A
Istanbul, città particolarmente priva di spazi verdi, il premier
Erdogan vuole togliere di mezzo il Parco Gezi, abbattendo 600 alberi,
per sostituirlo con un grande centro commerciale, con tutti gli annessi e
i connessi, simbolo, secondo lui, di una Turchia che corre felice verso
lo sviluppo e la modernizzazione. La gente della città si è ribellata,
ha occupato il parco, lo ha circondato, si è scontrata duramente con una
delle polizie più feroci del Medio Oriente (qualcuno ricorderà, forse,
'Fuga di mezzanotte'). Poi la rivolta è virata in senso politico, contro
gli abusi e le violenze dell' 'amico Erdogan' come lo chiama
Berlusconi. Ma resta il fatto che è cominciata per la difesa di un parco
che i cittadini di Istanbul amano.
A
Milano, nell'area della ex stazione delle Varesine, era nato
spontaneamente un bosco, un vero bosco, non l'odioso verde, aiulato e
regolamentato, che non puoi nemmeno calpestare, pena multe salatissime
da parte di vigili assatanati che hanno l'ordine di raccattar quattrini
da cittadini già esausti. Miracolo a Milano. Un piccolo polmone verde
quasi nel cuore della città. E' stato raso al suolo in una sola notte e
in poco più di un anno sono stati costruiti quattro o cinque ecomostri,
costruzioni orribili che nulla hanno a che vedere con quell'opera d'arte
che è il grattacielo Pirelli di Gio' Ponti e Pier Luigi Nervi.
Sull'area dell'ex Fiera Campionaria, dove da bambini i genitori ci
portavano a fare il pic-nic, è successa più o meno la stessa cosa. A
nessuno è venuto in mente di utilizzarla a verde (gli architetti si
salvano la coscienza con i cosidetti 'boschi verticali' , figuriamoci,
poco più della vecchia edera che scende giù dalle facciate). Eppure
anche Milano, come Istanbul, è quasi priva di parchi. Come hanno reagito
i milanesi? Con un ricorso al Tar.
In
Tunisia Ben Ali' (gran protettore dell' 'esule' Craxi) e la sua cricca
sono stati spazzati via in due giorni con una rivolta violenta, anche
se disarmata. Noi invece tolleriamo che partiti che hanno governato il
Paese per vent'anni, portandolo sull'orlo del baratro, continuino a
farlo, sotto la guida di un quasi novantenne, che non ha fatto un solo
giorno di lavoro in vita sua, che nella sua lunga esistenza non ha mai
preso non dico una posizione (sulla rivolta ungherese del '56,
sull'invasione russa della Cecoslovacchia del '68), ma non ha mai
espresso un'opinione men che banale e che, per la sua inesistenza, era
definito dai suoi stessi compagni «un coniglio bianco in campo bianco» e
che quando era giovane, si fa per dire, lo scrittore Luigi Compagnone
descrisse come «nu guaglione fatt'a vecchio».
E'
che noi italiani abbiamo perso ogni vitalità. Siamo un popolo di
vecchi. L'età media dei tunisini è di 32 anni, la nostra è di 44,5.
Siamo sudditi e ci facciamo trattare da sudditi perchè ci comportiamo da
sudditi. Subiamo tutto. La rivolta la facciamo solo a chiacchiera, nei
bar: «Sono qui. Attendo solo un segnale». Ma va là.
Altro
che Parco Gezi. Noi dovremmo tenere sotto assedio permanente il
Parlamento e tampinare questi topi di chiavica in strada, per fargli
sentire il nostro disgusto e il nostro disprezzo (senza toccarli, per
carità, una sacrosanta sventola a Capezzone è un reato più grave
dell'aver corrotto un paio di giudici e di testimoni per aggiustarsi le
sentenze). E invece stiamo a guardarli in Tv, questi mascheroni,
intervistati da giornalisti compiacenti e complici, in programmi
manovrati da conduttori paraculi, di sinistra e di destra, il cui
principale obiettivo è mantenere quelle decennali rendite di posizione
che si sono accaparrati in un sistema in cui stanno incistati, come topi
nel formaggio. E se per caso, per sfinimento, ti cade il telecomando,
lei subito strilla: «Non l'avrai mica rotto!». C'è ben altro da rompere,
in Italia.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2013)
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