Dicesi cluster bomb (bomba a grappolo)
quell’ordigno che sganciato da un aereo da guerra libera una miriade di
“submunizioni” per colpire contemporaneamente più obiettivi. Ora abbiamo
anche la “cluster sentenza” che non si limita a incenerire le accuse
del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti e
fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere. La
grande innovazione si deve ai tre giudici della IV sezione del Tribunale
di Palermo che l’altroieri hanno depositato le motivazioni
dell’assoluzione del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu,
imputati di favoreggiamento mafioso per non aver catturato nel 1995
Bernardo Provenzano pur avendolo sotto il naso in una masseria di
Mezzojuso, secondo le dettagliate indicazioni del boss confidente Luigi
Ilardo, poi naturalmente ucciso. L’innovazione è foriera di effetti
benefici per lo snellimento dei processi: con la pratica formula Dash
“prendi tre e paghi uno”, i giudici di un processo ne celebrano pure
altri due, risparmiando la fatica ai loro colleghi impegnati in quelli.
Nel nostro caso, i valenti magistrati che hanno assolto Mori e Obinu
hanno deciso che è ormai inutile celebrare il Borsellino-quater a
Caltanissetta sulla morte del giudice e della sua scorta in via
D’Amelio, e anche il processo sulla trattativa Stato-mafia, appena
iniziato dinanzi alla Corte d’Assise di Palermo. Dunque è oltremodo
superfluo ascoltarvi Napolitano (citato in entrambi) e gli altri
testimoni eccellenti indicati dalle rispettive Procure. I nostri eroi
infatti hanno scritto 1322 pagine, ma nelle prime 845 non parlano del
reato contestato ai loro imputati: cioè la mancata cattura di
Provenzano.
Si avventurano invece nella storia delle stragi e delle trattative
del 1992-’93, oggetto degli altri due processi: utili, certo, a
lumeggiare il contesto del mancato blitz di Mezzojuso, ma nulla di più.
Anche perché gli elementi completi di prova sulle stragi e le trattative
li possiedono solo i giudici che se ne occupano. Tanto più che quelli
del caso Provenzano hanno rifiutato di acquisire il dossier “Corvo-2”
che dimostra come Borsellino, negli ultimi giorni di vita, indagasse
proprio sulla trattativa: e l’hanno fatto perché, dicevano, esulava dal
tema del loro processo; salvo poi scrivere che il nesso
trattativa-strage di via D’Amelio “è frutto di mera ipotesi che potrebbe
essere plausibile, ma non trova supporto probatorio in nessun sicuro
elemento”. Forse perché quel sicuro elemento i giudici non l’hanno
voluto leggere? Più avanti, negano addirittura l’“accelerazione” che
portò Cosa Nostra a uccidere Borsellino 57 giorni dopo Falcone: peccato
che l’accelerazione sia un fatto certo al mille per mille, consacrato
dalla sentenza definitiva del Borsellino-ter. Ieri la Procura di
Caltanissetta ha fatto timidamente notare che su via D’Amelio “è
competente solo la magistratura di Caltanissetta”, anche perché “il
Tribunale di Palermo ha potuto esaminare solo indirettamente (e
probabilmente con un diverso compendio probatorio) questa vicenda di
competenza nissena, e solo al fine di rispondere al vero tema del
processo: la mancata cattura di Provenzano”. Lo stesso vale per
l’attendibilità dei testi del processo-trattativa, che i cluster-giudici
ritengono apoditticamente confusi o bugiardi quando danno fastidio
(vedi Scotti e Martelli, autori dell’unica seria legge antimafia della
storia repubblicana) e sinceri come acqua di fonte quando negano anche
di esistere: ma, con buona pace dei nostri eroi, sarà la Corte di
Palermo competente sulla trattativa a decidere chi ha mentito e chi no
sulla trattativa. In ogni caso il pur encomiabile sforzo di assolvere
Mancino e Conso nel processo sbagliato ha effetti davvero esilaranti. Il
Tribunale nega alla Procura la trasmissione degli atti su Mancino per
falsa testimonianza, dimenticando forse che la Procura
non l’aveva mai
chiesta.
Quanto a Conso, i giudici a grappolo ammettono che sì, in effetti
revocò il 41-bis a 334 mafiosi detenuti nel novembre ’93, appena tre
mesi dopo le stragi di Firenze, Milano e Roma, ma la trattativa non
c’entra: fu un grazioso cadeau, un affettuoso “segnale di distensione”
con un “parziale cedimento”(alla mafia), e che sarà mai. Il tutto al
nobile scopo di “cercare di evitare altre stragi”; e pazienza se Conso
non spiega come faceva a sapere che erano in programma altre stragi e
che l’unico modo per scongiurarle era la revoca dei 41-bis (era il primo
punto del papello, ma Conso nega di averlo mai letto e conosciuto: gli
sarà apparso in sogno l’arcangelo Gabriele). Poi finalmente, a pagina
846, i cluster giudici si ricordano dei loro imputati, cioè Mori e
Obinu. E scrivono che sì, in effetti, evitare di catturare Provenzano
due anni dopo aver evitato di perquisire il covo di Riina non fu una
bella cosa. Anzi fu – con rispetto parlando – una “scelta operativa
discutibile”, in cui “non mancano aspetti opachi”. Una “condotta
attendista” che sarebbe “sufficiente a configurare in termini oggettivi
il reato di favoreggiamento”. Ma – e qui casca l’asino – non in termini
soggettivi, perché “non è adeguatamente provato” che Mori l’abbia fatto
“per salvaguardarne la latitanza”. In effetti ci sono un sacco di
spiegazioni alternative: la sbadataggine? l’amore a prima vista? la
forza dell’abitudine? una zia malata? un attacco di labirintite?
Delresto, quando la mafia iniziò a mettere le bombe, Mori avviò una
trattativa con la mafia: e nessuno, si spera, vorrà negare “la
meritevolezza delle finalità di evitare le stragi”. Solo che la mafia le
stragi le faceva apposta per trattare, dunque la trattativa ne produsse
altre, e pazienza per le decine di morti ammazzati che non seppero
cogliere la meritevolezza della finalità. Dev’essere per questo che Mori
fu promosso comandante del Ros e poi del Sisde: per mettere il Paese in
buone mani.
Ps. Ah, dimenticavo: gli asini volano.
Marco Travaglio (Jack's Blog. Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2013)
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