidente del Consiglio e su tutti coloro che
hanno gestito in modo assolutamente irresponsabile questa crisi, c'è, per
dovere di sincerità ed antica appannata amicizia, la valutazione su di te,
come, per così dire, il più fragile Segretario che abbia avuto la D.C.,
incapace di guidare con senso di responsabilità il partito e di farsi indietro
quando si diventa consapevoli, al di là della propaganda, di questa
incapacità. Guidare e non essere guidato è il compito del Segretario del
più grande partito italiano.
Giunti a questo punto, i motivi di dissenso, che non ci faranno incontrare più, sono evidentemente molti. Tu non penserai che possa trattarsi solo del modo chiuso e retrivo che ha caratterizzato il vostro comportamento in questa vicenda, nella quale vi sembrerà di avere conseguito chissà quale straordinario successo. Questa è una spia, la punta dell'iceberg, ma il resto è sotto. Ho riflettuto molto in queste settimane. Si riflette guardando forme nuove. La verità è che parliamo di rinnovamento e non rinnoviamo niente. La verità è che ci illudiamo di essere originali e creativi e non lo siamo. La verità è che pensiamo di fare evolvere la situazione con nuove alleanze, ma siamo sempre là con il nostro vecchio modo di essere e di fare, nell'illusione che, cambiati gli altri, l'insieme cambi e cambi anche il Paese, come esso certamente chiede di cambiare. Ebbene, caro Segretario, non è così. Perché qualche cosa cambi, dobbiamo cambiare anche noi. E, a parte il fatto che davvero altri (socialisti ieri, comunisti oggi) siano in grado di realizzare una svolta in accordo con noi - il che possiamo augurarci e sperare - la D.C. è ancora una così gran parte del Paese, che nulla può cambiare, se anch'essa non cambia. E per cambiare non intendo la moralizzazione, l'apertura del Partito, nuovi e più aperti indirizzi politici. Si tratta di capire ciò che agita nel profondo la nostra società, la rende inquieta, indocile, irrazionale, apparentemente indominabile. Una società che non accetti di adattarsi a strategie altrui, ma ne voglia una propria in un limpido disegno di giustizia, di eguaglianza, di indipendenza, di autentico servizio dell'uomo. Ecco tutto. Benché sia pessimista, io mi auguro che facciate più di quanto osi sperare. Non era questa la conclusione cui avevo pensato né l'addio immaginato per te ed i colleghi. Ma le cose sono così poco nelle nostre mani, specie se esse sono troppo deboli o troppo forti. Che Iddio ti aiuti ed aiuti il Paese. Cordialmente.
Aldo
Moro"
"Caro
Zaccagnini,
la
lunga e tormentata vicenda della mia prigionia presso le Brigate Rosse pone dei
problemi ai quali è doveroso e sempre più urgente rispondere. Mi
riferisco all'atteggiamento di totale indifferenza assunto dal Partito nei confronti
della mia persona e della mia famiglia, la quale paga un prezzo altissimo per
un modo di fare che non ha assolutamente precedenti nella D.C. Quest'ultima è
venuta incontro, più o meno, alle necessità che premevano sui suoi associati,
ma mai, come in questo caso, è restata del tutto fuori da una vicenda
gravissima, delicatissima e per la quale non era certo priva di mezzi
d'intervento. Si poteva fare, solo che si fosse voluto rimuovere una
inconsistente pregiudiziale, ed invece non si è fatto. Il culto
esasperato del rispetto della legalità formale ha reso rigidi e insensibili, ha
ridotto ad essere soffocante, come mai era stata, la disciplina di partito, ha
tolto ogni libertà di ragionevole movimento, ed ha sacrificato, con me e con la
mia famiglia, quelle ragioni umanitarie che militano a favore, oltre che di
vittime innocenti, ma anche di persone condannate le cui condizioni di salute e
di vita abbisognano di particolare cura e per le quali si offre l'ospitalità,
caritatevole o amichevole, di un paese straniero.
Questi sono i principi sanciti nella nostra coscienza civile, e nei paesi più evoluti non manca mai una giusta considerazione di ragioni umanitarie, siano esse prevalenti, di volta in volta, per le vittime innocenti o per persone ormai condannate. Io pensavo che, al di là della mia persona sofferente ed in pericolo, in un partito d'ispirazione cristiana a queste cose non si potesse guardare con indifferenza. E proprio mentre i socialisti, sia pure in modo incompiuto, si fanno carico di cose delle quali ben prima proprio i cristiani dovevano avere la maggiore sensibilità.
Da qui un profondo stupore ed un profondo disagio. Certo l'impresa portata a termine dalle Brigate Rosse è di notevole rilievo politico: ma è pur vero che essa pone in luce quei problemi umanitari dei quali parlavo innanzi e dei quali né il partito né tu potete assolutamente disinteressarvi. Ed invece ve ne disinteressate con sfacciato cinismo, essendo del resto in buona compagnia. Mi stupisco del fatto che così si manifesti la tua sensibilità umana e cristiana.
Questo, a prescindere da tante altre cose, per gli aspetti personali e per quelli obiettivi, è un capitolo importante, ed altamente deludente, dei miei rapporti con la D.C. Questo disagio di fondo l'ho capito ogni giorno di più, questa incomprensione, questa diversità tra noi diventano ogni giorno più vistose, rendendomi impossibile di ritrovarmi con gli antichi amici con la scioltezza e la naturalezza di sempre.
Questa irremovibile intolleranza, che nasce, sia ben chiaro, da un fatto morale più che politico mi induce a questo punto a rendere formali le mie dimissioni dal Partito, intendo non solo dalle cariche, comprese quelle ipotetiche e future, ma proprio dal corpo, dalla famiglia della D.C. Passerò perciò, per la durata della legislatura al Gruppo Misto. Dopo tanti anni di amicizia, che ha sofferto anch'essa di questa crisi ci troviamo su posizioni estremamente lontane ed incongiungibili. Stranamente vedo in te quell'arroganza del potere che abbiamo tante volte lamentato in altri e che, ricordalo, il paese sente con crescente insofferenza, senza che possa essere questa assurda gara di resistenza nello sbarazzarci di ogni ragione umanitaria a farcelo perdonare.
Sia dunque ben chiaro, perché non vi siano equivoci, che non si pone solo il problema della mia persona per quel che poco significa per la D.C., ma il problema oggetto del modo di reagire con senso cristiano e democratico di fronte a situazioni di obiettivo pericolo e che richiedono interventi umanitari. Ritengo dunque sbagliata e urtante la linea del partito che hai assunto e che incautamente si è fatto in modo che tu assumessi. La colpa è grave in entrambi i casi. Siamo guidati male, in modo insicuro e non coerente ai principi.
Ma in un travaglio così complesso non sono solo queste le ragioni della mia decisione".[...]
[...]
la lettera s'interrompe senza conclusione
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