sabato 27 luglio 2013

La parabola ventennale di Berlusconi e il crollo dei valori

Un padre si rese conto che suo figlio era diventato un delinquente. Allora lo convoco' e gli fece una solenne ramanzina. Il figlio lo ascolto' con molta attenzione. Poi disse, dolcemente: «Vieni con me». Camminarono per un po' finchè giunsero nei pressi di un bosco e vi si inoltrarono. Il figlio strappo' un ramoscello da un albero, lo porse al padre e gli chiese di spezzarlo, cosa che l'altro fece con gran facilità. Ne strappo' un altro solo di poco meno esile e chiese al padre di fare la stessa cosa. Non ci furono problemi. Poi indico' un ramo piuttosto robusto e ingiunse: «Spezzalo». E il padre lo fece con una certa fatica. Andarono avanti in questa maniera con rami sempre più grossi. Finchè ne arrivo' uno che per quanto l'uomo si sforzasse e si impegnasse, madido di sudore, non riusci' a piegare. «Vedi» disse il figlio «se tu quella ramanzina me l'avessi fatta tanti anni fa quando ero ancora un giovane virgulto sarebbe stato facile rimettermi sulla buona strada. Oggi è troppo tardi».
Berlusconi andava fermato subito. Ormai è troppo tardi. E' il vero padrone del Paese, lo tiene in scacco e continuerà a farlo finchè madre natura vorrà. Per la verità ci fu qualcuno che all'inizio ci provo'. L'imprenditore Silvio Berlusconi aveva accentrato nelle sue mani l'intero comparto televisivo privato nazionale. Un oligopolio illiberista e illiberale. Intervenne la magistratura per sanare la situazione. Berlusconi fu salvato da Bettino Craxi (che io considero il primo, vero, grande corruttore di questo Paese) che gli confeziono' una legge ad hoc, la Mammi', che congelava e legittimava la posizione oligopolista dell'allora Fininvest in campo televisivo. Il Cavaliere avrebbe pero' dovuto sbarazzarsi delle sue proprietà nella carta stampata. Disse a Montanelli: «Sono rovinato, devo vendere Il Giornale». E lo cedette a suo fratello Paolo.
Nel 1994 quando decise di entrare in politica non avrebbe potuto farlo senza cedere le sue aziende in quanto una legge del 1957 interdiva l'ingresso in Parlamento a chi fosse detentore di concessioni da parte dello Stato (nel caso di Berlusconi quelle televisive). Il Cavaliere doveva scegliere: o le aziende televisive o la politica attiva. E' il famoso conflitto di interessi. Berlusconi non cedette le aziende e entro' lo stesso in politica nonostante per la legge fosse ineleggibile. Promise un blind trust per il quale, pur rimanendo proprietario, non avrebbe saputo nulla delle attività della Fininvest, nomino' un comitato di 'tre saggi' che non si è mai saputo che fine abbia fatto. Violo' la legge e basta. Volerlo dichiarare ineleggibile ora, a vent'anni dal suo ingresso abusivo in Parlamento, dopo che è stato quattro volte presidente del Consiglio, è semplicemente grottesco. Bisognava impedirglielo allora, bisognava fargli rispettare la legge allora, oggi non ha più senso.
I vent'anni del berlusconismo e dell'antiberlusconismo sono stati atroci. Non parlo qui come giornalista che, non appartenendo a nessuna delle due bande, ha trovato sempre più difficoltà a lavorare fino a subire una sorta di 'conventio ad escludendum' , da destra e da sinistra. Parlo come cittadino e come uomo. In vent'anni ho visto crollare, e non certo per colpa del solo Berlusconi, tutti i valori di stampo ottocentesco che mio padre, che era del 1901, aveva cercato di inculcarmi, onestà, dignità, lealtà, assunzione delle proprie responsabilità, che ho cercato di osservare anche se, ovviamente, non sempre ne sono stato all'altezza.
Quando Berlusconi 'scese in campo' ero un uomo nel pieno del suo vigore. Oggi sono solo un vecchio smarrito che ha perso tutti i suoi punti di riferimento.



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