Anziché
seguitare a trafficare intorno al giudice Antonio Esposito, cercando ogni
pretesto per punirlo, il Csm potrebbe dire chiaramente ciò che abbiamo capito
tutti. Esposito si è reso “divisivo” perché ha
osato fare ciò che nessuno aveva mai fatto: condannare definitivamente Silvio
Berlusconi. Diversamente da plotoni di toghe che, al primo cenno del Quirinale,
si mettono sull’attenti e sospendono processi, interrompono requisitorie, si
bevono impedimenti-farsa, congelano udienze, rinviano camere di consiglio,
Esposito ha obbedito soltanto alla legge.
Come
presidente della sezione feriale della Cassazione, ha emesso la sentenza del
processo Mediaset il 2 agosto, prima che scattasse la solita prescrizione. E così ha disturbato la “pacificazione” ordinata da
Napolitano e Letta jr. per tener buono il Caimano. Dunque bisogna trovare il modo
di punirlo, anche se non ha fatto altro che il suo dovere, anzi proprio per
questo. Il pretesto è noto: l’intervista apparsa sul Mattino il 6 agosto,
intitolata “Berlusconi condannato perché sapeva”. Peccato che, nel testo
concordato col giornalista, Esposito non parlasse mai di B.. Peccato che la
domanda su B. fosse stata aggiunta dopo, senza il suo consenso, appiccicata a
una risposta sull’infondatezza del “non poteva non sapere” nei processi.
Peccato che le motivazioni depositate il 29 agosto siano totalmente diverse dai
princìpi enunciati nell’intervista.
Ma
non è bastata la prova provata che Esposito non ha mai anticipato le
motivazioni della sentenza Mediaset.
Il Csm ha aperto un procedimento per trasferirlo d’ufficio (e dove, di grazia,
visto che la Cassazione è competente su tutt’Italia?). E il Pg ha avviato
un’istruttoria disciplinare. Due iniziative che hanno alimentato il linciaggio
sugli house organ della Banda B. Ma due iniziative illegali. La prima perché il
trasferimento d’ufficio dipende da situazioni incolpevoli di incompatibilità
ambientale, che prescindono dalle condotte volontarie (come le le interviste).
La seconda perché la legge che regola i procedimenti disciplinari, la 269/2006,
ritiene illecite solo le “dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti
coinvolti negli affari in corso di trattazione ovvero trattati e non definiti”.
E il processo Mediaset era già definito con sentenza definitiva. Ed Esposito
non aveva neppure nominato il “soggetto coinvolto” (ma, se l’avesse nominato,
non avrebbe commesso illeciti ugualmente).
Nei
giorni scorsi Esposito ha appreso dai giornali, che riprendevano un lancio di
agenzia, che la sua pratica di trasferimento stava per essere archiviata, e con
quale motivazione. Bel paradosso: il Csm anticipa a mezzo
stampa la sentenza su un giudice accusato di aver anticipato a mezzo stampa una
sentenza. Il relatore ha smentito di averla spifferata lui. Ma ieri s’è
scoperto che il verdetto corrisponde alle indiscrezioni. Dunque qualcuno dal
Csm l’ha fatto uscire prima. Peccato che l’interessato non ne sapesse nulla:
del resto non l’hanno neppure ascoltato per consentirgli di difendersi. Alla
fine, con 17 Sì, 2 No e 5 astenuti, il Plenum ha deciso di non trasferirlo. Ma
ha trovato comunque il modo di sputtanarlo: “Il comportamento può integrare
profili disciplinari, deontologici e professionali, da affrontarsi
eventualmente nelle sedi competenti”. Anche se la legge non lo prevede.
Perché
fosse tutto ancor più chiaro, i signori del Csm hanno infilato nella delibera
l’ultimo monito di Napolitano alle toghe:
“misura e riservatezza“, niente “fuorvianti esposizioni mediatiche” né
“atteggiamenti protagonistici e personalistici”. Come se i moniti valessero più
delle leggi. Immediata l’esultanza del laico del Pdl Niccolò Zanon, che è pure
uno dei 35 saggi ricostituenti di Letta & Napolitano: “Il lato positivo è
che la delibera parla di aspetto disciplinare. Speriamo che la Procura generale
faccia quello che deve fare”. Se si danno da fare, magari riescono a punire il
giudice innocente prima che decada il pregiudicato colpevole.
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano, 14 novembre 2013)
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