La difesa della libertà di parola e del diritto di critica è sempre
stata un valore fondamentale del nostro web giornale. Per questo non ci
lamentiamo se sul blog di Beppe Grillo, dopo la scomunica dei parlamentari M5S che avevano presentato un emendamento sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina, è stato pubblicato un post in cui un attivista (tale Tinazzi) attacca Il Fatto Quotidiano accusandoci, tra l’altro, “di aver sostituito l’Unità come organo del Pd”.
Tinazzi è libero di pensarlo, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio
sono liberi di mettere on line il suo scritto, così come i lettori sono
liberi di farsi un’opinione sulla veridicità di queste affermazioni.
Magari – è meglio, ma non obbligatorio – dopo aver dato di nuovo
un’occhiata alle centinaia di articoli da noi messi in rete in questi
anni su Penati, la segretaria di Bersani e i suoi conti correnti, il
Monte Paschi di Siena, Unipol e Matteo Renzi. Storie e notizie scovate e
raccontate dai nostri cronisti che, al pari di quelle riguardanti altri
partiti e altri personaggi dell’economia e della finanza, sono state
spesso utilizzate da Grillo e dal M5S per fare attività politica e di denuncia.
Un
paio di riflessioni sui diritti e i doveri di chi fa informazione e sui
principi che, tra molti errori, abbiamo sempre cercato di seguire è
però il caso di farne. La tesi forte del post pubblicato sul blog di
Grillo è infatti tutta racchiusa nel titolo: “I falsi amici”.
Ed è una tesi che non ci piace. Non perché da quelle parti c’è qualcuno
(una piccola minoranza almeno a giudicare dai commenti) che ci
considera falsi. Ma perché ancora una volta siamo costretti a constatare
come in Italia, tra chi fa politica, resti molto popolare l’idea che
l’esistenza di una stampa amica sia un fatto normale.
Bene: qui al ilfattoquotidiano.it la pensiamo esattamente al contrario. Proprio come insegnò molti anni fa il creatore di Panorama Lamberto Sechi
crediamo che “i giornalisti hanno amici, ma i giornali no”. Che le
notizie non vanno scelte guardando chi favoriscono o chi danneggiano. Ma
che, se sono notizie, vanno sempre e solo pubblicate.
Non basta però. Qui al ilfattoquotidiano.it
cerchiamo pure (non siamo perfetti) di seguire delle altre regole:
correggersi quando ci si sbaglia, tenere i fatti separati dalle opinioni
(per questo è nata la colonna dei blog) e ospitare anche commenti che
non corrispondono necessariamente alla linea del nostro web giornale.
Pensiamo che confrontando opinioni diverse tra loro sia possibile, di
tanto in tanto, trovare dei punti di vista in comune. A farci paura sono il conformismo e l’unanimismo, non il dibattito, la discussione e le idee controcorrente.
Sul
reato di immigrazione clandestina, come su ogni altro aspetto della
vita economica e sociale italiana, proviamo poi a essere pragmatici.
Prima di formulare giudizi etici, morali o considerazioni di
convenienza politica (faccenda quest’ultima che riguarda non la stampa
libera, ma chi si presenta alle elezioni) facciamo considerazioni di ordine pratico. È secondo noi stupido intasare i tribunali con migliaia di fascicoli
– 12mila solo alla procura di Agrigento – destinati a essere chiusi con
condanne a pene pecuniarie che nessun migrante sarà mai in grado di
onorare. È insensato tenere in vita norme che impongono l’apertura di
indagini giudiziarie utili solo a sperperare i soldi dei contribuenti
per pagare il lavoro infruttuoso di forze dell’ordine, magistrati,
cancellieri e avvocati di ufficio. È, per noi, criminale spingere i
pescatori a girare al largo dai naufraghi per il timore di essere
indagati per favoreggiamento.
L’obiezione secondo cui abolire il reato di immigrazione clandestina
significa dare il via libera ad ulteriori esodi di massa non ci
convince. L’esperienza insegna che il deterrente vero, per chi accetta
il rischio di morire in mare, è rappresentato da un efficace e rapido
sistema di rimpatrio (a meno che non si abbia diritto all’asilo), non da una lunga trafila burocratica.
Ovviamente
si è liberi di pensarla in un altro modo. E se lo si fa non si è per
questo dei pericolosi xenofobi. Sarebbe però il caso di argomentare le
proprie posizioni. Sarebbe bene fornire dati, cifre, esempi e analisi.
Ma lo sappiamo. Farlo costa tempo e fatica. Ed è sopratutto rischioso:
anche perché, se i fatti per supportare le proprie tesi non si trovano,
invece che far cambiare idea agli altri, se si è intelligenti, si
finisce per mutare la propria. E allora meglio non pensarci e urlare, un
po’ ridicoli, ai servi di partito. In fondo non era Paul Valery a dire
che “quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore”?
Peter Gomez (Il Fatto Quotidiano - 13 ottobre 2013)
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