venerdì 13 settembre 2013

Corte Costituzionale, Amato uomo emblema del compromesso

Genova, 13-09-2013. Il segno del degrado ha raggiunto il punto di non ritorno con la nomina di Giuliano Amato a giudice costituzionale da parte dell’imperatore, Giorno II, re di Libia e negus di Abissinia. Per gradire, Amato è un politico «quadrilatero»: ha servito Craxi, latitante e ladro di Stato; ha una pensione di 30mila euro al mese, quanto un operaio e mezzo guadagnano in un anno; ha contribuito attivamente come presidente di due governi e ministro del tesoro ad affossare l’economia italiana e infine è l’uomo adatto per riportare la Corte alla totale dipendenza della politica e segnatamente del Quirinale.
Il messaggio che re Giorgio II manda al Paese è uno solo: Amato è una garanzia di qualsiasi compromesso, è un avviso a Berlusconi di solidarietà, è un messaggio ai Giudici: i politici non si toccano. Quale altro senso ha una nomina, in questo momento, in questo frangente, in queste condizioni? Se l’imperatore d’Abissinia avesse voluto mandare un segnale forte e chiaro che la legalità è la sua stella polare non avrebbe forse dovuto nominare, sì, proprio adesso, una figura integerrima e lontana da ogni scandalo, da ogni compromesso, da ogni contiguità con la delinquenza politica e il malaffare invece di risuscitare Amato che fornicò con Craxi, finché fu potente? Avanti, Gerontocrati, correte a quattro zampe verso il ringiovanimento delle Istituzioni e il cambio generazionale perché voi vivrete fino a 120 anni perché dovete essere certi e sicuri di spolpare l’osso dell’Italia che muore per colpa vostra.
Che colpo se il «dio» d’Italietta, il Napolitano Giorgio II avesse nominato un giurista di fama, un professore come Settis, uno insomma che portasse un valore aggiunto alla Corte con il messaggio esplicito: le Istituzioni non sono lo zimbello di chi ha l’arroganza dei voti «rubati», ma sono materia seria e sono amministrate da persone serie. La Giustizia è il senso dell’Italia e deve essere tutelata dai ladri e dai delinquenti che, pur condannati in terzo grado, pretendono salvacondotti e agibilità politiche al di fuori di ogni legge.
Con questa nomina, Napolitano, proprietario del condominio governo-Parlamento, ha gettato la maschera e si schiera dalla parte della delinquenza dalle larghe intese, pur di salvare un ladro e un corrotto, evasore fiscale di quello Stato a cui ha giurato fedeltà e dipendenza.
Da questo momento ripudio anche il presidente della non-Repubblica, fondata sulle fisime e sulle fobie di un presidente che si crede «padreterno». Speriamo che almeno abbia avuto il buon gusto di suggerire al «sottil dottore» di rinunciare di sua iniziativa allo stipendio da membro della Corte costituzionale, perché di suo già ci frega 32 mila euro all’anno. Se dobbiamo sopportarlo, alla faccia di Napolitano, che almeno lo faccia gratis e ci sia consentito di non averlo in carico fino alla fine dei suoi giorni e anche oltre, visto che la reversibilità spetta alla moglie. Credevamo di esserci liberati di Craxi, delinquente in contumacia, invece ci siamo cuccati, Craxi, Amato e poi l’apprendista discepolo e maestro, Berlusconi e  ora di nuovo Amato che è come un diamante: per sempre.

PS. Mi dispiace per la figlia di Berlusconi, Barbara, figlia di secondo letto, che difende a spada tratta e con borsa griffata il cotanto padre. La capisco e la comprendo: senza quel padre non sarebbe stata invitata all’Ambrosetti tra il Gotha della finanza e cosa ancora più interessante non avrebbe tutti i milioni di cui dispone senza esserseli guadagnati nemmeno sognando. «Mio padre non è un delinquente. La sua storia è la storia di un imprenditore». Certo, la tata l’ha cresciuta nelle favole e nella bambagia, per cui non si nemmeno accorta che la guardia del corpo suo e della villa dove stava, era il mafioso Mangano che garantiva il patto d’acciaio tra il suo paparino e la mafia. Ne sa qualcosa la berlusconina Barbara? Lo sa da dove prese i soldi il papà, la cui storia sarebbe quella di un imprenditore? Capisco che ci mangia, ma abbia almeno il pudore e il buon senso di tacere perché un bel tacer non fu mai scritto.



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