domenica 13 ottobre 2013

Beppe Grillo, ilfattoquotidiano.it e il diritto di critica

La difesa della libertà di parola e del diritto di critica è sempre stata un valore fondamentale del nostro web giornale. Per questo non ci lamentiamo se sul blog di Beppe Grillo, dopo la scomunica dei parlamentari M5S che avevano presentato un emendamento sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina, è stato pubblicato un post in cui un attivista (tale Tinazzi) attacca Il Fatto Quotidiano accusandoci, tra l’altro, “di aver sostituito l’Unità come organo del Pd”. 
Tinazzi è libero di pensarlo, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio sono liberi di mettere on line il suo scritto, così come i lettori sono liberi di farsi un’opinione sulla veridicità di queste affermazioni. Magari – è meglio, ma non obbligatorio – dopo aver dato di nuovo un’occhiata alle centinaia di articoli da noi messi in rete in questi anni su Penati, la segretaria di Bersani e i suoi conti correnti, il Monte Paschi di Siena, Unipol e Matteo Renzi. Storie e notizie scovate e raccontate dai nostri cronisti che, al pari di quelle riguardanti altri partiti e altri personaggi dell’economia e della finanza, sono state spesso utilizzate da Grillo e dal M5S  per fare attività politica e di denuncia.
Un paio di riflessioni sui diritti e i doveri di chi fa informazione e sui principi che, tra molti errori, abbiamo sempre cercato di seguire è però il caso di farne. La tesi forte del post pubblicato sul  blog di Grillo è infatti tutta racchiusa nel titolo: “I falsi amici”. Ed è una tesi che non ci piace. Non perché da quelle parti c’è qualcuno (una piccola minoranza almeno a giudicare dai commenti) che ci considera falsi. Ma perché ancora una volta siamo costretti a constatare come in Italia, tra chi fa politica, resti molto popolare l’idea che  l’esistenza di una stampa amica sia un fatto normale.
Bene: qui al ilfattoquotidiano.it la pensiamo esattamente al contrario. Proprio come insegnò molti anni fa il creatore di Panorama Lamberto Sechi crediamo che “i giornalisti hanno amici, ma i giornali no”. Che le notizie non vanno scelte guardando chi favoriscono o chi danneggiano. Ma che, se sono notizie, vanno sempre e solo pubblicate.
Non basta però. Qui al ilfattoquotidiano.it cerchiamo pure (non siamo perfetti) di seguire delle altre regole: correggersi quando ci si sbaglia, tenere i fatti separati dalle opinioni (per questo è nata la colonna dei blog) e ospitare anche commenti che non corrispondono necessariamente alla linea del nostro web giornale. Pensiamo  che confrontando opinioni diverse tra loro sia possibile, di tanto in tanto, trovare dei punti di vista in comune. A farci paura sono il conformismo e l’unanimismo, non il dibattito, la discussione e le idee controcorrente.
Sul reato di immigrazione clandestina, come su ogni altro aspetto della vita economica e sociale italiana, proviamo poi a essere pragmatici. Prima di formulare giudizi etici, morali o  considerazioni di convenienza politica (faccenda quest’ultima che riguarda non la stampa libera, ma chi si presenta alle elezioni) facciamo considerazioni di ordine pratico. È secondo noi stupido intasare i tribunali con migliaia di fascicoli – 12mila solo alla procura di Agrigento – destinati a essere chiusi con condanne a pene pecuniarie che nessun migrante sarà mai in grado di onorare. È  insensato tenere in vita norme che impongono l’apertura di indagini giudiziarie utili solo a sperperare i soldi dei contribuenti per pagare il lavoro infruttuoso di forze dell’ordine, magistrati, cancellieri e avvocati di ufficio. È, per noi, criminale spingere i pescatori a girare al largo dai naufraghi per il timore di essere indagati per favoreggiamento.
L’obiezione secondo cui abolire il reato di immigrazione clandestina significa dare il via libera ad ulteriori esodi di massa non ci convince. L’esperienza insegna che il deterrente vero, per chi accetta il rischio di morire in mare, è rappresentato da un efficace e rapido sistema di rimpatrio (a meno che non si abbia diritto all’asilo), non da una lunga trafila burocratica.
Ovviamente si è liberi di pensarla in un altro modo. E se lo si fa non si è per questo dei pericolosi xenofobi. Sarebbe però il caso di argomentare le proprie posizioni. Sarebbe bene fornire dati, cifre, esempi e analisi. Ma lo sappiamo. Farlo costa tempo e fatica. Ed è sopratutto rischioso:  anche perché, se i fatti per supportare le proprie tesi non si trovano, invece che far cambiare idea agli altri, se si è intelligenti, si finisce per mutare la propria. E allora meglio non pensarci e urlare, un po’ ridicoli, ai servi di partito. In fondo non era Paul Valery a dire che “quando non si può attaccare il ragionamento, si attacca il ragionatore”?
 
 
 
 

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